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All’interno di Studio Lambda, l’espressione “fare luce” perde gran parte dei suoi significati metaforici ed acquisisce una sua concreta ed inesorabile mate-rialità: concretamente, significa progettare e costruire un apparecchio luminoso, ossia un oggetto che emetta luce. Nelle sue componenti fisiche e materiali, Studio Lambda viene aiutato molto da un software di calcolo illuminotecnico, il quale permette di simulare la propagazione della luce attraverso il particolare ogget-to progettaogget-to. Le ragioni per cui ricorrere alla simulazione sono al contempo progettuali ed economiche, come mi disse il primo giorno Casabase:

Stanno lavorando su un riflettore a forma di parabola. Utilizzano un software in cui inseriscono una serie di parametri, (forma, materiale. . . ) ed il software calcola i raggi della sorgente luminosa, simulando l’interazione fra la sorgente e l’area. Questa è solo una fase preliminare: «si fanno tante e tante simulazioni, prima di fare un prototipo che costa svariate migliaia di euro», mi dice Casabase [. . .] Ora sta disegnando il supporto su cui andrà a posizionarsi la sorgente di luce nella maniera più precisa possibile «per tenere conto di più variabili». Poi importa il disegno nel programma di simulazione «per vedere se la mia intuizione iniziale è giusta», prima di passare alla fase di prototipizzazione; altrimenti fa altre prove [. . .] Due variabili di cui tiene conto è la direzione del raggio di luce (che andrà ad incidere su una superficie, e verrà rifratto perpendicolarmente alla superficie

incidente); il materiale della superficie incidente. In questo caso, Casabase si occupa solo di considerazioni di tipo ottico.

(Nota del 15 Giugno 2011)

Riuscire a prevedere, ossia ad inscrivere all’interno del progetto, il comportamen-to di quante più variabili possibili permette non soltancomportamen-to di riuscire ad ottener un oggetto quanto più vicino alle “intuizioni iniziali” ma permette anche di non gettare al vento soldi ed erodere il budget destinato a quel dato progetto.

Il ruolo ricoperto dal software di simulazione è di cruciale importanza, per i progettisti di Studio Lambda:

Il lanciare il calcolo, ossia la simulazione tecnica dell’illuminazione, serve a dare al designer delle indicazioni. Casabase mi dice, infatti, che talvolta neanche lui riesce a ad immaginare quale sarà l’effetto finale reale.

(Nota del 4 Luglio 2011)

La progettazione illuminotecnica coinvolge tanti aspetti differenti: riuscire a tenerne conto simultaneamente, per poter prevedere come il prodotto illumino-tecnica si comporterà, è compito arduo anche per il progettista più esperto. La simulazione tramite software, allora, diventa un supporto che permette al proget-tista di ricavare delle indicazioni utili sugli effetti finali, sui limiti, sull’efficienza e così via.

Il software, tuttavia, non deve essere considerato né come una soluzione definitiva, né come un sostituto del progettista. Piuttosto, in quanto attante, partecipa attivamente alla progettazione nella buona come nella cattiva sorte. Talvolta, il software non sempre ha ragione:

Casabase e Mike lanciano anche una seconda simulazione, tuttavia questa non va a buon fine: secondo loro ciò è dovuto, molto probabilmente, o all’avere attribuito alla superficie del diffusore il valore di un materiale non adatto, oppure al fatto che il programma non ha interpretato il diffusore co-me un pezzo unico. Discutendo i risultati, Casabase e Mike si accorgono che la simulazione al PC non riesce a tenere conto di alcuni effetti che si possono verificare nella realtà e documentati: ad esempio, nella realtà l’acrilico riesce ad assorbire una piccola quantità di luce, mentre il programma assume che l’acrilico non assorba luce.

(11 Luglio 2011)

In questo episodio, innanzitutto è descritta, a livello implicito, una delle tante funzioni del software. Per simulare il comportamento della luce propagata da un dato oggetto, occorre “dire” al software il materiale di cui è composto

l’oggetto o parte di quell’oggetto (verosimilmente, la parte dell’oggetto che interagisce con la la sorgente luminosa, come ad esempio un paralume), ossia attribuire all’oggetto o parte dell’oggetto, selezionando da un menu contestuale, le proprietà di un dato materiale. In questo caso, la proprietà di diretto interesse per le prove, è l’assorbimento, ossia la capacità di un corpo di assorbire luce. Il software attribuisce al materiale usato, l’acrilico, un valore di assorbimento pari a 0, sebbene ciò non sia in realtà del tutto vero: di conseguenza, è nell’interazione tra gli attori umani e non umani che risiede il valore di verità pratico sulle quali basare le decisioni strategiche di progettazione.

