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Premesse storiche: “movimento musulmano” e movimenti nazionali.

Organizzazione della tes

1. Premesse storiche: “movimento musulmano” e movimenti nazionali.

In questo capitolo intendiamo offrire un’analisi del “movimento musulmano” e del sorgere di movimenti più propriamente “nazionali” nel periodo che precede l’emigrazione e da cui l’attività condotta dagli esuli trae evidentemente le premesse. Questo esercizio, che sarà condotto essenzialmente sulla base della letteratura storiografica esistente, è infatti indispensabile per comprendere se e in che misura l’esperienza dell’esilio, l’assenza di una reale base sociale di riferimento (salvo in alcuni casi la diaspora in Oriente) e le nuove condizioni imposte (o offerte) dalla realtà sociale e politica europea del periodo tra le due guerre abbiano influenzato il discorso nazionalista dei diversi attori. Molti tra questi ultimi, per di più, avevano partecipato di persona e in ruoli direttivi alle varie articolazioni locali della rivoluzione del 1917 ed avevano concorso con le proprie azioni a plasmare il corso degli eventi negli anni immediatamente successivi, con l’emergere di aspirazioni all’autonomia e all’indipendenza.

Vi è un’ulteriore ragione per cui un excursus della storia e della storiografia, in particolare riguardo al periodo tra 1905 e 1917, si impone come necessario: ciò che accadde nelle “periferie” musulmane dell’Impero russo tra la prima e la seconda rivoluzione, infatti, è spesso oggetto di dibattito nell’emigrazione. Ciò avviene, come si avrà modo di constatare in particolare nella seconda parte del presente lavoro, sia in modo implicito, ovvero con prese di posizione isolate su questo o quel tema, sia in maniera aperta ed intenzionale: non mancano infatti casi di dibattiti sponsorizzati dalle riviste allo scopo di stabilire delle responsabilità specifiche e creare in questo modo una memoria condivisa del recente passato. Si potrà obiettare che spesso questi dibattiti e le loro conclusioni sono largamente modellati in base alle esigenze propagandistiche di ciascun gruppo: la “memoria comune” che ne scaturisce va a vantaggio di chi, nell’esilio, gode di maggior prestigio e mezzi più potenti. Anche in questo caso, però, proprio per mettere in luce eventuali distorsioni, è utile procedere ad un esame preliminare dei fatti, così come sono stati ricostruiti da altri studiosi.

Ci si renderà in questo modo conto anche di come una parte della storiografia sia influenzata, incoscientemente o per esplicita ammissione, da idee sviluppate dall’emigrazione stessa: non bisogna infatti dimenticare che personalità come Mustafa Čokaev, Ahmed Zeki Velidi, Haidar Bammat, Mir Yakub Mehtiev e il “gruppo prometeico” in generale hanno avuto un ruolo importantissimo nell’incanalare e diffondere informazioni sulla “periferia” dell’URSS altrimenti inaccessibili al pubblico europeo dell’epoca. Basti pensare agli scritti di Čokaev sul basmačestvo o sulla situazione in Turkestan sotto il

regime sovietico: essi erano e sono ancora utilizzati come se si trattasse di fonti primarie, neutrali, anche da alcuni dei lavori che citeremo nelle pagine che seguono. Se in Europa ciò dipende da ragioni eminentemente linguistiche, e dal fatto che per lungo tempo gli archivi relativi a questo periodo e a quelle aree geografiche sono rimasti inaccessibili, in certa storiografia della Russia post- sovietica e delle nuove repubbliche indipendenti ciò si spiega invece col tentativo di appropriarsi di alcuni di questi personaggi e di farne degli eroi nazionali.

Per quanto riguarda più direttamente il peso del passato recente nella storia dell’emigrazione, è evidente che i fatti occorsi nella fase concitata della rivoluzione e della guerra civile – di dominio comune e spesso noti anche agli interlocutori europei – costituivano dei vincoli obiettivi alla maniera con cui gli esuli potevano auto-rappresentarsi. Essi non potevano cioè non avere ripercussioni sul modo in cui gli emigrati si giudicavano l’un l’altro, condividevano o rifiutavano di condividere meriti e colpe sul fallimento dei movimenti cui avevano partecipato, o più semplicemente accettavano o respingevano proposte di collaborazione.

