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CAPITOLO III: PLOTINO SULL'ORIGINE DEL CORPO

3.1. L'origine dell'estensione sensibile

3.1.1. Esposizione della posizione di Plotino

La risposta plotiniana alla domanda sull'origine dell'estensione corporea è estremamente netta ed esplicita: poiché la grandezza è una determinazione formale e poiché la materia prima è priva di qualsivoglia determinazione, anche questa proprietà deriva al corpo da un principio formale (λόγος), ossia in ultima analisi dal mondo ideale; non nel senso che vi sia un principio formale dotato di grandezza, ovviamente, ma nel senso che c'è n'è uno che si identifica con essa, è la grandezza (e proprio per questo non può esserne dotato, secondo l'assioma platonico [cfr. Parm. 142b7-c1, 158a3-5] per cui ciò che partecipa di qualcosa non può identificarsi con quella cosa stessa). Lo stesso accade del resto con tutte le altre forme, che trasmettono al mondo sensibile proprietà che esse non hanno, ma piuttosto sono: così, per esempio, la forma di bianchezza non è essa stessa bianca, ma si esplica nel mondo del divenire sotto la forma del colore bianco. In tal modo, l'estensione del corpo fisico deriva da due principi nessuno dei quali è dotato di questa proprietà

(avremo modo di tornare su questo punto).

Questa soluzione per certi versi sorprendente va letta alla luce della concezione della materia prima sviluppata in trattati come II 4 (capp. 6-16), II 5, III 6 (capp. 7-19): qui si sostiene che essa, in quanto gradino ultimo del reale (sempre che nel reale si possa collocarla), è totalmente priva di determinazioni, non-ente, pura potenzialità incapace di passare all'atto, la quale dunque non viene modificata dalle forme ma piuttosto è come uno specchio sul quale, proprio perché privo di qualunque qualità, le forme si riflettono, producendo quelle mere immagini che sono i loro riflessi sensibili (III 6.7.25, 9.16-23, 13.35-55, cfr. anche 14.31-4, in cui sembra che Plotino abbia in mente una sorta di specchi ustori: v. Fleet a. l.)103. In questo contesto, basta aggiungere la ben comprensibile

premessa che l'estensione è qualcosa, ossia è pur sempre una forma di determinazione, per giungere alla conclusione che la materia non può essere estesa (e men che meno può essere l'estensione in sé, il principio formale della grandezza).

Tale concezione viene sviluppata e argomentata specialmente nei capitoli II 4.8-12 e III 6.16-8: è quindi su questi che si concentrerà la nostra analisi. Un buon punto di partenza è costituito da II 4.8, nel quale la posizione di Plotino e le sue ragioni sono esposte piuttosto chiaramente: se ne cita e traduce di seguito la gran parte (rr. 3-30, omettendo le rr. 16-23, sulle quali si tornerà, più in breve, nel par. 3.1.3.1):

λέγοντες δὲ πάντων αὐτὴν [scil. τὴν ὕλην] εἶναι τῶν αἰσθητῶν καὶ οὐ τινῶν μὲν ὕλην, πρὸς ἄλλα δὲ εἶδος οὖσαν – οἷον τὸν πηλὸν ὕλην τῷ κεραμεύοντι, ἁπλῶς δὲ οὐχ ὕλην – οὐ δὴ οὕτως, ἀλλὰ πρὸς πάντα λέγοντες, οὐδὲν ἂν αὐτῇ προσάπτοιμεν τῇ αὐτῆς φύσει, ὅσα ἐπὶ τοῖς αἰσθητοῖς ὁρᾶται. εἰ δὴ τοῦτο, πρὸς ταῖς ἄλλαις ποιότησιν, οἷον χρώμασι καὶ θερμότησι καὶ ψυχρότησιν, οὐδὲ τὸ κοῦφον οὐδὲ τὸ βάρος, οὐ πυκνόν, οὐχ ἁραιόν, ἀλλ᾽ οὐδὲ σχῆμα. οὐ τοίνυν οὐδὲ μέγεθος· ἄλλο γὰρ τὸ μεγέθει, ἄλλο τὸ μεμεγεθυσμένῳ εἶναι, ἄλλο τὸ σχήματι, ἄλλο τὸ ἐσχηματισμένῳ. δεῖ δὲ αὐτὴν μὴ σύνθετον εἶναι, ἀλλ᾽ ἁπλοῦν καὶ ἕν τι τῇ αὐτῆς φύσει· οὕτω γὰρ πάντων ἔρημος. καὶ ὁ μορφὴν διδοὺς δώσει καὶ μορφὴν ἄλλην οὖσαν παρ᾽ αὐτὴν καὶ μέγεθος καὶ πάντα ἐκ τῶν ὄντων οἷον προσφέρων. [...] ἔπεισι τοίνυν τὸ εἶδος αὐτῇ πάντα ἐπ᾽ αὐτὴν φέρον· τὸ δὲ εἶδος πᾶν καὶ μέγεθος ἔχει καὶ ὁπόσον ἂν ᾖ μετὰ τοῦ λόγου καὶ ὑπὸ τούτου. διὸ καὶ ἐπὶ τῶν γενῶν

