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Organizzazione della tes

3. Prométhée e i suoi rivali (1926-1939)

3.1 La composizione di Prométhée

Il termine “prometeismo”, prima ancora di riferirsi al movimento delle “nazionalità oppresse” dell’URSS con l’appoggio di Varsavia, nasce per indicare uno specifico indirizzo della politica estera polacca nella prima fase dopo la stabilizzazione della repubblica indipendente. Più in generale, “prometeismo” si riferisce anche alla costruzione ideologica alla base di tale politica. La figura di Prometeo che si libera dalle catene dell’oppressione poteva infatti essere applicata sia alla Polonia stessa, resasi capace di emanciparsi sotto la direzione del maresciallo Piłsudski, sia a qualunque altro popolo oppresso cui si intendeva prestare aiuto7.

È abbastanza scontato che il “prometeismo” fosse fin dall’inizio orientato in senso anti-russo; meno ovvio è invece l’atteggiamento che la Polonia assume, in base a questa stessa ideologia, nei confronti dei vari movimenti nazionalisti ucraini. La questione galiziana, legata alla presenza di 7 Come accennato nell’introduzione, gli sviluppi iniziali del “prometeismo” come strategia geopolitica, già oggetto di scarse pubblicazioni in polacco, sono stati di recente studiati da un punto di vista russo, più neutrale, cui si rimanda: T.M. Simonova, “Prometeizm vo vnešnej politike Pol’ši, 1919-1924 gg.”, Novaja i novejšaja istorija, 2002, 4, pp. 47-63. La Simonova non si è interessata però né del periodo successivo, né dell’aspetto ideologico e di propaganda implicito nel “prometeismo” stesso.

territori a popolamento largamente ucraino entro i nuovi confini polacchi, imponeva una gestione prudente del problema. In particolare, Varsavia aveva interesse a sostenere le pretese indipendentiste ucraine contro Mosca, ma non poteva permettersi che esse dessero luogo a rivendicazioni di una “Grande Ucraina” comprendente i territori galiziani. Per questo, gli ambienti governativi, militari e persino accademico-culturali responsabili della gestione del “prometeismo” furono particolarmente cauti nella scelta del gruppo da sostenere. Anche in virtù dell’aiuto da esso prestato a Piłsudski nella guerra contro Mosca nel 1918-1919, si decise di preferire il gruppo di Petljura, che poteva vantare una presenza ramificata nell’emigrazione e che era accreditato dal fatto di avere effettivamente esercitato il potere, seppur in maniera effimera.

Oltre ad imbrigliare il nazionalismo ucraino e neutralizzare temporaneamente la spinosa questione delle minoranze presenti nella parte orientale del territorio della nuova Polonia, il “prometeismo” corrispondeva anche a un disegno strategico più ampio: Varsavia sembrava intenzionata a creare una propria sfera di influenza – egualmente finalizzata al contenimento di Mosca – dalle rive del Baltico a quelle del Mar Nero8. Questo progetto non aveva nulla di occulto9, ed era anzi

pubblicizzato per alimentare consenso verso la Polonia da parte di ambienti nazionalisti di tutta l’Europa. Varsavia poteva vantare in questo senso anche una tradizione legittimante: lo slogan “Per la nostra libertà e la vostra” non era forse stato utilizzato dai patrioti delle grandi rivolte del XIX secolo, quando sceglievano di combattere anche al fianco di altri “Risorgimenti” nazionali10?