La ricerca su questi temi è fortunatamente avanzata1: ad una serie di lavori pionieristici avviati in

base a fonti secondarie già prima della caduta dell’Unione Sovietica si sono infatti affiancati in anni più recenti moltissimi studi, di diverso valore e di variabile fortuna. Alle sintesi di vasto respiro pubblicate di fronte al sorgere delle nuove repubbliche nazionali e alla rinascita di un forte sentimento identitario presso alcune popolazioni della Federazione Russa, si sono sostituiti lavori più puntuali ed analitici, condotti pazientemente sul “terreno” di archivi prima inaccessibili ed ancora oggi poco battuti. Esiste ancora, certo, una differenza tra i lavori di studiosi “occidentali” e l’ultima generazione di storiografia “locale”: una parte di essa risente infatti della necessità di giustificare la propria gosudarstvennost’ e contiene perciò alcune forzature interpretative. Non bisogna però dimenticare l’indubbio contributo di quest’ultima alla pubblicazione di documenti archivistici e all’accrescimento della conoscenza fattuale.

Nelle pagine che seguono, dunque, si offrirà una rassegna critica della storia politica e culturale delle aree a popolamento musulmano dell’Impero russo, mettendone in luce il contributo dapprima a quello che si designa normalmente come “movimento musulmano” (in cui un ruolo difficilmente sottovalutabile ebbero i Tatari), e successivamente allo sviluppo di forme di coscienza “nazionale” (o, più semplicemente, di identità collettiva), suscettibili di attivazione politica in particolare all’indomani della rivoluzione di febbraio.

1 Esistono ormai raccolte bibliografiche attendibili. Se ne menzionano qui due: la prima più vasta, la seconda dotata di introduzioni critiche e brevi recensioni: Y. Bregel (a c. di), Bibliography of Islamic Central Asia, 3 voll., Bloomington, Indiana University Press, 1995; H. Komatsu- S.A. Dudoignon (a c. di), Research trends in modern Central Eurasian

studies (18th-20th centuries): a selective and critical bibliography of works published between 1985 and 2000, 2 voll.,

Il “movimento musulmano” prima della rivoluzione del 1917

È praticamente impossibile dare conto in maniera soddisfacente in un solo paragrafo della ricchezza di quella corrente dapprima culturale, poi anche politica, che viene normalmente designata come “jadidismo”, “riformismo” o, più in generale, “movimento musulmano” nel XIX e fino ai primi decenni del XX secolo, tanto più che le sue origini andrebbero ricercate in un periodo ancora anteriore. Consapevoli di queste difficoltà, cercheremo comunque di tracciarne le linee di sviluppo essenziali e di fornire una chiave d’accesso alla copiosa letteratura esistente e solo selettivamente richiamata in nota.

Il termine “jadidismo” si riferisce originariamente al nuovo metodo pedagogico inventato per insegnare più efficacemente ai bambini tatari dell’Impero russo dal famoso pedagogo ed intellettuale, tataro di Crimea, Ismail Gasprinskij2. Il “nuovo metodo” (usul-i ġadīda) mirava a

