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La retorica nazionalista nella prima fase dell’esilio

Organizzazione della tes

2. La fase para-diplomatica (1919-1926)

2.4 La retorica nazionalista nella prima fase dell’esilio

Autodeterminazione e altri principi: problemi preliminari

Un esame approfondito dei documenti (non esclusivamente diplomatici) prodotti dagli esuli musulmani dell’ex Impero russo durante la conferenza della pace a Parigi e negli anni immediatamente successivi dimostra come le occorrenze di riferimenti al principio di autodeterminazione (peraltro centrale nelle loro rivendicazioni) siano semanticamente poco coerenti. È necessario, quindi, problematizzare questo termine, tenendo conto della sua natura ambigua e, conseguentemente, delle difficoltà imposte dalla sua traduzione. In questo paragrafo osserveremo come la sfera semantica della parola “autodeterminazione” includesse, all’epoca in cui questi documenti vennero redatti, una stratificazione di vecchi e nuovi significati. L’analisi qui proposta sarà necessariamente limitata alle esigenze interpretative del presente studio: nonostante alcuni tentativi, una storia del termine e del concetto di “autodeterminazione”, anche solo nella sua accezione giusinternazionalistica, deve ancora essere svolta185, in particolare per quanto concerne la

trasformazione di questo concetto da ideale politico a norma giuridica positiva, nonché da diritto facente capo a degli individui a situazione giuridica imputabile a delle collettività sociali. Lo stesso può dirsi anche si altri concetti pseudo-giuridici scarsamente formalizzati che erano correnti nello stesso periodo e che gli esuli non mancarono di utilizzare, come il “principio di nazionalità” o il “diritto dei piccoli popoli” ( o “delle piccole nazioni”).

Storici, giuristi e scienziati della politica hanno normalmente messo in luce l’esistenza, alla fine della Grande Guerra, di due diverse nozioni di “autodeterminazione” o, più precisamente, di due possibili “fonti” di questo principio186. La prima sarebbe da ricercare nelle idee di Woodrow Wilson

184 Ibidem.

185 Vd. G. Decker, Das Selbstbestimmungsrecht der Nationen, Göttingen, Schwarz, 1955; K. Rabl, Der

Selbstbestimmungsrecht der Völker, Köln, Böhlau Verlag, 1973. Sul nesso tra dottrine della secessione e

autodeterminazione: C. Margiotta, L’ultimo diritto. Profili storici e teorici della secessione, Bologna, Il Mulino, 2005. 186 Ad esempio: A. Cassese, Self-Determination of Peoples. A Legal Reappraisal, Cambridge, Cambridge University Press, 1995, pp. 14-23; A.J. Mayer, Wilson vs. Lenin. Political Origins of the New Diplomacy, 1917-1918, Cleveland- New York, Meridian Books, 1964, sp. pp. 298, 362s, 384; più specificamente sulle idee di Wilson: R.A. Friedlander, “Self-Determination: A Legal-Political Enquiry”, in Y. Alexander –R.A. Friedlander (a c. di), Self-Determination:

National, regional, and Global Dimensions, Boulder, Westview, 1980, pp. 307-331, qui pp. 307-310.

Un’interpretazione suggestive ma non del tutto convincente sulle origini intellettuali del principio di

autodeterminazione è: G. Sluga, “What is national self-determination? Nationality and psychology during the apogee of nationalism”, Nations and nationalism, 11 (1), 2005, pp. 1-20.

