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L’uso della parola, mentre si lavora, è di cruciale importanza. Sebbene i ragazzi di Lambda, quando impegnati nel disegnare o a fare simulazioni e calcoli fotome-trici, si isolassero dal mondo esterno ascoltando musica in cuffia, comunicavano

costantemente. Qui non faccio riferimento alle tante conversazioni, complice il fatto che i tre condividano una vita anche al di fuori del lavoro, riguardanti la loro vita privata, o alle chiacchiere su argomenti non riguardanti al lavoro (sebbene, come si è visto precedentemente nel paragrafo 4.1, anche da questo tipo di chiacchiera può nascere un’idea di design). Piuttosto, faccio riferimento esplicito all’uso del linguaggio finalizzato ad uno scopo legato al proprio lavoro ed a quelle situazioni lavorative in cui non solo parlare del proprio lavoro è una pratica discorsiva socialmente organizzata, ma “il parlare” stesso costituisce un lavoro in sé. In questo senso, il parlare a lavoro ed il parlare del proprio lavoro si configurano come un gioco linguistico nel senso di [Wittgenstein, 2005], poiché «costituito dal linguaggio e dalle attività di cui è intessuto» [Wittgenstein, 2005,

§7].

Innanzitutto, parlare delle proprie idee, dei progetti in corso, delle difficoltà incontrate nello svolgimento delle proprie mansioni implica, spesso, l’uso di un proprio linguaggio tecnico, del gergo del mestiere, costitutivo della comunità di pratica [Lave e Wenger, 2006; Wenger, 2000] di riferimento e l’esercizio e consolidamento stesso di tale appartenenza passa proprio attraverso l’uso di un linguaggio condiviso. Presso Studio Lambda, la luce veniva considerata in base ai lux (l’unità di misura dell’illuminamento) e ai lumen (l’unità di misura del flusso luminoso); una barra di alluminio era “un estruso in alluminio”, le viti non erano semplici viti, ma erano “M3” o “M5”; i circuiti elettronici stampati erano “PCB”; i disegni tecnici potevano essere, tra le varie cose, “esplosi” o “assieme”. Uno dei riti di passaggio [Van Gennep, 2006] che ho dovuto sostenere nel mio ruolo di etnografo, è stato quello di impadronirmi di questo linguaggio esoterico, così come Howard Becker dovette imparare che tipo di paziente fosse un “crock”, così chiaro agli studenti di medicina presso cui stava conducendo la ricerca da non riuscire a spiegarglielo [Becker, 1993]. L’importanza dell’utilizzo di un gergo tecnico appropriato mi si è manifestata sin dal primo giorno, in un episodio che mi ha visto mio malgrado coinvolto:

Questo viene definito un “prodotto tecnico”. È una lampada lineare da ufficio, con i LED che vanno a sostituire il «tubo fluorescente lineare». Qui si apre un siparietto scherzoso: io, per chiedere conferma di aver capito di cosa stesse parlando, dico «il neon!» ma vengo subito redarguito scherzosa-mente da Casabase: «per tutto il tempo che starai qui lo chiameremo tubo fluorescente lineare» perché, come mi fa notare Mike il neon è solo uno dei gas che vengono utilizzati per illuminare un tipo di tubo. Altri gas e altre forme di lampada sono possibili.

In questo esempio, il linguaggio tecnico appropriato diventa uno strumento attraverso cui distinguere tra i membri competenti di una data comunità di pratica ed i profani. Allo stesso modo, usare un linguaggio tecnico rappresenta una sorta di scorciatoia cognitiva:

Mike ha disegnato un binario con tre faretti, in cui ognuno ha un orientamen-to differente, mostrando quindi le varie posizioni che esso può assumere. Chiedo per curiosità se la cerniera sia continua o a scatto. Mike mi risponde: «Non lo so. . . quella cerniera in realtà non esiste, considera che questo dise-gno è uno schizzo, è stato fatto praticamente quasi di getto». Poi aggiunge, a mo’ di domanda: «pro e contro delle soluzioni». Io abbozzo che per la cerniera a scatto (ossia, con posizioni prefissate) il contro è rappresentato dal fatto che è prestabilito dal produttore, e Mike dice: «. . . quindi minore flessi-bilità», mentre non vedo dei pro, e Mike dice: «“più durevole nel tempo”, nel senso che una volta posizionato sai che non la perdi»

(Nota del 15 Novembre 2011)

In questo episodio, è interessante notare come ciò che io formulavo in maniera discorsiva e verbosa, Mike lo riassumeva subito in una frase, come se fosse una “formula”, qualcosa che faccia parte di un “vocabolario”, o meglio, un “inventario” di problemi e soluzioni comuni ricorrenti, raggruppati sotto una comune etichetta. Di conseguenza, etichettare e categorizzare permette di saper riconoscere un problema specifico e ricondurlo all’interno di una famiglia più ampia di questioni simili.

