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CAPITOLO III: PLOTINO SULL'ORIGINE DEL CORPO

3.3. L'origine del μερισμός

La faccenda si complica quando si passa alla questione dell'origine del μερισμός: da una parte, infatti, si trovano nelle Enneadi diversi riferimenti a questo problema; tuttavia, poiché esso non viene tematizzato, si tratta per lo più di allusioni occasionali, poco sistematiche, poco esplicite e, soprattutto, poco attente a fornire una risposta precisa e rigorosa: lo sguardo di Plotino è quasi sempre puntato su altri temi, cosicché questo, nonostante la sua importanza, rimane per così dire a margine del suo campo visivo. Connessa a questa situazione, si presenta un'ulteriore difficoltà, ossia che la relazione tra la parcellizzazione e l'estensione (e la divisibilità, che quest'ultima implica) risulta tutt'altro che chiara: come si è visto in precedenza (par. 2.2.3), esse parrebbero referenzialmente identiche, ma concettualmente distinte; d'altra parte, per alcuni aspetti risultano talmente prossime da non essere sempre chiaramente discernibili.

Ciò che faremo ora per cercare di rispondere a questi interrogativi è presentare innanzitutto i principali passi delle Enneadi contenenti delle informazioni utili sull'origine del μερισμός, per poi cercare di valutare la loro reciproca conciliabilità e di estrarre, se possibile, una visione unitaria e articolata su questo punto. A una prima lettura, questi passi sembrerebbero prospettare tre diversi candidati al titolo di responsabile del μερισμός:

1) da una parte, questa condizione del corpo sembra dipendere dall'estensione sensibile: in VI 2.4.14-7, dove, nel prendere in esame la realtà intelligibile, si afferma la necessità di astrarre da tutte le caratteristiche di quella sensibile, si legge che "occorre, sottraendo il divenire, che risiede nella dimensione corporea, l'essere còlti attraverso la sensazione, e le grandezze – è in tal modo, infatti, che [si danno] la separazione e l'essere distinti gli uni dagli altri –, afferrare una sostanza intelligibile, che è realmente ed è più una"169. In

queste righe la separazione reciproca dei corpi, formulazione che nasconde null'altro che il loro μερισμός, sembra essere ricondotta alla loro natura estesa (οὕτω deve riferirsi, naturalmente, soltanto all'ultimo elemento menzionato in precedenza, dato che non avrebbe senso far dipendere la parcellizzazione dal fatto che i corpi sono divenienti o,

169 ἀφελόντας χρὴ τὴν ἐν τοῖς σώμασι γένεσιν καὶ τὴν δι᾽ αἰσθήσεως κατανόησιν καὶ τὰ μεγέθη – οὕτω γὰρ καὶ τὸ χωρὶς καὶ τὸ διεστηκότα ἀπ᾽ ἀλλήλων εἶναι – λαβεῖν τινα νοητὴν ὑπόστασιν καὶ ὡς ἀληθῶς ὂν καὶ μᾶλλον ἕν.

ancor meno, dal fatto che possono essere afferrati solo attraverso la percezione sensibile). Questa connessione tra μερισμός e μέγεθος si ritrova anche in altri passi delle Enneadi: in VI 4.8.19-23, nel trattare dell'onnipresenza integrale dell'intelligibile, si afferma che esso non potrà essere parcellizzato in quanto non possiede estensione e che, se qualcosa di esteso partecipa di ciò che è inesteso, dovrà parteciparne senza che quello sia parcellizzato, perché altrimenti si tornerebbe ad attribuirgli l'estensione170: la

parcellizzazione presuppone dunque la grandezza; in IV 7.7.25-6 si legge che, in ogni grandezza, le parti sono distinte tra loro (παντὸς [...] μεγέθους τὸ μὲν ἄλλο, τὸ δὲ ἄλλο ἐστί); e dell'anima si dice, in IV 3.2.44-5, che non appare parcellizzata come le grandezze (φαίνεται δὲ οὐδὲ μεριζομένη οὕτως ὡς τὰ μεγέθη); cfr. anche, per questa associazione tra i due concetti, IV 7.8.10-1.

