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Il concetto di sviluppo sostenibile e le criticità della Green Economy

Capitolo 2 - La Green Economy

2.9 Il concetto di sviluppo sostenibile e le criticità della Green Economy

Il fallimento dello sviluppo nel Sud del pianeta e la perdita di punti di riferimento nel Nord hanno portato molti analisti a mettere in discussione la società dei consumi, il sistema di rappresentazione che la sottende, il progresso, la scienza, la tecnica. A questo si è aggiunta la presa di coscienza della crisi dell'ambiente.

(Latouche 2007: 10-11)

In realtà, i valori su cui si fondano sviluppo e progresso non corrispondono ad aspirazioni universali ma sono legati alla storia dell'Occidente; di conseguenza hanno pochi riscontri in altre società che però se ne trovano più o meno immerse a seconda del grado di diffusione del consumismo.

Dal 1992 - data della Conferenza di Rio - l'espressione sviluppo durevole o sostenibile entra in scena, con lo scopo di tentare di aggiungere alla crescita economica una componente ecologica, che permetta di definire lo sviluppo sostenibile come un "development that meets the needs of the present without compromising the ability of

48 In particolare, non può essere definita positiva tutta quella serie di spese sostenute per alleviare ansie e stress che la società dei consumi reca all'uomo. Esse costituiscono sicuramente parte del PIL nazionale, ma è innegabile il fatto che non possano essere considerate positivamente.

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future generation to meet their own needs” (WWF Living Report 2012). Per Latouche (2005: 32) invece “viene chiamato sviluppo, l'allargamento della frattura sociale tra questa infima minoranza che accede a una ricchezza insolente e la massa della popolazione confinata nella miseria”. È chiaro come per l'economista francese esso abbia notevoli ricadute nella società, in quanto al suo interno ci sono notevoli differenze relative al benessere di cittadini anche dello stesso stato. Di fatto, questa definizione e il significato di

Green economy ci orientano verso un tipo di sostenibilità che intende conciliare la

soddisfazione di bisogni individuali con il mantenimento degli equilibri ambientali, al fine di preservare le risorse naturali messe a disposizione dal pianeta (Santopietro 2012). Tenere conto dell'equilibrio dell'ecosistema potrebbe significare mettere in discussione alcuni aspetti del nostro modello economico di crescita e consumo, così come del nostro stile di vita e può comportare la necessità di pensare ad un altro modello di sviluppo (Latouche 2005).

Varie sono le ipotesi per raggiungere l'obiettivo:

secondo il Rapporto Brundtland (Wced 1987: 14), “Sustainable global development requires that those who are more affluent adopt life-styles within the planet's ecological means- in their use of energy, for example”. Il fatto però è che la crescita finora non è mai stata messa in discussione come parametro per misurare il benessere e la politica non troverebbe consensi su un'eventuale ripensamento. Nello stesso rapporto però si sostiene invece che “dati i tassi di crescita demografica, la produzione manifatturiera dovrà aumentare da cinque a dieci volte soltanto per ottenere che il consumo di prodotti manufatti dei paesi in via di sviluppo [raggiunga] quello dei paesi sviluppati”. (Latouche 2005). Appare chiaro come ad una più attenta osservazione, lo sviluppo sostenibile sia un ossimoro; una “soluzione” parziale mentre si continua a parlare di crescita, sviluppo, produzione di energia con vecchi sistemi (Latouche 2007). Anche Herman Daly è dello stesso avviso, poiché egli afferma che “sviluppo sostenibile” venga utilizzato come sinonimo di “crescita sostenibile”. Il fascino che quest'espressione ha, è quello di permettere di mantenere ed accettare la parola "sviluppo" e ciò che essa comporta, pur alleggerendolo con l'aggettivo che dà un vago richiamo ad un'accezione ambientale; questo spiegherebbe in parte per Latouche il sorprendente successo del concetto (Ibid.: 78).

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Anche Gunter Pauli – economista, imprenditore e teorico della più innovativa Blue

Economy – dichiara che non sempre ciò che a prima vista sembra un tipo di produzione più

“verde” è sinonimo di sostenibilità ambientale e sociale. Egli riporta spesso l'esperienza dei primi modi di giungere ad una produzione più sostenibile, come il tentativo in Europa di promuovere i biocarburanti nel 2006; momento in cui ci si rende conto che l'improvvisa domanda di materie prime di origine vegetale richiesta dall'industria va a competere per il terreno nella produzione di mais ad uso alimentare. Ciò costituisce un grosso problema nei paesi più poveri, dove le persone hanno difficoltà a reperire cibo a causa dell'aumento dei prezzi di alcuni generi alimentari; di conseguenza, l'uso del mais e dell'olio di palma per i biocombustibili viene scoraggiato. Un altro esempio, che interessa Pauli in prima persona, può essere riscontrato nel passaggio a saponi biodegradabili che sostituiscono l'olio di palma ad alcuni ingredienti chimici49. Il successo dei primi prodotti, spinge altre imprese a fare lo stesso tipo di operazione, così si inizia a deforestare milioni di ettari di foresta per coltivare palme da olio. Pauli sosterrà spesso che "questo danno involontario è [stato] il modo più doloroso per imparare che biodegradabile non è sinonimo di sostenibile" e non ha senso essere soddisfatti di inquinare meno: egli sostiene piuttosto che non lo si dovrebbe fare affatto (Pauli 2010: 107). Grazie a questi tentativi, si è compreso quindi che biodegradabilità e rinnovabilità non necessariamente sono sinonimi di sostenibilità. Inoltre, oggi i produttori scelgono semplicemente di sostituire processi tossici con altri meno dannosi ma non viene pensata una vera soluzione al problema.

