Tra le più articolate riflessioni sulle pratiche sociali apparse recentemente, vi è quella di uno dei sostenitori del practice turn, Theodore Schatzki [1996, 1997]. Egli nota come la teoria sociale si sia storicamente divisa fra due concetti fondamentali: la totalità sociale da un lato e l’individuo dall’altro. Tuttavia, l’unitarietà ontologica di queste due realtà è stata messa a dura prova da correnti eterogenee vagamente definite postmoderne, e dai “teorici della pratica” (practice theorists), i quali a loro volta hanno scelto due strade: alcuni si sono concentrati esclusivamente su contesti specifici di ricerca, mentre altri si sono impegnati in nuove teorizzazioni globali. Contro il concetto di totalità sociale si sostiene l’idea che la società sia qualcosa in più della somma delle parti che la compongono, e contemporaneamente viene messa in discussione l’idea di identità cartesiana del soggetto in quanto essere pensante. L’identità, al contrario, è un costrutto sociale, e per questo motivo l’identità è una dimensione instabile e precaria.
Tuttavia, Schatzki, pur condividendone l’intento polemico, parte da presuppo-sti diversi rispetto a quepresuppo-sti movimenti “anti-totalità” e “anti-individuo”. Sulla scorta di Ludwig Wittgenstein [2005], Charles Taylor [1985] e Hubert Dreyfus [1991], egli sostiene che questi due concetti non abbiano alcuna utilità fondativa: «è illusorio andare alla ricerca di teorie che tengano insieme tutti gli aspetti e i
settori della vita sociale in un blocco coerente e interdipendente» [Schatzki, 1996, p. 10].
In secondo luogo, apprezzare le ricerche che si concentrano su complessità e contingenza non significa apprezzare e abbracciare l’epistemologia relativista. Piuttosto significa apprezzare il tentativo di superare la logica dell’«either/or»
[Schatzki, 1996, p. 11], in cui la teorizzazione moderna si è avvitata con il duali-smo individualità/totalità. Attraverso il concetto di pratica, invece, è possibile, secondo Schatzki, sviluppare «una concezione del sociale adeguata alla com-plessità e alla mancanza di totalità enfatizzata da autori recenti e sostenere una comprensione migliore della costituzione sociale dell’individuo» [Schatzki, 1996, p. 13].
Schatzki riassume la sua concezione di società con il termine tedesco di Zusam-menhang, con cui si indica un insieme di legami contestuali. Zusammenhang non significa però interrelazione, ma individui e relazioni fra individui. Le pratiche sono il mezzo attraverso cui si dispiega tale Zusammenhang. Detto altrimenti, Zusammenhangnon è l’interazione fra individui, ma l’interazione fra individui all’interno di – e per mezzo di – pratiche.
Schatzki individua tre concezioni principali di pratica:
• «fare pratica («practicing») significa imparare come o perfezionare la pro-pria abilità nel fare qualcosa attraverso lo studio e l’applicazione ripetuti» [Schatzki, 1996, p. 89];
• la pratica come «un nesso spazialmente disperso, e che si dispiega nel tempo, di azioni e cose dette (doing and sayings)» [Schatzki, 1996, p. 89];
• la pratica, infine, come «esecuzione di un’azione o di una pratica nella seconda accezione» [Schatzki, 1996, p. 90].
Ognuna di queste definizioni coglie un aspetto e un significato differente delle pratiche e un utilizzo diverso del termine, anche se questi aspetti, in diversa misura, sono sempre presenti in ogni pratica. Prendiamo il gioco del tennis, ad esempio. In riferimento alla seconda accezione di pratica, occorre considerare che la storia di questo sport inizia 500 anni fa circa, la cui prima trattazione completa risale al 1555, con il Trattato del giuoco della palla di Antonio Scaino da Salò [Clerici, 2007]. Esso è diffuso in tutto il mondo: dal più sperduto campetto di periferia al fatto che la stagione ufficiale (che va da gennaio a novembre) si chiama World Tour, proprio perché i diversi tornei si giocano in tutti i contenenti. Nella terza accezione, giocare a tennis significa non solo colpire la palla secondo le regole del gioco (ossia mandare la palla al di là della rete, nella metà campo avversaria), ed eseguire i colpi principali (diritto, rovescio, volée, servizio, smash) secondo una meccanica precisa, mettere in pratica gli insegnamenti impartiti in teoria. Infine, per padroneggiare i colpi con sicurezza, ed eseguirli “a regola d’arte”, occorre esercitarsi, fare pratica, nella prima accezione.