In modo simile, in alcuni passi il μερισμός viene ricondotto o associato alla continuità, proprietà che, si ricorda (v. 2.2.1.2), appartiene alle grandezze estese: in IV 2 [4] 1.63-4 si dichiara che l'anima non è una come il continuo (ossia il corpo, v. r. 59), vale a dire avendo parti distinte (οὐχ οὕτως ὡς τὸ συνεχὲς μία, μέρος ἄλλο, τὸ δ᾽ ἄλλο ἔχουσα); infine, in IV 3.2.35-6 si legge che "nel caso del continuo non è necessario che la parte sia tale quale l'intero" (ἐπὶ τοῦ συνεχοῦς οὐκ ἀνάγκη τὸ μέρος οἷον τὸ ὅλον ἐστίν εἶναι). 2) Altri passi riconducono in modo piuttosto deciso il μερισμός al luogo. Questa prospettiva è piuttosto frequente nel trattato sull'onnipresenza integrale dell'essere (VI 4- 5), dove il fatto che il sovrasensibile non si trova in un luogo costituisce una delle giustificazioni principali del suo non essere parcellizzato (sul quale si fonda la sua onnipresenza integrale): in VI 4.8.34-6 si formula questa domanda retorica: "Se la divisione avviene in base ai luoghi, quando una parte di esso [cioè della cosa divisa] è qui e un'altra qui, ciò a cui non appartiene il "qui" [ovvero non si trova in alcun luogo] come potrebbe possedere la caratteristica di essere diviso?"171. Nell'ambito della

riflessione sull'argomento, già qualche capitolo prima (VI 4.3.23-31) si era rilevato che "non bisogna sorprendersi se, pur non essendo esso stesso in un luogo, è presente a tutto ciò che è in un luogo: sarebbe infatti sorprendente, e impossibile oltre che sorprendente, il contrario, ossia se, avendo anch'esso un luogo proprio, fosse presente ad un'altra cosa

170 πῶς γὰρ καὶ μερίσεις οὐκ ἔχον μέγεθος; εἰ οὖν οὐκ ἔχοντος μέγεθος τὸ ἔχον τὸ μέγεθος ἀμῃγέπῃ μεταλαμβάνει, οὐ μεριζομένου αὐτοῦ ἂν μεταλαμβάνοι· ἢ μέγεθος αὖ ἔξει πάλιν.

171 εἰ τοίνυν ὁ μερισμὸς τοῖς τόποις, ὅταν τὸ μέν τι αὐτοῦ ὡδί, τὸ δὲ ὡδί, ὅτῳ τὸ ὡδὶ μὴ ὑπάρχει, πῶς ἂν τὸ μερίζεσθαι ἔχοι; Secondo Tornau (1998a, a. l.), "diese Definition, in der Körpreliche Teilbarkeit und räumliche Lokalisierbarkeit verknüpft sind, liegt allen Überlegungen Plotins zur Teilbarkeit in VI 4-5 und auch sonst zugrunde"; Tornau fa anche presente che, in ogni caso, l'assenza di corporeità e di localizzazione spaziale non implica d'altra parte l'assenza di parcellizzazione, come dimostrato dal caso dei numeri (cfr. IV 3.2.24-33).