Il greenwashing costituisce una delle critiche più aspre nei confronti della Green

Economy, mossa ad esempio dallo stesso Pauli (2010). Questo fenomeno consiste nella

volontà crescente delle imprese di vendere i propri prodotti definendoli "green", quando invece non lo sono. Lo scopo è quello di sfruttare la moda del momento per accrescere i propri guadagni, a scapito degli acquirenti intenzionati a premiare coloro che vogliono impegnarsi realmente in questo senso. Spesso comunicazione e marketing del prodotto costituiscono il settore dove si concentrano maggiori investimenti, a scapito dell'efficienza

49 Nel 1993, Gunter Pauli inizia la sua esperienza nel settore della sostenibilità in un'azienda che produce i primi detersivi biodegradabili.

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energetica, del risparmio in termini di input materiale o di altri cambiamenti che apporterebbero un serio contributo alla sostenibilità di oggetti e servizi (Santopietro 2012).

Altra questione aperta rimane, infatti, quella della comunicazione delle imprese, le quali vogliono convincere il consumatore riguardo il fatto che i propri prodotti siano realmente sostenibili, ecologici e verdi. In particolare,

"certi marchi del commercio equo e solidale, le etichette dell'agricoltura biologica, i bollini che informano sul luogo di provenienza o che sanciscono l'assenza di organismi geneticamente modificati sono tutti segnali su quei prodotti il cui acquisto e consumo rimanda a valori, connotati in varia misura in senso ecologico. Il produttore vuole comunicare ciò; l'acquirente lo riconosce e si sente parte di un progetto, che lo accomuna ad altri e che è volto all'affermazione di un particolare stile di vita".

(Pellizzoni e Osti 2003: 206)

Le certificazioni dei processi di produzione oggi rientrano nella strategia di comunicazione delle imprese; esse siglano un patto fra produttore e consumatore che sancisce una condivisione di principi ed intenti. Tramite essa, l'impresa vuole anche garantirsi vendite regolari in modo da coprire i costi di produzione. Il prezzo più alto dei prodotti è da considerarsi frutto dell'internazionalizzazione dei costi ambientali; il consumatore ne è consapevole ed accetta di pagare di più (Ibid.: 207).

Goleman però, mette in guardia l'acquirente sul fatto che nessun oggetto di produzione industriale possa essere totalmente verde: per questi prodotti, si tratta semplicemente di sostenibilità relativa. Egli sostiene anche che talvolta le informazioni date non corrispondono a verità: si spaccia un prodotto sostenibile, per quello che in realtà non lo è oppure si danno indicazioni sommarie e poco precise (Goleman 2009: 30). Egli ritiene molto utile il lavoro di alcuni enti come il TerraChoice Environmental Marketing50, che con il suo rapporto The 6 sins of greenwashing51 illustra al consumatore in cosa consista il fenomeno e fornisce informazioni su come ovviare al problema. In particolare, ci si sofferma a spiegare come definizioni vaghe o irrilevanti non aiutino a determinare la

50 TerraChoice era un'agenzia di marketing ambientale canadese che si occupava della diffusione di pratiche ecologiche nella società. Oggi è stata acquistata dalla UL.

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presunta sostenibilità di un prodotto, o di come la mancanza di prove verificabili non possa essere indice di scelte realmente ecologiche. Talvolta si incorre addirittura in dichiarazioni false, legate all'autocertificazione ambientale che non viene però avvallata da organismi di controllo che ne assicurano la veridicità. Anche a livello europeo – grazie al DEFRA52 e alla pubblicazione Green Claims Guidance – si tenta di indirizzare il consumatore verso la consapevolezza di ciò che i claim pubblicitari reclamizzano, “indicandola come un’esigenza del consumatore evoluto (...) che vuole, attraverso l’acquisto dei prodotti, perseguire un progetto di vita rispettoso dell’ambiente e della società in cui vive” (Santopietro 2012).

A partire da queste criticità, si sviluppa il lavoro di coloro che credono in un nuovo tipo di economia ed ambiente possibili, in cui i rifiuti diventano un'opportunità preziosa da sfruttare al meglio, e dove è possibile condurre uno stile di vita realmente sostenibile che richiede un grande cambiamento nell'apparato di valori e idee che si discostano da ciò che finora ha caratterizzato la spinta verso una produzione più “verde”.

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