103 Sul paragone della materia con uno specchio, che già aveva attirato l'attenzione di Heinemann agli inizi del Novecento (1926), v. ora anche Fauquier 2003, che mette in evidenza come la funzione di questa immagine sia di rendere in qualche modo concepibile all'anima quel non essere che è la materia, per poi prenderne in esame, sulla scorta di Proclo (in Parm. IV, pp. 839.6-848.22 Cousin), i limiti.

ἑκάστων μετὰ τοῦ εἴδους καὶ τὸ ποσὸν ὥρισται· ἄλλο γὰρ ἀνθρώπου καὶ ἄλλο ὄρνιθος καὶ ὄρνιθος τοιουτουί. <οὐ μὴν> θαυμαστότερον104 τὸ ποσὸν τῇ ὕλῃ

ἄλλο ἐπάγειν τοῦ ποιὸν αὐτῇ προστιθέναι; οὐδὲ τὸ μὲν ποιὸν λόγος, τὸ δὲ ποσὸν οὔκ, εἶδος καὶ μέτρον καὶ ἀριθμὸς ὄν.

"Asserendo che essa [scil. la materia] è materia di tutti i sensibili e non materia di alcuni, ma essendo forma rispetto ad altri – come l'argilla è materia per il vasaio, ma in senso assoluto non è materia –: asserendo che non è materia in questo senso, ma rispetto a tutti i sensibili, non dovremo attribuirle nulla, in virtù della sua natura, di quanto si vede nei sensibili. Ma se le cose stanno così, oltre alle altre qualità come il colore, il calore e il freddo105, non dovremo attribuirle

neppure la leggerezza né il peso, non la densità, non la radezza, ma neppure la figura: e quindi neppure la grandezza. Altro è, infatti, l'essere una grandezza, altro l'essere dotato di grandezza; altro l'essere figura, altro l'essere dotato di figura. Ma bisogna che essa non sia composta, ma qualcosa di semplice e uno per sua propria natura: è in questo modo, infatti, che sarà priva di ogni cosa. E quello che le

104 Il testo dei manoscritti, stampato da H.-S. con un punto interrogativo alla fine del periodo (θαυμαστότερον τὸ ποσὸν τῇ ὕλῃ ἄλλο ἐπάγειν τοῦ ποιὸν αὐτῇ προστιθέναι; = "il fatto che è un altro ente ad apportarle la quantità è forse più sorprendente del fatto che aggiunge ad essa la qualità?"), presenta due problemi: innanzitutto, la mancanza di una particella che segnali l'inizio del periodo, separandolo dal precedente; inoltre, il fatto che, se lo si intendesse come un'affermazione, il senso sarebbe l'opposto di quello desiderato (manca cioè una negazione), mentre se lo si intende, come H.-S., come una domanda retorica, manca un elemento introduttore dell'interrogativa, che segnali che la frase è una domanda e non un'affermazione (si ricorda che l'impiego regolare dei segni d'interpunzione è posteriore a Plotino). Entrambi questi elementi convergono in una direzione, ossia la caduta di qualche lettera all'inizio della frase: accetto dunque (exempli gratia, visto che non si impone con particolare forza su altri interventi equivalenti) l'integrazione di Harder (<οὐ μὴν> al principio della frase). È comunque chiaro che il senso non cambia in modo rilevante.