Esso non era poi del tutto scollegato dalla necessità, menzionata poco sopra, di trovare un compromesso con almeno uno dei partiti del separatismo ucraino: nel disegno polacco, infatto, la penisola di Crimea, ed in particolare la sua popolazione tatara, doveva giocare un ruolo di contrappeso. Varsavia avrebbe infatto appoggiato il gruppo dei “petljuristi”, in cambio della loro rinuncia non solo alla Galizia, ma anche alla Crimea. Il messaggio degli interlocutori polacchi non doveva però essere del tutto trasparente, permettendo loro di fare contemporaneamente promesse agli uni e agli altri: l’appoggio accordato al leader tataro Ġafar Seydahmet poteva infatti sempre essere sfruttato come leva di ricatto, qualora gli Ucraini si dimostrassero meno remissivi del previsto sulla Galizia stessa. Sarebbe tuttavia errato pensare la Crimea – o, più precisamente, la 8 Si veda: E. Copeaux, “De la Mer Noire à la Mer Baltique: la circulation des idées dans le “triangle” Istanbul-Crimée- Pologne”, CEMOTI (Cahiers d’études sur la Méditerranée orientale et le monde turco-iranien), 15, 1993, pp. 107-119. 9 Ambienti diplomatici e para-diplomatici italiani erano particolarmente sensibili al problema, come dimostra anche la pubblicistica. Tra coloro che spinsero di più per un coinvolgimento dell’Italia in Ucraina, Crimea e Caucaso come chiave d’accesso all’Asia, si distingue in particolare la figura di Enrico Insabato, giornalista, senatore e agente informale attivo, dal 1903 in poi, negli scenari più diversi. Note biografiche si trovano in: fascicolo nominativo “Insabato”, ACS, Casellario politico centrale (CPC), b. 2639; CV redatto dallo stesso Insabato (primavera 1936) in: ASMAE, Gabinetto del Ministro (1923-1943), b. 266; un inquadramento del personaggio è fornito da: A. Baldinetti,

Orientalismo e colonialismo: la ricerca di consenso in Egitto per l'impresa di Libia, Roma, Istituto per l’Oriente C.A.

Nallino, 1997; il suo ruolo rispetto al nazionalismo ucraino (che risale al 1920) è presentato, pur sommariamente, da G. Petracchi, “Il fascismo, la diplomazia italiana e la ‘questione ucraina’. La politica orientale dell’Italia e il problema dell’Ucraina (1933-1941)”, Nuova Storia Contemporanea, 3, 2004, pp. 73-98.

possibilità di una sua indipendenza sotto leadership tatara – sia unicamente una moneta di scambio tra Varsavia e il gruppo ucraino che si era scelto di sostenere. Come indicano anche le proposte di mandato o protettorato formulate da Seydahmet stesso nel 191911, la Polonia sembrava intenzionata

a sostenere il nazionalismo dei Tatari in sé, anche quando il destino dell’Ucraina sembrava ormai segnato. Ancora nel 1929, ad esempio, Seydahmet poté usufruire della mediazione dell’ambasciata polacca a Parigi per poter essere ricevuto al Quai d’Orsay, anche se il contenuto del colloquio che lì avvenne non ha lasciato traccia documentaria12.

La creazione di un “Fronte prometeico” è quindi antecedente alla nascita della rivista omonima a Parigi alla fine del 192613. L’organizzazione viene affidata alla Sezione Orientale del servizio di

informazioni militare della Polonia, cui si deve anche la conservazione della maggior parte dei documenti oggi accessibili. Oltre agli agenti dislocati a Istanbul, Parigi, e Berlino, i personaggi di maggiore spicco dal lato polacco sono Dabrovskij e i più noti Śćezel14 e Holowko (Goluvko in

traslitterazione russa)15.

Evoluzione del “Fronte prometeico”

L’evoluzione del modo in cui certe tematiche sono sviluppate sulle pagine di Prométhée è spesso una diretta conseguenza dei cambiamenti nella composizione del movimento retrostante e nelle circostanze politiche in cui quest’ultimo si trovava via via ad operare16. Questo è vero in particolare

11 Cfr. il paragrafo 2.1, ed i documenti ivi citati: Seydahmet, Parlamento tataro di Crimea, all’Alto Commissario in Oriente Defrance, 19.6.1919, ADF, QdO, CPC, Série Z-Europe, URSS, d. 611, ff. 20-21; nonché: Defrance (Alto commissario in Oriente) a MAE, Istanbul, 5.7.1919, inoltrando una lettera da Seydahmet, Péra-Palace, 19.6.1919, ADF, QdO, CPC, Série Z-Europe, URSS, d. 832, f. 80.

