Per questo lavoro si è scelto di utilizzare essenzialmente due tipi di fonti primarie (a stampa e archivistiche), completate ove possibile dall’esame di studi secondari esistenti. Nello studio delle fonti primarie, si è fatto ricorso agli strumenti tradizionali dell’analisi del discorso politico, cercando di distinguere il più possibile tra generi diversi e di evitare, per questa via, distorsioni interpretative. Proprio questa difformità di generi, oltre agli evidenti ostacoli di natura linguistica, hanno sconsigliato ogni utilizzo di tecniche quantitative, come pure si era preso in considerazione inizialmente60.
Soprattutto nel primo capitolo si è fatto ricorso alla letteratura storiografica relativa al periodo pre-rivoluzionario e alla convulsa stagione della rivoluzione e della guerra civile in ognuna delle regioni definite in termini nazionali degli emigrati. Questa ricognizione critica degli studi esistenti ha costituito non solo la base per comprendere e dare conto della parabola biografica di molte degli individui menzionati nel nostro lavoro, ma anche per rispondere al quesito fondamentale enunciato nel paragrafo precedente, ovvero se e come sia possibile considerare l’attività nazionalista condotta nell’esilio rispetto alla nascita e al progressivo consolidamento – seppur in forme diversificate – del locale “movimento nazionale” e, più in generale, del fermento politico osservabile presso la popolazione musulmana dell’Impero soprattutto dal 1905 in poi. Fortunatamente, ricerche di grande spessore qualitativo su questi soggetti si sono rese disponibili, in particolare dopo la “rivoluzione degli archivi”. La fondatezza documentaria di questi lavori rende possibile utilizzarli con un certo agio; controversie ed elementi di dubbio saranno tuttavia messi in luce di volta in volta, quando ciò si renda necessario. Nei paragrafi che seguono, invece, saranno discusse preliminarmente alcune questioni poste dalle nostre fonti primarie, sia édite che inedite.
59 Una presentazione più ampia di questo tema è costituita dal cap. 9 di questa tesi.
60 Sono debitrice, sia per l’introduzione ai metodi quantitativi che per la riflessione sulla loro inutilizzabilità in questo caso, al seminario di C. Lemercier et C. Zalc, “L’historien face au quantitatif”, ENS (Ulm), 2005-2006.
Fonti primarie a stampa
Decisamente più importante nella verifica delle ipotesi iniziali della nostra ricerca si è rivelato però il confronto con un secondo tipo di fonti, rappresentative del “discorso pubblico” e della propaganda condotta da ciascuno dei gruppi nazionalisti presenti nell’emigrazione, “prometeici” e non. Si sono quindi presi in considerazione i periodici da essi pubblicati, soprattutto dalla seconda metà degli anni Venti, cui si va ad aggiungere la “letteratura grigia” prodotta dalle delegazioni nazionali all’epoca della Conferenza della Pace. In questa categoria di fonti ricadono anche numerosi documenti a stampa (monografie, opuscoli, persino tesi di dottorato61), nella maggior
parte dei casi dovuti a singoli individui. Anche in questo caso, però, le posizioni che vi si trovano espresse sono da considerarsi un riflesso dell’orientamento delle organizzazioni in cui ciascuno di costoro militava e che spesso si facevano carico delle spese di edizione dei lavori.
I periodici e le altre fonti a stampa hanno comportato, dal nostro punto di vista, problemi simili, di natura sia pratica che interpretativa. In primo luogo, esistono obiettive difficoltà di reperimento, che in qualche caso si sono rivelate insormontabili: le collezioni di riviste sono disperse o mal catalogate, spesso al di là degli ovvi inconvenienti legati alla traslitterazione di alfabeti diversi da quello latino. Pressoché lo stesso può dirsi delle altre pubblicazioni a stampa, indisponibili nelle biblioteche e nella maggior parte dei casi rinvenute in cartoni d’archivio o in collezioni private. In secondo luogo, si sono dovuti superare con diversi stratagemmi evidenti ostacoli linguistici: si è fatto così ampio uso delle traduzioni in russo di articoli pubblicati dalle riviste “nazionali” (ed in particolare da Jaš Turkestan) presenti nel fondo archivistico polacco relativo al “Fronte prometeico”. Si è inoltre sfruttato il fatto che i contributi concettualmente più rappresentativi fossero ripresi da una rivista all’altra, cosicché, ad esempio, numerosi sono gli articoli di esuli azerbaigiani sulle riviste dell’emigrazione “prometeica” nord-caucasica. Infine, abbiamo approfittato, nella misura del possibile, delle trascrizioni in cirillico di articoli apparsi sulla stampa dell’emigrazione (p.e. su Yaŋa Millī Yul), pubblicate in anni recenti su giornali e riviste di
Kazan’62. Una terza difficoltà riguarda invece il carattere sfuggente degli autori: se sulle riviste
molti articoli sono firmati da pseudonimi, da contributori occasionali o da figure prive di spessore al di là della loro partecipazione al lavoro di redazione, viceversa – come accennato – anche le
61 Mir Yakub Mehtiev ricevette nel 1926 un dottorato in legge dall’università di Montpellier: Mir Yagoub Mir Aziz Ogli, Le Régime des Soviets. Ses origines. Sa constitution. Thèse pour le doctorat (sciences politiques et économiques), Montpellier, impr. Causse, Graille et Castelnau, 1926.