rispetto all’ordine internazionale da creare con lo stabilimento della pace: anche nell’immaginario collettivo, “autodeterminazione” (self-determination) è un termine strettamente collegato ai “Quattordici punti” del presidente statunitense, anche se essi non lo contenevano esplicitamente. Recenti ricerche hanno dimostrato che la nozione wilsoniana di autodeterminazione era profondamente impregnata di un più generale spirito democratico: essa consisteva cioè nello stabilimento di governi realmente rappresentativi, espressivi della volontà della gente. Questo risultato sarebbe stato evidentemente impossibile se sottoposti alla sovranità di una potenza straniera: in alcuni casi, quindi, l’esercizio dell’autodeterminazione poteva condurre alla secessione. La seconda fonte dell’idea di autodeterminazione viene identificata di solito con gli articoli e i discorsi di Lenin, sia prima che durante il conflitto mondiale e la rivoluzione in Russia. Come è noto, all’inizio Lenin aveva rigettato l’idea stessa della nazione, ritenendola una tipica superstruttura borghese. Questa ortodossia di stampo marcatamente marxista-internazionalista, tuttavia, fu sostituita da un approccio più pragmatico sia nelle sue “tesi d’Aprile” ed ancora dopo, allo scopo di ottenere seguito presso gli allogeni dell’Impero russo nel corso della rivoluzione e della conseguente guerra civile. A partire da quel momento, Lenin prese a lodare l’autodeterminazione (samoopredelenie) e giunse ad ammettere la secessione. Tuttavia, sia in linea di principio che in pratica, l’autodeterminazione restava subordinata allo scopo primario dello stabilimento del socialismo187. La concorrenza tra Lenin e Wilson, e il ripristino del principio di

integralità territoriale all’immediato indomani della guerra, subito dopo la dissoluzione degli imperi austro-ungarico ed ottomano, spiegano per quale ragione il Convenant della Società delle Nazioni non fece menzione del principio di autodeterminazione in nessuno dei suoi articoli. Al contrario, detto principio era evocato – e considerato come una vera e propria situazione giuridica positiva – nei trattati di pace tra la Russia sovietica e l’Estonia (2 febbraio 1920, art. 2), la Lituania (12 luglio 1920, art. 1) e la Lettonia (11 agosto 1920, art. 2)188, che sono dunque i primi atti giuridici

vincolanti nel diritto internazionale pubblico in cui il termine può essere rintracciato.

Vi è tuttavia un’altra possibile “fonte” del termine “autodeterminazione”, che contribuisce a influenzare il contenuto del concetto corrispondente nel periodo studiato: l’idea di

Selbstbestimmung espressa dalla social-democrazia austriaca e, in generale, dalla tradizione

socialista prima che il termine fosse appropriato da Lenin. La prima occorrenza di

187 Per un excursus delle posizioni di Lenin, in particolare tra 1913 e 1916, si veda: R. Gallissot, “Nazione e

nazionalità nei dibattiti del movimento operaio”, in Storia del marxismo, II, Torino, Einaudi, 1979, pp. 787-864, qui pp. 853-858. Sulla politica delle nazionalità come via (indiretta) di raggiungimento del socialismo: F. Hirsch, Empire of

Nations: Ethnographic Knowledge and the Making of the Soviet Union, Ithaca, Cornell University Press, 2005; J.

Smith, The Bolsheviks and the National Question, 1917-1922, Basingstoke-London, MacMillan, 1999; e, per certi aspetti, il noto T. Martin, The Affirmative Action Empire. Nations and nationalism in the Soviet Union, 1923-1939, Ithaca, Cornell, 2001.

188 J.H.W. Verzijl, International Law in Historical Perspective, vol. I, “General subjects”, Leyden, A.W. Sijthoff, 1968, pp. 321ss.

Selbstbestimmungsrecht come situazione giuridica attribuita a tutte le nazioni (“der jeder Nation

gehört”) è rinvenibile in un documento relativo alla questione polacca approvato dal Congresso di Londra della (prima) Internazionale socialista nel 1865189. L’idea che la Selbstbestimmung fosse un

vero e proprio diritto, tuttavia, apparve per la prima volta nei lavori di Karl Renner190 e Otto

Bauer191, così come nel programma austromarxista approvato a Brünn (ora Brno) nel 1899192. La

nozione di Selbstbestimmungsrecht elaborata da Renner e Bauer, in paragone a quella di Lenin e Wilson, si caratterizza per la sua rinuncia a qualsiasi riferimento necessario al territorio. Le nazionalità erano concepite alla maniera di corporazioni o gilde, o come organizzazioni religiose. Renner ed ancor più chiaramente Bauer insistevano sul fatto che i diritti nazionali dovevano essere attribuiti in forma di autonomia nazionale a delle entità collettive, e non meramente agli individui che le componevano: un aspetto invero già presente nella dichiarazione dell’Internazionale socialista del 1865, ma definitivamente tematizzato dai due socialisti austriaci, allo scopo di escludere un approccio “atomista” al problema delle minoranze193. La preferenza per una soluzione

“comunitarista” (il Personalitätprinzip, opposto al Territorialprinzip) sarà, come abbiamo accennato in un precedente paragrafo, una delle ragioni dell’opposizione tra esuli musulmani (tatari) e grandi-russi nel 1921.