che è in un luogo [...]. Ora, invece, la ragione dice che è necessario che esso, poiché non ha un luogo, sia presente, a ciò cui è presente, per intero: altrimenti una parte di esso sarà da una parte, un'altra da un'altra, cosicché sarà divisibile e sarà corpo"172; e i due concetti

sono nuovamente associati in 24-6, dove si afferma che, se l'onnipresenza dell'intelligibile si verificasse grazie ad un'emanazione in senso stretto di sue potenze, "esso sarà da una parte, mentre ciò che ne proviene da un'altra, e avrà un luogo, essendo separato da ciò che ne proviene"173. Ma questa associazione si ritrova anche al di fuori di

tale trattato: in IV 2 [4] 1.15-7 (passo riportato, tradotto e analizzato sopra, par. 2.2.2.1) si spiega, dopo aver fornito la definizione di μεριστός, che "sono, queste, le grandezze sensibili o masse, ciascuna delle quali occupa un proprio luogo e non è possibile sia presente identica contemporaneamente in più luoghi"; in IV 3.20.10-5 si argomenta che l'anima non può trovarsi nel corpo come in un luogo, perché il luogo è contenitore di un corpo e "ogni parte ottenuta dalla parcellizzazione è lì dove si trova [scil. e non altrove], cosicché [la cosa parcellizzata] non si trova per intero in alcun posto"174 (rr. 12-4), mentre

l'anima non è un corpo e contiene piuttosto che essere contenuta. (Cfr., per il nesso tra i due concetti, anche V 1.11.7-9.)

3) Infine, in altri passi la responsabilità del μερισμός è attribuita alla materia. Il più significativo si trova all'interno della trattazione sulla sua natura inestesa in III 6.16-8: dopo aver confrontato l'anima e la materia e osservato che la prima, nella percezione, riceve tutte le forme assieme, senza molteplicità e prescindendo dal volume, si rileva la differenza rispetto al caso della materia, priva di ogni attività (ἐνέργεια); in questo contesto si legge che "da un lato, ciò che procede dal principio intelligibile ha già una traccia di ciò che deve venire ad essere [scil. il corrispondente sensibile]: infatti, il principio razionale che si muove come in una processione immaginativa, o il movimento a partire da questo, è un processo di divisione: altrimenti, se fosse uno e identico, neppure [si dovrebbe dire che] si è mosso, bensì [che] rimane [nell'intelligibile]; e, dall'altro lato, la materia non può ospitare tutto quanto assieme come l'anima – altrimenti sarebbe uno degli intelligibili –, e deve d'altro canto ricevere tutto essa stessa: ma riceverlo non senza divisione in parti. Occorre dunque che, essendo luogo per tutte le

172 θαυμάζειν δὲ οὐ δεῖ, εἰ αὐτὸ μὴ ὂν ἐν τόπῳ παντὶ τῷ ἐν τόπῳ ὄντι πάρεστιν· ἦν γὰρ ἂν τοὐναντίον θαυμαστὸν καὶ ἀδύνατον πρὸς τῷ θαυμαστῷ, εἰ τόπον καὶ αὐτὸ ἔχον οἰκεῖον παρῆν ἄλλῳ τῳ [τῳ J, Creuzer: τῷ codd. rell., H.-S.] ἐν τόπῳ [...]. νῦν δέ φησιν ὁ λόγος, ὡς ἀνάγκη αὐτῷ τόπον οὐκ εἰληχότι ᾧ πάρεστι τούτῳ ὅλον παρεῖναι, παντὶ δὲ παρὸν ὡς καὶ ἑκάστῳ ὅλον παρεῖναι. ἢ ἔσται αὐτοῦ τὸ μὲν ὡδί, τὸ δὲ ἄλλοθι· ὥστε μεριστὸν ἔσται καὶ σῶμα ἔσται.

173 ἔσται τε γὰρ οὕτως τὸ μὲν ἄλλοθι, τὸ δ᾽ ἀπ᾽ αὐτοῦ ἄλλοθι, καὶ τόπον ἕξει διεστηκὸς ἀπὸ τῶν ἀπ᾽ αὐτοῦ.

cose, giunga essa a tutte e a tutte si faccia incontro e sia sufficiente per ogni estensione, poiché non è occupata essa stessa da un'estensione, bensì era a disposizione di quella che si sarebbe insediata"175 (III 6.18.31-41). In queste righe si descrive il costituirsi della

dimensione sensibile come l'esito di due processi convergenti: da un lato la processione che porta dall'intelligibile al sensibile, che consiste in una parcellizzazione, e d'altro lato la parcellizzazione dell'immagine della forma operata dalla materia per via dell'incapacità di accogliere "tutto insieme" al modo delle realtà intelligibili.