62 I criteri di edizione di queste trascrizioni sono discutibili – mancando talora l’indicazione, da parte dell’editore, del numero del mensile da cui l’articolo è tratto. L’opera omnia di Ayaz Ishaki (Polnoe sobranie sočinenij) non è
ancora arrivata a coprire, nei volumi apparsi entro l’estate del 2007, gli articoli pubblicati durante l’esilio. Per quanto concerne Mustafa Čokaev (di cui esistono innumerevoli minute in russo), ci è stata segnalata una recente raccolta di opere scelte, edita in Kazakhstan in alfabeto cirillico; non ci è stato però possibile riceverla prima della consegna di questa tesi.
monografie ed i pamphlet dovuti a personalità di maggiore consistenza (Mir Yakub Mehtiev, Mustafa Čokaev, Haidar Bammat etc.) sono comunque presentate molto spesso come pubblicazioni di ciascuna organizzazione (p.e. del K.N.K., Comitato per l’indipendenza del Caucaso). Si ha insomma l’impressione che le organizzazioni nazionale nell’emigrazione (cioè i vari comitati, delegazioni, partiti e via dicendo) fossero caratterizzate da una parte da una base militante i cui membri – per pochi che fossero – non presentavano, presi singolarmente, grande statura intellettuale, e dall’altra da una manciata di leader con cui di fatto esse (o segmenti di queste) finivano con identificarsi. Per questo, nella seconda parte della tesi si tenderanno ad utilizzare, ad esempio, espressioni quali “il gruppo di Jaš Turkestan” e “Mustafa Čokaev e i suoi” al tempo stesso come quasi-sinonimi e come definizioni sotto le quali riunire autori anonimi o opachi. La natura personalista e lo speciale protagonismo di alcuni (p.e. Mehmet Émin Rasul Zade) sono peraltro aspetti ampiamente confermati dalle vicissitudini interne alle comunità emigrate, illustrate nella prima parte del lavoro.
Fonti archivistiche
Se le carte archivistiche sono state utili anche per aggirare gli ostacoli di natura linguistica fatalmente connessi all’esame delle riviste “nazionali” del “Fronte prometeico”, essi si sono rivelati essenziali soprattutto per la ricostruzione, nei limiti del possibile, delle appena menzionate vicissitudini delle comunità di esuli presenti in Europa occidentale ed in particolare delle relazioni reciproche tra i “gruppi nazionali” inclusi nel “prometeismo” o esterni ad esso. Con l’eccezione dei documenti provenienti dai fondi dell’Internazionale socialista e degli SR di sinistra di Viktor Černov, utilizzati per la trattazione di un punto specifico, i documenti archivistici utilizzati per la redazione della tesi sono riconducibili a tre categorie, oggetto di discussione separata nelle righe che seguono: in primo luogo, i documenti diplomatici europei; quindi, quelli relativi al “Fronte prometeico”, contenuti in particolare nel fondo della II Ekspozytura (servizio di informazione militare) dello Stato Maggiore polacco; infine, le fonti della polizia e dell’amministrazione dei paesi europei in cui gli esuli si erano installati e conducevano la propria attività.