elevare il livello medio di istruzione di questi studenti, in maniera tale da fornire loro gli strumenti necessari ad appropriarsi dei tratti ritenuti utili della cultura “occidentale” (nella generalità dei casi, mediata dalla Russia stessa), senza per questo subire un processo di assimilazione culturale. Il basso livello di alfabetizzazione dei Tatari (nel senso generico di “musulmani di Russia) era considerato da Gasprinskij e dai suoi seguaci come un ostacolo determinante sul cammino del loro progresso ed allo scopo di uscire dalla situazione di soggezione culturale e sociale, prima ancora che politica, in cui per molti aspetti erano confinati dall’amministrazione zarista. Le “nuove scuole” insegnavano come leggere e scrivere con un metodo sillabico e a partire dalla lingua vernacolare parlata dagli allievi, non per ripetizione e a partire da una lingua straniera come l’arabo – era quanto avveniva nelle tradizionali scuole coraniche. Anche dal punto di vista pratico, le nuove scuole apparivano completamente diverse: gli alunni si sedevano ai banchi come nelle scuole russe, quando nelle scuole tradizionali essi sedevano per terra. L’arabo, in quanto fondamentale per la formazione religiosa ed anche letteraria dei ragazzi, non era però rimosso, ma solo introdotto in un secondo tempo, affinché questi familiarizzassero prima con la scrittura della propria lingua. Le idee di Gasprinskij venivano interpretate, non senza ragione, come essenzialmente “pan-turchiste” dall’amministrazione e dagli organi di vigilanza russi: non si può infatti negare che il pedagogo di

2 È stato notato come Gasprinskij stesso non volesse che il termine ġadīd fosse applicato alla sua idea di “scuole

riformate”; per esse, egli proponeva l’espressione muntażam maktablar, ovvero “scuole riformate”, dove la radice

del participio indica l’idea di “mettere ordine”, “aggiustare” etc., ed evoca il termine tanżīmāt, utilizzato per le

riforme nell’Impero ottomano. Muntażam, poi, aveva astrattamente in tataro (del Volga e di Crimea) l’accezione di

“moderno”. Ġadīd era viceversa usato dagli oppositori di Gasprinskij a scopo spregiativo: legato alla nozione di taġdīd, o “rinnovamento” (e per questa via a quella di iṣlāḥ), esso avrebbe potuto evocare il ripristino di una supposta

età dell’oro passata: l’idea generale di Gasprinskij, invece, è nettamente progressiva, non restaurativa. Anche i suoi sostenitori centrasiatici lo designavano come muġaddid (“rinnovatore”, ma non “innovatore”), rifacendosi tuttavia alla nobile tradizione legata a questo termine. Queste e altre specificazioni sono utilmente svolte da I. Baldauf, “Jadidism in Central Asia within reformism and modernism in the Muslim world”, Die Welt des Islams, 41, 1, 2000, pp. 72-88, qui pp. 73-74.

Bahčisaraj avesse anche cercato, con la propria attività editoriale, di forgiare una sorta di lingua turca comune, comprensibile in Anatolia come nelle steppe kazakhe. Di questo sforzo di unificazione, per lo meno linguistica, era prova la pubblicazione di una rivista, significativamente intitolata Terġüman (“Il Traduttore”)3.

Benchè le allusioni al “jadidismo” siano divenute quasi rituali in ogni studio relativo alla storia delle comunità musulmane dell’ex Impero russo, pare qui necessario non solo richiamare l’origine del termine, ma anche collocarlo in un contesto più ampio. Il “jadidismo” di Gasprinskij si combinò infatti nella regione del Volga-Ural con un altro fenomeno culturale e sociale, che aveva cominciato a prendere piede sotto il regno di Caterina II e poi nel corso del XIX secolo. Questo secondo fenomeno viene usualmente designato con il nome di “rinascita musulmana” (“Muslim renaissance”, nella storiografia anglosassone). Esso si accompagnò al fiorire di una nuova identità regionale inclusiva e distinta dalla frammentazione “etnica”, indotta dall’amministrazione russa, tra Baškiri, Tatari, Teptjary, Mešary etc.. Nell’identità “bulgara” l’Islam aveva un ruolo determinante. È stato in particolare osservato come questo sia accaduto non solo in pochi scritti, accessibili ad una ristretta cerchia di dotti: una forte funzione coesiva era infatti svolta, nello spazio, da una serie di “santuari” locali (tombe di santi islamici, legati alla presenza di confraternite sufi). Parimenti, il “bulgarismo” garantiva la continuità, nel tempo, tra la comunità del presente e la storia remota, e a tratti mitica, della regione4. L’affermarsi del “bulgarismo” nell’immaginario collettivo degli abitanti

