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La concezione plotiniana della genesi dei corpi: problemi e soluzion

CAPITOLO III: PLOTINO SULL'ORIGINE DEL CORPO

3.4. La concezione plotiniana della genesi dei corpi: problemi e soluzion

A questo punto si dispone di tutti gli elementi per dare uno sguardo d'insieme sulla concezione plotiniana della genesi della dimensione corporea e per tentarne una valutazione complessiva. Essa è, secondo il nostro autore, quel livello della realtà caratterizzato dal μερισμός, ossia la condizione per cui, come si è già più volte ripetuto, la parti non coincidono né tra loro né con l'intero. Si tratta del livello di dispersione e pluralizzazione, e quindi di allontanamento dall'Uno, massimo prima della materia, e in effetti è proprio a quest'ultima, e precisamente alla sua ricezione delle immagini degli intelligibili, che questo fenomeno va ricondotto. Ma questa è una caratteristica puramente negativa, consistendo nella mancanza di unità intrinseca di un oggetto; se invece si vogliono enumerare i tratti positivi del corpo, bisognerà dire che esso è un'estensione tridimensionale dotata di resistenza, e far derivare il possesso di queste caratteristiche dall'azione della forma, e precisamente dei λόγοι nell'anima. La materia, ad ogni modo, resta responsabile del modo in cui tali aspetti formali si manifestano, cosicché l'estensione spaziale, prodotto della ricezione, da parte della materia, della forma di grandezza, finisce per risultare molto prossima e talvolta sovrapporsi, nelle pagine delle

Una sintesi di una buona parte di queste posizioni, che, in particolare, mette bene in evidenza un aspetto peculiare di tale concezione, ossia la riconduzione all'azione della forma di tutti gli aspetti positivamente enumerabili del corpo, è fornita dall'autore stesso nell'ultimo capitolo del breve trattato Sulla mescolanza totale (II 7): nel corso dei due capitoli precedenti, l'esame della complessa questione della mescolanza totale ha portato Plotino a fare menzione della corporeità (σωματότης); nel terzo e ultimo capitolo, che costituisce un'appendice debolmente legata ad essi, egli tenta di chiarire questo concetto, attraverso la seguente analisi (II 7.3.1-14):

ἐπισκεπτέον πότερα ἡ σωματότης ἐστὶ τὸ ἐκ πάντων συγκείμενον ἢ εἶδός τι ἡ σωματότης καὶ λόγος τις, ὃς ἐγγενόμενος τῇ ὕλῃ σῶμα ποιεῖ. εἰ μὲν οὖν τοῦτό ἐστι τὸ σῶμα τὸ ἐκ πασῶν τῶν ποιοτήτων σὺν ὕλῃ, τοῦτο ἂν εἴη ἡ σωματότης. καὶ εἰ λόγος δὲ εἴη ὃς προσελθὼν ποιεῖ τὸ σῶμα, δηλονότι ὁ λόγος ἐμπεριλαβὼν ἔχει τὰς ποιότητας ἁπάσας. δεῖ δὲ τὸν λόγον τοῦτον, εἰ μή ἐστιν ἄλλως ὥσπερ ὁρισμὸς δηλωτικὸς τοῦ τί ἐστι τὸ πρᾶγμα, ἀλλὰ λόγος ποιῶν πρᾶγμα, μὴ τὴν ὕλην συμπεριειληφέναι, ἀλλὰ περὶ ὕλην λόγον εἶναι καὶ ἐγγενόμενον ἀποτελεῖν τὸ σῶμα, καὶ εἶναι μὲν τὸ σῶμα ὕλην καὶ λόγον ἐνόντα, αὐτὸν δὲ εἶδος ὄντα ἄνευ ὕλης ψιλὸν θεωρεῖσθαι, κἂν ὅτι μάλιστα ἀχώριστος αὐτὸς ᾖ.