Per Schatzki, esistono due tipi di pratiche: le pratiche diffuse [Schatzki, 1996, p. 91–98] sono pratiche disperse in diversi settori della vita sociale: seguire una regola, obbedire, classificare, spiegare e così via; le pratiche integrative sono invece pratiche organizzate, complesse, che costituiscono domini separati della vita sociale.
Le pratiche diffuse dunque sono pratiche trasversali ai diversi domini della vita associata, mentre le pratiche integrative sono pratiche che costituiscono domini specifici; le pratiche integrative, però, non sono da considerarsi un insieme di pratiche diffuse, e, simmetricamente, non significa che le pratiche diffuse esistano esclusivamente nella loro forma integrata. Cosa significa tutto ciò? L’esempio di Schatzki è, semplificato, il seguente. “Descrivere” è, nella sua terminologia, una pratica diffusa. Tuttavia, solitamente, le persone, quando descrivono, lo fanno mentre sono impegnati a portare avanti una pratica integrativa, come ad esempio, cucinare: ad esempio, sto descrivendo una ricetta. Solitamente significa “non sempre”: di conseguenza, oltre a comprendere le azioni e i discorsi connessi al “descrivere una ricetta”, ossia descrivere nella sua forma concretizzata in una pratica integrante, io comprendo anche le azioni e i discorsi legati al “descrivere” ossia, descrivere in quanto pratica diffusa come pratica generale del descrivere.
La teoria proposta da Schatzki sostiene che le pratiche integrative siano com-poste da tre elementi: comprensione pratica (practical understanding) regole espli-cite(explicit rules) e teleoaffettività (teleoaffectivity). La comprensione pratica va intesa nel senso di “sapere come”, ossia un know-how al contempo performativo e comprendente, che riguarda sia il sapere agire che il dar senso all’agire stesso. Ma la comprensione pratica, per sorreggersi, ha bisogno di altri due elementi: regole e teleoaffettività. Se le «regole [. . .]sono formulazioni esplicite» [Schatzki, 1997, p. 301], «per teleoaffettività si intende l’orientamento verso uno scopo e il modo in cui le cose acquistano importanza» [Schatzki, 1997, p. 302]. L’azione, cioè, è sempre orientata verso un fine. Quali siano i fini dipende sempre dal contesto; ciò che è universale, invece, è il fatto che in tali azioni sia sempre coinvolta una componente emotiva, espressa attraverso l’attività umana e che risiede nelle condizioni concrete di vita. Tali condizioni di vita tuttavia non sono stati mentali, ma esse stesse pratiche: comprendere, sentire, credere non sono rappresentazioni, ma stati concreti dell’esistenza e delle relazioni tra le cose del mondo.
Pertanto, per Schatzki, le pratiche sono costitutive della società ad ogni livello. Tuttavia, la sua speculazione si colloca ad un livello squisitamente teorico e, paradossalmente, ciò che alla fine sembra rimanere in secondo piano è proprio la pratica.
Bourdieu, Anthony Giddens e Theodore Schatzki, si può notare come il filo invisibile che li tiene insieme sia il progressivo grado di astrazione teorica che via via ha assunto la discussione sulle pratiche. Un tentativo di restituire concretezza e mordente all’analisi delle pratiche, a partire dal tema del lavoro, è quello dei Practice–Based Studies, una gamma di studi empiricamente fondati, e con presupposti teorici talora piuttosto differenti, che hanno in comune lo studio del lavoro nei suoi aspetti pratici. Nel prossimo paragrafo vedremo più in dettaglio di cosa si tratta.