3 Su Terġüman, la cui importanza a cavallo tra XIX e XX secolo non può essere trascurata, vd. A. Bennigsen – Ch. Lemercier-Quelquejay, La presse et le mouvement national chez les Musulmans de Russie, pp. 36-42. L’unità del mondo turco sostenuta dalla rivista comportava in realtà tre aspetti, sintetizzati dal suo slogan «Dilde, fikirde, ište birlik», ovvero “Unità di lingua, di pensiero e di azione”. Un’altra famosa formulazione del pan-turchismo, risalente al 1904, è quella espressa dal tataro emigrato in Turchia Yusuf Akčura nel suo Tre sistemi politici (orig. Üč tarz-ı

siyaset), apparso su un periodico del Cairo; il suo tentativo di indurre la sostituzione dell’ottomanismo con il pan-

turchismo, nondimeno, restò inascoltato. Cfr. su questo F. Georgeon, Aux origines du nationalisme turc. Yusuf Akçura

(1876-1935), Paris, Institut d’Etudes Anatoliennes – Editions ADPF, 1980, pp. 23-30. L’autore sottolinea come il punto

di vista di Akčura, così come quello di altri emigrati dalla Russia, escluda il sogno romantico dal panturanismo, ovvero della ricostituzione di un grande “paese” che includa non solo i popoli turchi, ma anche quelli ugro-finnici. Anche limitatamente al turchismo, Akčura è sempre attento al risvolto pratico: la sua proposta è infatti basata su una constatazione di Realpolitik, ovvero sull’irrealizzabilità dell’ottomanismo in un contesto di emersione decisa dell’ideale nazionale.

4 Una rigorosa analisi del “discorso islamico” in questo periodo e per quest’area geografica è offerta da M. Kemper,

Sufis und Gelehrte in Tatarien und Baschkirien, 1789-1889. Der islamische Diskurs unter russischer Herrschaft,

(Islamkundliche Untersuchungen, Bd. 218), Berlin, Karl Schwarz, 1998; cfr. anche: A.J. Frank, “Islamic shrine catalogues and communal geography in the Volga-Ural region, 1788-1917”, Journal of Islamic Studies, 7, 2, 1996, pp. 265-286. Dello stesso autore si veda: idem, Islamic Historiography and “Bulghar” Identity among the Tatars and

Bashkirs of Russia, Leiden, E.J. Brill, 1998 (tra l’altro recensito da A. von Kügelgen, Journal of the American Oriental Society, 120, 1, 2000, pp. 115-116). Più puntuale è lo studio di D. Is’haqov, “L’‘identité bulghare’ en question. Islam et

ethnicité chez les tatars de la Volga et de l’Oural au XVIIIe siècle”, in: Stéphane A. Dudoignon, Dämir Is’haqov, Räfyq Möhämmätshin (a c. di), L’Islam de Russie. Conscience communautaire et autonomie politique chez les Tatars de la

Volga et de l'Oural, depuis le XVIIIe siècle: actes du colloque international de Qazan, 29 avril-1er juin 1996, Paris,

Maisonneuve-Larose, 1997, pp. 73-88. Questo articolo critica la tesi di Allen J. Frank, assimilandolo senz’altro a un “bulgarista”, mentre egli semplicemente argomenta la tesi (da noi sostanzialmente accettata) per cui il discorso

identitario fu largamente plasmato attorno a questo riferimento nel XVIII secolo ed oltre, per includere non solo i Tatari ma tutta la popolazione musulmana del Volga-Ural. Is’haqov non coglie però come, nella tesi di A.J. Frank, l’identità “bulgara” non sostituisca il riferimento primario all’Islam, ma anzi lo completi e lo rafforzi, e trascura le riflessioni di Allen J. Frank sui racconti della conversione e sui cataloghi dei luoghi santi; ciò è evidenziato dallo stesso Frank nella

della regione Volga-Ural permetteva in particolare la saldatura, nella percezione dell’identità collettiva degli stessi, dell’elemento etnico (l’autoctonismo, ovvero la discendenza genetica dai primi abitanti) con quello più squisitamente religioso. I Bulgari del Volga, infatti, furono con ogni probabilità i primi abitanti dello spazio “russo” ad adottare ufficialmente l’Islam già dal X secolo (come testimonia la Risalat di Ibn Fadlān)5, anche se pratiche pagane non scomparvero subito dalle

