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Studio Lambda e Alpha, come ricordato, hanno dato vita ad una joint venture, Theta. Questo evento ha costituito un’occasione ghiotta per assistere da vicino alla formazione e costruzione di una nuova realtà istituzionale e organizzativa. Sotto questo profilo, dare vita ad una nuova istituzione, un nuovo player sul mercato, significa compiere tutta una serie di atti pratici che, nel loro comples-so, vanno a costruire l’identità istituzionale. Ciò che costituisce l’identità di un’organizzazione, dunque, è un prodotto endogeno delle azioni concrete porta-te avanti dagli attori. In secondo luogo, nella costruzione di una nuova identità istituzionale, i diversi partecipanti a tale costruzione, se da un lato entrano in questi processi con le proprie identità personali e organizzative passate, dall’altro devono anche temporaneamente privarsene per crearne una futura. Sotto questo profilo, dunque, la joint venture si comporta come una sorta di apprendista

collettivo, che deve imparare sul campo, sin da principio, a comportarsi come membro competente del mercato a cui si rivolge: apprendista perché novizio del campo, e collettivo perché dietro l’unitarietà della singola organizzazione vi è una pluralità di soggetti.

L’atto più rilevante, quanto meno sotto il profilo simbolico, nella creazione e costruzione di una nuova identità istituzionale, è quello dell’imposizione del nome. Scegliere il nome, per quanto obbedisca a repertori di giustificazione che attingono all’evocazione, alla significatività, all’immaginazione, comporta anche una serie di atti pratici dai quali non si può prescindere se si vuole che gli effetti simbolici desiderati abbiano l’efficacia sperata:

D2 arriva nel loro spazio, saluta tutti e inizia a parlare di una questione che era emersa ieri sulla ricerca dell’“anteriorità del marchio” (la ricerca di anteriorità del marchio è una ricerca che una società deve fare – anche se non per obbligo di legge – presso le camere di commercio per sincerarsi che il proprio nome commerciale o il proprio logo – il proprio “marchio” in senso lato – non sia stato registrato già da altri). Come detto, Studio Lambda e Alpha hanno dato vita ad una joint venture nel settore del lighting design; a luglio, nelle bozze della presentazione che mi aveva mostrato Eddie, tale joint venture veniva presentata come Lighting Division di Alpha. In realtà, da un po’ di tempo a questa parte, a tale divisione è stato dato un nome proprio (se non ricordo male, la prima volta che ho sentito chiamarla con questo nome è stato alla presentazione dello Studio Alpha per gli studenti, tenuta da uno dei soci). Per usare questo nome, però, occorre fare una ricerca di anteriorità del marchio, ossia ricercare che nessuno abbia registrato tale marchio (se non erro, da quel che diceva Casabase il 15, sempre con D2, nella propria categoria merceologica). Questa ricerca, però, è un servizio a pagamento offerto da studi specializzati in questo; Eddie aveva trovato su Internet dei siti che fanno tale ricerca online, ma anche questi sono a pagamento. E questo adesso pone un problema: da quel che ho capito, D2 sta preparando una presentazione della divisione lighting da inviare a delle aziende, in primo luogo ad una grossa azienda multinazionale a cui vorreb-bero chiedere la sponsorship per l’installazione alla Fiera Internazionale; il problema che D2 pone a Eddie e Casabase è: con che nome ci presentiamo? Come Theta, oppure come “Alpha-Divisione Lighting”? La discussione fra i tre su questo problema coinvolge diversi aspetti. D2 chiede: «Ci presen-tiamo come Theta oppure aspetpresen-tiamo che ci entrino dei soldi per pagare la ricerca di anteriorità e nel frattempo ci presentiamo come “Alpha-Divisione Lighting”?» Questa seconda opzione non convince né Eddie, né Casabase, ma per considerazioni differenti. Il senso del discorso di Casabase è:

«Par-tiamo già con il nome Theta, devi cambiare nome solo se la ricerca va male; se invece parti come Alpha-Divisione Lighting comunque poi devi cercare un altro nome, che sia Theta o un altro»; Eddie, invece, non adduce delle motivazioni, ma dice: «il mio convincimento, che è condiviso anche dai soci di Alpha, è partire direttamente come “Theta”, al massimo come “Theta by Alpha”»; questa affermazione di Eddie, tra l’altro, risulta in linea con il fatto che D2 dice che nella presentazione il nome di Alpha compaia solo nella presentazione, e non nel nome; Eddie dice di aggiungere anche la storia dell’incontro fra Lambda e Alpha. Sempre sulla questione del nome, D2 chiede se anche con l’azienda che sta contattando per la fiera Internazionale debba usare il nome “Theta”, oppure “Alpha-Divisione Lighting”; sia Eddie che Casabase dicono di usare “Theta”.

