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La concezione della dimensione corporea e della sua genesi nella filosofia di Plotino

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(1)

DIPARTIMENTO DI

FILOLOGIA, LETTERATURA E LINGUISTICA

CORSO DI LAUREA IN FILOLOGIA E STORIA

DELL'ANTICHITÀ

TESI DI LAUREA

La concezione della dimensione corporea e della sua genesi

nella filosofia di Plotino

CANDIDATO

RELATORE

Leonida Vanni

Chiar.ma Prof.ssa Cristina

D'Ancona

CORRELATORE

Chiar.mo Prof. Bruno Centrone

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INDICE

PREMESSA ...…... p. 5

CAP. I: IL PROBLEMA DELL'ORIGINE DELLA MATERIA ...….. 8

1.1. Introduzione al problema ...… 8

1.2. Uno status quaestionis ...… 10

1.2.1. La tesi di O'Brien ...… 11

1.2.2. La tesi di Schwyzer ...… 13

1.2.3. La tesi di Corrigan ... 14

1.2.4. La tesi di Narbonne ...… 16

1.2.5. Repliche a Narbonne ...… 18

1.2.6. Le repliche di O'Brien a Schwyzer e Corrigan ...… 19

1.2.7. Riesame della questione da parte di Narbonne ...… 21

1.2.8. Le critiche di Phillips a O'Brien ...… 23

1.3. La questione dell'origine della materia: un bilancio ... 25

1.3.1. Prospetto riassuntivo delle tesi esaminate ...… 25

1.3.2. Esclusione delle tesi di Schwyzer e Corrigan ...… 25

1.3.3. Valutazione della tesi di Narbonne. Le difficoltà di Plotino ... 27

1.3.4. Valutazione della tesi di O'Brien. La materia sensibile è generata ...… 29

1.3.5. Riassunto delle conclusioni raggiunte ... 44

CAP. II: LA CONCEZIONE PLOTINIANA DEL CORPO ...… 46

2.1. I predecessori di Plotino sul corpo ... 46

2.2. La posizione di Plotino ... 51

2.2.1. Estensione tridimensionale dotata di resistenza ... 51

2.2.1.1. Analisi di II 6 [17] 2.7-14... 51 2.2.1.2. Analisi di II 1 [40] 6.46-52 ... 60 2.2.1.3. Analisi di VI 1.26.17-22 ... 66 2.2.1.4. Altri passi ...… 71 2.2.2. Il μερισμός ...… 72 2.2.2.1. Analisi di IV 2 [4] 1.11-21 e di VI 4 [22] 8.15-22 ... 79

2.2.3. Il rapporto tra le due descrizioni plotiniane del corpo ... 82

CAP. III: PLOTINO SULL'ORIGINE DEL CORPO...86

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3.1.1. Esposizione della posizione di Plotino ... 87

3.1.2. Contro la materia inestesa: l'oppositore di Plotino ... 97

3.1.2.1. Ricostruzione della posizione dell'interlocutore in II 4.11.1-13 ....97

3.1.2.2. La scuola di provenienza dell'interlocutore ... 106

3.1.3. I fondamenti della posizione di Plotino ... 123

3.1.3.1. Le basi teoretiche ... 123

3.1.3.2. Le basi esegetiche ... 140

3.2. L'origine della resistenza ... 149

3.3. L'origine del μερισμός ... 151

3.4. La concezione plotiniana della genesi dei corpi: problemi e soluzioni ... 159

RICAPITOLAZIONE DEI RISULTATI RAGGIUNTI E CONCLUSIONE ... 166

APPENDICE I (lessicale): Il significato di ὄγκος e la sua traduzione ... 171

APPENDICE II: Plotino, la materia e la settima serie di deduzioni del Parmenide ... 177

CHIAVI DELLE ABBREVIAZIONI ... 186

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PREMESSA

Il presente lavoro ha per scopo l'analisi del modo in cui Plotino concepisce il corpo fisico in quanto tale – ossia nelle sue determinazioni di base e a prescindere da quegli elementi che sono responsabili della distinzione tra due corpi di specie diverse (per esempio, di un cane da un cavallo) o della medesima specie (per esempio, di Socrate rispetto a Platone) –, e del modo in cui rende conto della sua genesi. Per quanto le due prospettive non possano essere separate in modo netto, cercheremo di limitarci a una considerazione del problema dal punto di vista fisico, chiedendoci quali siano le caratteristiche peculiari di questo stadio della realtà e come vengano alla luce, e di lasciare da parte la domanda, pure ad esso connessa, dello statuto ontologico dei corpi e del loro grado di realtà. Sebbene questi due punti di vista sul medesimo oggetto non possano essere completamente scissi l'uno dall'altro, questa operazione è, d'altra parte, tutt'altro arbitraria, tanto che Plotino stesso affronta le questioni connesse all'uno e all'altro per lo più distintamente: in particolare, la nostra attenzione sarà rivolta per una parte cospicua del lavoro – e soprattutto se si escludono le analisi di passi che contengono informazioni interessanti, ma sono di estensione decisamente ridotta – ai trattati sulla materia (in particolare II 4 [12], Sulle due materie, e III 6 [26],

Sull'impassibilità degli incorporei1), mentre l'esame sistematico dello statuto ontologico

della sostanza fisica viene svolto principalmente nel trattato Sui generi dell'essere (VI 1-3 [42-4]), che non sarà molto presente nelle seguenti pagine.

Data la fondamentale importanza della materia per il nostro tema, e data la natura estremamente controversa di alcune questioni ad essa relative, inizieremo la nostra analisi da essa, e in particolare dal problema, ampiamente dibattuto, della sua eventuale generazione (che verrà affrontata nel capitolo 1): poiché la materia è, insieme alla forma,

1 Gli scritti di Plotino sono citati secondo il testo (salvo indicazione contraria) e la numerazione dei capitoli e delle righe della cosiddetta editio minor curata da Paul Henry e Hans-Rudolf Schwyzer per gli Oxford Classical Texts (1964-82; abbreviato H.-S.2). In occasione della prima menzione di ogni trattato nel testo sono esplicitati, oltre all'ordine enneadico, anche la sua posizione all'interno della serie cronologica (tra parentesi quadre), a noi nota dalla Vita Plotini di Porfirio (4-6), e il suo titolo, generalmente (salvo casi particolari) omessi per brevità nelle menzioni successive; com'è noto, i titoli non risalgono a Plotino stesso, che non era solito apporne ai suoi trattati, ma sono quelli che si imposero nei primi anni della loro circolazione e che furono canonizzati dall'edizione di Porfirio (Vita

Plotini 4.16-9). L'indicazione I 8 [51] (Cosa sono e da dove vengono i mali) 8.37-44, per esempio,

significa "ottavo trattato della prima enneade, cinquantunesimo nell'ordine cronologico, intitolato Cosa

sono e da dove vengono i mali, capitolo otto, righe da 37 a 44 dell'edizione H.-S.2". A proposito del trattato II 4 [12], va rilevato che il titolo indicato da Porfirio nella Vita Plotini (4.45 e 24.46), che suona Περὶ τῶν δύο ὑλῶν (Sulle due materie), non corrisponde a quello riportato dai manoscritti all'inizio del trattato stesso (Περὶ ὕλης, Sulla materia); come Harder, Narbonne (1993) e altri, ma a differenza di H.-S., preferisco la forma riportata da Porfirio, che rispecchia più accuratamente il contenuto del trattato.

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uno dei fattori costitutivi del corpo, in tal modo si potranno porre le successive analisi su più solide basi. Una volta chiarita la nostra posizione in merito a tale questione, si passerà alla parte principale di questo lavoro: nel capitolo 2 si tenterà di chiarire quali siano, secondo Plotino, le proprietà essenziali del corpo in quanto tale. Nel capitolo 3 si indagherà invece sulla genesi di queste proprietà, nel tentativo di stabilire a quale dei due responsabili della costituzione del corpo, la materia e le forme, ciascuna di esse vada ricondotta; in che modo si possa rendere conto della loro nascita a partire da questi fattori; quali aporie la concezione plotiniana presenti, ed eventualmente quali soluzioni si possano trovare per tali difficoltà. Parallelamente si metterà in luce il complesso e sfaccettato rapporto del nostro autore con la tradizione filosofica precedente. Una breve conclusione ricapitolerà i risultati raggiunti e fornirà una rapida valutazione del modo in cui la concezione del corpo si inserisce nella filosofia plotiniana.

Tendenzialmente la critica plotiniana non si è dedicata a questo tema nel suo complesso e secondo questa angolatura, e di conseguenza non si è sviluppato un dibattito unitario che possa essere ordinatamente e utilmente ripercorso e ricostruito (a differenza, per esempio, che nel caso della generazione della materia): al contrario, quelli, tra i diversi temi sopra menzionati, che hanno ricevuto attenzione da parte degli interpreti sono stati affrontati per lo più separatamente2. I contributi degli studiosi che si sono misurati con

tali questioni saranno dunque opportunamente indicati nelle sezioni di volta in volta pertinenti: di conseguenza, ci si limiterà per il momento semplicemente a richiamare alcuni studi che verranno tenuti presenti e discussi nelle sezioni successive, o a rimandare ai passi di esse dove sono citati. Va rilevato che l'attenzione che è stata riservata a questi argomenti varia in misura notevole a seconda del tema: sul problema della generazione della materia è fiorito negli ultimi decenni un dibattito particolarmente intenso (ricostruito nel corso del cap. 1; v. in particolare, per le indicazioni bibliografiche relative, la n. 12). Il tema, di cui ci si occuperà nel terzo capitolo, della sua natura inestesa è oggetto di un numero di studi decisamente minore, anche se spesso di notevole valore3. Inoltre, nell'ambito della concezione plotiniana della dimensione corporea, molti

2 La monografia di Santa Cruz de Prunes (1979) si sofferma in realtà in scarsa misura sulle tematiche che si sarebbe propensi ad attribuirle in base al titolo (La genèse du monde sensible dans la

philosophie de Plotin), come rilevato da più parti anche in sede di recensione (Blumenthal 1981, p.