105 Traduco al singolare i sostantivi plurali χρώμασι, θερμότησι e ψυχρότησιν nella convinzione che si tratti di plurali generalizzanti (= "oltre alle altre qualità – qualità come il colore, il calore e il freddo"), dove l'uso del sostantivo al plurale serve ad indicare non la pluralità dell'ente cui si riferisce (es. "i colori"), ma la pluralità degli elementi dell'insieme nel quale esso s'inserisce e del quale non rappresenta che una singola istanza. Un esempio particolarmente chiaro di questo uso si trova in Giuliano, Cesari 7, 310D (ἐπὶ τούτῳ πολλοὶ καὶ παντοδαποὶ συνέτρεχον, Βίνδικες, Γάλβαι, Ὄθωνες, Βιτέλλιοι: "dopo questo accorsero molti e vari [imperatori]: gente come Vindice, Galba, Otone, Vitellio"): poiché si tratta di individui, il plurale si giustifica solo in quest'ottica (cfr. la nota di Mülller 1998 a. l.: "Etwas preziös ist die Anführung der vier Individuen in pluralischer Form ("Leute wie..."), als handle es sich nicht um Einzelpersonen, sondern um Typen"). Solo con quest'uso si può spiegare in modo soddisfacente l'impiego del plurale anche per "calore" e "freddo", qualità a proposito delle quali la nozione di pluralità non è ben comprensibile; viceversa, nel caso del colore l'uso del plurale non susciterebbe difficoltà, ma per coerenza ritengo preferibile allineare questo caso agli altri due (se il plurale è generalizzante in questi ultimi, dovrà esserlo anche nel precedente, ad essi coordinato). Non a caso, del resto, tutte le qualità successive sono menzionate al singolare. Altri traduttori, come Armstrong, preferiscono intendere i plurali come plurali concreti ("colours and degrees of heat and cold": il plurale di un sostantivo astratto assume di norma valore concreto), ma, a parte il fatto che Plotino sta qui parlando in termini generali (si è appena ricordato che le altre qualità sono menzionate al singolare), non trovo soddisfacente l'idea che voglia fare delle diverse temperature altrettante qualità, ognuna, necessariamente, con una sua forma.

conferisce forma le conferirà, come una cosa distinta da essa, sia la forma sia la grandezza sia tutto quanto, per così dire apportandole a partire dagli enti [= i veri enti, gli intelligibili]. [...] La forma viene dunque ad essa apportandole tutto quanto: la forma ha tutto, sia la grandezza sia tutto quanto è insieme al principio formale e ad opera di esso. Questo è il motivo per cui, in ciascun genere, assieme alla forma è determinata anche la quantità: infatti, altra è la quantità dell'uomo e altra quella dell'uccello, anzi dell'uccello di tal specie. Il fatto che è un altro ente106 ad apportarle la quantità non è più sorprendente del fatto che aggiunge ad

essa la qualità. Non [è infatti vero] che, mentre la qualità è un principio formale, la quantità non lo sia, poiché è forma e misura e numero."

Questo passo illustra bene tutti i principali punti della posizione plotiniana sopra messi in luce. In primo luogo (rr. 3-6) si precisa che oggetto del discorso è la materia prima, e non la materia seconda, la quale, pur fungendo da materia nella costituzione di un determinato ente, è essa stessa unione di una materia più elementare e della forma: nell'esempio di Plotino, l'argilla è sì materia che si unisce alla forma "vaso" per costituire tale oggetto, ma è al tempo stesso il prodotto di un'altra materia (poniamo, l'elemento terra) e di una forma (la forma "argilla", per l'appunto).

