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Charles Goodwin definisce la visione professionale come «i modi socialmen-te organizzati di vedere e comprendere gli eventi che devono rispondere agli interessi di un particolare gruppo sociale» [Goodwin, 1994, p. 606]. Il vedere è un’attività cha viene sempre da una certa posizione, da un “punto di vista”, e i modi attraverso cui noi guardiamo ai fatti del mondo sono modellati storica-mente [Baxandall, 2001] e in base alle pratiche interpretative in uso in una data comunità di pratica. Uno stesso fenomeno sarà vista diversamente a seconda del punto di vista adottato: i modi di guardare al fenomeno luce da parte dei lighting designer saranno diversi rispetto a quello dei fisici o degli elettricisti. Inoltre, lo sguardo professionale è uno «sguardo competente» [Grasseni, 2007,

2008], ossia uno sguardo appreso attraverso la partecipazione periferica legittima [Lave e Wenger, 2006] ad una comunità di pratica: é uno sguardo addestrato.

Nel caso di Studio Lambda, quando si parla di visione professionale lo si fa in un duplice senso. Da un lato, essa è professionale in quanto il vedere è costruito da membri competenti della comunità (professionale) dei lighting designers; dall’altro è professionale poiché il vedere è uno strumento di lavoro peculiare della professione stessa del lighting designer:

Spenta la sigaretta, andiamo nel magazzino: Casabase deve fare delle prove di illuminazione del device. La prima cosa che fa è ritagliare da un rotolo piuttosto lungo e spesso, un quadrato delle dimensioni del riquadro della parte superiore del device; questa è una “superficie specchiante”, che andrà collocata all’interno del device; Casabase all’inizio è un po’ perplesso, perché non gli sembra adesiva; poi, sfiorando un angolo, si rende conto che la pellicola protettiva è trasparente (e dice che non l’aveva notata perché la volta precedente in cui aveva utilizzato questa superficie la pellicola protettiva era diversa); dopo di che attacca questo pezzo di superficie all’interno del device. Dopo, prende da uno scaffale un pezzo di plastica (ne ritaglia un pezzo e lo applica sopra il riquadro; accende il device per controllare l’effetto luminoso. Dopo pochi minuti mi fa vedere cosa non va: si formano delle righe al centro della plastica; dopo di che, lascia acceso il device («per fargli fare dei cicli») e usciamo.

(Nota del 20 Novembre 2011)

Casabase sta lavorando al dispositivo di supporto alla rete di vendita di una multinazionale. Dopo aver applicato una superficie specchiante sull’interno della scocca del dispositivo, lo accende e guarda il device acceso: in questo caso, guardare è parte integrante (se non caratterizzante) del lavoro stesso di Casabase in quanto progettista illuminotecnico. Questo guardare professionalmente gli permette di individuare, “in un colpo d’occhio”, ciò che non va, ossia delle righe sul display. È questo lo sguardo professionale nella seconda accezione, meglio esemplificata dall’episodio seguente:

Dopo qualche minuto, andiamo con D5 nel magazzino, così che Casabase gli possa illustrare i risultati delle sue prove. Essenzialmente, gli ripete quanto fatto, ed il fatto che si vedono appunto delle “sporchine” e a ben vedere delle righe, ma più leggere rispetto a prima. D5 osserva attentamente il device, ma non riesce a vedere ciò che Casabase dice di vedere; al che Casabase gli dice: «tieni conto che io ho un occhio allenato, sono abituato a vedere queste imperfezioni». Al che D5 gli dice che sicuramente è un bene, ma che a questo stadio secondo lui l’effetto luminoso può andar già bene.