Questo excursus, necessariamente breve, è indispensabile nel quadro di un approccio critico ai documenti. Esso sarebbe tuttavia improduttivo, se non si tenesse conto, oltre che dei concetti, anche delle parole utilizzare per esprimerli, non in una ma in diverse lingue contemporaneamente. Poiché la maggior parte dei documenti concernenti la primissima fase dell’attività para-diplomatica degli esuli attorno alla conferenza della pace è redatta in francese, è indispensabile indagare l’occorrenza delle diverse possibili traduzioni dell’inglese self-determination nel linguaggio (si potrebbe dire: nel gergo) politico e giuridico dello stesso periodo. La traduzione più esatta del termine usato da Wilson rimane droit des peuples à disposer d’eux-mêmes: questa è peraltro la maniera con cui più spesso i rappresentanti delle nazionalità allogene di Russia in esilio si riferivano ad esso, ed è esattamente la stessa espressione che, nel 1922, fu utilizzata dal francese Barrès per indicare quello

189 Cf. G. Decker, Das Selbstbestimmungsrecht der Nationen, Göttingen, Schwarz, 1955, p. 153; K. Rabl, Der

Selbstbestimmungsrecht der Völker, Köln, Böhlau Verlag, 1973, p. 32; sull’approccio austromarxista al problema e la

Seconda Internazionale: A. Salsano (a c. di), Antologia del pensiero socialista. III: La Seconda Internazionale, Roma- Bari, Laterza, 1981, pp. 161-187.

190 K. Renner, Das Selbstbestimmungsrecht der Nationen in besondere Anwendung auf Österreich, I: Nation und Staat, Leipzig-Wien, Verlag Franz Deuticke, 1918; prima edizione pubblicata nel 1902 con lo pseudonimo di Rudolf Springer. 191 Spec. O. Bauer, Die Nationalitätenfrage und die Sozialdemokratie, Wien, Verlag der Wiener Volksbuchhandlung, 1924. Pubblicato anche come monografia in: Marx-Studien. Blätter zur Theorie und Politik des wissenschaftlichen

Sozialismus, Wien, 1907.

192 Cfr. D. Langewiesche, “La socialdemocrazia considera la nazione qualcosa di indistruttibile e da non distruggere. Riflessioni teoriche dell’austromarxismo sulla nazione attorno al 1900”, in M. Cattaruzza (a c. di), La nazione in rosso, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2005, pp. 55-82; K. Rabl, Selbstbestimmungsrecht, p. 43.

che negli ambienti bolscevichi russi era denominato samoopredelenie narodov194.

Per quanto concerne invece il “principio di nazionalità”, è possibile osservare una certa resistenza, da parte della dottrina francese riconosciuta, ad accettare la “nazionalità” come criterio dotato di qualche vincolatività giuridica. Come si vedrà nel caso dell’autodeterminazione, i documenti prodotti dalle delegazioni oggetto di studio vanno ben al di là, su questo punto, del “senso comune” giuridico del tempo195. Si può anche osservare che – in maniera non dissimile da questo significato

del termine nationalité – anche la nozione per alcuni versi connessa di minorité non trovò spazio nella dottrina francese negli stessi anni, ossia fino al 1928 circa, nonostante il termine fosse già stato impiegato (anche in francese) dalla stessa Società delle Nazioni ed era oramai corrente nei documenti politici e diplomatici coevi196.