Un'altra testimonianza si trova all'interno del trattato sull'unità delle anime (IV 9), dove si introducono due esempi per comprovare la compatibilità tra l'esistenza di una sola anima, presente per intero, e quella delle molte anime individuali: il primo è quello del rapporto tra la scienza e le sue parti; il secondo suona così (IV 9.5.9-12): "anche il seme è intero e le parti nelle quali per natura si divide derivano da esso, e ciascuna è intera e l'intero rimane un intero non diminuito – è la materia a operare la divisione –, e tutte le parti sono uno"176; vale a dire che la divisione non è qualcosa di intrinseco del seme, ma è

operata dalla materia. Questa stessa concezione si può ricavare, seppure in modo più indiretto, da almeno altri due passi: in I 6.3.7-9 Plotino, domandatosi come avviene che la bellezza corporea sia in armonia con quella ideale, anteriore al corpo, ossia come, ad esempio, un costruttore, mettendo la forma interiore di casa in rapporto con la casa fisica, dichiari quest'ultima bella, risponde che "la casa esterna [scil. quella sensibile] [...] è quella interna divisa dalla massa della materia, la quale [casa interna], pur essendo priva di parti, appare in molte parti"177; anche se l'espressione "massa della materia" (ὕλης

ὄγκῳ), che ricorre fra l'altro anche nel trattato immediatamente successivo nell'ordine cronologico (IV 7.5.10-1), ci appare senz'altro una formulazione imprecisa alla luce di quanto abbiamo visto finora, il senso generale è chiaro: la forma rimane in sé indivisa, mentre l'oggetto sensibile corrispondente, derivato dalla sua "discesa" nella materia, è caratterizzato dalla parcellizzazione. In VI 5.8.35-6, infine, si dichiara che l'idea riesce ad essere presente a tutti i partecipanti con tutta se stessa, anche se "non ha dato alcunché di se stessa alla materia, essendo priva di dispersione" (οὐκ ἔδωκε μὲν ἑαυτῆς οὐδὲν τῇ ὕλῃ

175 τό τε οὖν προιὸν ἐκ τοῦ ἐκεῖ λόγου ἤδη ἴχνος ἔχει τοῦ μέλλοντος γενήσεσθαι· οἷον γὰρ ἐν φαντασίᾳ εἰκονικῇ κινούμενος ὁ λόγος ἢ ἡ κίνησις ἡ ἀπὸ τούτου μερισμός ἐστιν· ἤ, εἰ ταὐτὸν εἴη ἕν, οὐδὲ ἐκινήθη, ἀλλὰ μένει· ἥ τε ὕλη πάντα ὁμοῦ ὥσπερ ἡ ψυχὴ οὐ δύναται εἰσοικίσασθαι· ἢ ἦν ἄν τι ἐκείνων· αὐτήν τε αὖ δεῖ τὰ πάντα δέξασθαι, μὴ ἀμερῶς δὲ δέξασθαι. δεῖ τοίνυν πᾶσι τόπον οὖσαν ἐπὶ πάντα αὐτὴν ἐλθεῖν καὶ πᾶσιν ἀπαντῆσαι καὶ πρὸς πᾶν διάστημα ἀρκέσαι, ὅτι μὴ κατείληπται διαστήματι αὐτή, ἀλλ᾽ ἦν ἐκκειμένη τῷ μέλλοντι. 176 καὶ τὸ σπέρμα ὅλον καὶ ἀπ᾽ αὐτοῦ τὰ μέρη, ἐν οἷς πέφυκε μερίζεσθαι, καὶ ἕκαστον ὅλον καὶ μένει ὅλον οὐκ ἠλαττωμένον τὸ ὅλον – ἡ δ᾽ ὕλη ἐμέρισε – καὶ πάντα ἕν. 177 ἐστὶ τὸ ἔξω [...] τὸ ἔνδον εἶδος μερισθὲν τῷ ἔξω ὕλης ὄγκῳ, ἀμερὲς ὂν ἐν πολλοῖς φανταζόμενον.