264; O'Daly 1982, p. 285). La trattazione che, dal punto di vista della scelta dei temi e della loro successione, si avvicina maggiormente al taglio adottato in questo lavoro è quella contenuta nel cap. 6 (The physical world, pp. 185-224) di Emilsson 2017: quest'ultima è un'introduzione generale al pensiero di Plotino, ma, nonostante la necessità di prendere in esame in uno spazio relativamente ridotto tutti i principali aspetti della sua filosofia, contiene numerosi spunti interessanti e originali anche su questioni specifiche, su alcuni dei quali si avrà modo di tornare nel seguito di questo lavoro. 3 V. in modo particolare Narbonne 1993 (sia nel commento ai parr. 8-12 del trattato II 4, sia, soprattutto,

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progressi sono stati fatti di recente nel chiarimento dello statuto ontologico della sostanza fisica e nell'esegesi del trattato Sui generi dell'essere4 – un ambito che, come si è detto,

non sarà toccato in questa sede che di sfuggita –, nonché nell'esposizione del peculiare modo della materia plotiniana di combinarsi alle forme, diverso da quello della materia aristotelica5; al contrario, un aspetto della concezione dei corpi sul quale ci si soffermerà

ampiamente, vale a dire la definizione delle proprietà fisiche essenziali del corpo, è stato in larga parte trascurato6.

Un'ultima osservazione, a proposito delle traduzioni dei passi citati: i passi riportati in greco sono accompagnati da una parafrasi o, molto più spesso, da una traduzione, la quale è opera mia salvo diversa indicazione. In queste traduzioni si è cercato di mantenersi quanto più vicino possibile, nei limiti della ragionevolezza, alla lettera del testo; ci si sono concesse tuttavia diverse libertà e integrazioni, del resto necessarie data la natura quasi sempre condensata ed ellittica del dettato plotiniano: si è infatti ritenuto inutile riprodurre in italiano le oscurità del testo greco, o tentare a tutti i costi di evitare di sbilanciarsi in favore di una certa interpretazione di esso. Si è anche rinunciato, nella convinzione che fosse inutile e di ostacolo alla lettura, a segnalare ogni parola italiana che non trova corrispondenza nell'originale (ad esempio il verbo εἰμί sottinteso): ci si è limitati a segnalare tra parentesi quadre le integrazioni più corpose o suscettibili di alterare in modo significativo la sua interpretazione.

nell'ampia e penetrante discussione della questione all'interno dell'introduzione, pp. 224-64, che verrà discussa nei parr. 3.1.3.2 e 3.4) e Fleet 1995 (nel commento ai parr. 16-18 del trattato III 6); utili indicazioni si trovano inoltre in de Haas 1997 (seppure incentrato su Giovanni Filopono).

4 V. in particolare, tra gli studi su questa tematica di maggiore pertinenza per le nostre successive analisi (alcuni dei quali saranno nuovamente menzionati in seguito), Wagner 1996; Chiaradonna 1999, 2002 (cap. 1, Sostanza, pp. 55-147), 2016; Kalligas 2011.

5 V. infra, nn. 27 e 114.

6 Si segnalano tuttavia gli studi di Brisson sulla nozione di ὄγκος (2000 e 2010), esaminata sotto il profilo lessicale nella prima appendice di questa tesi.

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CAPITOLO I: IL PROBLEMA DELL'ORIGINE DELLA MATERIA 1.1. Introduzione al problema

All'interno del tema della concezione plotiniana della materia la questione che ha ricevuto più attenzione da parte degli interpreti è senz'altro quella della sua origine, attorno alla quale si è sviluppato, nella seconda metà del secolo scorso, un acceso dibattito. La prima alternativa che si pone a questo proposito è tra la posizione per cui la materia è generata e quella per cui è ingenerata: secondo la prima di queste due posizioni essa è originata, in quanto, pur non avendo un cominciamento nel tempo, deve perennemente il suo essere a un principio dal quale deriva; in base alla seconda posizione, invece, non ha un principio, bensì al contrario è essa stessa principio autonomo e originario.

L'interesse degli studiosi di Plotino per tale questione è ben comprensibile, poiché essa investe la struttura di fondo della sua concezione della realtà: nel primo caso, infatti, la materia costituisce, a qualunque livello di essa la si ponga, uno degli esiti del processo di emanazione della realtà dall'Uno; la sua filosofia si configurerà dunque come un monismo, se non nel senso che ritiene che esista un'unica realtà, per lo meno nel senso che ogni cosa sarà concepita come riconducibile a questo unico principio originario. Nel secondo caso, invece, essa si pone alla pari dell'Uno e rappresenta con ciò un secondo principio del reale, a quello irriducibile, cosicché il pensiero di Plotino ricadrà nel dualismo.

In base all'adozione dell'una o dell'altra linea interpretativa varierà quindi anche la valutazione della sua posizione all'interno della storia della filosofia. Se infatti si abbraccia l'ipotesi dualista egli si porrà, nella strutturazione del reale, in continuità con la tradizione platonico-aristotelica: in effetti, nel Timeo Platone pone alla base della sua concezione cosmologica (almeno) due elementi tra loro indipendenti, le forme e la χώρα, nella quale il mondo del divenire si manifesta, e anche in altri dialoghi rifiuta una posizione monistica7; così come per Aristotele la materia, in quanto principio soggiacente

7 La questione se il demiurgo del Timeo operi o meno su una realtà materiale preesistente è controversa e non può certo essere affrontata in questa sede; ma, per quanto anche interpreti autorevoli come Taylor non si sottraggano a letture per cui "the physical world does not exist in its own right, but depends on a really self-existing being, the "best ψυχή", God, for its existence" Taylor 1928, p. 71), la cooriginarietà del mondo delle forme e della realtà ordinata dal demiurgo appare in maniera estremamente evidente in 52d2-53b7: da questo passo traspare che quest'ultima non è stata creata, bensì soltanto ordinata dal demiurgo sulla base del primo; inoltre, in 47e5-48a5 si prospetta la ragione (del demiurgo) nell'atto di "persuadere" la necessità, come qualcosa di esterno e sussistente indipendentemente da essa. A questo proposito è difficile non trovarsi d'accordo con le puntuali osservazioni di Cornford (1937, pp. 34-7, 162-5), che mette in luce come interpretazioni quali quella di Taylor siano dovute alla tendenza ad

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alla forma e sostrato in cui avviene il mutamento8, è indiscutibilmente irriducibile ad

essa; e come dualistica si configura pure la celebre dottrina accademica dei principi riferita in più luoghi9 da Aristotele, nella quale si distingue tra un principio di

determinazione formale e uno materiale di indeterminazione. Se al contrario si fa derivare (direttamente o indirettamente) la materia dall'Uno, Plotino si porrà piuttosto sulla scia della riflessione medioplatonica di stampo pitagorico che, rifacendosi alla dottrina accademica dei principi ma facendo derivare quello materiale dall'Uno, aveva determinato a partire dal primo secolo a.C. una reviviscenza del monismo, e che era rappresentata nei Πυθαγορικὰ ὑπομνήματα ai quali attinse, secondo Diogene Laerzio (VIII 24), Alessandro Poliistore, e inoltre in Eudoro di Alessandria e in Moderato di Gades10. In tal caso a Plotino spetterebbe l'importante ruolo di essere il primo tra i filosofi

appiattire la figura del demiurgo platonico su quella del creator ex nihilo della tradizione cristiana, mentre il testo del dialogo lo presenta come operante su una realtà materiale da lui indipendente. Ma per un ponderato esame del numero di principi desumibili dal dialogo si veda il recente articolo di Fronterotta (2014), il cui autore esprime la propria propensione a ravvisarvi un "dualismo imperfetto, strutturato sulla contrapposizione di due principi antagonisti [appunto il mondo delle forme e la χώρα come sostrato "spazio-materiale"], e tuttavia in uno stato di reciproca inerzia causale, per la cui interazione, necessaria a che abbia luogo la generazione del mondo sensibile, occorre postulare l'esistenza di un termine intermedio [rappresentato dal demiurgo], subordinato ai principi e tuttavia indispensabile per la loro relazione" (p. 117). Più in generale, sul dualismo platonico, con riferimento anche ad altri dialoghi quali le Leggi e alle "dottrine non scritte", v. Rist 1965, pp. 329-332: l'autore rileva come "the problem of plurality in the intelligible world, and the problem of the possibility of a choice of evil in the realm of sensibles, keep Plato from formulating a monistic position" (p. 331). 8 V. l'analisi dei tre principi del mutamento (sostrato materiale, forma e privazione, non qualificabile

come principio in quanto altro non è se non l'assenza della forma) in Phys. Α 7 e in Met. Λ 1-2; come conclude Happ al termine della sua minuziosa esame del concetto di materia in Aristotele, "die Siensstufung des Aristoteles besitzt [...] eindeutig dualistischen Charakter" (1971, p. 805; corsivo dell'autore).