12 Lettera del MAE a Laroche, ambasciatore a Varsavia, copia, 6 febbraio 1929, ADF, QdO, CPC, Série Z-Europe, URSS, d. 611, f. 151. Che la Crimea fosse potenzialmente moneta di scambio tra Varsavia e i “petljuristi” era chiaro anche ai diplomatici francesi: Seydahmet si affrettava infatti a specificare che “Il est [...] en rapports suivis avec le groupe Petljura-Levitzki-Choulguine, qui se serait engagé à respecter l’indépendance de la Crimée lors de la constitution d’un Etat ukrainien et certains milieux polonais s’intéressaient à son activité, comme à celle de cette organisation ukrainienne”: ivi, f. 151 verso.

13 La rivista non fu, a quanto pare, mai oggetto di particolare sorveglianza da parte della polizia francese, sia per il suo scarso impatto in Francia, sia per il suo orientamento indubitabilmente anticomunista. Esiste su di essa solo una nota informativa di ordinaria amministrazione, per così dire, compilata nel 1927: Sûrété générale, Contrôle Général des Services de Police administrative, “Prométhée (revue mensuelle)”, CAC, versement 20010216, art. 288, doc. 13155. 14 Il colonnello Śćezel era incaricato più in generale dei rapporti con i movimenti nazionalisti ucraini: Varsavia non rinuncia infatti a mantenere dei canali di comunicazione aperti con gruppi diversi dai “petljuristi”, anche per monitorarne l’attività. Cfr. Rapporto riservatissimo di Maioni (ambasciata d’Italia a Varsavia), 9.8.1928, ASMAE, Affari Politici (1919-1930), Polonia, b. 1494. Nel 1929 sarà consigliere presso l’ambasciata polacca a Parigi: cfr. A.M. Topčibaši a Szcefzel, 7.6.1929, CHIDK, f. 461K, op. 2, d. 73, l. 1.

15 Holowko deve probabilmente essere identificato con il deputato di origini galiziane ucciso nel 1931 da un militante dell’organizzazione ucraina legata Konowaletz, accusato da questa di avere “tradito” la causa nazionale svolgendo compiti di pacificazione per conto del governo. Vd. documento sulla fine del processo: Telespresso, R. Ambasciata a Varsavia (Bastianini) al MAE, 11.10.1933, ASMAE, Affari Politici (1931-1945), Polonia, b. 4. Questa ipotesi sembra confermata da un articolo che ne commemorava la vita e l’impegno apparso sul primo numero della rivista azerbaigiana

Istiklal, proprio nel 1931: CHIDK, f. 461K, op. 1, d. 423, l. 2.

per la maniera con cui, sulla rivista, si definivano il concetto di “nazione” e le condizioni ritenute di volta in volta necessarie perché un certo gruppo potesse ambire all’indipendenza, in particolare nel quadro di una generale lotta di liberazione delle “popolazioni oppresse” dell’Unione Sovietica. Una tendenza generale sembra però manifestarsi in modo chiaro, in particolare dall’inizio degli anni Trenta, poi con una forte accelerazione dopo il 1934 e, in maniera ancora più visibile, negli ultimi due anni a ridosso dello scoppio del conflitto mondiale, in corrispondenza del passaggio da

Prométhée a La Revue de Prométhée. Questa tendenza consisteva nell’espansione progressiva del

“Fronte prometeico”, ad includere un numero sempre maggiore di movimenti attivi nell’emigrazione, anche se la relazione tra gli ultimi arrivati e il nucleo costitutivo del “fronte” stesso, era in molti casi tutt’altro che simmetrica.

Un’ulteriore asimmetria concerneva il ruolo delle componenti caucasiche del “Fronte prometeico” e della corrispondente rivista in comparazione con altri gruppi nazionali. Questo aspetto – problematico, come si vedrà, per gli attori tatari e turkestani – è in un certo senso passato sotto silenzio sulle pagine di Prométhée, ma viene ammesso sin dai primi anni sulle riviste dei singoli gruppi nazionali, anche caucasici, seppur con qualche reticenza. Il peso della componente caucasica e della sua organizzazione (il già citato K.N.K.) è evidente sin dal sottotitolo del mensile, che non comporta dall’inizio la menzione del Turkestan, ma solo quella di Caucaso ed Ucraina. La situazione non sembra modificarsi nel corso degli anni, anche se non mancano chiarimenti interni: in particolare nel 1930, probabilmente sotto la spinta della rivalità crescente opposta dal gruppo di Haidar Bammat e del suo primo periodico, il servizio segreto polacco percepì l’esigenza di sancire formalmente questa predominanza caucasica. Secondo una nota interna, che riprendeva quanto asserito da una rivista nord-caucasica17, Prométhée altro non era che l’organo ufficiale del K.N.K.;