Le fonti diplomatiche provengono dagli archivi di Paesi europei con cui gruppi di emigrati – in particolare le delegazioni delle repubbliche dichiaratesi indipendenti – cercarono di entrare in contatto nella prima metà degli anni Venti. Esse si riferiscono quindi soprattutto agli anni tra il 1919 e il 1927 e costituiscono pertanto la base del capitolo di questa tesi dedicato a tale periodo. Gli archivi diplomatici restituiscono in verità due tipi di documenti: da una parte, le note e la
corrispondenza compilate dai diplomatici stranieri; dall’altra, i memoranda e gli appelli rivolti agli Stati stranieri dalle delegazioni. In questa seconda categoria vanno fatti rientrare anche i materiali a stampa inoltrati alle cancellerie e ad altre strutture dell’amministrazione e della società civile a scopo di propaganda, oltre ai rari resoconti delle conversazioni tra alcuni esponenti nazionalisti presenti in Europa ed esponenti della diplomazia, ufficiale o sotterranea. Tutti questi documenti sono interessanti nella misura in cui sintetizzano l’espressione pubblica delle rivendicazioni nazionali di ciascun gruppo, mettendo in evidenza la sua maggiore o minore adattabilità alle attese del proprio interlocutore europeo. Come si provvederà ad evidenziare riguardo ad alcuni esempi concreti, questa adattabilità si manifestava in primo luogo nella maniera con cui le diverse delegazioni si appropriarono del lessico politico-giuridico della “nuova diplomazia” wilsoniana o, più modestamente, dei dibattiti sul “principio di nazionalità” che accompagnarono la sistemazione postbellica in Europa centrale ed orientale. Non solo: questi documenti riflettono la maniera con cui diversi soggetti intendevano auto-rappresentarsi in quanto nazione.
È proprio su questo punto che i documenti conservati negli archivi diplomatici presentano le maggiori difficoltà interpretative, poiché non sempre è facile distinguere tra ciò che dipende da un intimo convincimento dello scrivente e ciò che invece deriva dalla specifica circostanza in cui egli si esprimeva. L’identità del locutore che emerge da quelle carte, insomma, è da considerarsi sempre filtrata – se non apertamente condizionata – non tanto dalle aspettative del destinatario, quanto dalla maniera con cui il secondo era percepito dal primo. Per questa ragione, si è scelto di utilizzare queste fonti per comprendere non solo il discorso degli emigrati su se stessi, ma anche l’immagine che essi avevano dell’Europa in cui erano approdati, della sua posizione rispetto alla Russia e alla rivoluzione, dei sistemi politici presenti in ciascun paese, tenendo conto parallelamente del loro vissuto personale prima dell’espatrio, ancorché non privo di zone d’ombra.
La difficoltà interpretativa costituita dall’adattamento del discorso nazionalista alle circostanze specifiche della comunicazione è certo presente anche nelle pubblicazioni a stampa dell’emigrazione, molto varie per pubblico e persino per forma editoriale. Essa è al contrario ridimensionata nel secondo tipo di fonte archivistica menzionato sopra: i documenti relativi al “Fronte prometeico” presenti nei fondi polacchi ora consultabili a Mosca presso un’apposita sezione dell’archivio militare contengono certo saggi, relazioni e missive di contenuto storico, geografico, o etnologico, ma il destinatario era profondamente diverso da quello della corrispondenza para- diplomatica. Si trattava in questo caso di corrispondenti tutto sommato già benevoli nei confronti degli emigrati, allineati sulle posizioni ideologiche del nazionalismo anti-sovietico e autoritario sostenuto da Piŀsudski o, tutt’al più, inclini a derive romanticheggianti a proposito del patriottismo polacco del XIX secolo. Non si trattava più di persuadere il lettore della solidità delle basi storiche e
teoriche delle proprie rivendicazioni nazionali, quanto di coltivare la sua convinzione di avere a che fare, se non con i legittimi rappresentanti, almeno con personalità dotate di un qualche carisma presso le nazionalità non-russe dell’URSS.