ἡ ἰδέα ἀσκέδαστος οὖσα).

Ci si può chiedere se sia possibile conciliare queste affermazioni apparentemente così disparate: non sarebbe forse preferibile ammettere che Plotino non ha mai elaborato una concezione stabile e definita dell'origine del μερισμός, riconducendolo di volta in volta, tra le diverse realtà che presentano, effettivamente, una connessione con esso, a quella suggerita dall'ispirazione del momento? In realtà un esame più attento, che chiarisca maggiormente i rapporti tra queste nozioni, consente di dipanare in larga parte la questione. Innanzitutto si può osservare che, per quanto riguarda la grandezza, nonostante i passi sopra riportati attestino senz'altro un legame strettissimo tra essa e la parcellizzazione, in nessuno di essi si istituisce propriamente un rapporto di causazione tra l'una e l'altra: nel primo di essi (VI 2.4.14-7), per esempio, si afferma soltanto che la grandezza è il modo in cui si manifesta la separazione propria delle realtà sensibili. Quello che si stabilisce è, in generale, un rapporto di implicazione, per cui dalla presenza di grandezza si può dedurre quella della parcellizzazione e dalla presenza della parcellizzazione quella della grandezza: non è possibile che si dia parcellizzazione senza l'estensione sensibile, così come non è possibile che si dia l'estensione sensibile senza la parcellizzazione. In altre parole, le varie affermazioni sopra raccolte non hanno valore esplicativo, bensì descrittivo: non consentono di stabilire che l'una cosa si dà grazie all'altra, ma piuttosto che non può darsi senza di essa e si manifesta in quella data maniera, il che è compatibile tanto con l'idea che la grandezza è causa della parcellizzazione, quanto con quella che la parcellizzazione causa immancabilmente la grandezza, quanto infine con quella che le due cose coincidono.

Se dunque mettiamo per il momento da parte il primo candidato, rimane da scegliere, per il ruolo di responsabile del μερισμός, tra il luogo e la materia; questi presentano entrambi ottimi titoli per essere dichiarati tali, in quanto dichiarazioni come quella di VI 4.8.34-6 (a proposito del primo) o quelle di III 6.18.31-41, IV 9.5.9-12 e I 6.3.7-9 (a proposito della seconda) appaiono più difficili da liquidare in questo modo, se almeno non interviene il supporto di considerazioni di altro genere. Dobbiamo allora uscire dal ristretto dominio dell'analisi di singoli passi per fare intervenire considerazioni legate, più generalmente, alla concezione plotiniana della realtà. Nel far questo, vediamo già profilarsi una difficoltà connessa con la posizione, al suo interno, del primo dei due candidati rimasti, il luogo. Dopo le analisi condotte nei capitoli precedenti, la strutturazione dell'universo secondo Plotino dovrebbe esserci abbastanza chiara nelle linee di fondo: dall'Uno proviene l'intelletto, dall'intelletto proviene l'anima, dall'anima

