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2.5 La costruzione degli indicatori composti

2.5.5 Riflessioni finali

2.5.5.5 Con “senso di misura”

Secondo Land132, un indicatore assume significato solo quando possiede un valore informativo all’interno di un modello teorico comunque definito – matematicamente, operazionalmente, logicamente, verbalmente, etc. – di analisi ed interpretazione degli eventi sociali (ovvero “di funzionamento dei settori o dei segmenti sociali”). Alcuni principi che ne devono caratterizzare la costruzione, sovente dichiarati ma raramente acquisiti dalle soluzioni apportate, sono i seguenti:

- proprietà di costituire parametri utili al confronto spazio-temporale attraverso l’adozione di metodologie riproducibili ed idonee a rappresentare contestualmente realtà multiformi;

- abilità di “raccontare” il divenire dei sistemi sociali;

- impegno ad assicurare l’analisi integrata dei sistemi, puntando sull’interazione e sulle relazioni esistenti tra le varie aree di interesse;

- collocazione in modelli concettualmente definiti che anche teoricamente ed operativamente servano da guida ed orientamento nell’attività di astrazione scientifica, di selezione degli aspetti pertinenti e rilevanti, di modalità di costruzione delle informazioni elementari e di loro trattamento a fini di determinazione di indicatori.

131 L’intero paragrafo è stato tratto dai seguenti lavori:

- Bernardi L., Capursi V., Librizzi L. (2004). Measurement awareness: the use of indicators between expectations and opportunities, SIS: Sezione Specializzata, Atti della XLIII Riunione Scientifica, Bari.

- Bernardi L., Torelli N. (1990), Le potenzialità offerte alle statistiche sociali ufficiali dalla definizione di modelli e indicatori, ISTAT, Avanzamenti metodologici e statistiche ufficiali, Atti delle prime giornate di studio, Roma, 13-14 dicembre.

Focalizzando l’attenzione su quest’ultimo aspetto e ponendoci in relazione a quanto Land suggerisce, è possibile proporre una preliminare classificazione funzionale di modelli che traduce il valore che acquistano la costruzione, il ruolo giocato, il significato stesso degli indicatori in modelli che prevedono, per diversa natura, diverse procedure operative.

I modelli descrittivi hanno una duplice funzione: in prima istanza essi sono rivolti a mostrare ammontare, composizione, dinamiche delle grandezze relative ai singoli sistemi; in secondo luogo il loro obiettivo è quello di spiegare le relazioni esistenti tra le stesse grandezze considerate e fra queste ed altre appartenenti ad altri sistemi, con i quali sia ipotizzabile un intreccio organico, la cui mancata comprensione potrebbe rendere inintelleggibili comportamenti ed esiti dei processi sotto esame.

L’adozione di modelli previsionali è spesso strettamente condizionata dalla qualità della risoluzione conseguita con i modelli relazionali precedenti, anche se non mancano casi in cui una corretta estrapolazione semplice – e a condizioni controllate – delle dinamiche osservate può risultare efficace a fornire indicazioni di prospettiva.

La funzione dei modelli decisionali riguarda la capacità di stabilire la natura, la misura, la cadenza con cui devono intervenire le intensità e i valori delle variabili che agiscono nei processi, in modo che questi possano essere governati ed indirizzati verso obiettivi giudicati socialmente desiderabili.

Rivolti a “prevedere” gli esiti di scelte possibili nei settori di interesse sono i modelli

simulativi, che si realizzano, secondo logiche distinte, ponendo in alternativa due o più

soluzioni adottabili o sulla scorta degli atteggiamenti desunti dall’analisi di un passato con condizioni di alta similarità.

Infine i modelli valutativi costituiscono strumenti, fondati sull’uso di indicatori di processo o di risultato, il cui ruolo è quello di interpretare il contributo netto determinato dall’azione politica promossa.

Alla preziosa affermazione di Land, tuttavia, la storia degli indicatori sviluppata in questi ultimi decenni sembra aver aggiunto un ulteriore principio: lo stesso singolo indicatore è solitamente il risultato di un processo di disarticolazione di un evento complesso ovvero di un fenomeno sociale che, visto nelle sue componenti elementari, deve essere successivamente riassemblato attraverso giustificate procedure di normalizzazione, aggregazione e ponderazione degli indicatori che sono stati individuati. Chiaramente

questo deve avvenire utilizzando modalità di

oggettive, da fonti o da indagini originali, con la ricerca di connessioni (casuali o non) e secondo punti di vista ragionevoli.

L’indicatore esiste quindi entro un modello ed è anche prodotto del modello stesso: secondo questo principio, esso spesso accresce contenuto e significato di un concetto complesso in esame interno al modello.

Data la copiosa produzione di informazioni statistiche in campo sociale, è possibile affermare che è diffuso un certo entusiasmo per la costruzione e la produzione di indicatori sociali, spesso utili e facili al consumo, frequentemente stimolate da approcci volontaristici e definiti negli esiti attesi anziché basati su solidi modelli teorici e su una buona progettazione ex ante. Molti sono quindi gli interrogativi che nascono rispetto alla legittimità delle scelte di merito e di metodo effettuate in fase di costruzione di un indicatore. Il punto cruciale, come segnalato da Curatolo133, sembra essere dato da una mancanza di “convenienza” nella costruzione di indicatori complessi o “aggregati”. L'autore ha ampiamente delineato le ragioni per cui privilegiare la costruzione di indicatori semplici o “disaggregati”: questo è il motivo per cui nel suo lavoro è quasi del tutto assente l’analisi del passaggio da qualità a quantità. Tuttavia, pur condividendo quanto espresso da Curatolo, riteniamo che il problema della qualità-quantità non possa essere ignorato. Gli obiettivi che permettono l'identificazione di un indicatore condizionano le scelte di merito e di metodo: si possono costruire indicatori per creare semplici graduatorie, per valutazioni, per monitoraggi, per effettuare confronti.