9 Si vedano, tra i tanti, Met. A 6, 987b18-22 e 988a8-15, contenuti in Gaiser 19682, Testimonia

Platonica, 22a (ulteriori passi sono elencati in Merlan 1965, p. 143 n. 1; per altre indicazioni su passi

aristotelici relativi al principio materiale accademico si rimanda al commento di Ross a 987b20); molto esplicite anche le formulazioni contenute nel fr. 2 Ross del Περὶ τἀγαθοῦ (= fr. 23 Rose2, 28 Rose3), fra le quali si può citare quella di Alessandro di Afrodisia (in Met. 85. 16) per cui ἀρχαί [...] εἰσι τό τε ἓν καὶ ἡ ἀόριστος δυάς.

10 Su questa corrente si vedano le presentazioni di Rist 1965, pp. 333-8, e Merlan 1965, oltre alle sezioni relative in Dillon 1977 (dottrina dei principi riportata da Alessandro: p. 342; di Eudoro: pp. 126-8; di Moderato: pp. 346-9) e Trapp 2007 (Eudoro: pp. 351-2; Moderato: pp. 355-8). Secondo i commentari pitagorici utilizzati da Alessandro – a proposito dei quali si troverà ulteriore bibliografia in Centrone 1992, pp. 4193-4205 (con discussione), e in Dorandi 2013, pp. 860-1 –, ἀρχὴν [...] τῶν ἁπάντων μονάδα (Diog. Laert. VIII 25); v. anche Long 2013 (specie, sulla dottrina dei principi, pp. 145-6, dove tuttavia ci s'interessa meno alla questione dell'opposizione tra monismo e dualismo, sottolineando soltanto la vaghezza di Alessandro nella determinazione del rapporto tra i principi). Similmente, secondo Eudoro, fr. 4 Mazzarelli (= Simplic. in Arist. Phys. I 5, p. 181.17 Diels) ἀρχὴν ἔφασαν [sc. i Pitagorici; ma la dottrina appare una rielaborazione "moderna"] εἶναι τῶν πάντων τὸ ἕν; specificamente dedicato al monismo di Eudoro e al suo rapporto con la dottrina dei principi è Napolitano Valditara 1985; sulla figura di Eudoro si vedano anche, più di recente, Bonazzi 2007 (pp. 367-71 sulla testimonianza di Simplicio) e 2013 (specie pp. 371-9). La questione della dottrina dei principi di Moderato è estremamente controversa; l'affermazione del suo monismo si basa sul resoconto di Simplic. in Arist. Phys. p. 230.34-231.24 Diels (= Dörrie-Baltes 1996, Baustein 122.2 = fr. 5 Ramos Jurado), secondo il quale la sua concezione avrebbe previsto al di sopra di tutto un πρῶτον ἓν ὑπὲρ τὸ εἶναι καὶ πᾶσαν οὐσίαν, sotto al quale si sarebbero posti un δεύτερον ἓν (= τὸ ὄντως ὂν καὶ νοητόν = τὰ εἴδη) e un τρίτον (= τὸ ψυχικόν). Ma gli interpreti sono incerti se considerare autentica di

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platonici di una certa rilevanza e influenza a rappresentare e avallare con la propria autorità la prospettiva monista, e nel far questo potrebbe essere presentato come più vicino nella sua strutturazione della realtà – anche se non nei propositi, per lo meno nei fatti – alla concezione cristiana che a quella platonica: anche la prima di queste, infatti, fa scaturire l'intera realtà da un unico principio, Dio, senza affiancargli alcunché che sia da esso indipendente.

Ma la questione non ha importanza soltanto in relazione alla struttura di fondo dell'universo plotiniano, bensì si lega a doppio filo con un'altra problematica, ossia la collocazione del male al suo interno e la sua spiegazione. Nel momento, infatti, in cui, come avviene nel trattato I 8 [51] Cosa sono e da dove vengono i mali, si identifica la materia con ciò che è primariamente male e male in sé (v. ad es. I 8.8.37-44, dove τὸ ἄμετρον indica appunto la materia), affiora un'aporia la cui soluzione, in ogni caso non agevole, dipende dalla risposta che si è data al precedente quesito: se essa è ingenerata, bisognerà ammettere, a fianco del principio del bene che è l'Uno, un principio malvagio a sua volta autosussistente e positivamente esistente, posizione pericolosamente affine a quella gnostica, respinta da Plotino; ma se la si porrà generata si incorrerà in una difficoltà forse ancora più grave, in quanto si farà derivare dall'Uno-Bene una realtà malvagia e che è anzi il male in sé – una derivazione di cui non sarà facile spiegare la dinamica e che rischia di intaccare la purezza della realtà al vertice di tutto il sistema. In subordine al problema dell'originarietà o meno della materia si pone poi un'ulteriore domanda: se si ammette che essa sia un prodotto derivato di una realtà superiore, qual è la realtà da cui ha origine? I candidati principali sono a questo proposito l'Uno – ipotesi che porrebbe Plotino in netta continuità con le tendenze del medioplatonismo pitagorizzante qui sopra ricordate – e l'anima, e a proposito di quest'ultima bisogna poi precisare quale tipo di anima si sta considerando, se quella del tutto o un'anima individuale. I termini della questione restano tuttavia da precisare ulteriormente.

1.2. Uno status quaestionis

Ora, per quanto i problemi appena delineati fossero già stati in parte affrontati nella letteratura precedente, è a Denis O'Brien (197111) che si deve la nascita del dibattito più

recente su di essi: l'articolo diede infatti origine a una serie di risposte, obiezioni e

Moderato questa dottrina così simile a quella di Plotino: bisogna ritenere che egli anticipi il neoplatonico (così Dodds nel suo pionieristico articolo del 1928) o che il resoconto sia appiattito sulla filosofia di quest'ultimo? Bibliografia e discussione in Dörrie-Baltes 1996, pp. 477-485; Tornau 2000. 11 Una versione precedente di questo articolo era già apparsa nella rivista Downside Review, n° 87, 1969,

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contro-obiezioni di diversi studiosi (oltre allo stesso O'Brien vanno menzionati H.-R. Schwyzer, K. Corrigan e J.-M. Narbonne, cui si aggiunge più di recente J. Phillips) che costituiscono un dibattito dai contorni ben definiti, di cui si proverà qui di seguito ad esporre lo svolgimento. Si tenga comunque presente che, per quanto si sia cercato di scendere per quanto possibile nel dettaglio nel riassumere le argomentazioni e le analisi dei passi, in modo da restituire la componente aporetica del dibattito e da evitare di scadere in un'arida dossografia, le dimensioni da questo assunte hanno impedito di restituire tutte le sfaccettature dei contributi esaminati e, ancor più, di rendere conto di tutti i contributi che siano stati scritti sul tema12: tra questi si sono trascelti quelli che si è

ritenuto fosse più utile avere presenti per conseguire un quadro generale del problema e delle opzioni principali adottate dagli interpreti.

1.2.1. La tesi di O'Brien

O'Brien prende le mosse da un'apparente contraddizione interna alla concezione plotiniana dell'origine del male umano, del vizio dell'anima o κακία: da un lato, infatti, l'origine del male viene rintracciata nella materia (nel già citato trattato I 8, in passi come 3.12-6, 35-40; 5.5-12); d'altro lato, altrove (nel trattato Sulla discesa dell'anima nei corpi IV 8 [6], cap. 4.1-23) esso viene imputato piuttosto alla debolezza dell'anima umana. Per uscire dall'impasse lo studioso considera più attentamente il rapporto tra l'anima e la materia, prendendo anzitutto in esame il passo del trattato III 9 [13] (Ricerche varie) in cui si descrive come l'anima, nel rivolgersi a se stessa, crei una realtà inferiore, un'immagine di sé indefinita e non esistente, identificata con la materia; e come successivamente, scorgendo nuovamente questo prodotto, lo doti di forma slanciandosi nuovamente verso di esso (III 9.3.7-16)13. Ora, dal momento che dopo la creazione della