Bisogna esaminare se la corporeità sia il composto di tutti [scil. gli elementi costitutivi del corpo, ossia delle qualità e della materia], o se la corporeità sia una forma e un principio razionale che produce il corpo venendo ad essere nella materia. Se dunque è il corpo ad essere ciò che consta di tutte le qualità assieme alla materia, la corporeità sarà quest'[ultima opzione, cioè una forma]180; e, nel

caso sia un principio razionale che, sopraggiungendo, produce il corpo, evidentemente il principio razionale ha, inglobandole, tutte quante le qualità. Ed è necessario che questo principio razionale [gr. λόγος], se non è [λόγος] in un altro senso, ossia nel senso di una definizione che enuncia l'essenza della cosa, bensì un principio razionale che produce la cosa, non comprenda la materia, ma sia un principio razionale nella materia181 e, venuto ad essere in essa, origini il corpo; e

180 Seguo, per questo difficile passo, l'interpretazione di Dufour in Brisson-Pradeau 2002- (n. 44, a. l.): "De deux choses l'une: la corporéité est soit le composé de matière et de qualités, soit une forme et une raison. Puisque c'est le corps, et non pas la corporéité, qui correspond au composé de matière et de qualités, la corporéité ne peut être qu'une forme, elle ne peut être que «cela». Plotin poursuit en invoquant la corporéité en tant que «raison»". Traduco quindi un po' liberamente la protasi per mettere meglio in evidenza questo andamento del discorso.

che il corpo consista nella materia e nel principio razionale in essa insito, mentre esso, essendo una forma, si possa contemplare spoglio, senza materia, anche se per parte sua è assolutamente inseparabile.

Plotino prospetta qui due possibili identificazioni della corporeità: essa corrisponde o al composto della materia e delle qualità (ossia delle forme, le cui manifestazioni nel dominio del divenire sono prive di sostanzialità, e si devono dunque chiamare non essenze, ma, appunto, qualità) o alla sola componente formale di questo composto (λόγος) (rr. 1-4). Poiché sarebbe assurdo identificarla con il composto, che corrisponde, piuttosto, al corpo, essa è senz'altro un principio formale (rr. 4-5). Questo principio formale, responsabile della produzione del corpo, dovrà comprendere tutte le qualità che ne sono costitutive (e quindi, possiamo supporre, la grandezza e la resistenza saranno in prima linea); e ovviamente escludere, d'altra parte, la materia, che è ciò con cui il principio si combina e non può dunque rientrare in esso (rr. 6-7, 10-4). Si sta infatti parlando di λόγος nel senso di principio ontologico produttivo del corpo, complementare alla materia, e non nel senso di una definizione verbale, che enunci ciò che il corpo è (rr. 8-10).

Quest'ultima precisazione è senz'altro molto opportuna: se infatti ci si stesse riferendo alla definizione di corpo, la corporeità dovrebbe inevitabilmente includere anche la materia (non nel senso della realtà della materia, ovviamente, ma della sua nozione), ma questo sarebbe incompatibile con la concezione di essa come forma, che non può in alcun modo abbracciare quella realtà antitetica alle forme che è la materia. Seppure inevitabile, tale situazione di esclusione della materia (tanto nel senso di realtà quanto in quello di nozione) dalla corporeità non manca di suscitare qualche difficoltà. Infatti, sebbene sia ovvio che, essendo un principio ontologico, la forma di una determinata realtà non coincide con la sua definizione verbale, sta alla base della dottrina delle forme l'idea che ne sia una sorta di ipostatizzazione, cioè che sia l'ente che ne rappresenta in modo perfetto il contenuto (pur non condividendo, se si vuole evitare il regresso del terzo uomo, i medesimi tratti delle sue istanziazioni sensibili): per esempio, l'idea di triangolo è l'ipostatizzazione della definizione del triangolo, che si unisce alla materia per dar luogo ai molteplici triangoli sensibili; ovviamente l'influenza della materia determinerà il modo in cui tale forma si esplicherà nel mondo del divenire, ma questo non crea alcun problema, in quanto si tratta di aspetti del tutto accidentali e che non rientrano in alcun modo nella definizione di triangolo. Nel caso del corpo, invece, questa condizione non è

rispettata: come si è appurato, il μερισμός costituisce il tratto essenziale della dimensione sensibile, che quindi deve comparire in primo posto nella sua definizione; tuttavia, essendo un tratto riconducibile interamente alla materia, e rappresentando quindi l'esatta negazione della forma, esso non può trovare posto nella forma corrispondente. In altre parole, mentre la forma del triangolo (la triangolarità) è l'ipostatizzazione della definizione del triangolo182 e ne rappresenta il contenuto, la forma del corpo (vale a dire

la corporeità) non è l'ipostatizzazione della definizione del corpo e ne esclude proprio il tratto essenziale, la parcellizzazione. C'è caso peraltro che la stessa difficoltà si presenti a proposito dell'estensione, almeno se si ammette che la dispersione parziale ne sia un tratto essenziale.