Per ottenere risultati validi ai fini della progettazione occorre innanzitutto dare i giusti input al software. Sul piano pratico, ciò consiste nel predisporre il file in maniera adeguata:

Il passaggio successivo è importare il file disegnato su Modeling 1 in Si-mulation 1. Una volta importato il file, il passaggio successivo è quello di attribuire alle varie superfici gli attributi del materiale: questa operazione è una funzione del software: si seleziona la parte del disegno interessata, e da un menu a tendina si sceglie il tipo di materiale da simulare; ad ogni materiale sono associati parametri di caratteristiche fisiche, che verranno prese in considerazione dal software in sede di simulazione. Casabase dice a Mike che tipo di materiale assegnare ad ogni singola parte; ma prima di cominciare, Casabase suggerisce a Mike di cambiare un’opzione, «altrimenti poi ti scordi, lanci la simulazione e ti viene come l’altra volta» (si riferisce a quando Mike fece tutta una serie di simulazioni per il portfolio concept, in cui il programma di simulazione dava alcuni errori di interpretazione). Mike non ricorda bene come fare, ma prima che Casabase gli dica come fare dice: «aspetta, non me lo dire» e infatti riesce a ricordarsi la procedura corretta. Particolare attenzione è data alla scelta del materiale della super-ficie riflettente. Per fare questo Casabase prende un serie di campioni di materiale riflettente, lo guarda, cerca di capirne le caratteristiche; ad ogni campione è associato un codice; questi stessi codici identificano il materiale nella libreria dei materiali caricati nel software di simulazione; Casabase sceglie un materiale e chiede a Mike se c’è nella libreria; se non c’é, Mike gli dice il codice più vicino, Casabase lo cerca fra i suoi campioni e lo valuta; se gli piace dà l’ok, altrimenti ne sceglie un altro che gli sembra simile, e ricomincia il giro: se c’è, bene, altrimenti ne cerca un altro, e così via per due o tre volte. Infine, stabiliscono il numero di raggi emessi da simulare. Dopo di che viene lanciata la prima simulazione.

In questo caso si è davanti ad una descrizione pratica di quanto, nell’episodio precedente, era contenuto a livello implicito, ossia come in Studio Lambda decidano, di volta in volta, che tipo di materiale utilizzare; tuttavia, ci sono altri aspetti da sottolineare. Innanzitutto, le scelte dei diversi materiali non solo dipendono dalle loro proprietà fisiche, in relazione alle questioni specifiche di progettazione della luce, oppure a questioni estetiche, ma anche da scelte di ordine contestuale e dipendenti dalle possibilità (o impossibilità) del software stesso: se il materiale scelto sia disponibile o meno all’interno della libreria del software. In secondo luogo, la scelta del materiale “sostitutivo”, se vogliamo chiamarlo così, dipende in maniera inequivocabile, e inevitabile, dalla capacità del progettista (Casabase, in questo circostanza) di attingere e mettere in pratica il proprio sapere esperto nel riconoscimento di omologie fra i diversi materiali, per quel che riguarda le loro proprietà fisiche in relazione a quella data questione progettuale.

I risultati delle simulazioni servono, come detto a fornire delle indicazioni al progettista. Tuttavia, tali risultati non sono sempre univoci o definitivi. Essi devono essere interpretati dal progettista stesso. Gli output del software, dunque, per fornire indicazioni utili ai progettisti devono essere trasformati in risultati dai progettisti stessi tramite l’interpretazione:

Il risultato della simulazione è da interpretare: la simulazione come già notato sin dalle prime simulazioni è un’immagine che non riesco a definire in altro modo che “termica”: in base una scala secondo cui a diversi colori corrispondono quantità maggiori o minori di lux emessi, vengono simulati la distribuzione della luce sul piano e i picchi di intensità. Data un’occhiata a questa simulazione, Casabase dice a Mike di lanciarne un’altra cambiando il materiale della superficie riflettente, in modo tale da fare un confronto; infine, ne lancia una terza.