(Nota del 23 Novembre 2011)

In questa conversazione fra Casabase e D5 è possibile notare come Casabase sia consapevole del fatto che la visione professionale del lighting designer è una visione addestrata: “allenata”, nelle sue parole. La resa del dispositivo non è ottimale, infatti vi sono delle imperfezioni (delle “righe” e delle “sporchine”1). Ma queste imperfezioni, per i partecipanti a questa scena (Casabase, D5 e io), esistono solo attraverso la mediazione della visione esperta di Casabase. Più precisamente, lo sguardo professionale di Casabase crea, agli occhi dei profani, una doppia entità: innanzitutto, crea “qualcosa” (poiché D5 non vede niente che Casabase dice di vedere); in secondo luogo, categorizza quel qualcosa in quanto imperfezione. In questo modo, attraverso questo duplice processo di creazione e categorizzazione, ciò che noi profani vediamo sono direttamente delle imperfezioni.

Lo sguardo è professionale proprio perché appreso attraverso la partecipazione ad una comunità di pratica più ampia. Essere professionali significa riconoscere gli altri membri del proprio mondo professionale e riconoscersi in questo mondo:

Mike non solo dice che non riesce a notare queste imperfezioni, a differenza di Casabase, ma chiede anche a Casabase se non sia una sua “fissazione”, questa cosa delle imperfezioni, un eccesso di zelo dovuta più alla sua preci-sione maniacale, o al fatto che lui sia esperto di queste cose. Casabase dice che sicuramente da una parte questa cosa di essere lui piuttosto attento ad eventuali imperfezioni incide, ma conta anche il fatto che lui conosce bene il project manager che sta seguendo il progetto, e sa quanto quest’ultimo sia molto attento ad eventuali imperfezioni: e sa il project manager note-rebbe subito un problema del genere. E aggiunge, quindi, che vale la pena correggere questi errori, «non è un lavoro impossibile da fare, solo lungo».

(Nota del 12 Dicembre 2011)

L’oggetto di questo episodio è costituito dalle stesse imperfezioni di cui si è parlato negli stralci precedenti. Mike, product designer di formazione che lavora all’interno di Studio Lambda, è per certi versi un profano della comunità profes-sionale dei lighting designers, di conseguenza tende a descrivere l’attenzione al dettaglio di Casabase non tanto come una caratteristica della expertise professio-nale, quanto piuttosto come un tratto della personalità di Casabase (quella di una persona molto precisa). Casabase, invece, descrive la sua precisione come anche motivata da fattori situazionali dovuti alla partecipazione ad una più ampia

comunità di pratica, di cui fa parte il project manager dell’azienda committente: quelle imperfezioni sono tali non tanto per Casabase in sé, ma sono imperfezioni perché così le vedrebbero e le interpreterebbero tutti i membri competenti del mondo professionale che in potenza o effettivamente partecipano a quella con-creta situazione lavorativa, e che così le interpreterebbero qualora si trovassero al cospetto di situazioni analoghe.

Tuttavia, non bisogna commettere l’errore di reificare lo sguardo professionale, come se fosse qualcosa che si possa indossare a proprio piacimento. La visione professionale è quasi come una seconda natura, pronta ad attivarsi in qualsiasi momento:

Nella metropolitana, Casabase osserva le luci che illuminano la metropoli-tana, e dice che sono «led di merda» [sic], perché innanzitutto «virano sul blu», e poi ci sono punti più scuri (ossia, i led sono rovinati). Casabase si alza in mezzo alla metropolitana e, complice la sua altezza, si alza in piedi e inizia a scrutare le luci del treno della metropolitana, nel tentativo di riuscire a vedere all’interno.

(Nota del 25 Gennaio 2012)

In questo breve stralcio, io e Casabase siamo in metropolitana, di ritorno da un incontro con un fornitore. Stiamo chiacchierando del più e del meno, e ad un certo punto mi accorgo che Casabase è distratto da altro: guarda in alto, il soffitto della carrozza; dopo un po’ si alza in piedi per osservare meglio all’interno, nelle intercapedini fra una copertura della lampada e un’altra e, a beneficio del suo interlocutore, trasforma, attraverso il suo sguardo addestrato, i segnali trasmessi dall’artefatto in un sapere esperto. Così l’alone blu della luce non è un semplice alone, ma un indice di bassa qualità della luce; e il punto scuro non è un punto scuro, ma un “led in failure”.