È infine legittimo chiedersi perché la protezione delle minoranze, che era virtualmente (ancorché non esplicitamente) inclusa nella sistemazione post-bellica dell’Europa centrale e orientale, non fosse utilizzata dai rappresentanti di quelle che potevano essere facilmente considerate come delle “minoranze nazionali” musulmane all’interno dello Stato russo, comunque inteso. La risposta è probabilmente che, specialmente all’inizio del decennio, questi delegati rifiutavano decisamente di considerare i popoli che rappresentavano come delle minoranze, insistendo per ottenere l’indipendenza come “programma massimo”. Questo è eclatante in un documento autografo di Haidar Bammat, in cui egli si riferiva ad alcune minoranze nazionali dell’Est europeo che costituivano un vero rompicapo per i negoziatori della pace riuniti a Parigi (gli Ungheresi e i Sassoni di Transilvania, i Tedeschi dei Sudati e i Turchi di Bulgaria, Romania e altri paesi balcanici). Queste minoranze non erano certo menzionate per illustrare comparativamente la situazione delle nazionalità nord-caucasiche i cui interessi Bammat intendeva rappresentare: al contrario, questo riferimento è fatto per spiegare lo status “protetto” che spetterebbe ai Russi “etnici” nella repubblica federativa indipendente di Ciscaucasia. Come molte altre minoranze, essi sarebbero le vittime (parzialmente innocenti) della cupidigia imperiale dei loro antenati, un relitto del vecchio ordine antinazionale ormai castigato dalla Storia197. Benché queste minoranze

194 Risultati della ricerca di questo lemma e di quelli connessi in Frantext (database universale della lingua francese), comparati con la consultazione di repertori e dizionari giuridici dell’epoca, tra cui in particolare il Grandin,

Bibliographie générale des Sciences Juridiques, Politiques, Economiques et Sociales, fino al 1933. L’espressione non

ricorre tra la dichiarazione di Barrès e gli anni Cinquanta, dove ritorna riferita al processo di decolonizzazione, come calco dell’art. 1 della Carta dell’ONU, in concorrenza peraltro col neologismo “autodétermination des peuples”. 195 La bibliografia di Grandin considera come prima occorrenza quella in un pamphlet (1928) del Partito Autonomista Bretone, in cui è associato col federalismo. Fino al 1925-1926 la dottrina francese usa il termine “nationalité” come equivalente dell’inglese “citizenship”, anche se la lingua francese corrente aveva già assorbito l’uso di “nationalité” per tradurre “nationality”: cfr. G. Noiriel, “Socio-histoire d’un concept. Les usages du mot nationalité au XIXe siècle”,

Genèses, 1995, p. 4-23.

196 La SdN nel 1928 aveva infatti pubblicato un volume contenente una raccolta degli strumenti giuridici di tutela delle minoranze nazionali.

197 Mémoire présenté à la Conférence générale de la Paix par la délégation de l’Union des Peuples Circassien et du

meritassero dunque una qualche forma di tutela giuridica, i Nord-Caucasici non intendevano affatto rinunciare al proprio status di maggioranza dominante.

Quale “autodeterminazione”?

Venendo ora agli attori oggetto della nostra indagine, si osserverà, studiando il loro discorso nella prima metà degli anni Venti, come essi utilizzino costantemente per “autodeterminazione” la stessa traduzione francese menzionata sopra, attribuendo però ad essa significati assai variabili. Nonostante il contenuto esatto del principio fosse ancora confuso, esso aveva evidentemente enorme importanza in virtù della sua carica emotiva implicita. Sarebbe tuttavia errato inferire che il valore del termine fosse puramente connotativo, cioè che le richieste di autodeterminazione formulate da questi soggetti fossero delle affermazioni prive di contenuto fattuale. Conflitti attorno al contenuto da dare al termine erano quindi la più naturale conseguenza dell’assorbimento precoce ed entusiastico dell’autodeterminazione nella strategia argomentativa: come accennato, la dottrina e persino le traduzioni erano a quest’epoca ancora relativamente fluide. Presenteremo nel seguito alcune delle prime occorrenze del termine “autodeterminazione” e delle sue traduzioni nel discorso dei gruppi nazionali dei Musulmani russi che ebbero la possibilità di interagire in vario modo con la conferenza della pace e la diplomazia francese. Si è già menzionato il fatto che alcuni di questi documenti furono sottoscritti da singoli individui, mentre altri – in particolare nel caso dei nazionalisti azerbaigiani – portavano (almeno formalmente) la firma dell’intera delegazione.