Il linguaggio è talmente ancorato alle situazioni sociali in cui viene impiegato da rendere possibile anche l’uso di termini inventati. Un esempio è il termine «sporchina», inventato da Casabase. Con questo neologismo, egli designa quella parte di flusso luminoso non controllabile dal progettista nella fase della proget-tazione, effetti luminosi non voluti e non controllabili a priori. Sono eliminabili solo in fasi successive di prove e tarature, o, per restare in tema, di «fine tuning» come amavano ripetere Eddie e Mike per indicare le fasi di messa a punto.

Generalmente, le diverse pratiche discorsive inerenti alla progettazione, so-prattutto nelle sue fasi iniziali, avvengono in situazioni istituzionalmente sancite, e assumono diversi nomi – “riunioni”, “report”, “briefing”, “brainstorming”, “conference call” – a seconda dell’oggetto e della finalità, e ne avvengono quoti-dianamente. Ci sono incontri con i clienti, riunioni operative con i soci di Alpha (alle quali – come notato precedentemente (vedi par. 1.6) non mi è mai stato permesso di partecipare), incontri con clienti, riunioni interne di Lambda e così via. Un primo esempio è data dalla riunione che i tre tennero, poco prima della

chiusura estiva di luglio, sul futuro assetto societario della Joint Venture con Alpha:

Dalle 15:10 alle 16:20 si svolge una riunione (“Report”) sull’incontro della mattina con Alpha in cui è stata delineata la struttura societaria futura. Eddie è colui che fa il resoconto della riunione.

(Nota del 19 Luglio 2011)

In questa riunione, in cui Eddie e Casabase aggiornano Mike (che generalmente partecipa solo alle riunioni operative su progetti in cui è direttamente coinvolto) su una riunione tra i vertici di Studio Lambda e quelli di Alpha, in cui sono state decise la struttura societaria futura, le questioni di budget, le strategie di mercato e gli strumenti adatti per perseguirle.

Un altro esempio importante è dato da una riunione tra i titolari di Studio Lambda e D2, rappresentante di Alpha all’interno di Theta. Come si evince dalla seguente nota di campo, ciò che è importante non tanto cosa viene detto in sé, ma il cosa viene detto in relazione alle strategie ed agli scopi di Theta:

Intorno alle 10:30 inizia una riunione tra Eddie, Casabase e D2 sull’incontro avuto ieri con il rappresentante di un’azienda produttrice di fosfori remoti. Casabase, per la prima volta, mi dice che se voglio posso assistere a questa riunione. Andiamo nell’acquario vicino al loro spazio lavorativo. Appena entriamo, Casabase dice a D2 che io oggi assisterò alla riunione; D2 non ha nulla in contrario (anzi, abbiamo un rapporto cordiale). Passa a salutare anche uno dei soci e, su invito di Eddie, si ferma circa 10 minuti. La riunione inizia ricapitolando brevemente le impressioni sull’incontro di ieri, su chi è il rappresentante, su cosa fa l’azienda. L’azienda produce fosfori remoti, e il rappresentante che è venuto ieri è un manager, responsabile per il Sud Europa. Il punto del brainstorming è preparare una presentazione della joint venture (cosa sono, cosa fanno) per l’azienda produttrice. Pertanto, dapprima analizzano cosa si sono detti ieri, le impressioni [. . .] In secondo luogo, analizzano il ruolo che potrebbe assumere il manager: siccome a lui la joint venture è piaciuta come si è proposta, e vorrebbe avviare una colla-borazione, si propone di portare i capi dell’azienda, che sono in America e verranno in Europa, ad incontrarli a metà febbraio; a tal fine, è necessario che loro preparino una presentazione convincente, in maniera tale che lui possa poi fare la sua opera di “moral suasion”. Secondo loro, evidentemente il manager avrà le sue buone ragioni personali, per farsi portatore delle loro istanze. Il tema del brainstorming si sposta dunque su come strutturare la presentazione. Partono da un’analisi dell’azienda, e concludono che il