12 O'Brien in particolare ha dedicato a questo tema, e in generale alla concezione plotiniana della materia, un gran numero di articoli e monografie: si vedano O'Brien 1971, 1981, 1988, 1990, 1991b, 1993, 1994, 1996a, 1996b, 1999 (riprodotto, con una raccolta dei testi citati e tradotti, in O'Brien 2005), 2011a, 2011b, 2012. Degli altri autori si vedano Schwyzer 1973; Corrigan 1986, 1988, 1996 passim, 2000; Narbonne 1987, 1993, 2006, 2007 (tradotto in inglese in Narbonne 2011, Study one, pp. 11-53); Pang-White eWhite 2001; Carroll 2002; Phillips 2009; il tema è toccato anche in Rist 1983 (ripreso in Rist 1996), incentrato tuttavia sul problema del male. Non mi è stato possibile consultare Collette-Dučić 2007. 13 φωτίζεται μὲν οὖν ἡ μερικὴ πρὸς τὸ πρὸ αὐτῆς φερομένη – ὄντι γὰρ ἐντυγχάνει – εἰς δὲ τὸ μετ᾽ αὐτὴν εἰς τὸ μὴ ὄν. τοῦτο δὲ ποιεῖ, ὅταν πρὸς αὐτήν· πρὸς αὐτὴν γὰρ βουλομένη τὸ μετ᾽ αὐτὴν ποιεῖ εἴδωλον αὐτῆς, τὸ μὴ ὄν, οἷον κενεμβατοῦσα καὶ ἀοριστοτέρα γινομένη· καὶ τούτου τὸ εἴδωλον τὸ ἀόριστον πάντη σκοτεινόν· ἄλογον γὰρ καὶ ἀνόητον πάντη καὶ πολὺ τοῦ ὄντος ἀποστατοῦν. εἰς δὲ τὸ μεταξύ ἐστιν ἐν τῷ οἰκείῳ, πάλιν δὲ ἰδοῦσα οἷον δευτέρᾳ προσβολῇ τὸ εἴδωλον ἐμόρφωσε καὶ ἡσθεῖσα ἔρχεται εἰς αὐτό. "L'anima parziale viene illuminata quando si dirige verso ciò che è prima di essa – si fa infatti incontro all'ente –, ma quando si dirige verso ciò che viene dopo si dirige verso il non ente. E fa questo quando si dirige verso se stessa: volendo infatti dirigersi verso se stessa, produce ciò che viene dopo, il non ente, quale immagine di se stessa, facendo per così dire un passo nel vuoto e

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materia l'anima è qualificata come ancora nella sede a lei propria (ἐν τῷ οἰκείῳ) e che altrove (I 8.4.5-15) si afferma che l'anima non può essere viziosa senza la materia, l'atto in sé della sua creazione non può essere giudicato malvagio; così come non lo è la sua successiva relazione con essa, come testimoniato dal fatto che nel caso degli astri e di pochi eletti tra gli uomini la materia è compresente all'anima senza che ciò ingeneri alcun vizio (cfr. I 8.5.30-4, IV 8.5.24-33): la presenza della materia non è dunque di per sé causa sufficiente del male.

D'altra parte essa ne è in qualche misura responsabile, come si è visto nei passi sopra indicati del trattato I 8 e come appare anche da un'altra sezione di questo stesso scritto (I 8.14.25-54), dove si dichiara che la materia è causa della debolezza dell'anima e del vizio (consistenti nell'eccessiva attenzione rivolta alla materia) e che, anche se l'anima ha generato la materia, questa è pur sempre causa del male con la sua presenza14. Da queste

righe, osserva O'Brien, traspare ancora una volta che la materia è generata dall'anima, in quanto il periodo ipotetico citato nella nota 9 viene inteso nel modo più naturale come di primo tipo. Inoltre, è vero che ad alcuni studiosi, e in particolare, già nell'Ottocento, a Chaignet (1892, p. 91 n. 4), è parso di poter ravvisare una contraddizione tra il fatto che la materia, in quanto derivante dall'anima, è ad essa posteriore, e il fatto che, in quanto causa del suo incurvarsi verso il basso, sembra essere concepita come pre- o coesistente a quella; ma tale contraddizione è soltanto apparente e si risolve alla luce della dottrina della duplice iniziativa dell'anima desumibile da III 9.3.7-16 (riportato nella nota 8): l'incurvarsi dell'anima verso la materia non coincide infatti con la sua produzione, bensì si colloca in un secondo momento, ad essa successivo.

Ma, se in questo aspetto non risiede dunque alcuna difficoltà, resta il problema di come conciliare le due prospettive per cui la presenza della materia è causa del male e per cui causa del male è la debolezza dell'anima, il suo rivolgersi verso il basso. La soluzione di O'Brien è che nessuno di questi due fattori è di per sé causa sufficiente del male, ma essi

diventando più indeterminata; e l'immagine indeterminata di ciò è assolutamente tenebrosa: è infatti assolutamente priva di ragione e di intelletto e molto distante dall'ente. Quando si volge alla regione intermedia è nella regione a lei propria; ma, guardando nuovamente l'immagine, per così dire in un secondo slancio le ha dato forma ed entra in essa, rallegrandosi."

14 V. in particolare le rr. 49-54: ὕλη τοίνυν καὶ ἀσθενείας ψυχῇ αἰτία καὶ κακίας αἰτία. πρότερον ἄρα κακὴ αὐτὴ καὶ πρῶτον κακόν· καὶ γὰρ εἰ αὐτὴ ἡ ψυχὴ τὴν ὕλην ἐγέννησε παθοῦσα, καὶ εἰ ἐκοινώνησεν αὐτῇ καὶ ἐγένετο κακή, ἡ ὕλη αἰτία παροῦσα· οὐ γὰρ ἂν ἐγένετο εἰς αὐτὴν μὴ τῇ παρουσίᾳ αὐτῆς τὴν γένεσιν λαβοῦσα. "La materia, quindi, è causa della debolezza e della malvagità dell'anima. Essa è dunque malvagia prima di essa ed è primo male: infatti, anche se l'anima ha generato essa stessa la materia, andando incontro ad un'affezione, e si è associata ad essa ed è divenuta malvagia, è la materia, con la sua presenza, la causa [oppure, secondo un'interpretazione che si esporrà tra breve, "anche se l'anima avesse generato essa stessa la materia, andando incontro ad un'affezione, e si fosse associata ad essa e fosse divenuta malvagia, sarebbe la materia, con la sua presenza, la causa"]: l'anima non sarebbe infatti venuta in essa se non avesse tratto [l'occasione per] la sua venuta dalla presenza di quella."

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lo sono se combinati: in particolare, la materia è male in sé e offre sempre occasione per il comportamento vizioso dell'anima, ma non è né causa né condizione sufficiente del male, dato che essere associata ad essa è per l'anima naturale e non comporta necessariamente il concretizzarsi del vizio; d'altro lato, la debolezza dell'anima, la sua tendenza a rivolgersi in basso, non potrebbe essere causa del male se non vi fosse una materia malvagia che le dà occasione di attuarsi. In tal modo Plotino evita da un lato di assoggettare il superiore (l'anima) all'inferiore (la materia), come accadrebbe se quest'ultimo fosse causa sufficiente del male, ma al contempo anche di introdurre la malvagità tra le realtà intellegibili, come sarebbe se causa del male fosse unicamente la debolezza dell'anima. Resta però una difficoltà ineludibile, che deriva a Plotino dall'eredità dei pensatori precedenti, in particolare il Platone del Timeo: se per quest'ultimo l'identificazione dell'elemento materiale con la causa del male era aproblematica, in quanto esso era ingenerato e indipendente dalla realtà positiva delle forma, per il pensatore neoplatonico tale identificazione costituisce un punto piuttosto spinoso, in quanto la materia deriva pur sempre in ultima istanza dal principio positivo che è l'Uno.

1.2.2. La tesi di Schwyzer

Le argomentazioni e le conclusioni di O'Brien furono contestate da Schwyzer in un articolo del 1973; esso prende in esame in generale l'interpretazione plotiniana della cosiddetta materia di Platone, la χώρα, ma la parte che qui interessa è quella relativa all'origine della materia, contenente fra l'altro il confronto con lo studioso inglese. La tesi fondamentale di Schwyzer a questo proposito è che la materia sia secondo Plotino ingenerata; per suffragarla egli discute svariati passi enneadici, di molti dei quali fornisce un'interpretazione diversa da quella di O'Brien. Innanzitutto, nelle già citate righe del trattato sulla natura e l'origine dei mali (I 8.14.25-54; le rr. 49-54 sono citate nella n. 14) il periodo ipotetico sarebbe irreale e non reale, dovendosi sottintendere nell'apodosi ἡ ὕλη αἰτία παροῦσα la forma ἂν ἤν; questo sarebbe determinabile non su base linguistica, poiché su questo piano entrambe le interpretazioni sono egualmente plausibili, bensì su base contenutistica, in quanto per Plotino che la materia sia generata sarebbe una tesi inaccettabile. Questa considerazione è garantita dalla sua qualifica come ἀνώλεθρος in II 5 [25] (Su ciò che è in potenza e ciò che è in atto) 5.34, la quale implicherebbe che è anche ἀγένητος, e inoltre dall'affermazione, contenuta in un passo di poco precedente (II 5.5.14-5), che ἀποστᾶσα πάντων τῶν ὄντων οὔτε ἐγένετο ("avulsa da tutti gli enti, non

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venne ad essere"). Per converso, nel passo di Ricerche varie addotto da O'Brien a supporto della tesi della generazione della materia (III 9.3.7-16, v. n. 13) l'immagine prodotta dall'anima, il non ente, sarebbe da identificare col corpo, non con la materia: ingenerato è dunque il primo, non la seconda. Potrebbe sembrare allora – e così parve a Proclo, in effetti – che in tal modo Plotino introduca due principi contrapposti, uno del bene e uno del male15, ma questa conseguenza indesiderata si dissolve quando si

considera che la materia, in quanto non essere ed equiparabile, per usare concetti matematici successivi, non a un numero negativo ma allo zero, non può assurgere al rango di vero principio e di ipostasi. Il fatto che si riduce a nulla, a non ente, non le preclude però la possibilità di esercitare degli effetti, così come l'Uno è attivo causalmente anche se non "è". Questa dottrina dell'identità di male e materia deriva a Plotino da un'interpretazione del Timeo che identifica l'ἀνάγκη (principio del disordine) e la χώρα (intesa sulla scorta di Aristotele come materia).