La delegazione nord-caucasica alla conferenza della pace fu la prima organizzazione nazionale, tra quelle studiate, ad evocare esplicitamente il principio di autodeterminazione in una lettera del maggio 1919198. I Nord-Caucasici – secondo fonti diplomatiche francesi – avevano già scritto in

febbraio direttamente al presidente Wilson, anche se non è chiaro se essi abbiano fatto cenno, già in quella corrispondenza, al principio di autodeterminazione199. Più importante ancora, Haidar Bammat

e il presidente della repubblica in esilio, Čermoev, non distinguevano tra tutte le diverse possibili traduzioni della dizione wilsoniana; ciò dimostra tuttavia che, dal loro punto di vista, tutte queste traduzioni indicavano parimenti il diritto alla piena indipendenza per la repubblica federativa del Caucaso settentrionale, a quel tempo minacciata – come abbiamo visto – da più di un lato. Occorre tuttavia sottolineare che ogni riferimento all’autodeterminazione da parte di questi attori cessò nel 1920: la petizione comune di tutte le delegazioni caucasiche dell’ottobre

198 Čermoev alla presidenza della CdP, 30.5.1919, ADF, QdO, CPC, Z-Europe, URSS, d. 637, f. 68-69.

199 Telegramma in copia dalla Ambasciata francese a Berna, alla Segreteria generale della CdP, 5.2.1919, ADF, CPC, Z-Europe, URSS, d. 637, f. 30-31.

1919200 è l’ultima occasione in cui i Ciscaucasici mobilitarono questo principio (da soli o insieme ad

altre organizzazioni).

La differenza tra i documenti prodotti da questi ultimi e dagli Azerbaigiani in esilio non potrebbe essere più evidente: con l’eccezione del suddetto documento comune dell’autunno 1919201,

l’autodeterminazione non è mai menzionata né nella corrispondenza da costoro alla conferenza o al Quai d’Orsay, né nel bollettino di informazione o nell’altro materiale a stampa prodotto dalla delegazione retta da Topčibaši. La ragione di questa assenza sembra essere la connotazione estremamente negativa del termine, anche in traduzione francese, come spiegato apertamente in un documento posteriore: lo stesso diritto di autodeterminazione, infatti, era allo stesso tempo ampiamente utilizzato dal sistema delle propaganda sovietica sia nell’URSS che in Oriente202.

Sia la retorica dei rappresentanti nord-caucasici che quella dei loro omologhi azerbaigiani attorno al principio di autodeterminazione erano visibilmente in contrasto con l’uso fattone dai Tatari del Volga e di Crimea, almeno nella misura in cui il corpus documentario di riferimento sia quello dei messaggi indirizzati virtualmente alle potenze europee e, a volte, all’opinione pubblica dei paesi ospiti. I documenti prodotti da Ġafar Seydahmet sono in questo senso particolarmente significativi, poiché essi evidenziano una certa abilità nell’utilizzo di concetti di diritto internazionale. Come già accennato in un precedente paragrafo, Seydahmet premeva affinché alla Crimea fosse riconosciuto lo status di protettorato o di mandato, proponendo la Polonia come Stato tutelare203. Egli utilizzava

il termine autodétérmination (la traduzione più ovvia di self-determination, sostanzialmente un calco), a qualche mese di distanza dalle attestazioni viste finora, e precisamente nel settembre 1919204. Questa traduzione anomala, probabilmente derivata dall’inglese senza un passaggio

preliminare attraverso il lessico politico francese, testimonia del fatto che forse Seydahmet assimilò il concetto corrispondente da fonti diverse da quelle dei suoi omologhi, più esposti all’influenza della lingua del paese ospitante. Si potrebbe quindi ragionevolmente pensare alla mediazione di Varsavia, con cui Seydahmet era strettamente in contatto. In ogni caso, quando Seydahmet parlava di “autodétérmination” (o usava dei sinonimi) prima del 1921, non intendeva affatto con ciò il diritto a ottenere o a ripristinare l’indipendenza in senso stretto, ovvero creare uno Stato superiorem

200 Copia dalla Segreteria generale della CdP alla DAPC, 13.10.1919, originale datato 8.10.1919, ADF, CPC, Z- Europe, URSS, d. 609, f. 17-20.

201 Ibidem.

202 Delegazione di Azerbaigian alla Segreteria generale della CdP , 1.2.1923, ADF, CPC, Z-Europe, URSS, d. 639, f. 279-282.

203 Requête émanant des Tatars de Crimée qui demandent à être placés sous la protection de la SDN, 17.5.1920, ADF, CPC, Z-Europe, URSS, d. 611, f. 89-90; e Requête émanant des Tatars de Crimée qui demandent à être placés sous la

protection de la SDN, 5.6.1920, ADF, CPC, Z-Europe, URSS, d. 611, f. 91-95.