(Nota del 17 Novembre 2011)

Il senso della conversazione riportata in questo stralcio è piuttosto evidente, e riguarda tutte le questioni di ordine pratico legate alla scelta di un nome commerciale da parte di un attore economico. Allorquando si sceglie un marchio, sia esso una parola o un simbolo grafico, occorre registrarlo presso l’ufficio marchi e brevetti, affinché, ai sensi di legge, si possa godere del diritto esclusivo ad utilizzarlo. Per diritto esclusivo si intende che altri non possono utilizzarlo e che, qualora lo facessero, ci si potrebbe rivalere contro. Allo stesso modo, per evitare di utilizzare un marchio già registrato ed utilizzato da altri, occorre sincerarsi che il marchio che si vuole utilizzare non sia stato effettivamente registrato: è questa la ricerca d’anteriorità di cui si parla. Tuttavia, effettuare questa ricerca per essere certi che il marchio sia utilizzabile legittimamente, nel breve lasso a disposizione prima dell’invio della presentazione, e con il budget attuale, è impossibile, per cui occorre decidere se utilizzare un nome alternativo in attesa della ricerca di anteriorità oppure utilizzare quello concordato. Le motivazioni per cui portano sia Casabase che Eddie a sostenere questa seconda scelta è di ordine strettamente pratico: se si partisse con un nome provvisorio, essi sarebbero costretti a cambiare nome indipendentemente dall’esito della ricerca di anteriorità del marchio; partendo con il nome Theta, invece, dovrebbero cambiarlo solo qualora esso fosse già stato registrato da altri. Da un punto di vista di un calcolo statistico pratico degli esiti possibili, intuitivamente, e strategicamente, a loro conviene utilizzare il nome Theta sin da principio.

Come visto precedentemente (nel paragrafo 4.1) uno degli artefatti materiali attraverso cui Theta comunica la propria identità è il Portfolio Concept, ossia una collezione di propri progetti. Un’altro artefatto materiale spesso utilizzato è la presentazione:

Mike chiede a Casabase di sedersi accanto a lui per vedere, ed eventualmente correggere, una presentazione da inviare ad una azienda. L’azienda è quella con cui si sono incontrati il 6 di questo mese; hanno concluso l’incontro con l’impegno di inviare loro una “presentazione”, ossia un documento informatico illustrativo di alcuni progetti. Ogni pagina del documento, una “diapositiva”, presenta degli schemi di progetto (Tema di progetto) di diversi loro concept. Alcuni disegni illustrano il processo di assemblaggio di un dato prodotto.

(Nota del 23 Febbraio 2012)

Con il termine presentazione, in realtà, essi identificano sia l’artefatto, sia l’occasione socialmente organizzata in cui tale artefatto viene utilizzato. L’identità viene trasmessa anche attraverso alcuni accorgimenti grafici:

Ogni presentazione ha lo stesso font per le intestazioni. Chiedo a Mike se abbiano una sorta di foglio di stile, e lui mi dice in realtà di no, ma ha copiato le scritte da un altra presentazione poiché «è bene avere uno stile uguale per tutte le presentazioni».

(Nota del 23 Febbraio 2012)

Avere uno stile delle presentazioni sempre uguale, come dice Mike, significa avere uno stile riconoscibile, nel senso di riconducibile a quel dato soggetto e non a un altro, a comunicare, un’identità univoca.

Uno strumento attraverso cui si comunica la propria identità è il cartiglio: come mi spiega Mike, esso è un riquadro solitamente posto in basso, nel foglio del disegno tecnico, in cui vengono inserite tutte le informazioni necessarie per il disegno; serve soprattutto quando si ha a che fare con i fornitori, per stabilire una corrispondenza biunivoca fra il disegno e i riferimenti, che nasce anche da ragioni organizzative, per mettere ordine, soprattutto su diverse versioni di un disegno.