Ad ogni modo, è evidente che si tratta di una situazione inevitabile, e che nemmeno deve necessariamente costituire un problema: una volta che si sia appurata questa asimmetria tra il caso del corpo e quello delle altre realtà, dovuta al fatto che la materia rientra nella nozione stessa di corpo, il funzionamento del meccanismo ne esce impregiudicato: si avranno da un lato il λόγος, che non apporterà un tratto fondamentale della definizione di corpo in quanto non è una determinazione formale, ma apporterà comunque tutti gli aspetti formali e determinati costitutivi del corpo, e dall'altro la materia, che riceverà tale λόγος in un certo modo, cruciale nella definizione della sua natura; e dalla combinazione di entrambi si originerà qualcosa di diverso dall'uno e dall'altra, dotato di caratteristiche non possedute né dall'uno né dall'altra, in quanto derivate dal modo in cui la seconda esprime le determinazioni apportate dal primo. Nel caso del triangolo il funzionamento è, dal punto di vista del ruolo dei due fattori responsabili della sua formazione, esattamente lo stesso.

Su un'altra difficoltà della concezione finora esposta, e in particolare della riconduzione di tutte le caratteristiche positive del corpo al principio formale, si appunta invece l'attenzione di Narbonne (1993), nell'esame della dottrina plotiniana della natura inestesa della materia di cui si sono sopra (par. 3.1.3.2) esposte le linee essenziali: riprendendo in buona sostanza le obiezioni dell'interlocutore di Plotino in II 4.11.1-13, egli sostiene che, se la materia non apporta non solo, com'è ovvio, quelle che sono più evidentemente determinazioni formali, ma nemmeno l'estensione, essa risulta di fatto inutile alla costituzione dei corpi. A studiosi che, come Moreau (1951, pp. 119-35) o Matter (1964,

182 Ovviamente Plotino non condividerebbe questo modo di esprimersi, giacché per lui la forma del triangolo è anteriore alla sua definizione e non un suo derivato (come invece può apparire a uno studioso moderno che voglia ricostruire la genesi della dottrina), ma questo non influisce sul merito della questione, perché resta ferma la corrispondenza tra i due aspetti.

pp. 215-6), avevano tentato di risolvere questa difficoltà ribadendo che la materia, lungi dall'essere qualcosa di inutile, è necessaria come ricettacolo delle forme e come responsabile della dispersione spaziale, Narbonne risponde che essi non sanno però spiegare come qualcosa di inesteso e privo di ogni qualità possa essere artefice della dispersione nello spazio: le loro spiegazioni si risolverebbero dunque, in realtà, in una semplice riproposizione del problema, costituendo di fatto una petizione di principio (la materia è utile e produce la dispersione spaziale in quanto serve a produrre la dispersione spaziale: ma il come non ci viene spiegato) (pp. 263-4).