I documenti di provenienza polacca, perciò, sono utili in primo luogo per chiarire le dinamiche interne dell’emigrazione “prometeica”, le tensioni reciproche tra un gruppo e l’altro, le fratture e le ricomposizioni di fronte sulla base di linee schiettamente etno-nazionali o ideologiche. In questo senso, essi sono simili a quelli reperibili negli archivi personali di alcuni leader nazionalisti, ed in particolare in quello di Mustafa Čokaev, depositato in Francia63; si è parimenti consultato il materiale di Haidar Bammat ancora conservato dalla nuora
presso il suo domicilio parigino64. Dei contenuti di queste fonti si darà conto nel seguito della tesi,
sia ripercorrendo in senso diacronico le vicissitudini dei vari raggruppamenti nazionali, sia considerando di volta in volta questa situazione di rivalità come lo sfondo su cui si stagliano prese di posizione più articolate riguardo alla memoria del periodo rivoluzionario, alla natura del “turchismo”, al ruolo dell’Islam e via dicendo. Non bisogna infatti ma dimenticare, maneggiando queste testimonianze dovute spesso ai leader di ciascun movimento, che si tratta di interventi redatti molto spesso a scopo apologetico, per esaltare il proprio ruolo e per denigrare le posizioni altrui. Non si tratta, in altri termini, di riflessioni puramente intellettuali, concepite in un clima sereno, ma di risposte dirette o indirette ad altrui calunnie e persino ad attacchi fisici, o di alleanze tessute per farvi fronte. Lungi dal voler ridurre i dibattiti a distanza tra riviste e singole personalità a mere
querelles personali, questa constatazione preliminare ci ha tuttavia imposto un uso prudente della
memorialistica presente in questo fondo e delle edizioni cui essa ha dato luogo in anni recenti. Il terzo tipo di fonte archivistica consultato include invece, come accennato, la documentazione prodotta dalle autorità amministrative e di polizia riguardo agli emigrati oggetto del nostro lavoro, considerati in questo caso come cittadini stranieri dallo status problematico. A questo riguardo, il confronto con quanto effettivamente disponibile in archivio ha comportato una revisione delle nostre iniziali ipotesi di ricerca: ci era parso infatti presumibile che le autorità dei paesi ospitanti
63 L’archivio di Mustafa Čokaev è consultabile presso la Bibliothèque Interuniversitaire des Langues Orientales (Biulo) di Parigi; esso è già stato consultato come fonte complementare da diversi studiosi (tra cui M. Buttino, A. Khalid ed altri), mentre più sistematicamente ha fatto uso dei variegati materiali ivi compresi (dai ritagli di giornale alle lettere personali) B. Sadykova (cfr. supra). Trasferito prima su microfilm ed ora su CD-Rom nella sua integralità, l’archivio non è più suddiviso nella maniera riportata nel primo inventario pubblicato, dovuto a E. Lazzerini, “The archive of Mustafa Chokay Bey: an inventory”, Cahiers du Monde Russe et Soviétique, 22, 2, 1980, pp. 235-239. 64 Ringrazio qui Mme Marianne Bammate per la disponibilità e per l’ospitalità, oltre che per le informazioni fornitemi oralmente, che saranno richiamate in nota. Va segnalato come maggior parte dell’archivio di Haidar Bammat sia ora depositata a Istambul, presso Ircica (Research Centre for Islamic History, Art and Culture), dipendente
dall’Organizzazione della Conferenza Islamica, ma è ancora in corso di inventariazione e, nonostante le nostre richieste, rimane inaccessibile agli studiosi. È doveroso poi segnalare come non si sia potuto, per ragioni di tempo, prendere conoscenza dei fondi di Ayaz Ishaki depositati presso il museo nazionale del Tatarstan a Kazan’, della cui esistenza abbiamo appreso solo nella tarda estate 2007; l’esame degli inventari dell’archivio di Stato del Tatarstan riportano viceversa l’esistenza di un fondo riguardante Ishaki, ma relativo al periodo antecedente all’espatrio.
avessero destinato una certa attenzione a questi gruppi, data la loro attività di propaganda e le possibili intersezioni tra questa e la para-diplomazia locale. Ben al contrario, ampi sondaggi hanno dimostrato come la presenza di gruppi nazionalisti allogeni, e persino musulmani, fosse oggetto di preoccupazione incomparabilmente inferiore a quella di opachi personaggi dell’emigrazione russa (semplici operai, tassisti, etc.), costantemente sospettati di essere propagatori del contagio bolscevico in Europa. Dato l’orientamento manifestamente anti-sovietico di Prométhée e, a maggior ragione, delle testate “nazionali” meno apparentate con menscevismo georgiano, gli esuli turkestani, azerbaigiani, tatari e nord-caucasici erano sostanzialmente trascurati dai controlli degli organismi di pubblica sicurezza. Questa impressione non sembra peraltro essere smentita dalla pure importante dispersione di questo genere di fonte, causata sia dai trasferimenti cui le raccolte relative alla sorveglianza degli stranieri furono oggetto nel corso dell’ultimo conflitto mondiale, sia dalla perdita o dall’irreperibilità di alcune serie di fascicoli, soprattutto di provenienza tedesca.
Alcuni problemi relativi alla cernita ed interpretazione dei documenti
Si è già accennato nei paragrafi precedenti al limite rappresentato dalla varietà di lingue in cui sono redatte le fonti utilizzate per questo lavoro, e alle strategie messe in atto per superare questo ostacolo. Si è accennato altresì alle obiettive difficoltà riscontrate nel reperire le fonti stesse, sia a stampa che archivistiche. Queste due circostanze hanno imposto a chi scrive una riflessione preliminare a proposito dei criteri di composizione del proprio corpus documentario, e sulla maniera di utilizzare quanto reperito.