1.2.3. La tesi di Corrigan

Schwyzer sostiene dunque il corno dell'alternativa sopra delineata per cui la materia è ingenerata, mentre O'Brien quello opposto, per cui è generata, e precisamente dall'anima "parziale" (μερική); Corrigan (1986) abbraccia a sua volta quest'ultima opzione, ma in una forma più complessa, in base alla quale nelle Enneadi sarebbe possibile individuare ben tre versioni della generazione della materia sensibile. Da un lato, infatti, il passo di II 5 in cui si afferma di essa che οὔτε ἐγένετο (II 5.5.15), addotto da Schwyzer, negherebbe non la sua generazione tout court, bensì la sua generazione nel tempo. D'altro lato le righe successive (17-22) delineerebbero tre momenti logicamente (per quanto non cronologicamente) distinti della sua realizzazione: la sua espulsione dall'intelligibile, del quale deve quindi partecipare inizialmente in qualche forma; la sua apparizione al termine della realtà intelligibile prima della generazione dell'universo fisico (quella che Corrigan chiama "pre-cosmic matter", p. 170); infine, la materia "cosmica" o "sensibile" (p. 170), che è sostrato degli oggetti del mondo fisico. È inoltre possibile indicare tre passi dai quali si può desumere di volta in volta che la materia è generata dall'anima "parziale" (III 4 [15], Sul demone che ci ha avuto in sorte, 1), dall'anima "pura" (I 8.14.51-3) e dal movimento primo o prima alterità (II 4.5.24-39). Il primo di questi

15 Più precisamente, Proclo afferma che, se si concepisce la materia come male, bisognerà scegliere tra due strade egualmente impraticabili: o (se la si ritiene derivata dal principio primo, il Bene) si dovrà rendere il Bene causa del male, o bisognerà postulare due principi contrapposti del reale (De mal.

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sarebbe l'unico che fornisca una prova della generazione della materia immediatamente evidente. Il secondo è quello già discusso da O'Brien e Schwyzer (v. n. 14), a proposito del quale Corrigan si schiera in favore dell'interpretazione della condizionale come reale. Nel terzo si sta discutendo in realtà della materia intelligibile, ma le rr. 34-716 non

sarebbero comprensibili senza che si ammetta un riferimento a quella sensibile: la frase φῶς οὐκ ἔχει ἀεί ("has everlastingly no light" secondo la traduzione di Armstrong, citata da Corrigan) non sarebbe infatti applicabile alla prima, ma soltanto alla seconda, cosicché la materia sensibile si configura come conseguenza implicita del primo movimento di emanazione dall'Uno. Va comunque precisato che queste non costituiscono per Corrigan tre diverse generazioni della materia, ma solo tre punti di vista differenti, tra loro conciliabili nella misura in cui la generazione della materia da una realtà inferiore come l'anima parziale presuppone pur sempre la sua derivazione dalle realtà superiori, dalle quali anche quest'ultima discende.

Inoltre, nella seconda parte del suo articolo (pp. 176-81) lo studioso prende in esame la questione della partecipazione alla materia sensibile da parte degli enti intelligibili e sensibili, giungendo alla conclusione che partecipano ad essa sia gli uni sia gli altri. È vero che, in un contributo successivo a quello sopra riassunto, O'Brien aveva negato alla materia sensibile la possibilità della partecipazione: in base alla sua interpretazione, le due possibilità affacciate a proposito della materia in IV 8.6.18-23 – se la materia è da sempre (in senso logico, non cronologico), nella misura in cui è non è possibile che non partecipi dell'Uno; ma anche se vi è una generazione di essa da parte delle realtà superiori non può essere totalmente separata da esse17 – erano da riferire la prima, quella

che prospetta la sua partecipazione, alla materia intelligibile, la seconda, ed essa soltanto, a quella sensibile (O'Brien 1981, p. 115). Ma secondo Corrigan entrambe sono da riferire alla materia sensibile: che essa partecipi dell'intellegibile sarebbe evidente in quanto se non si desse questo fenomeno non potrebbe esservi discesa dell'anima, oltre che

16 πρὶν δὲ ἀόριστον καὶ ἡ ὕλη καὶ τὸ ἕτερον καὶ οὔπω ἀγαθόν, ἀλλ᾽ ἀφώτιστον ἐκείνου. εἰ γὰρ παρ᾽ ἐκείνου τὸ φῶς, τὸ δεχόμενον τὸ φῶς, πρὶν δέξασθαι, φῶς οὐκ ἔχει ἀεί, ἀλλὰ ἄλλο ὂν ἔχει, εἴπερ τὸ φῶς παρ᾽ ἄλλου. "Prima [che il movimento e l'alterità intelligibile si rivolgano verso l'Uno] la materia e l'altro sono indeterminati e non ancora buoni, bensì privi della luce di quello. Se infatti la luce deriva da quello, prima di riceverla ciò che riceve la luce è sempre nella condizione di non avere luce, ma [quando la possiede] la possiede come qualcosa di altro, poiché la luce deriva da altro."

17 εἴτ᾽ οὖν ἦν ἀεὶ ἡ τῆς ὕλης φύσις, οὐχ οἷόν τε ἦν αὐτὴν μὴ μετασχεῖν οὖσαν τοῦ πᾶσι τὸ ἀγαθὸν καθόσον δύναται ἕκαστον χορηγοῦντος· εἴτ᾽ ἠκολούθησεν ἐξ ἀνάγκης ἡ γένεσις αὐτῆς τοῖς πρὸ αὐτῆς αἰτίοις, οὐδ᾽ ὣς ἔδει χωρὶς εἶναι, ἀδυναμίᾳ πρὶν εἰς αὐτὴν ἐλθεῖν στάντος τοῦ καὶ τὸ εἶναι οἷον ἐν χάριτι δόντος. "Se la natura della materia [= la materia] era da sempre, essa, poiché era, non poteva non partecipare di ciò che distribuisce il bene a tutti, nella misura in cui ciascuno può [riceverne]; se invece la sua generazione conseguì per necessità alle cause che la precedono, neppure così doveva esserne separata, come se ciò che aveva dato, per così dire con un atto di grazia, anche l'essere, si fosse fermato per impotenza prima di giungere ad essa."

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dall'analisi dei passi III 5 [50] (Sull'amore), capp. 6 (sub fine) e 7. Inoltre, essa è oggetto di partecipazione per gli enti sensibili, dei quali costituisce il sostrato. Dunque, egli conclude, "lower matter is apprehended by both the intelligible and the sensible" (p. 180): l'esito del primo di questi due processi è la produzione di un essere spirituale (l'anima creatrice o uno spirito che abita l'universo fisico, come in III 5.6), quello del secondo un'immagine sensibile dell'intelligibile. La concezione della materia che emerge dalle analisi sin qui esposte è quindi quella di una realtà continua che spazia dall'intelligibile al grado infimo dell'universo plotiniano, ben lungi dall'essere relegata soltanto a quest'ultimo, ma al tempo stesso anche discontinua, perché in eterna fuga dalla forma.

1.2.4. La tesi di Narbonne

Le tesi di Corrigan suscitarono una reazione da parte di Jean-Marc Narbonne, che di lì a poco, nel 1987, pubblicò su Dionysius un articolo sul problema della generazione della materia18, criticandole con decisione ma attaccando anche i due precedenti contributi sul

tema. L'approccio di Narbonne è in parte diverso da quello dei suoi predecessori, in quanto egli si mostra interessato a ricostruire non solo e non tanto la posizione presa da Plotino in merito alla generazione della materia, decidendo a favore dell'uno o dell'altro corno del dilemma, ma anche e soprattutto il travagliato percorso che l'ha portato a questa risposta e le aporie e le problematiche filosofiche ad esso sottese; inoltre, in quanto in questo tentativo assume un ruolo più importante la questione, se non dell'evoluzione, per lo meno dello sviluppo e della cronologia relativa dei suoi scritti. In generale, la tesi centrale di questo studioso è che Plotino lasciò la questione della generazione della materia aperta per gran parte della sua esistenza, fino a quando non fu costretto da esigenze del suo pensiero a prendere posizione in favore di una risposta positiva nel trattato Cosa sono e da dove vengono i mali (I 8).