In questa pur penetrante critica, tuttavia, Narbonne non tiene in debito conto un elemento sul quale si è sopra (par. 3.1.3.1) insistito, ossia la dinamica per cui la causa (anche se questo nome non si può applicare in modo proprio alla materia) fornisce al causato ciò che essa stessa non possiede: egli ragiona cioè come se la materia potesse trasmettere l'estensione e la dispersione spaziale unicamente essendo estesa essa stessa. In realtà, però, Plotino fornisce degli argomenti di un certo peso in favore dell'idea che il sostrato primo sia corresponsabile di tale fenomeno proprio perché non ne è esso stesso affetto; del resto, ci si potrebbe chiedere altrimenti in virtù di che cosa esso sia, a sua volta, esteso. È vero che si potrebbe rispondere, a questa obiezione, che la causa può sì contribuire all'emergere di un tratto di cui non è in possesso, ma lo farà in virtù di qualche altra propria determinazione: per esempio, secondo le dottrine atomiste gli atomi possono essere responsabili dell'asprezza di oggetti aspri senza essere essi stessi tali, ma ne sono pur sempre causa in virtù di una propria particolare conformazione (ad esempio, una forma puntuta); al contrario, la materia plotiniana è causa della dispersione spaziale senza che si possa indicare in essa una caratteristica positiva che la determini. Tuttavia, non bisogna dimenticare che la parcellizzazione non è un aspetto del corpo alla stregua di tutti gli altri: non è una qualificazione positiva che si spieghi con questo o quel particolare e determinato apporto, bensì è la negazione (massima nel dominio delle cose reali) dell'unità e, quindi, della forma. Essa non potrebbe quindi in alcun modo essere causata da una determinazione particolare, che avrebbe pur sempre natura formale e non potrebbe quindi originare la negazione della forma, bensì può essere provocata soltanto da una (non-)realtà priva di ogni caratteristica. La materia è come il prisma che scompone un fascio di luce in diversi colori, separandoli: per fare questo, deve essere privo di colori, in modo da lasciarli filtrare tutti (Plotino direbbe: deve essere assolutamente indeterminato); i colori che rende manifesti sono tutti apportati dalla luce, non da esso, eppure è esso a determinare il modo del loro manifestarsi, e in particolare la

loro separazione reciproca. Ovviamente resta il problema che questa non-realtà antitetica alle forme e all'Uno è in verità essa stessa un loro derivato, ma questo ben noto problema ha a che fare con la concezione plotiniana della genesi della materia, e non con quella, alla quale ci si sta ora interessando, della genesi della dimensione corporea a partire da essa, che costituisce rispetto a quella il gradino successivo.

Resta infine il problema che si era sollevato nel paragrafo precedente: come conciliare le due definizioni del corpo proposte da Plotino? Da un lato esso è estensione tridimensionale dotata di resistenza, dove l'estensione è fornita soprattutto dalla forma, anche se la materia è responsabile del modo in cui questa si manifesta; d'altro lato esso è caratterizzato soprattutto dal μερισμός, un fenomeno di origine esclusivamente materiale e in cui non c'è nulla di formale. Questa situazione non sarebbe di per sé problematica (il corpo può avere infatti caratteristiche diverse riconducibili a fattori differenti), se non fosse che, come si è visto, Plotino tratta l'estensione spaziale e la parcellizzazione, per quanto siano fenomeni concettualmente distinguibili, come se di fatto coincidessero e si riducessero a una medesima cosa. Le pagine delle Enneadi non suggeriscono esplicitamente una soluzione a questa difficoltà, della quale il nostro autore non sembra essersi affatto avveduto; è comunque possibile, a partire dagli elementi della concezione del corpo finora messi in luce, proporre una scappatoia da questa contraddizione, consistente, semplicemente, in una più rigorosa separazione tra i due fenomeni. In effetti, non c'è nulla nelle due nozioni che implichi necessariamente una loro completa sovrapposizione: il μερισμός potrebbe essere fatto coincidere, più precisamente, soltanto con l'aspetto non-formale dell'estensione spaziale (ossia la dispersione delle forme in zone diverse dello spazio, senza che esse possano sovrapporsi, con la conseguenza che, per esempio, dove si trova un cipresso non può trovarsi contemporaneamente anche un tiglio), ferma restando in essa una componente di natura formale (a dire il vero più difficile da individuare: poniamo, per esempio, l'essere dotato di determinati limiti e confini ed essere misurabile). In tal modo il problema sarebbe risolto, perché il μερισμός verrebbe a coincidere col modo in cui la materia riceve la forma di grandezza, e su di essa tutte le altre, ossia tenendole disperse e prive di coesione reciproca – il che costituisce l'atto di nascita dello spazio –, ed è naturale che tale modo risalga alla sola materia e non alla forma che riceve. Si tratta ovviamente di una soluzione speculativa, non additata esplicitamente da Plotino, ma che ha d'altra parte il pregio di scaturire direttamente dai suoi presupposti, limitandosi a supporre che, dove egli si esprime come se estensione spaziale e parcellizzazione corrispondessero in toto, stia semplicemente