in caso di controversia sulla pubblicazione di singoli articoli o sulla linea editoriale generale, quindi, il secondo e ultimo grado di giudizio spettava così al comitato centrale del K.N.K., esaurito un primo passaggio nel comitato editoriale della rivista stessa, che includeva anche un rappresentante del Turkestan ed uno dell’Ucraina18. Non è tuttavia opportuno sopravvalutare il peso dei “caucasici”

nel funzionamento della rivista: lo spazio dedicato alle diverse “questioni nazionali” è ripartito in maniera equa, né mancano (come si dimostrerà), evidenze del coinvolgimento degli altri portavoce in decisioni importanti per la vita del mensile.

completa è oggi quella di Etienne Copeaux, che fornisce anche una serie di profili biografici; basata essenzialmente sulla rivista, questa ricostruzione a volte perde di vista l’esistenza di un’organizzazione “politica”, separata dal comitato di redazione: E. Copeaux, “Le mouvement ‘Prométhéen’”, CEMOTI (Cahiers d’études sur la Méditerranée orientale et

le monde turco-iranien), 16, juillet-décembre 1993, pp. 9-45.

17 Batraz, “V edinenii – sila”, VG, 5, ottobre 1927, pp. 16-17, qui p. 16.

18 Statuto organizzativo della rivista Prométhée, non datato, CHIDK, f. 461K, op. 1, d. 338, ll. 75-79; il problema della soluzione di controversie sulla pubblicazione è oggetto dell’articolo 6, l. 79. Sulla base dei documenti inclusi nello stesso delo, è possibile datare lo statuto solo con molta approssimazione agli anni tra 1930 e 1934, ma più

Prométhée, inoltre, non manca di dar conto dei nuovi arrivi in seno al “Fronte prometeico”, ospitando non di rado sulle proprie pagine articoli riguardanti nazionalità non menzionate nel sottotitolo originario. Quest’ultimo infatti viene modificato solo in un’occasione: con l’inclusione del Turkestan, all’inizio del 192719. L’ingresso del movimento nazionale turkestano nel “fronte” e

del suo portavoce nel relativo organo deve essere posto in relazione anche con un altro avvenimento: la nascita a Istanbul, sotto la direzione di Ahmed Zeki Velidi (Togan), della corrispondente rivista nazionale, Yeni Türkistan. Se la struttura generale del “fronte” appare comunque aperta e flessibile, quella delle connesse attività editoriali sembra viceversa costruirsi in forma piramidale: ogni gruppo nazionale attivo all’estero e riconosciuto meritevole di sostegno da parte della sezione responsabile dei servizi segreti polacchi produceva una propria rivista, i cui articoli erano spesso pubblicati anche sulle altre in traduzione o sotto forma di riassunti nella rassegna stampa. Il vertice era costituito dal comitato di redazione di Prométhée, in cui erano rappresentate solo poche nazionalità, ma che poteva decidere di interpellare per contributi ad hoc vari corrispondenti occasionali, o riprodurre loro articoli. In questo quadro, Yeni Türkistan, ancorché destinata ad avere vita breve, trovava una collocazione naturale, in quarto organo ufficiale del T.N.O. (Turkestanskoe Nacional’noe Ob”edinenie).

Più particolare è la situazione in cui si trovano i movimenti nazionalisti (a volte autonomisti, a volte più decisamente indipendentisti) dei Cosacchi del Don20, ma anche del Terek e del Kuban21.