Il mio interesse si pone sull’interpretazione dei risultati. Innanzitutto, noto che fra le diverse simulazioni ci sono differenze nella scala (ossia, agli stessi colori corrispondono intervalli di intensità diversi: ad esempio, nella prima simulazione la scala termina a 26000 lux, mentre nella seconda a 28000). Io chiedo a Casabase se questo non generi problemi di interpretazione, e lui mi dice che questo non rappresenta un problema di per sé, dato che a lui interessa più la distribuzione della luce, e non i picchi di luce. Cosa significa? Nella simulazione, viene prodotta un’immagine che riproduce lo “sviluppo” della distribuzione della luce, ossia come la luce viene proiettata su un piano. Questa distribuzione riproduce cromaticamente l’intensità della luce proiettata sul piano: i colori sul fondo scala rappresentano le zone più buie; quelle con i colori in cima alla scala le zone più illuminate; dunque,

a Casabase non interessa tanto sapere se il picco di luce in una simulazione è maggiore del picco di luce di un’altra simulazione, ma come cambia la distribuzione della luce nelle diverse simulazioni; di conseguenza, è più importante, in questo caso, massimizzare l’area illuminata che non il picco di luce.

Infine, una volta capito come interpretare colori e distribuzione, occorre capire che relazione c’é fra la forma della distribuzione e la superficie illumi-nante, ossia, a cosa corrisponda la forma dell’immagine della luce simulata nel disegno della sorgente luminosa. In questo caso è Mike a spiegarmelo, mostrandomi di volta in volta quale pezzo di distribuzione (ad esempio, la parte colorata in verde) corrisponda alla superficie della fonte; effettiva-mente, con l’ausilio di Mike è più semplice comprenderlo ed è possibile vedere una similitudine fra la distribuzione e la superficie. In questo caso, il paralume della lampada a sospensione è a forma di semiparabola, e il LED proietta la luce su di esso (quindi la luce viene emessa dal diodo (LED) verso l’alto, riflette sul paralume ed illumina la superficie) pertanto la maggiore quantità di luce è concentrata al centro, e via via degrada verso l’esterno.

(Nota del 10 Novembre 2011)

In questo denso episodio vi sono diversi elementi da sottolineare. In primo luogo, quanto anticipato prima, ossia che l’output della simulazione non parla per sé: infatti, esso è, agli occhi del profano, nient’altro che un’immagine co-lorata, vagamente simmetrica (infatti, nelle mie note l’ho definita “termica” in maniera del tutto impropria perché mi ricordava le immagini acquisite tramite infrarossi); quell’immagine, nel linguaggio tecnico del software, prende il nome di “Illuminance Map” (mappa di illuminamento), attraverso cui si analizza la distribuzione spaziale della luce su una superficie. In secondo luogo, la stessa immagine, acquista un senso differente a seconda che sia correttamente inter-pretata in base a dei parametri (la scala di misurazione) oppure raffrontata ad altre (infatti, vengono fatte più prove, e le diverse immagini prodotte vengono comparate fra di loro). In questo caso, il significato dell’immagine, rapportato al valore assoluto della scala di riferimento, cambia allorquando cambia la scala di riferimento (in un’immagine il valore massimo è di 26000 lumen, nel secon-do caso di 28000) o l’immagine con cui viene confrontata. Di conseguenza, le indicazioni e le conoscenze che emergono nel raffronto sono delle conoscenze differenziali, ossia indicazioni non assolute, ma di variazioni differenziali e dun-que contestuali, relative ai singoli parametri modificati. In quarto luogo, infine, le immagini sono astratte e specifiche allo stesso tempo, poiché rappresentano, in relazione a quella particolare sorgente luminosa, solo parzialmente un effetto

reale del flusso luminoso: l’immagine, in sé non è una riproduzione di ciò che sarà l’effetto “estetico” del flusso sul pavimento o sulla parete che andranno ad eliminare; tali indicazioni, laddove ricavabili, lo sono fintanto che l’occhio allenato del progettista riesce ad imputare correttamente tale immagine all’effetto finale reale.