punto nevralgico su cui insistere è quello di lavorare sul parametro «effi-cienza/costi», ossia aumentare l’efficienza delle tecnologie che usano, anche superandone i limiti, e abbattendo i costi. Andare dunque oltre al «lighting classico», basato su «efficienza» e «resa cromatica», e fare emergere il loro (inteso della joint venture) «lighting non convenzionale». Partendo da ciò, iniziano a buttare idee sui possibili sviluppi, legati appunto al superare i limi-ti della tecnologia. Due idee sembrano prendere piede: un’idea riguardante l’utilizzo dei laser (il quale però presenta alcuni limiti normativi), e quella della remotizzazione (ossia il controllo remoto dei dispositivi luminosi). Sul-la base di ciò, predispongono Sul-la scaletta delSul-la presentazione. Il primo punto è un’analisi dei problemi dell’azienda. Il secondo punto quindi é un elenco delle “success stories” della joint venture; il terzo punto è rappresentato dalle soluzioni proposte per i problemi dell’azienda (tra cui anche una cosa che D2 definisce “tech assessment”, per sfruttare il loro linguaggio). Infine il chi siamo. Io chiedo come mai la decisione di dove mettere il “chi siamo” sia caduta sulla fine anziché all’inizio: D2 mi risponde che è dovuto soprattutto a questioni di tempo: siccome in questi casi occorre andare subito al punto, perdere tempo all’inizio nelle presentazioni comporta un rischio potenziale di sottrarre tempo alle questioni di sostanza. Alle 12:25 la riunione termina.

(Nota del 26 Gennaio 2012)

In questo lungo esempio vanno segnalati quattro aspetti. Innanzitutto, la riunione, oltre ad essere una pratica discorsiva, si tiene per servire gli scopi pratici di Theta, ossia elaborare una strategia appropriata per assicurarsi un nuovo cliente. In secondo luogo, fare supposizioni sulle ragioni personali del manager a farsi da intermediario fra Theta e la proprietà, così come le conoscenze di sfondo circa il ruolo del management all’interno di un’azienda, serve loro non per elaborare una teoria generale dei rapporti con il cliente o di psicologia del management, ma per l’elaborazione di un piano d’azione mirato alle esigenze contestuali, specifiche e situate di quella data presentazione. In terzo luogo, le finalità comunicative e simboliche di Theta vengono mediate materialmente dalla “presentazione”, ossia dall’artefatto materiale (l’insieme delle diapositive, create tramite software) su cui vengono fissati i passaggi logici della propria proposta progettuale. Infine, gli espedienti simbolici e comunicativi adottati, ossia la strutturazione della presentazione nel modo pattuito, servono a scopi eminentemente pratici e situati, ossia “andare subito al punto”, dati i vincoli ristretti di tempo a cui dovranno sottostare.

Per parlare di lavoro non c’é bisogno necessariamente di situazioni forma-lizzate e istituzionaforma-lizzate; potenzialmente, ogni occasione è buona per poter

parlare di progettazione. Un esempio di incontri informali che si trasformano in situazione di dialogo a sfondo lavorativo è il seguente:

Andiamo ad acquistare il pranzo in un vicino supermercato, torniamo allo studio, prepariamo i panini che mangeremo nel cortile, in piedi; ad uno dei tavoli fuori siede uno dei soci, che si appresta a pranzare. Chiede a Eddie: «Eddie, tu come illumineresti un vulcano?». Eddie prendendo la domanda come uno scherzo, risponde con una battuta, per stare allo scherzo. Il socio, invece, ironizzando con un altro membro di Alpha che partecipa alla conversazione, dice: «Lo vedi, con lui non si può mai parlare seriamente». La domanda, infatti, sebbene posta con il sorriso (lasciando effettivamente pensare che fosse uno scherzo – anche a me lo è sembrato), è seria: si tratta di un bando per la realizzazione di un’attrazione turistica in un vulcano inattivo del Nord Europa, al quale il socio vorrebbe partecipare, e se interessati, Studio Lambda entrerebbe a fare parte del team di lavoro. La conversazione va avanti sulla natura della gestione pubblica o privata -sulla destinazione d’uso, -sulla struttura naturale del cratere, sui colori . . .

(Nota del 17 Ottobre 2011)

Accennare a un’idea, iniziare, in maniera anche del tutto abbozzata, a discutere di un’ipotesi di lavoro, può avvenire in qualsiasi momento. Una chiacchierata informale può tramutarsi in qualsiasi momento in una buona occasione per gettare le basi della progettazione. Allorquando il dialogo, anche estemporaneo, manca, possono insorgere dei problemi:

Al nostro ritorno arriva D1, e inizia a parlare con Casabase di un progetto di un grande elettrodomestico. Hanno visioni differenti su alcune cose, e alla fine Casabase e D1 vanno verso la postazione di quest’ultimo. Mentre si allontanano sento Casabase chiedere a D1 di «confrontarsi più spesso, per evitare magari che vi siano incongruenze» fra le diverse parti del progetto, disegnate da persone diverse.