A questo punto si fa valere il principio che non si può identificare la materia prima con nessuna delle cose che esperiamo nel mondo sensibile (rr. 6-10). Il fondamento di questo principio non viene dichiarato espressamente, ma si può intuire dalle rr. 13-4, in particolare dove si afferma che la materia deve essere semplice e non composta107: se è

vero che tutte le cose che esperiamo nel mondo del divenire sono – secondo la rilettura della dottrina del Timeo condotta alla luce dei concetti aristotelici di materia e forma –

106 Diversamente dalla maggioranza dei traduttori di questo passo (ma come MacKenna 19562), intendo ἄλλο di r. 28 come soggetto e non come complemento predicativo dell'oggetto da riferirsi a ποσόν (= "l'apportare la quantità alla materia come qualcosa di altro non è più sorprendente dell'aggiungerle la qualità"). In quest'ultimo caso, infatti, dove il soggetto non viene espresso, sarebbero il locutore e il lettore ad "apportare" e "aggiungere"; è vero che in Plotino si possono trovare formulazioni di questo genere, in cui ci si esprime come se il sostenere una certa cosa equivalesse a farla accadere: invece di dire che "sosteniamo che x sia tale", per esempio, si dice che "rendiamo x tale" (in questo caso, dunque, invece di dire che "sosteniamo che la quantità viene apportata alla materia", si scrive che "apportiamo alla materia la quantità"). Tuttavia, dato che è possibile dare al verbo un soggetto più appropriato ("altro", ossia il principio formale, come nelle rr. 23-4), trovo preferibile farlo: e questo a tanto maggior ragione in quanto la struttura stessa della frase, con ἄλλο immediatamente precedente il verbo e non accompagnato da elementi che ne suggeriscano il ruolo predicativo (ὡς, il participio di εἰμί a segnalare che l'aggettivo va riferito all'oggetto, come alla r. 15, e così via), sembra andare in questa direzione.

107 Cfr. anche III 6.16.29-32, dove si afferma che la grandezza si trova nei corpi, che sono composti (ἐν [...] τοῖς σώμασι συνθέτοις οὖσιν), ma non nella materia, che corpo non è.

dei composti di materia e forma108, allora la materia di questi composti non potrà

identificarsi con nessuna di esse, poiché in tal caso dovrebbe essere essa stessa un composto di materia e forma. In quanto è semplicemente la superficie sulla quale vengono ad essere i riflessi delle forme, e la condizione della loro esistenza, la materia dovrà insomma essere distinta da tutte le determinazioni che dalla forma provengono e priva (ἔρημος109) di esse. È vero che la materia è dotata di grandezza e di figura (e pur

sempre a modo suo, in quanto non diventa mai grande e non assume mai una figura in atto: cfr. II 5.4-5), ma questa condizione va tenuta ben distinta dall'essere grandezza o figura (rr. 11-3, cfr. II 4.12.6-7): anzi, si può dire che, proprio in quanto è rivestita di grandezza o figura, la materia non può identificarsi con esse.

Più semplicemente, si può anche rilevare – entrambe le linee argomentative sono sottese a questo paragrafo, intrecciandosi senza risultare ben distinte – che, poiché la materia è un principio distinto dalla forma e anzi antitetico ad essa, tutto ciò che è identificabile con la forma non può esserlo con la materia.

Come la linea argomentativa precedente, e anzi ancor più di essa, anche quest'ultima necessita, per approdare alla conclusione desiderata, della premessa che la grandezza è da ricondurre alla forma. Plotino insiste dunque sul fatto che anche la grandezza è un tratto formale come gli altri, poiché rappresenta una forma di determinazione (rr. 24-30); in effetti, la definizione della grandezza di ogni ente sensibile rientrerà nella sua forma: se il fatto che ogni uomo possiede due occhi, un naso e così via è regolato dal λόγος dell'uomo, perché non dovrebbe esserlo anche la sua estensione? Dipende quindi dal λόγος di uomo il fatto che l'altezza degli uomini si attesta entro una gamma relativamente precisa, diversa da quella degli uccelli – anzi, precisa Plotino, dell'uccello di una certa specie, perché all'interno della stessa classe degli uccelli si ripropone questa differenziazione dettata dalla forma: se la grandezza di un'aquila è diversa da quella di un pettirosso, ciò è determinato dai rispettivi λόγοι –. Dall'insistenza di Plotino sulla natura formale della grandezza sembra trasparire, a parte l'importanza di questo punto nella sua argomentazione, anche il fatto che esso non era giudicato affatto scontato, bensì doveva essere spesso trascurato o persino messo in discussione, come vedremo nel paragrafo successivo (3.1.2).