Per far questo egli si sforza innanzitutto, nella pars destruens (pp. 3-22), di smontare le certezze di Corrigan relative alla generazione della materia: in particolare, il passo III 4.1, in cui questa emergerebbe a suo giudizio dalla semplice lettura senza bisogno di ulteriori argomentazioni, viene rimesso in discussione sulla base delle considerazioni che la materia non è mai menzionata, e che le espressioni con cui questa sarebbe designata, quali πάντη ἕτερον (r. 6) e ἀοριστίαν παντελῆ (rr. 11-2), sono in realtà volutamente ambigue. Inoltre, l'indeterminatezza di queste espressioni è confermata dal confronto con

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altri passi delle Enneadi, quale III 6 [26] (Sull'impassibilità degli incorporei) 7.38ss.: come qui ad essere qualificato come ψεῦδος non è la materia, sebbene anch'essa sia una realtà menzognera, così ad essere qualificato come "assolutamente altro" potrebbe non essere la materia, per quanto questa descrizione si attagli anche ad essa. Le rr. 23-7 del cap. 2 del trattato V 1 (Sulle tre ipostasi che sono principi)19 spingono persino a ritenere

che la materia sia, piuttosto, ingenerata: secondo queste righe essa esisterebbe infatti prima che l'anima vi risieda e la ordini (πρὸ ψυχῆς, r. 25). Ma la stessa sorte toccherebbe anche agli altri passaggi addotti da Corrigan: in II 5.5.15 (ἀποστᾶσα πάντων τῶν ὄντων οὔτε ἐγένετο) non si potrebbe disinnescare l'affermazione che οὔτε ἐγένετο intendendola come una negazione della sua genesi nel tempo; II 4.5.24-3920 è da riferire, per esplicita

dichiarazione di Plotino stesso, alla sola materia intelligibile; e, poiché I 8.14.51-4 (v. n. 14) è aperto ad entrambe le possibilità interpretative, non si può decidere su base interna quale delle due sia quella esatta. Pertanto nulla consentirebbe sinora di ritenere che per Plotino la materia sia generata, anzi gli indizi andrebbero tutt'al più in direzione contraria. In generale, poi, la concezione della materia come un continuum che agisce a tutti i livelli della realtà, avanzata da Corrigan, appiattirebbe la posizione di Plotino sulla dottrina accademica del principio materiale che contribuisce alla creazione di idee e cose sensibili, non cogliendo la specificità della dottrina plotiniana dell'emanazione: secondo quest'ultima, infatti, ogni realtà genera un prodotto indeterminato successivamente informato, col risultato che si delinea una pluralità di principi.

Nella pars construens (pp. 22-31) Narbonne espone la propria ricostruzione del modo in cui il filosofo affronta il problema della generazione della materia. Punto di partenza è l'analisi di IV 8.6.18-23 (citato nella n. 17): in questo trattato, appartenente alla prima fase della sua carriera di scrittore (sesto nell'ordine cronologico), essa era stata lasciata irrisolta, per il semplice fatto che era irrilevante nell'ambito della questione che si stava discutendo. Scopo di Plotino era infatti accertare che la materia non può essere totalmente avulsa dal Bene, cosicché la sua presenza non può intaccare l'ordine e la bontà del tutto; ma questo risultava vero sia nel caso la si ritenesse ingenerata, ma pur sempre partecipante al Bene nella misura in cui è, sia nel caso la si ponesse generata, e quindi comunque legata alle realtà superiori. Con ciò viene rifiutata l'interpretazione del passo

19 ὁ δὲ κινηθεὶς κίνησιν ἀίδιον ὑπὸ ψυχῆς ἐμφρόνως ἀγούσης ζῷον εὔδαιμον ἐγένετο, ἔσχε τε ἀξίαν οὐρανὸς ψυχῆς εἰσοικισθείσης ὢν πρὸ ψυχῆς σῶμα νεκρόν, γῆ καὶ ὕδωρ, μᾶλλον δὲ σκότος ὕλης καὶ μὴ ὂν καὶ ὃ στυγέουσιν οἱ θεοί, φησί τις. "Il cielo, mosso di un movimento eterno, divenne, per l'azione dell'anima, che lo guidava saggiamente, un vivente beato, ed acquisì valore all'insediarsi dell'anima in esso, mentre prima [dell'arrivo] dell'anima era un corpo morto, ossia terra e acqua, anzi l'oscurità della materia e non ente e «ciò che gli dei odiano», come dice qualcuno [Iliade XX 65]." 20 Le rr. 34-7, su cui è imperniata l'argomentazione di Corrigan, sono citate nella n. 16.

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data da O'Brien nel 1981, scartata per altre ragioni (riportate sopra, par. 1.2.3) già da Corrigan. È soltanto alla fine della sua produzione, nel cinquantunesimo trattato secondo l'ordine cronologico (il già più volte citato I 8), che viene affermata, e a chiare lettere, la necessità della generazione della materia (I 8.7.16-2321). Il travaglio che porta a questo

esito è ricostruito da Narbonne nei seguenti termini: in precedenza Plotino (ad esempio nel succitato passo di IV 8) non aveva concepito la materia come un vero contrario del Bene, dotato di potenza propria, cosicché non aveva avvertito la necessità di negare la sua autonomia ontologica da esso22. Tuttavia, in questo modo rimaneva insoluta la

questione della genesi del male: posto che esso non può avere come principio il Bene e che la materia non costituisce un principio attivo, quale si deve supporre che sia la sua radice? Per spiegare la presenza dei mali nel mondo – questione alla quale egli si sarebbe interessato in particolare nel periodo della vecchiaia –, e quindi per esigenze di carattere etico, occorre allora attribuire alla materia il rango di principio attivo del male. Ma proprio nel momento in cui si compie questo passo si rischia la conseguenza sommamente indesiderata di incorrere in un dualismo di principi opposti, uno positivo e uno negativo, al modo degli gnostici: l'unico modo di scongiurare questo pericolo è allora sussumere il principio negativo sotto quello positivo, affermando la derivazione della materia dall'Uno.

1.2.5. Repliche a Narbonne

Alle osservazioni di Narbonne fecero seguito due brevi risposte da parte di Corrigan (1988) e O'Brien (1988), contenenti alcune puntualizzazioni in merito alla presentazione da lui fornita delle loro posizioni; la prima ribadisce inoltre in vario modo le interpretazioni proposte in precedenza dal suo autore e offre alcune contro-argomentazioni, delle quali si riassumeranno quelle meno ripetitive rispetto agli argomenti già esposti, più interessanti o meno rivolte ad personam: in III 4.1 l'espressione ἀοριστίαν παντελῆ (rr. 11-2) è sì ambigua, nel senso che potrebbe riferirsi

21 ἔστι δὲ τοῦ κακοῦ λαβεῖν καὶ οὕτω τὴν ἀνάγκην. ἐπεὶ γὰρ οὐ μόνον τὸ ἀγαθόν, ἀνάγκη τῇ ἐκβάσει τῇ παρ᾽ αὐτό, ἤ, εἰ οὕτω τις ἐθέλοι λέγειν, τῇ ἀεὶ ὑποβάσει καὶ ἀποστάσει, τὸ ἔσχατον, καὶ μεθ᾽ ὃ οὐκ ἦν ἔτι γενέσθαι ὁτιοῦν, τοῦτο εἶναι τὸ κακόν. ἐξ ἀνάγκης δὲ εἶναι τὸ μετὰ τὸ πρῶτον, ὥστε καὶ τὸ ἔσχατον· τοῦτο δὲ ἡ ὕλη μηδὲν ἔτι ἔχουσα αὐτοῦ. καὶ αὕτη ἡ ἀνάγκη τοῦ κακοῦ. "È possibile cogliere la necessità del male anche nel modo seguente: poiché non c'è solo il bene, è necessario che la fuoriuscita oltre se stesso o, se si vuol dir così, la costante discesa e allontanamento, abbiano un limite ultimo, e che ciò dopo il quale non era possibile che venisse ad essere alcunché, questo sia il male. Ora, è necessario che esista ciò che viene dopo il primo, e quindi anche l'ultimo: e questo è la materia, che non ha più nulla di esso. E questa è la necessità del male."

22 L'idea per cui l'autosussistenza della materia non costituisce problema nel momento in cui si annulla il suo valore ontologico era stata sostenuta anche da Schwyzer (come si è visto sopra, par. 1.2.2).

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teoricamente al corpo, il corpo in potenza o la materia; ma, siccome non può indicare il primo e siccome il corpo in potenza altro non è se non la materia, il richiamo a quest'ultima sarebbe innegabile. Inoltre, in V 1.2.23-7 (v. n. 19) il sintagma πρὸ ψυχῆς significa "prima che l'anima entrasse nel corpo dell'universo e lo informasse", ed è naturale che la generazione della materia avvenga prima che l'anima entri in essa.