(Nota del 26 Settembre 2011)

Un particolare caso osservato è dato da quelle situazioni per cui talvolta, chiac-chierate informali, nate in maniera estemporanea, si trasformano in riunioni vere e proprie. A questa particolare classe di eventi si può dare il nome di briefing situato, proprio per evidenziare la doppia natura di improvvisazione strutturata di tali incontri. Prendiamo ad esempio l’episodio seguente:

Casabase viene qui nello spazio lavorativo, e poi va via. Dopo poco si alza an-che Mike. Dopo pochissimi minuti si alza anan-che Eddie, per andare a fumare.

Ne approfitto, allora, per non rimanere solo nello spazio, e mi alzo anch’io, con la scusa di vedere dove sono Mike e Casabase. Sono nell’acquario vicino allo spazio, e c’é anche D2. Stanno facendo delle prove con la lampada candelabro. Io entro, Eddie va a fumare e poi entra nell’acquario anche lui. Quello che avviene è una sorta di Briefing “improvvisato”, della durata di circa un’ora. Casabase e D2 sono seduti al tavolo, Casabase con il candelabro davanti a sé [. . .]

(Nota del 9 Febbraio 2012)

Questa situazione è particolare perché racchiude in sé caratteristiche sia delle riunioni formalmente convocate, sia delle discussioni informali. I tre di Studio Lambda e D2 sono impegnati da un po’ di giorni sulla progettazione di una lampada da tavola e ne hanno realizzato un mock–up. Ritrovatisi nell’acquario per vedere come funziona la lampada, e se l’effetto di luce corrisponda a quanto ipotizzato in fase di simulazione e calcolo, iniziano a discutere di ciò che va bene e di ciò che andrebbe modificato. Ora, il tutto nasce come una discussione a due fra D2 e e Casabase. Nessuna riunione era stata programmata o convocata. Il riunirsi nell’acquario nasce dalla disponibilità effettiva e estemporanea della sala. Sia Mike che Eddie si fermano nell’acquario perché, passando davanti all’acquario, le cui pareti, come si ricorderà, sono trasparenti, vedono D2 e Casabase maneggiare intorno alla lampada; lo stesso Eddie, in realtà, si era alzato dalla sua postazione per andare a fumare. Ma da queste occasioni contingenti, nasce comunque quella che è a tutti gli effetti una riunione, sebbene ne mancano i segni esteriori dell’ufficialità, ossia una convocazione, un orario e una sala adibita.

Infine, una pratica discorsiva osservata è quella della narrazione. Come visto prima, nell’episodio della riunione sull’incontro con il manager dell’azienda produttrice di fosfori remoti, D2 proponeva di utilizzare, nella presentazione, delle “success stories”, letteralmente “storie di successo”: racconti di episodi reali, in cui vengono narrati i risultati raggiunti sul lavoro, e i modi attraverso cui essi sono stati conseguiti.

La storia è un vero e proprio sostegno alla progettazione, come si evince dall’episodio seguente:

Vedo che Casabase sta cercando, su internet, informazioni sulle porcellane di Capodimonte. Gli chiedo come mai, e lui mi spiega: tanto tempo fa, lui e Eddie, quando stavano pensando al progetto Bird Lamp, si imbatterono in un ambulante, presso cui comprarono una lampada dalle sembianze di un animale, realizzato con porcellana di Capodimonte, il quale raccontò loro che la figura animale è una figura tipica ricorrente nelle realizzazioni in ceramica

di Capodimonte. Casabase, nelle sue ricerche su internet, si imbatte allora in una photogallery di figure animali (principalmente uccelli) realizzate con porcellane di Capodimonte. La photogallery è di un negozio/artigiano che realizza tali statuine: lo capisco dal fatto che poco dopo Casabase telefona a tale artigiano. Presentandosi come uno studente che sta svolgendo una ricerca sulle porcellane di Capodimonte, ne approfitta per ottenere alcune informazioni al riguardo, e conferme su ciò che sa, e nella fattispecie, se sia vero che porcellane raffiguranti animali vengano regalate a chi compra una casa, come buon auspicio; in più ottiene l’informazione che questa tradizione risale al 1700. Terminata la telefonata, Casabase, conversando con Eddie, e poi sollecitato dalle mie domande, mi dice quale sia il “vero” intento: «inventare una storia» dietro la storia della lampada che stanno realizzando.

(Nota del 23 Gennaio 2012)

In questo episodio è interessante notare come la narrazione di una tradizione sia parte integrante della progettazione ma non nel senso di realizzare una lampada secondo quella tradizione, ma creare una narrazione che, agli occhi esterni, eserciti una funzione di supporto retrospettivo alla progettazione stessa. Non a caso, Casabase usa il termine “inventare”: come una lampada, anche la narrazione viene progettata, nel senso di ben congegnata, in modo tale che la narrazione si sposi perfettamente alla progettazione della lampada.