Guardati a lungo con diffidenza per la loro più stretta simpatia per la Russia e per l’emigrazione grande-russa in Europa, come dimostra anche la conferenza dei membri della Costituente avvenuta a Parigi all’inizio del 1921, i cosacchi cominciano a ricevere attestati di stima e simpatia su

Prométhée quando a rappresentarli vi sono raggruppamenti di chiaro orientamento antisovietico,

ben distanti dai toni grande-russi visibili nella maggior parte dei casi. Vi erano evidentemente delle ragioni di attrito che non potevano essere facilmente superate, come la presenza di una memoria della rivoluzione e della guerra civile molto diversa da quella della maggioranza dei “prometeici”, salvo l’occasionale collaborazione nel quadrante nord-occidentale del Caucaso. Questi punti dolenti nei rapporti reciproci, nondimeno, vengono del tutto congelati sulle pagine di Prométhée, per essere sollevati – con molta cautela – solo sulle riviste degli esuli nord-caucasici. Oltre a voler salvaguardare l’immagine di un raggruppamento di esuli ben coeso al suo interno di fronte al pubblico europeo cui Prométhée si indirizza, primeggia qui anche l’opportunità di patrocinare la 19 Il sottotitolo divenne infatti Organe de Défense nationale des Pauples du Caucase, de l’Ukraine et du Turkestan; cfr. il primo articolo sul nuovo membro: Janaï, “Le Turkestan”, Prométhée, 2, 8, giugno-luglio 1927, pp. 8-10; è vero però che nel 1939 l’intero titolo sarà cambiato, divenendo La Revue de Prométhée, sotto un nuovo direttore.

20 Laguèpe, “Les cosaques du Don et le démembrement de la Russie”, Prométhée, 3, 14, gennaio 1928, pp. 8-12. 21 La storiografia sull’emigrazione cosacca in Europa è ancora incompleta; si richiamano qui studi recenti: Ju.K. Kirienko, “Kazačestvo v émigracii: spory o ego sud’bah (1921-1945 gg.)”, Voprosy istorii, 1996, 10, pp. 3-18.; E.B. Parfenova, Kazač’ja émigracija v Evrope v 1920-e gody, (Avtoreferat na soiskanie učenoj

causa di quelle popolazioni che costituirebbero un utile cuscinetto tra la Ciscaucasia e la Russia moscovita. Le ragioni geopolitiche, quindi, sembrano qui pesare più dell’esistenza di rivendicazioni territoriali del tutto inconciliabili nel Caucaso settentrionale. È peraltro interessante che di queste considerazioni di schietta Realpolitik la rivista non faccia alcun mistero, nemmeno quando i rapporti con alcuni segmenti dell’emigrazione cosacca sono ancora in una fase interlocutoria e sembra ben lontano il momento della loro inclusione.

Sin dall’inizio degli anni Trenta, quindi, non mancano su Prométhée articoli che intendono manifestare la “mano tesa” che il movimento retrostante porge agli esuli cosacchi. Un atteggiamento possibilista si manifesta anche da parte della rivista dell’emigrazione turkestana Jaš

Turkestan, che evidentemente non ha nessuna querelle aperta con essi22; è vero però che, persino tra

i Turkestani, non tutti sembrano digerire la linea del “prometeismo” al riguardo23. Come non si

nascondono gli interessi pratici alla base di questa strategia, così non si esita a discutere apertamente delle contraddizioni tra i programmi dei diversi movimenti, non tutti separatisti. Persino il ristretto nucleo dell’emigrazione cosacca a Praga è diviso al suo interno; è soprattutto con una parte di esso che i “prometeici” intendono interagire, vista la compresenza, in Cecoslovacchia, di un nutrito e attivo gruppo di emigrati nord-caucasici. Un esempio di queste tensioni interne è dato da V.A. Kharlamov (Harlamov), favorevole ad una svolta indipendentista in collaborazione col “prometeismo”. In una sua conferenza del 1932 presso il circolo di Prométhée quest’ultimo parla infatti di un “separatismo psicologico”, che si starebbe realizzando nel ritorno dei cosacchi ai loro “diritti storici” in particolare con l’elezione, nell’esilio, di un proprio ataman. Ma lo stesso Kharlamov si mostra scettico quanto alla trasformazione di questo “separatismo psicologico” in “separatismo eccessivo”. Egualmente le sue posizioni, tutto sommato moderate, si oppongono a quelle di due movimenti concorrenti, la “Ligue de la renaissance des Cosaques”, che rivendica solo le regioni del Don e del Kuban, e i “Cosaques libres”, che invece estendono la loro richiesta al distretto di Orenburg e all’Ural, entrando in più diretta collisione con le richieste dei movimenti allogeni24. È chiaro quindi per quali ragioni i cosacchi siano tenuti per lungo tempo al di fuori del