108 Questo vale anche nel caso di determinazioni non sostanziali, come il colore ecc.: per quanto in questi casi sia forse meno appropriato parlare di "composto", termine che fa pensare piuttosto ad un'entità sostanziale, anch'esse sono il frutto del riflettersi del principio formale (ad es. del bianco) sulla materia, e non possono darsi senza entrambi questi elementi.

109 Il termine è tratto probabilmente da Plat., Phileb. 63b8, come rivela il suo impiego sempre a proposito della materia in III 6.9.37, dove la citazione è più completa (cfr. Fleet 1995 a. l. e un ulteriore uso con lo stesso referente in III 6.14.12).

L'evidente conseguenza di queste premesse è che la grandezza proviene alla materia da altro e come qualcosa di distinto da essa, al pari di tutte le altre determinazioni (rr. 14-6, 23-5, 28-9)110.

Attraverso l'analisi di questo passo si sono acquisite le linee fondamentali della dottrina plotiniana relativa alla genesi della grandezza fisica: questa non è dovuta alla materia stessa, bensì emerge per via del riflettersi su di essa della forma. Resta però da precisare maggiormente, se possibile, la dinamica di tale interazione tra la forma e la materia, che produce la grandezza dei corpi; questo tema viene approfondito soprattutto nei capitoli 16-8 del trattato III 6. Non è affatto scontato che si possa indicare un passo in cui tale questione sia affrontata e tematizzata, perché di norma le dinamiche che, a partire da una certa forma e dalla materia, portano alla produzione del sensibile corrispondente sono lasciate nell'ombra dalla letteratura filosofica antica, a cominciare da Platone: questo è dovuto verosimilmente in primo luogo all'inattuabilità di una traduzione in termini fisici precisi dell'intuizione che gli enti sensibili sono prodotti a partire da un principio formale e uno materiale; inoltre, nel caso di filosofi di scuola come quelli della tarda antichità, è dovuto in parte anche al fatto che ormai la verità di tale dottrina è quasi data per scontata e comunemente ammessa da platonici e aristotelici. In effetti, nel suo funzionamento generale il fenomeno è descritto con una certa vaghezza anche nel nostro passo, né ci si può aspettare che questo risolva tutti i dubbi che si possono nutrire su tale punto; tuttavia esso consente sicuramente di precisare il quadro sin qui delineato in relazione al caso, di fondamentale importanza per la costituzione del mondo sensibile, della grandezza. Per via della sua estensione il passo non sarà riportato nella sua interezza, ma costituirà comunque la base della nostra analisi111.

Partiamo dalla situazione iniziale112: da una parte c'è il mondo delle idee, dall'altra la

materia prima, ancora totalmente spoglia di forme, come è stata generata dall'anima parziale (cfr. sezione 1.3.4). Come si passa da questa situazione al mondo sensibile quale lo conosciamo e, in particolare, al mondo sensibile in quanto dotato di estensione? In questo primo stadio l'idea di grandezza è ancora in se stessa, "chiusa" nel mondo ideale e

110 Cfr. anche VI 1.26.24-5: "nel discorso definitorio dell'estensione tridimensionale non si trova quello della materia, né in quello della materia l'estensione tridimensionale" (οὐ [...] ἐν τῷ λόγῳ τοῦ τριχῇ διαστατοῦ ἡ ὕλη, οὐδ᾽ ἐν τῷ τῆς ὕλης τὸ τριχῇ διαστατόν).

111 Per un commento puntuale di questi paragrafi si veda l'eccellente ricostruzione di Fleet 1995, con la quale quella offerta qui di seguito sostanzialmente concorda e alla quale è debitrice.