La disciplina a cui ci si è attenuti nella costituzione della base documentaria della tesi obbedisce in primo luogo ad un bisogno di rappresentatività non solo della produzione dei diversi gruppi nazionali e dei loro leader, ma anche – nei limiti del possibile – dei diversi generi letterari praticati da ciascuno di essi e, di conseguenza, dei possibili destinatari della comunicazione. Si è già menzionata l’incidenza di quest’ultimo aspetto nella determinazione dei contenuti e del linguaggio delle pubblicazioni periodiche. Si è quindi prestata ad esso particolare attenzione, così come ci si è sforzati di non perdere di vista la natura spesso “occasionale” dei testi esaminati, ovvero lo stretto legame tra il loro tenore e le circostanze specifiche in cui erano concepiti e destinati ad essere letti. Questa stessa natura “occasionale” ha costituito un problema importante nell’utilizzo dei documenti: il discorso nazionalista svolto su ciascuna rivista – e a maggior ragione comparando questa con le relazioni redatte dai dirigenti del rispettivo movimento – presenta infatti un basso grado di strutturazione ed è di primo acchito incoerente. Se uno degli scopi del nostro lavoro è quello di restituire in una forma comprensibile questi contenuti, nondimeno ci pare necessario – in
sede introduttiva e nei capitoli della seconda parte – dare conto del disordine e delle circonvoluzioni che ne caratterizzano l’espressione. Emergerà così come incoerenze ed ambiguità non siano spiegabili solo con l’ingenuità di ciascun locutore, ma anche in base alla specifica “occasione comunicativa”. Ciò è evidente sia nella corrispondenza para-diplomatica dei primi anni dell’esilio, sia nella maniera con cui è articolata la simpatia nei confronti di governi autoritari o totalitari, sia, infine, nell’accentuazione di determinati tratti identitari a seconda delle esigenze di propaganda presso la diaspora o di consenso presso gli osservatori stranieri.
Si potrebbe pensare che la distinzione tra elementi costanti ed occasionali del discorso nazionalista possa essere chiarita guardando separatamente all’espressione pubblica e privata di ciascuno degli attori (singoli o collettivi) presi in esame. Questa supposizione, inizialmente condivisa anche dalla scrivente, è stata alla base della scelta di privilegiare, per la comprensione del discorso nazionalista svolto dagli esuli, proprio le prese di posizione pubbliche rispetto ad altre fonti, anche a causa della più difficile accessibilità delle seconde. Detta impostazione è stata mantenuta nelle sue linee essenziali, ma – conformemente al criterio di rappresentatività del corpus e delle altre considerazioni svolte sin qui – è stata ampiamente corretta, integrando il più possibile in particolare la corrispondenza con gli agenti polacchi responsabili del “Fronte prometeico”, largamente disponibile e situata a metà strada tra pubblico e privato. Viceversa, uno studio degli intimi convincimenti dei vari locutori è rimasto impossibile65 e, come chiarito, va ben al di là
dell’analisi politica proposta in questa tesi.
In modo particolare, la constatazione della presenza, tra gli attivisti del “Fronte prometeico”, di elementi già noti per la loro militanza nelle fila dei “bianchi” nel corso della guerra civile (si pensi qui in particolare a Bičerahov e a Sultan Girej) potrebbe far pensare che il movimento nel suo complesso fosse privo di qualsiasi afflato nazionalista, e che si trattasse, in ultima analisi, di una semplice operazione di manipolazione attuata dai servizi segreti polacchi. Senza trascurare il peso che il sostegno da parte di Varsavia poté giocare, si è deciso qui – non senza riscontro nella natura e nel contenuto delle fonti – di valorizzare un dato che va esattamente nel senso opposto, ovvero il coinvolgimento, nello stesso “Fronte prometeico”, di personaggi il cui impegno a favore della “causa nazionale” nel periodo prerivoluzionario e rivoluzionario può difficilmente essere messo in dubbio. Si è insomma assunta come punto di partenza la buona fede dei locutori, senza la quale non si spiegherebbero né i sacrifici obiettivamente sostenuti da questi esuli per portare avanti le proprie idee, né dibattiti a distanza che vanno ben al di là della competizione per ingraziarsi gli agenti di Varsavia.
La difficoltà riscontrata nella ricostruzione di un discorso coerente a partire dalle espressioni 65 Si vedano in particolare le considerazioni svolte nel paragrafo 6.2 a proposito dell’adesione dei vari soggetti