proviene la materia prima, e dal rivestimento di quest'ultima con i λόγοι (le forme nella natura, che rappresenta il livello estremo dell'anima: dunque gli intelligibili al grado più basso) ad opera dell'anima naturale (il suo "secondo slancio") deriva la dimensione corporea. Ma, in tutto questo, dove bisogna collocare il luogo? Purtroppo, nelle Enneadi a questo concetto non viene mai dedicata una trattazione vera e propria, ma una frase che abbiamo già incontrato fornisce qualche indicazione che fa al caso nostro: in II 4.12.11-2, nell'ambito della confutazione dell'interlocutore di II 4.11, si legge che "il luogo è posteriore alla materia e ai corpi" (ὁ τόπος ὕστερος τῆς ὕλης καὶ τῶν σωμάτων). È vero che si tratta di un'affermazione isolata e posta in un contesto dialettico, ma una rapida riflessione basata sulle precedenti analisi porta a confermare il suo contenuto: da una parte, infatti, è evidente che il luogo non può fare la sua comparsa prima della materia o in concomitanza con essa, perché l'esistenza del luogo implica necessariamente l'esistenza dell'estensione spaziale (se non coincide con essa), mentre la materia è inestesa. Dall'altra parte, sarebbe altamente problematico anche collocare la sua genesi tra quella della materia e quella dei corpi: posto che la materia, grado estremo di degradazione del reale e completamente sterile, non può certo produrlo da sé, esso deve originarsi necessariamente dall'incontro con essa di una realtà superiore, ma questo incontro, il "secondo slancio" dell'anima, produce proprio i corpi; del resto, l'estensione si genera appunto con la discesa delle forme sulla materia, che coincide con la generazione della dimensione corporea. Resta quindi che il luogo faccia comparsa dopo i corpi o in concomitanza con essi178. Ora, poiché la parcellizzazione è una, o forse la,

caratteristica costitutiva dei corpi, e poiché inoltre, come si è visto, non è separabile dall'estensione, se corpi ed estensione compaiono in concomitanza col luogo (o addirittura prima di esso), questo non può essere la causa della parcellizzazione.

Viceversa, la riconduzione del μερισμός alla materia non solo è compatibile con i tratti del sistema plotiniano finora messi in luce, ma discende anzi direttamente da essi. In particolare, si è mostrato (nel par. 3.1.3.1), alla luce in particolare delle rr. II 4.12.1-7, che la materia è responsabile del fatto che le forme si manifestano, all'interno della dimensione sensibile, nell'estensione: come si rileva in quelle righe, infatti, se le forme venissero ad essere nella grandezza in sé, sarebbero prive di estensione spaziale, perché

178 Questo è il risultato cui perviene anche Emilsson 1990 (che si richiama anch'egli, fra l'altro, al passo di II 4 sopra citato): "it is worth emphasizing that the items of this level [= i corpi] are not in place in the sense that first there is empty space, as it where, with invisible axes that inable us to fix the points, and then bodies enter into it and it so happens that only one can occupy a given volume of it. [...] [T]he notion of place (and thereby of space) enters the Plotinian world system with this completely divisible level" (p. 215).

quella grandezza non ha nulla a che fare con essa; è solo perché vengono a trovarsi nella materia che acquisiscono l'estensione e che, quindi, si origina la dimensione corporea. Ma cos'altro è questo particolare modo di manifestarsi della grandezza sensibile rispetto a quella intelligibile, il quale è determinato dalla materia, se non quella parcellizzazione che contraddistingue la dimensione corporea? Insomma, nel momento in cui si ammette che è la materia a determinare lo scarto tra la dimensione intelligibile e quella sensibile, le si sta attribuendo la responsabilità del μερισμός, perché tale scarto non consiste in altro che in questo: quella distinzione spaziale tra le parti che fa in modo che esse non possano coincidere tra loro né con l'intero179. Quando dunque le forme si riflettono sulla materia,

vengono all'essere la dimensione sensibile con la sua parcellizzazione, l'estensione, il luogo in cui i corpi si estendono.