112 Come sempre in Plotino, è doveroso premettere un caveat: come viene esplicitato, in relazione ai miti, in III 5.9.24-9, il discorso separa, ponendole in una successione temporale, le diverse fasi del fenomeno descritto, che in realtà non sono distinte che da un punto di vista logico, perché il mondo è sempre esistito.

nell'anima, dove non è grande al modo dei corpi sensibili, ossia non è spazialmente estesa (III 6.17.2-4). Tuttavia, pur risiedendo nell'intelligibile, per via della sua esuberante potenza produttrice essa tende a trasporsi anche al di fuori di sé e ad esplicare la propria natura anche a livello del mondo fisico, e non soltanto di quello intelligibile: produce dunque delle imitazioni di sé, ossia le forme nella materia, le copie dell'idea di grandezza che si trovano nel mondo della γένεσις. A loro volta, queste trasmettono la proprietà di cui sono portatrici (ma che in esse non si esplica ancora al modo del sensibile) alla materia: nella loro tensione verso l'originale, infatti, esse non tollerano – scrive Plotino – di risiedere in qualcosa di non grande; questa formulazione metaforica allude al fatto che, in quanto forme immateriate, si associano alla materia, costringendola ad assumere il carattere di cui sono portatrici. Si produce così una processione immaginativa, nel senso che ogni stadio del processo è immagine del precedente, e così si passa dall'idea di grandezza, il grande in sé, attraverso le sue copie fino al rendere apparentemente grande la materia, che di per sé non lo è (17.4-12, 18.1-19).

Nel ricostruire l'origine della grandezza del mondo fisico, ci si è finora limitati ad analizzare il ruolo della forma del grande, astraendo dalla sua interazione con le altre idee; è tuttavia necessario tenere presente anche il ruolo giocato in questo processo dalle singole forme, che è di importanza non minore. Al pari dell'idea di grandezza, infatti, anche tutte le altre idee, e il mondo intelligibile nel suo complesso, producono quali copie di se stesse le forme immateriate, che, combinandosi alla materia, le fanno assumere le rispettive caratteristiche. Ora, ciascuna di queste idee (l'idea di faggio, l'idea di cane, di uomo e così via) possiede una certa grandezza, così come il cosmo intelligibile che tutte le comprende – una grandezza che beninteso non è l'estensione spaziale, ma è la manifestazione ancora intelligibile dell'idea di grandezza –; questo nel senso già illustrato a proposito di II 4.8, ossia che nella nozione di un dato ente rientra anche una determinazione quantitativa: nel λόγος del cipresso, per esempio, oltre ad una determinata foggia delle foglie e struttura delle radici è inscritta anche una certa dimensione tipica di questo genere di alberi, diversa da quella dell'olivo o della quercia (e che potrà poi conoscere delle oscillazioni accidentali nei diversi individui) (17.12-4). Di conseguenza, il mondo intelligibile nel suo complesso, le singole idee (di uomo, di cavallo ecc.) e l'idea del grande concorreranno a far apparire la materia grande, ossia a far emergere la grandezza sensibile: le singole idee nella misura in cui determinano l'estensione dei sensibili corrispondenti; il κόσμος νοητός nella misura in cui le comprende tutte quante, e quindi determina l'estensione del cosmo sensibile nella sua

interezza così come dei suoi singoli elementi; il grande in sé in quanto è il referente primario, il diretto responsabile della grandezza, della quale le altre forme sono ad esso debitrici (16.1-8, 17.15-21, 27-33). In virtù della totale compenetrazione che regna nell'intelligibile, comunque, le azioni di questi tre fattori non sono realmente distinguibili: da un lato, il cosmo intelligibile comprende in sé tutte le forme, quelle delle specie particolari e quella della grandezza, e si esplica attraverso la somma delle loro azioni; d'altro lato, se esso e le singole forme possono prescrivere una certa grandezza ai sensibili corrispondenti è perché includono in sé anche l'idea di grandezza (un bell'esempio, questo, del perché Plotino possa sostenere che tutte le forme si coimplicano: anche due idee apparentemente del tutto indipendenti come quella di gazza ladra e quella di grandezza non possono in realtà essere disgiunte); infine, l'idea di grandezza si può esplicare soltanto attraverso le altre forme (non è possibile fare esperienza di una grandezza pura, una che non sia la grandezza di un certo ente – un fiore, una foglia ecc. –).

In considerazione di tutto questo, bisogna affermare che la materia prima è priva di grandezza: essa non è un'estensione sulla quale vengano poi ad insediarsi le diverse