Ma quale utilizzo si può fare del confronto fra singole dimensioni se l'obiettivo è quello di confrontare sistemi e non singoli elementi? È legittimo quindi chiedersi quali indicatori utilizzare e per quale scopo. Una risposta, legata alla difficoltà del concetto da misurare attraverso l'indicatore potrebbe essere la seguente: cerchiamo di trovare un modo per misurare il concetto che, prendendo in considerazione gli obiettivi, risulti essere il più funzionale e miri a descrivere quantitativamente e qualitativamente il processo d’interesse, avendo comunque una mappa di lettura del fenomeno che ne rappresenta un modello d’interpretazione.

Nell’ipotesi che siano gli obiettivi di ricerca a determinare gli indicatori, non è possibile stabilire una definizione chiara di indicatore: vogliamo per questa via affermare che essi sono il legame tra le osservazioni ed il fenomeno che si vuole misurare; sono quindi metadati (dati che descrivono dati), statistiche con uno scopo. Inoltre gli indicatori aiutano

a far luce sul concetto da misurare e finiscono per assumere il duplice ruolo di specificazione e di misurazione del concetto.

È necessario specificare che l'obiettività nella misura di un indicatore complesso è più formale che sostanziale: nel processo valutativo si oppongono quindi misure basate su evidenze fattuali a misure basate su opinioni soggettive.

Un problema da affrontare134 riguarda la costruzione di una scala per misurare un concetto unidimensionale o multidimensionale, soluzione giustapposta alla costruzione di un indicatore semplice o complesso. La misurazione può essere concepita come la costruzione di scale che traducono strutture relazionali empiriche in strutture relazionali numeriche sulla base di specifiche assunzioni teoriche. Se le scale devono quindi riflettere la relazione tra il concetto (costrutto) e la sua misurazione, anche l’indicatore deve riflettere questa relazione.

In generale, il costrutto deve essere rappresentato dalle misure di variabili correlate che danno origine a singoli indicatori.

Quando il costrutto è unidimensionale e direttamente misurabile, il problema consiste nel rispettare le proprietà matematico-statistiche per il confronto (ad esempio nella normalizzazione); qualora il costrutto invece non sia direttamente misurabile, l’attenzione va posta sull’identificazione della relazione specifica tra costrutto ed indicatore, valutando se la trasformazione applicata ai dati originali lascia invariata la scala.

Se il costrutto ha carattere multidimensionale e se sono note la forma generale della relazione che lega ogni variabile ed il relativo indicatore e la funzione tra il costrutto e le sue componenti, dobbiamo porre attenzione alle trasformazioni applicate alle singole variabili al fine di ottenere indicatori semplici ed al processo di aggregazione di questi. Il problema è quindi complesso ma può essere risolto purché le proprietà matematiche siano rispettate dalle operazioni di aggregazione.

Nei casi in cui il costrutto è complesso e di difficile definizione, c’è un ampio margine di arbitrarietà nell’identificazione sia delle dimensioni e degli indicatori ad essere relativi, sia degli indicatori complessi, che spesso misurano variabili latenti.

Tutto ciò premesso, anche qualora non ci siano errori procedurali, è difficile identificare il miglior approccio per misurare un costrutto multidimensionale ed astratto, sia dal punto di

134 L’analisi di questo problema deriva da quanto suggerito da Bartholomew nei seguenti lavori:

- Bartholomew D. J. (1996) The statistical approach to social measurement, Academic Press, San Diego. - Bartholomew D. J. (2002) Discussion on the paper by Fayers P. M., Hand D. J., p.253.

vista del senso della misurazione sia relativamente al campo di applicazione. Si tratta, in altre parole, di capire quali misure utilizzare relativamente agli obiettivi definiti.

Se l’obiettivo è quello di ricevere segnali d’allarme, l’attenzione va centrata sulle misure delle singole componenti mantenendo le informazioni disaggregate. Nei casi in cui lo scopo dell’analisi consista nel confronto tra più situazioni, la sintetizzazione, con le dovute cautele, è invece necessaria.

Concludendo possiamo definire l’indicatore come uno strumento per tradurre la misurazione di fenomeni complessi in una fusione sistematica di congetture interpretative, di identificazione di relazioni, di collocazione entro un modello funzionale di riferimento.

Tuttora vi è una certa distanza che separa volontà conoscitiva e fattibilità operativa: si tratta, in altre parole, della separazione parziale ancora esistente tra l’intenzione convinta, indispensabile, talvolta normativa/legislativa di arrivare a un giudizio su una dimensione complessa e la sua realistica misurazione, ampiamente determinata dal sistema di condizioni operative effettivamente adottate, anche se con la protezione di una singolare ed esplicitata riflessione sulla rigorosità metodologica.

Concludiamo il capitolo riportando un pensiero di Vianelli135:

“Il pensiero semplificatore privilegia la disgiunzione o la riduzione. Il pensiero complesso deve praticare nello stesso tempo distinzioni e congiunzioni e deve tentare di concepire il molteplice”.

135 Vianelli S. (1989), Statistica e Scienze della complessità, in Atti della XXXI Riunione scientifica della Società Italiana di Economia Demografia e Statistica, Palermo, Vol. XLIII, nn. 1-2, pp.15-67.

CAPITOLO 3