Ma se le cose stanno in questi termini, perché Plotino dà ad intendere, nei passi sopra riportati al punto 2, che il luogo è all'origine del μερισμός? Innanzitutto va rilevato che, anche in questo caso, il nostro filosofo non afferma mai che il luogo causa la parcellizzazione, al modo in cui invece lo afferma a proposito della materia, bensì è interessato a stabilire, piuttosto, che i corpi si dividono secondo i luoghi e che non è possibile che si dia tale divisione senza che si dia anche il luogo: questo è infatti quanto gli basta mettere in chiaro, perché è sufficiente per provare il demonstrandum, ossia che le realtà sovrasensibili, estranee alla localizzazione, non possono essere parcellizzate (cioè la tesi della loro onnipresenza integrale). Del resto, quello usato da Plotino in questi passi è senz'altro un modo di esprimersi ingannevole e poco rigoroso, ma di cui si possono ben intuire il senso e le ragioni: estensione sensibile, luogo, μερισμός formano un groviglio inestricabile, perché da un lato sono concetti distinti, ma d'altro lato si riducono tutti a una medesima realtà di fondo, ossia la natura di un corpo avente parti

179 Questa azione (ma il termine è improprio, perché la materia non agisce attivamente per produrre questo risultato) della materia procede in parallelo, spiega Plotino nel passo di III 6 qui sopra citato (18.31-41), alla progressiva pluralizzazione delle realtà sovrasensibili (che porta dall'Uno all'intelletto, da questo all'anima ecc.), tanto che si può dire che persino l'intelletto, pure ben lungi dalla materia sensibile, è come qualcosa di parcellizzato rispetto all'Uno (cfr. V 1.7.17-8: οἷον μεριστῷ ἐξ ἀμερίστου). Quest'ultimo è senz'altro un aspetto altamente problematico: mentre si può capire che la materia, una volta creata, possa provocare, come qualcosa di esterno, la divisione nelle forme che le si applicano, riesce difficile concepire quale sia il fattore scatenante di questa progressiva pluralizzazione e degradazione delle realtà sovrasensibili, prive come sono di qualcosa che si opponga ad esse e, d'altra parte, tali da poter essere sempre presenti integralmente; ma questa difficoltà, che si colloca nei piani per così dire più elevati dell'universo plotiniano, a cominciare dal livello stesso della generazione della molteplicità dall'Uno, non ci deve interessare troppo in questa sede, dato che ci stiamo occupando di una fase in cui la materia è già presente. Un ulteriore problema è che, se la dispersione dell'unità è ad essa intrinseca, non avendo bisogno della materia per verificarsi, è superfluo far intervenire quest'ultima per renderne conto: se l'unità ha saputo degradarsi fino al punto di dare origine a qualcosa di ancora più pluralizzato dai corpi, ovvero la materia stessa, che bisogno c'è di chiamare in causa quest'ultima per spiegare la dispersione propria della dimensione corporea?

separate e non raccolte in unità; in questo groviglio di caratterizzazioni distinguibili concettualmente ma non in re, può accadere che Plotino si esprima in un modo che potrebbe suggerire in apparenza che l'una sia all'origine dell'altra, mentre non fa che implicarla ed esserne implicata: come si è detto, per i suoi scopi basta rilevare che, se non c'è luogo/estensione, non c'è divisione in parti, ma questo non significa che il luogo o l'estensione ne siano la causa. Se poi ci si dovesse chiedere come mai, se i tre concetti sono davvero sullo stesso piano, non capita di trovare formulazioni di segno opposto, che cioè lascino intendere che la divisione in parti sia all'origine dell'estensione o del luogo e non il contrario, la risposta sarà molto semplice: la divisione in parti è l'elemento meno noto, per cui rappresenta sempre il punto di arrivo; per esempio, nel caso delle realtà sovrasensibili, con le quali ha a che fare la maggioranza dei passi sopra presentati, è ovvio e fuori discussione che esse siano al di fuori del luogo e dell'estensione, mentre la tesi che non siano soggette a divisione è tutt'altro che banale, tanto da aver costituito un motivo di aporia già nel platonismo antico (v. il "dilemma della partecipazione" in Parm. 131a4-131e7) e da richiedere un lungo e complesso trattato (VI 4-5) per essere dimostrato. In tal modo si può generare l'impressione che luogo ed estensione siano condizioni necessarie e cause della parcellizzazione, mentre in realtà non fanno che accompagnarla in modo inscindibile.