gruppo prometeico in senso stretto. Nei loro confronti si mantiene però costante la disponibilità al dialogo, naturalmente privilegiando certi interlocutori a scapito di altri. Un indicatore abbastanza affidabile di questo diverso grado di simpatia è dato dalla maggiore o minore presenza di riferimenti sulle pagine di Prométhée. Nonostante questo “massimalismo”, sono proprio i “Cosaques libres” a

22 Fiducioso nel superamento dell’idea “grande-russa” si dice Čokaev in occasione del

centesimo numero di Vol’noe Kazačestvo, e sostiene che dal secessionismo dei Cosacchi del Don e del Kuban potrebbe generarsi una reazione a catena per cui tutti i Cosacchi diverrebbero indipendentisti: “Kazaki-samostijniki”,

JT, 28, marzo 1932; trad. russa in CKIDK, d. 481K, op. 1. d. 417, ll. 89-90.

23 JT pubblicò a questo scopo un articolo di Bilyj, proprio per vedere di ridurre la ruggine reciproca: I. Bilyj, “Kazačij vopros”, JT, 39, febbraio 1933; trad. russa in CHIDK, f. 461K, op. 1, d. 418, ll. 35-38.

raccogliere le maggiori simpatie e ad essere rappresentati più spesso sulle pagine del periodico, grazie in particolare all’attività del loro capo Šamba Balinov: costui, dopo una prima fase interlocutoria, contesta le tesi antiseparatiste dell’altro praghese Harlamov25. È ovvio che

proclamare un separatismo deciso e apertamente anti-moscovita è la strategia migliore per guadagnare definitivamente il supporto di Prométhée. Šamba Balinov, inoltre, non è privo di rapporti con gruppi di allogeni egualmente rappresentati nell’esilio: in particolare, egli non esitò a mettersi a capo di un’organizzazione che rivendicava i diritti nazionali dei Calmucchi26. Questa

mossa può essere interpretata come un ulteriore tentativo di rendersi credibile in quanto interlocutore e possibile partecipante alle attività del “Fronte prometeico”, essendo l’identità calmucca assai meno problematica di quella cosacca, e potendo, attraverso questo riferimento, fare leva sull’immaginario pan-turco (o, per meglio dire, pan-mongolo) di qualche osservatore.

Uno statuto decisamente meno ambiguo rispetto a Prométhée hanno anche i Tatari di Crimea, che fanno riferimento alla rivista Emel édita a Costanza in Romania27. La creazione e l’attività di Emel

si devono essenzialmente alla capacità organizzativa dimostrata dal leader dei Tatari di Crimea negli anni della rivendicazione dell’indipendenza, il letterato Ġafar Seydahmet, già incontrato in qualità di delegato alla conferenza della pace. Lo stesso deve dirsi a maggior ragione dei Tatari del Volga-Ural. La denominazione è in questo caso adottata facendo riferimento all’ipotesi di stato dell’Idel’-Ural che, come visto altrove, era stata ventilata da Ayaz Ishaki prima dell’esilio. Ad Ayaz Ishaki ed alla figlia Saadet è strettamente legata la vita del periodico attraverso il Comitato per l’indipendenza dell’Idel’-Ural si esprime, ovvero il mensile, édito dal 1928 a Berlino, Millī Yul

(poi: Yaŋa Millī Yul).

Anche se il loro coinvolgimento nel “Fronte prometeico” è visibile sin dagli anni attorno al 1927, questi due gruppi rimangono a lungo marginali nella maniera in cui il “fronte” stesso intende