1.2.6. Le repliche di O'Brien a Schwyzer e Corrigan

Nel 1991 O'Brien pubblicò un polemico libretto in cui prese nuovamente in esame l'intera questione, esponendo ancora una volta la propria interpretazione e attaccando vivacemente i suoi critici – nello specifico Schwyzer e Corrigan23, mentre il confronto

con Narbonne viene rapidamente liquidato (p. 13) –. Dopo aver riassunto la propria posizione (pp. 15-25), aggiungendo anche riferimenti ad altri loci delle Enneadi in cui si fa allusione alla generazione della materia da parte dell'anima parziale (espressione chiosata come "the sensitive and vegetative principle which «comes to be in plants» and which animates the Earth" (p. 25), O'Brien passa innanzitutto all'esposizione e all'attacco delle critiche di Schwyzer (pp. 27-41): all'osservazione di quest'ultimo che in III 9.3.7-16 (v. n. 13) il riferimento è non alla materia, bensì al corpo, egli risponde che il confronto con III 4.1, ove viene descritto il medesimo processo, dimostra il contrario: anche qui l'anima genera qualcosa di πάντη ἕτερον αὑτῆς (r. 6) e, dopo di ciò, questo viene completato e diventa un corpo assumendo una forma24. A questo punto la distinzione tra

materia e corpo diviene evidente: l'indeterminatezza che riceve forma così da diventare corpo corrisponde alla prima, e la forma che riceve è quella del corpo (σωματότης). Inoltre, la frase del trattato Su ciò che è in potenza e ciò che è in atto richiamata da Schwyzer per suffragare la propria tesi (II 5.5.14-5) viene troncata in modo tale che il suo vero significato ne risulta alterato: riportandone soltanto l'ultima parte (a partire da ἀποστᾶσα), questi avrebbe buon gioco a presentare il verbo ἐγένετο come predicato verbale (= "non venne ad essere", "non fu generata")25, mentre la lettura dell'intero

periodo (οὔτε δὲ ἦν ἐξ ἀρχῆς ἐνεργείᾳ τι ἀποστᾶσα πάντων τῶν ὄντων οὔτε ἐγένετο) mostra come esso sia predicato nominale, avente per nome del predicato ἐνεργείᾳ τι

23 Similmente, anche Pang-White e White (2001) mettono in atto una critica di Schwyzer e di Corrigan, per concludere che la materia è generata dall'anima inferiore nel suo distacco dalle realtà intelligibili. 24 V. rr. 14-5: τελειούμενον δὲ γίνεται σῶμα μορφὴν λαβὸν τὴν τῇ δυνάμει πρόσφορον, ὑποδοχὴ τοῦ

γεννήσαντος καὶ ἐκθρέψαντος. "Quando viene completata, [l'indeterminatezza assoluta] diviene corpo, ricevendo una forma conveniente alla propria potenzialità, essa che è ricettacolo di ciò che l'ha generata e nutrita."

25 Questa interpretazione della sintassi si ritrova, come si è visto, anche in Corrigan e in Narbonne (ma nel primo con una diversa interpretazione del concetto filosofico in essa espresso).

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sottinteso dalle parole immediatamente precedenti (dunque "stando separata da tutte le cose esistenti, la materia né era, sin dall'inizio, qualcosa in atto, né lo divenne [scil. qualcosa in atto]", p. 31): ciò che Plotino vorrebbe affermare qui è, come mostra anche il contesto, l'impossibilità per la materia di uscire dalla potenzialità. Inoltre, la deduzione dalla qualifica di essa come ἀνώλεθρος in II 5.5.34 della sua natura ingenerata sarebbe ingiustificata, in quanto per Plotino l'eternità comporta l'assenza di generazione nel tempo, ma non l'assenza di generazione nel senso del trarre perennemente la propria origine da una realtà superiore. Infine, nel periodo ipotetico di I 8.14.49-54 (v. n. 14) vi sarebbe un solo motivo che può spingere a sottintendere una forma irreale nell'apodosi, e questo motivo sarebbe un mero pregiudizio: il pregiudizio cioè per cui è impossibile che il filosofo concepisse la materia come generata. La lettura più naturale sarebbe infatti quella che la completa con un predicato nello stesso modo (indicativo senza ἄν) del predicato da sottintendere nei due periodi precedenti; viceversa, la forma irreale presente nella proposizione successiva non può influire sull'interpretazione della frase appena conclusa.

Dopo la critica a Schwyzer, O'Brien appunta i suoi strali su Corrigan (pp. 43-88), con una batteria di osservazioni delle quali si riporteranno qui solo quelle giudicate più interessanti. Innanzitutto si ribadisce che, nella stringa οὔτε ἐγένετο del passo qui sopra discusso, è erroneo attribuire al verbo γίγνομαι valore esistenziale, e si mette in discussione la sua spiegazione dell'avverbio ἀεί in II 4.5.34-7 (v. n. 16): esso non significherebbe che la materia "è sempre senza luce", ma, in connessione con la precedente proposizione temporale πρὶν δέξασθαι, che "è senza luce per tutto il tempo [scil. prima della sua ricezione della luce]"; peraltro, questo passo sarebbe da riferire, seguendo le indicazioni di Plotino, alla materia intelligibile (critica mossa già da Narbonne, v. sopra, par. 1.2.4). Inoltre, contro la sua ricostruzione di una materia "precosmica" O'Brien ripropone, con alcune puntualizzazioni e approfondimenti, l'esegesi sviluppata nei propri contributi precedenti: l'anima crea una materia priva di forma, che quindi, con una "seconda iniziativa" (III 9.3.15), riveste di forma; la discesa dell'anima nel corpo si può poi considerare un momento ancora successivo. Contro l'affermazione di Corrigan che "the only difference between intelligible and sensible matter is 'by just as much as the form superimposed on both is different'" (Corrigan 1986, p. 172), egli rileva che una differenza fondamentale risiede anche nel modo della loro genesi: la materia intelligibile derivante dall'Uno è infatti informata in virtù del suo proprio moto di rivolgimento verso di esso, mentre quella sensibile, in quanto priva di

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vita, necessita di un secondo intervento dell'anima per poter ricevere le forme26. A

proposito di questo fenomeno della partecipazione alla forma si precisa inoltre, contro la dichiarazione che "O'Brien is very much mistaken in thinking that lower matter has no 'participation' in the intelligible" (Corrigan 1986, p. 177), che alla materia è negata una vera e propria partecipazione alla forma, in quanto essa, non potendo mai diventare nulla in atto (pena l'uscita dalla propria natura), non costituirà mai con essa un composto unitario, restando sempre e soltanto come un "cadavere adorno" (νεκρὸν κεκοσμημένον, II 4.5.18)27. Per quanto riguarda poi la tesi che vi è una generazione della materia da parte

non soltanto dell'anima parziale, ma anche dell'anima in sé, O'Brien si sforza di confutare l'interpretazione di αὐτή nel sintagma αὐτὴ ἡ ψυχή di I 8.14.51 (cit. nella n. 14) sulla quale essa poggia: inteso dallo studioso nel suo senso pregnante e filosofico (= "l'anima in sé"), l'aggettivo non ha in realtà altra funzione che di mettere in rilievo l'anima nella sua contrapposizione alla materia; che poi l'anima di cui si tratta sia quella parziale sarebbe desumibile dalle righe immediatamente precedenti (I 8.14.17-24).

1.2.7. Riesame della questione da parte di Narbonne

Un ulteriore riesame della questione dal respiro molto ampio si deve a Narbonne nello studio sulla materia in Plotino premesso al suo commento al trattato II 4 (Narbonne 1993, pp. 135-207), nel quale confluisce anche materiale tratto dal suo precedente contributo. La posizione di fondo non cambia, ma viene suffragata dall'analisi di una gamma assai più vasta di testi (pp. 139-158) e approfondita in vari punti. A proposito dei due passi sui quali poggia maggiormente la tesi di O'Brien, ossia III 4.1 e III 9.3.7-16 (v. n. 13), Narbonne rileva l'assenza di ogni riferimento esplicito alla materia e sostiene che è impossibile individuare in quest'ultima il referente implicito delle espressioni lì usate: nel primo di essi, infatti, Plotino afferma che l'assoluta indeterminatezza di cui sta parlando diviene un corpo ricevendo la forma (III 4.1.14-7)28, mentre altrove nega ad ogni costo

alla materia questa facoltà (cfr. II 4.12.34-7); e lo stretto parallelismo che lega III 4.1 e III 9.3.7-16, sfruttato del resto da O'Brien stesso, spinge ad interpretare il secondo di questi

26 Il tema della differenza nella genesi della materia sensibile rispetto a quella delle ipostasi generate ad essa superiori (anche l'anima si origina infatti in modo analogo all'intelletto) è maggiormente sviluppato in O'Brien 1999.

27 La peculiare interpretazione plotiniana dell'ilemorfismo, per cui la materia, a differenza di quanto sostengono i peripatetici, non è mai realmente alterata dall'ingresso della forma, ma rimane sempre potenzialità, è analizzata, secondo prospettive e scopi differenti, da Narbonne 1995, Linguiti 2007, Arruzza 2011, Noble 2013a, Chiaradonna 2016 (v. anche infra, n. 114).

28 τελειούμενον δὲ γίνεται σῶμα μορφὴν λαβὸν τὴν τῇ δυνάμει πρόσφορον, ὑποδοχὴ τοῦ γεννήσαντος καὶ ἐκθρέψαντος (passo già citato, con traduzione, nella n. 24).