campagne. In particolare, i Bulgari abbracciarono la “vera religione” circa quattro secoli prima dell’Orda d’Oro, originatasi dal frazionamento dell’Impero gengiskhanide. I loro discendenti – i Tatari – potevano quindi a ragione definirsi come i campioni dell’Islam nel territorio allora compreso nell’Impero russo, e vantarsi di questa primogenitura rispetto a popolazioni la cui islamizzazione era avvenuta più tardi, come i nomadi abitanti la regione delle Steppe6. È stato

tuttavia osservato come, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, sia anche emersa tra i Tatari del Volga una tendenza diversa. Alcuni autori, infatti, servendosi di studi in lingua russa e di concetti mutuati alle scienze sociali europee, si fecero promotori di un vero e proprio “tatarismo”, valorizzando la discendenza dall’invasione di Gengis Khan, anziché quella dai Bulgari del Volga7.

Parallelamente a questi sviluppi culturali nella regione Volga-Ural, anche il quadro istituzionale contribuiva a plasmare una nuova identità per i sudditi musulmani della Russia interna e della Siberia. La creazione dell’Assemblea Spirituale, voluta nel 1788 da Caterina II nel quadro della sua politica di tolleranza verso l’Islam (e come riparazione simbolica per la conquista del khanato di Crimea), costituì indubbiamente un primo passo in questa direzione. Questa misura fu completata, in un certo senso, dalle riforme della seconda metà del XIX secolo, ed in particolare tra gli anni Sessanta e Ottanta. In questo periodo, non solo i Tatari del Volga, ma anche quelli sparsi in Siberia e in generale nella fascia settentrionale dell’Asia Centrale sottoposta alla sovranità russa, parteciparono attivamente allo sviluppo dei meccanismi culturali appena visti. Come messo in luce

successiva monografia (Islamic Historiography, p. 193 nota 102). È comprensibile, al contrario, il disdegno dimostrato da Is’haqov rispetto alla proliferante volgarizzazione – spesso a fini strumentali – del “bulgarismo” nella pubblicistica contemporanea. Sul “bulgarismo” contemporaneo fino agli anni Novanta, cfr. ancora A.J. Frank, Islamic

Historiography, pp. 187-196; dal punto di vista dei Baškiri, vd. X. Le Torrivellec, Histoire des identités en Russie musulmane: la République autonome du Bachkortostan (1969-2003), thèse de doctorat, EHESS, a.a. 2005/2006, pp.

67-71.

5 La Risāla all’epoca non era conosciuta nella sua interezza, poiché il manoscritto fu rinvenuto a Mashad solo all’inizio

degli anni Venti da Ahmed Zeki Velidi, in fuga dal Turkestan (cfr. A.Z. Velidi, Ibn Faḍlān’s Reisebericht, Leipzig

1939). Estratti erano comunque stati riprodotti da compilatori e geografi persiani e arabi. La Risāla era già così nota,

nella prima metà del secolo, al punto da essere citata da storici russi: C.M. Fraehn, Ibn Foszlan’s und anderer Araber

Berichte über die Russen älterer Zeit, Sanktpetersburg 1823. Sulla storia dei Bulgari del Volga: W. Barthold,

“Bulghār”, in Encyclopédie de l’Islam, I ed., q.v..

6 Si veda tra l’altro: G.M. Yémelianova, “The national identity of the Volga Tatars at the turn of the 19th century: Tatarism, Turkism and Islam”, Central Asian Survey, 16, 4, pp. 543-572.