204 Djeliloff a Defrance, Alto Commissario a Istanbul, 27.9.1919, riprodotto in: Defrance a Pichon, 2.10.1919, ADF, CPC, Z-Europe, URSS, d. 611, f. 40-43.

non recognoscens nella penisola di Crimea, secondo le logiche del diritto internazionale. Il

riferimento al mandato o al protettorato come soluzione inizialmente preferita è quindi probabilmente la ragione per cui Seydahmet più di altri faceva riferimento a principi giuridici o quasi-giuridici alternativi. In particolare, per sostenere le richieste dei Tatari di Crimea non esitò a mobilitare ripetutamente quelli che chiamava “diritti etnici” (droits ethniques, anche al singolare)205.

Se Seydahmet usava l’autodeterminazione per chiedere un mandato, i delegati dei Tatari del

Volga (o meglio: della Russia interna e di Siberia), che costituivano l’esigua ma bellicosa “fazione

tatara” alla Conferenza dei membri della Costituente del gennaio 1921, davano a questa espressione una connotazione ancora diversa, molto più vicina alla sua pseudo-traduzione russa che all’equivalente francese. Come si può dedurre dai già visti verbali della conferenza (pubblicati in russo e parzialmente tradotti in inglese e francese), Sadri Maksudi non utilizzava samoopredelenie come una traduzione del self-determination di Woodrow Wilson, ma indubitabilmente come un calco della Selbstbestimmung di Otto Bauer206. Sadri Maksudi non chiedeva né la secessione né

l’indipendenza, ma – in maniera più accettabile per gli altri delegati grandi-russi alla conferenza – limitava le sue rivendicazioni all’autonomia207. Questo avveniva nonostante il “gruppo musulmano”

includesse in quella occasione, come si è visto, personalità che, come Ayaz Ishaki, avevano un’idea diversa di che cosa andasse inteso con “autonomia” e che rivendicavano l’utilizzo di un approccio chiaramente “territorialista”.

Il caso della “frazione tatara” e del suo ricorso al concetto di autodeterminazione è per molti aspetti peculiare e merita maggiore attenzione. In verità, come si è già accennato nell’analisi puntuale dei verbali, Sadri Maksudi non solo usava samoopredelenie nel senso austromarxista, ma esprimeva anche più latamente delle opinioni che risulterebbero incomprensibili qualora non venissero ricollegate a quel prototipo. Allontanandosi dal discorso di tutti gli altri attori studiati, Maksudi non considera la nazione (nacija) come un’unità organica, ovvero come un gruppo di persone unito da vincoli di lingua, razza, o storia comuni (quella che Maksudi avrebbe chiamato probabilmente nacional’nost’). Nella sua opinione, una nazione comincia ad esistere nella misura in cui uno Stato sovrano la riconosce come soggetto di diritto pubblico. In questo riconoscimento consiste precisamente l’autodeterminazione nel senso di Otto Bauer. Ciò che Maksudi criticava

205 Seydahmet all’Assemblea Generale della SdN, 28.9.1921, ADF, CPC, Z-Europe, URSS, d. 611, f. 124-128; nello stesso documento parla di “autodeterminazione” come di un diritto mobilizzato dai Bolscevichi, f. 127.

206 Conférence privée des members de l’assemblée constituante de Russie. The private conference of members of the

Constituent assembly, Pariž, “Zemgor”, 1921, in ADF, CPC, Z-Europe, URSS, d. 118, f. 35-72; Comptes-rendus de la Conférence des members de l’assemblée constituante de Russie, Pariž, “Zemgor”, 1921, ADF, CPC, Z-Europe, URSS,

d. 118, f. 99ss. Il problema è ulteriormente complicato dalla presenza di traduzioni non sempre coerenti.

207 Bjulleten’ soveščanija členov vserossijskago učreditel’nago sobranija, no. 4, 22.I.1921, p. 3-5. Vd.

anche il discorso di Tuktarov, ibidem, p. 5-6. Si vedano anche le repliche di Tuktarov, Maksudov e Ishakov a Minor, Miljukov, Višnjak: Bjulleten’ soveščanija členov vserossijskago učreditel’nago sobranija, no. 5,