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passi alla stessa maniera. In che cosa consiste il prodotto dell'anima sarebbe chiarito dal confronto con un altro trattato, IV 3 [27] (Aporie sull'anima I), dove si dichiara che l'anima, avendo bisogno per procedere di un luogo in cui scendere, genera per se stessa un luogo, e quindi un corpo (IV 3.9.15-26)29: il suo prodotto sarebbe allora il luogo,

requisito indispensabile per la formazione dei corpi. Ma molti altri luoghi delle Enneadi eviterebbero accuratamente di pronunciarsi sulla generazione della materia, o addirittura andrebbero nella direzione di una sua originarietà: luoghi in cui la materia viene presentata come qualcosa cui l'anima si affianca, e non qualcosa di creato da essa, come ad esempio VI 7 [38] (Su come sia venuta ad esistere la molteplicità delle idee e sul

Bene) 27.11-3; o in cui, similmente, si prospetta l'esistenza del cielo prima dell'avvento

dell'anima, cielo che si riduceva a "un corpo morto, terra e acqua, o piuttosto oscurità della materia e non essere" (V 1.2.25-7, v. n. 19). L'ammissione della generazione della materia da parte dell'anima porrebbe del resto enormi problemi: i prodotti dell'anima si situano infatti nel tempo, mentre la materia è al di là di esso e la sua origine non può collocarsi in esso. Inoltre la materia, la cui natura è la totale estraneità alla forma, non può derivare dalle realtà intelligibili, ma si configura anzi come l'ingenerabile per eccellenza. Ancora, risulta difficile spiegare come la materia, effetto della caduta dell'anima, possa esserne al tempo stesso causa. Infine, ci si troverebbe dinanzi al seguente dilemma: o la sua produzione avviene ciclicamente, secondo la dottrina palingenetica adottata da Plotino in V 7 [18] (Se vi sono idee degli individui) – ma allora si contravverrebbe all'assioma dell'indistruttibilità della materia, laddove ponendola ingenerata si potrebbe sostenere che il cosmo si riduca dopo ogni conflagrazione allo stato di materia disordinata; oppure è prodotta una sola volta, ad opera dell'anima parziale – ma allora non si spiegherebbe l'affermazione che, in assenza del cielo e di ciò che contiene, compresa dunque anche l'anima parziale, essa tornerebbe ciò che era. Ma anche la derivazione della materia sensibile direttamente da quella intelligibile, adombrata secondo Narbonne in passi come II 5.4-5, VI 6 [34] (Sui numeri), 1-3, VI 3 [44] (Sui generi dell'essere III), 7, avrebbe conseguenze catastrofiche: essa significherebbe infatti la presenza in nuce del male radicale già nell'intelligibile e una distinzione in atto, al suo interno, della componente materiale, dalla quale sola la materia trarrebbe la propria origine, rispetto a quella formale; inoltre, essa violerebbe la rigorosa

29 V. in particolare le rr. 20-3: τό γε ἀληθὲς ὧδε ἔχει· σώματος μὲν μὴ ὄντος οὐδ᾽ ἂν προέλθοι ψυχή, ἐπεὶ οὐδὲ τόπος ἄλλος ἐστίν, ὅπου πέφυκεν εἶναι. προϊέναι δὲ εἰ μέλλοι, γεννήσει ἑαυτῇ τόπον, ὥστε καὶ σῶμα. "La verità sta in questi termini: se non ci fosse un corpo, l'anima neppure potrebbe procedere, poiché neppure c'è un altro luogo dove risieda per natura; ma se deve procedere, genererà per se stessa un luogo, e quindi un corpo."

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struttura "scalare" dell'emanatismo plotiniano, in cui il compimento di ogni piano si realizza ad opera di quello immediatamente precedente.

Se dunque, nel cinquantunesimo trattato (I 8), Plotino ammette la generazione della materia ad opera dell'anima parziale (cfr. I 8.7.16-23, righe riportate nella n. 21), lo fa soltanto spinto dalle esigenze ricostruite da Narbonne nell'articolo del 1987; ma questa dottrina non s'inserisce armonicamente nella sua filosofia, bensì si afferma come minore dei mali, non mancando di suscitare tutte le difficoltà sopra esposte30.

1.2.8. Le critiche di Phillips a O'Brien

Infine, più di recente si è aggiunto al dibattito un altro nome, quello di J. Phillips, che nel 2009 è tornato sulla questione per contestare la tesi di O'Brien della generazione della materia da parte dell'anima parziale: egli si sforza di dimostrare da un lato che questa dottrina non è ammissibile, in quanto contraddice le posizioni di Plotino sulla discesa dell'anima, per cui i passi su cui lo studioso si appoggia (III 4.1 e III 9.3) non potrebbero essere interpretati come riferiti alla materia; d'altro lato che è effettivamente possibile individuare in modo positivo il loro vero referente in un'altra realtà, ossia la traccia dell'anima immanente al corpo. La fonte della materia resterebbe comunque non determinata. Per quanto riguarda il primo punto, Phillips enuclea due assiomi ai quali Plotino si atterrebbe nella sua concezione della discesa dell'anima: innanzitutto, per discendere l'anima deve avere qualcosa da illuminare, ossia l'oscurità della materia: se infatti l'anima non vedesse un'oscurità preesistente non scenderebbe, non avendo nulla da illuminare (cfr. IV 3.9.20-3, cit. nella n. 29). Inoltre, se la materia non fosse già esistente al momento della discesa dell'anima, questo atto non sarebbe privo di colpa, in quanto solo così la responsabilità del male derivante dalla discesa può essere addossata alla materia preesistente piuttosto che all'anima (cfr. I 1 [53], Che cos'è l'essere vivente e che

cos'è l'uomo, 12.24-731). Ora, la generazione della materia da parte dell'anima parziale

contravverrebbe a questi principi: se infatti fosse vero che la discesa dell'anima coincide

30 Si segnala che Narbonne è recentemente (2006) tornato sulla questione, con una revisione talvolta significativa delle proprie precedenti posizioni: in particolare, l'attribuzione all'anima della generazione della materia viene scartata, nella convinzione che le rr. I 8.51-4 esprimano la convinzione degli gnostici e non di Plotino stesso; v. anche Narbonne 2007 (tradotto in Narbonne 2011, Study one, pp. 11-53). Ma nelle pagine che seguono ci interesseremo soprattutto all'interpretazione di III 4.1 e III 9.3. 31 καὶ ἡ νεῦσις δὲ πῶς οὐχ ἁμαρτία; ἀλλ᾽ εἰ ἡ νεῦσις ἔλλαμψις πρὸς τὸ κάτω, οὐχ ἁμαρτία, ὥσπερ οὐδ᾽ ἡ

σκιά, ἀλλ᾽ αἴτιον τὸ ἐλλαμπόμενον· εἰ γὰρ μὴ εἴη, οὐκ ἔχει ὅπῃ ἐλλάμψει. "E l'inclinazione [dell'anima verso le realtà inferiori] come può non essere una colpa? Ma se l'inclinazione è un'illuminazione rivolta a ciò che sta in basso, non è una colpa, come non lo è neppure l'ombra, ma responsabile è ciò che viene illuminato: se infatti non esistesse, [l'anima] non avrebbe qualcosa cui rivolgere la propria illuminazione."

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con la creazione della materia, allora essa non compirebbe questo atto per illuminare qualcosa di già esistente, né si potrebbe attribuire il male che ne deriva ad altro che ad essa.

Per quanto concerne il secondo punto, Phillips parte da una ricostruzione della dottrina plotiniana della traccia dell'anima: il filosofo neoplatonico congiunge a questo proposito l'eredità platonica di un'anima separata dal corpo e quella aristotelica di un'anima come entelechia del corpo, necessaria per spiegarne le attività. Egli pone infatti da un lato un'anima separata, che comprende non solo la parte razionale ma anche quelle irrazionali, d'altro lato una "traccia dell'anima" inseparabile dal corpo, che non costituisce una vera e propria parte di essa, tanto da poter essere definita λόγος [...] ἔσχατος e persino νεκρός (III 8 [30], Sulla natura, la contemplazione e l'Uno, 2.31-2); la prima non entra in contatto direttamente con la materia, in quanto fa preliminarmente discendere verso la materia la traccia dell'anima, che costituisce con essa il corpo: ed è soltanto quest'ultimo che entra in contatto con l'anima separata, contatto che determina il suo compiuto perfezionamento come corpo. Questa dottrina permette a Plotino di mantenere l'anima "platonica" separata dal corpo e immune dalle sue passioni, nonché dalla responsabilità dei suoi movimenti disordinati. Ora, le due fasi distinguibili in III 4.1 e III 9.3, o, per usare la terminologia di quest'ultimo passo, le due προσβολαί, sarebbero da identificare non con la generazione della materia e il suo successivo rivestimento tramite la forma, bensì appunto con la generazione della traccia dell'anima o, in altre parole, di εἴδη o λόγοι che non costituiscono vere forme, che si congiungono con la materia a formare il corpo, e la successiva animazione di questo ad opera dell'anima separata, a completare definitivamente tale corpo. Il lessico stesso impiegato da Plotino andrebbe proprio in questa direzione (v. i paralleli riportati a p. 134).

Con l'articolo di Phillips non si può certo ritenere esaurito il dibattito sull'origine della materia, che ha portato da allora alla pubblicazione di ulteriori contributi32; ma, per

quanto il resoconto che si è fornito sia tutt'altro che esaustivo, esso si può ritenere sufficiente per i nostri presenti scopi, ossia delineare le principali e più discusse proposte interpretative e raggiungere su questa base delle parziali conclusioni che possano fare da sfondo al seguito del lavoro.

32 Si segnala in particolare la lunga e minuziosa risposta di O'Brien a Phillips (O'Brien 2011a, 2011b, 2012), la quale prende in esame anche altri testi e questioni oltre a quelli su cui il dibattito su cui si è riferito è imperniato. Nonostante le aggiunte in alcuni punti particolari, la linea interpretativa non è comunque mutata.

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