7 Un autore famoso del “movimento musulmano” che non si riconobbe nella tendenza “bulgarista” è Šīhāb ad-Dīn Marġanī, il quale preferiva vedere un modello di rinascita islamica non nello stato bulgaro o in figure locali, ma nell’Islam dei primi secoli (A.J. Frank, Islamic Historiography, p. 199). A.J. Frank lamentava nella sua monografia l’assenza di una sintesi sulla storiografia “tatarista” di questo periodo (ibidem, p. 58 nota 1, con

in particolare da Dudoignon, questa seconda area era divenuta nel frattempo sempre più importante, essendo situata all’intersezione tra Oriente e Occidente dell’Impero, oltre che fungendo da anello di congiunzione tra la Russia in senso stretto e i territori che questa stava via via conquistando nella sua avanzata verso sud8. Nel periodo immediatamente precedente alle riforme di Caterina II, in

particolare, non pochi intellettuali tatari o baškiri si erano spostati in Siberia, o verso il Turkestan e l’emirato di Bukhara. Per questo, l’apporto culturale dei cosiddetti “Tatari di Siberia” alla già menzionata “rinascita musulmana” non deve essere sottovalutato9. In particolare, alcune riflessioni

teologiche ed etiche relative alla pratica quotidiana dell’Islam e alla sua giurisprudenza furono sviluppate in Siberia e a Bukhara in anticipo rispetto al più noto “riformismo islamico” di matrice araba. Questo, infatti, sostanzialmente non può essere fatto risalire a prima della spedizione di Egitto di Napoleone Bonaparte, vero momento di scontro drammatico con una modernità occidentale trionfante ed aggressiva10. Furono le particolari condizioni ambientali della Siberia a

esigere, in un certo senso, queste riflessioni: un caso celebre è rappresentato dal dibattito sul digiuno, o sugli orari delle preghiere, quando in regioni sub-boreali la notte durava pochissime ore. In queste aree, le reti di circolazione delle idee coincidevano nella maggior parte dei casi con le reti commerciali dei mercanti tatari e bukharioti. Questi costituivano infatti, almeno fino al consolidamento delle conquiste russe in Asia centrale, l’infrastruttura sociale indispensabile al funzionamento delle vie commerciali che attraversavano in continente eurasiatico11.

Il Turkestan meridionale non era certo estraneo a questo fermento intellettuale: al contrario, esso fu lo scenario di interessanti dibattiti concernenti il bisogno o meno di rinnovare l’etica islamica, e la direzione in cui procedere per farlo12. Questa regione – ed in primo luogo Bukhara “la santa” –

presentava infatti una consolidata tradizione di devozione, scienza religiosa e dottrina giuridica. Vi erano insomma, a Bukhara e in altri centri urbani, le risorse umane e i mezzi intellettuali per confrontarsi – quando ciò fosse accettato – nuovamente con le fonti dell’Islam. La prospettiva di riaprire, in maniera più o meno prudente, le porte dell’iġtihād, era coltivata da non pochi dotti. A

Bukhara, tuttavia, essi si trovarono di rado ad avere la meglio su elementi più “tradizionalisti”. In

8 S.A. Dudoignon, “Djadidisme, Mirasisme, Islamisme”, in: S.A. Dudoignon (a c. di), Le réformisme musulman en

Asie Centrale. Du “premier renouveau” à la soviétisation (1788-1937), (numero monografico di Cahiers du Monde Russe, 37, 1-2, 1996), pp. 13-40, qui p. 16

9 Si veda la raccolta di saggi: S.A. Dudoignon (a c. di), En Islam sibérien, (numero monografico di Cahiers du Monde

russe, 41, 2-3, 2000).

10 Una buona sintesi “arabo-centrica” è: Kh. Fouad Allam, “L’islām contemporaneo”, in G. Filoramo (a c. di), Islam, Roma-Bari, Laterza, 1999, pp. 218-307, qui pp. 235-238, con bibliografia.

11 Sui “Bukharioti siberiani”: C. Noack, “Die sibirischen Bucharioten. Eine muslimische Minderheit unter russischer Herrschaft”, Cahiers du Monde russe, 41, 2-3, 2000, pp. 263-278.

12 Questi dibattiti traevano a volte la propria origine da dispute strettamente teologiche, a volte determinate dalla reazione a idee provenienti da altri paesi islamici. Una figura di grande rilevanza per la prima stagione del riformismo