Per costruire la propria identità non basta soltanto mettere in atto delle strategie attive orientate verso quello scopo, ma anche avere altri soggetti che riconoscano e legittimino tale identità. Occorre, insomma, tessere una rete di relazioni con altri soggetti:

D2 fa capolino nello spazio, per parlare dell’attività di promozione estera. Comunica a Eddie il budget: 10000e per 4 città per un anno di promozione. La promozione consiste nell’incontrare importanti studi di architetti nelle più importanti città europee, per presentarsi in vista di possibili collaborazioni future. Il confronto è su quali città, sui tempi e sugli incontri. Per D2, l’idea

tipo è di visite brevi, due notti di pernottamento, e 6/8 incontri totali, in 3 città, più la fiera internazionale. Come città lui aveva identificato Londra, Parigi e la Ruhr. Per Eddie, invece, 3 città sono un po’ poche, perché vengono tagliate fuori una serie di città anch’esse importanti per l’architettura, come Rotterdam, Copenhagen, Bruxelles, oppure città e Paesi emergenti nella cultura e nell’architettura, come Austria, Polonia, Praga, Istanbul. E poi, secondo lui, 4 incontri al giorno sarebbero oltre che estenuanti, un aumento della complessità, perché questo significherebbe «trovare gli studi che ti vogliono incontrare, all’orario che dici tu, nel giorno che dici tu, e poi incastrarli tutti fra di loro». Alla fine, D2 chiosa proponendo che la stessa proposta di budget e città si potrebbe proporla per 6 mesi, da prendere come un periodo di prova, e di identificare queste prime città (che Eddie definisce “di fascia A”), e poi riservarsi nei messi successivi incontri nelle altre città (che Eddie dapprima aveva definito “di fascia B”, ma che poi concordano non esserlo, visto che, come dice Eddie «è rimasto fuori tutto il nord Europa»). Si salutano, e D2 va via.

(Nota del 13 Marzo 2012)

La natura e gli scopi di questa conversazione sono piuttosto evidenti, ossia av-viare l’attività di promozione estera di Theta. È importante notare come questa attività, per quanto volta ad ottenere delle ricompense sul piano simbolico (in-staurare dei rapporti professionali per essere riconosciuti, all’estero, come degli interlocutori legittimi in ambito del lighting design), sia comunque e inevitabil-mente incentrata su una serie di atti pratici da cui l’esito simbolico stesso dipende. La massimizzazione dei profitti, dati i vincoli di budget, infatti, si scontra con una serie di scelte e di limiti: concentrare più incontri possibili per ogni città, ad esempio, presupporrebbe un controllo totale sull’agenda non solo di Theta, ma anche dei potenziali interlocutori, con la conseguente possibilità di fissare appuntamenti nell’esclusivo interesse di Theta: una possibilità solo teorica, ma non in pratica, come fa notare Eddie. Insomma, per ottenere gli effetti simbolici sperati, non si può prescindere dal mettere in pratica una serie di atti pratici commisurati allo scopo.

Il controllo sugli esiti simbolici è solo fino ad un certo punto nelle disponibilità di Theta, e dunque a seconda delle strategie immaginate e delle reazioni dei propri interlocutori, possono essere messi in atto dei correttivi:

Verso le 14:55, uno dei soci passa da queste parti per aggiornarli su quanto detto prima. Ha sentito quello che prima aveva definito “il loro amico” per capire le intenzioni della sua azienda. Da quel che ha capito, il rischio è che si sviluppi un prodotto che poi «non esce» (ossia, non va sul mercato)

e in questo momento «a noi non servono i 5000 e in più, a noi servono i prodotti fuori che sono pubblicità». Per questo, illustra la sua strategia, ossia contattare un’altra azienda che farebbe da partner, con costi zero per questi ultimi perché lo farebbe Theta come consulenza, e con in più la possibilità di uscire sul mercato: per questo, vuole sapere qual è la loro opinione. Eddie in realtà non è tanto d’accordo sul fatto di esplicitare in tutto e per tutto questa strategia, ossia non vorrebbe svelare le loro mosse subito, mentre sia il socio che Casabase ritengono che sia meglio invece essere trasparenti, perché hanno già lavorato con questa azienda e sanno che sono molto macchinosi nei processi decisionali.

(Nota del 18 Ottobre 2011)

In questo caso, Theta sta sviluppando il progetto di un prodotto, e si sta rivolgen-do ad una serie di aziende. A seconda della strategia commerciale perseguita, Theta percepirebbe il compenso per l’attività di progettazione indipendentemen-te dallo sviluppo del progetto fino alla produzione in serie. Tuttavia, quest’esito, se corretto da un punto di vista economico e commerciale, sarebbe problematico da un punto di vista della costruzione dell’identità, poiché il progetto a nome Theta non arriverebbe mai sul mercato, e il nome di Theta non “girerebbe”. Di conseguenza, la strategia perseguita, in ottica di costruzione dell’identità, punta più a massimizzare le ricompense di ordine simbolico anziché economico.

In generale, dunque, crearsi un nome e accreditarsi presso il pubblico dei pari, rispondono ad una doppia logica: da un lato, avviare un network per future collaborazioni, dall’altro avviare collaborazioni fruttuose, che diano ritorni piuttosto di immagine che economici.