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RICAPITOLAZIONE DEI RISULTATI RAGGIUNTI E CONCLUSIONE

CAPITOLO III: PLOTINO SULL'ORIGINE DEL CORPO

RICAPITOLAZIONE DEI RISULTATI RAGGIUNTI E CONCLUSIONE

È giunto il momento di dare uno sguardo d'insieme ai risultati raggiunti in questo lavoro. Ci siamo interrogati, considerando il problema dal punto di vista fisico piuttosto che ontologico, sul modo in cui Plotino concepisce la dimensione corporea, ovvero il corpo in quanto tale, a prescindere dalle qualificazioni aggiuntive che contraddistinguono, per esempio, l'acqua rispetto all'aria o a un cane ecc., e la sua genesi. Posto che, da buon platonico post-aristotelico, egli ritiene che il corpo sia l'esito della combinazione del principio formale col sostrato materiale, ci si è innanzitutto dedicati al tentativo di chiarire quest'ultima nozione, e in particolare il problema della sua origine (cap. 1). Il privilegio che le abbiamo accordato è dovuto a diversi fattori: alla natura estremamente controversa di tale questione (mentre, per quanto riguarda il principio formale, sebbene la nozione di λόγοι sia quasi altrettanto oscura, la sua posizione all'interno del sistema e il suo apporto risultano nel complesso meno controversi); alla sua notevole importanza nella strutturazione generale dell'universo plotiniano (una materia ingenerata configurerà un sistema dualista; una derivata dall'Uno, uno monista); e al fatto che una parte cospicua delle nostre analisi ha riguardato trattati sulla materia (in particolare II 4 e III 6). Ripercorrendo, senza la pretesa di esaurirla o di apportare contributi particolarmente originali, la questione (affrontata da diversi interpreti in numerosi studi) dell'origine della materia dei corpi, si è pervenuti a riconoscere la fondatezza della tesi sostenuta da O'Brien in numerose pubblicazioni: la materia è generata (ovviamente non in senso temporale, ma nel senso che trae eternamente la propria origine da altro) dall'anima parziale; inizialmente priva di qualsiasi forma, essa viene successivamente (intendendo questi avverbi sempre in senso logico e non cronologico), in un "secondo slancio" della medesima anima, rivestita di forme, e in particolare di quei λόγοι che costituiscono l'ultimo stadio dell'intelligibile. In tal modo, nonostante questa convinzione non sia priva di aspetti problematici (come sottolineato in modo particolare da Narbonne, 1987 e 1993), l'universo plotiniano si configura come perfettamente monistico, nel senso che ogni realtà deriva da un unico principio, l'Uno. Avendo in tal modo posto le basi per l'analisi della genesi della dimensione corporea, si è affrontata, nel secondo capitolo, un'altra domanda: quali sono i tratti costitutivi, essenziali, del corpo in quanto tale, che fanno sì che sia, appunto, un corpo e non un intelligibile o la materia? Secondo Plotino, il marchio distintivo della dimensione corporea è il μερισμός o parcellizzazione, ovvero il fatto di constare di parti separate

l'una dall'altra e inferiori all'intero. Si tratta di una descrizione che, seppure nata dall'esegesi di testi platonici (soprattutto Timeo 35a, ma anche Parmenide 131a-d), risponde primariamente ad una lettura della realtà tipicamente plotiniana, imperniata sul concetto di unità, per cui i suoi vari livelli possono essere caratterizzati secondo il maggiore o inferiore grado di unità: in particolare, essa contrassegna il corpo come un livello in cui il depauperamento dell'unità è giunto a un punto tale che le forme non possono più compenetrarsi reciprocamente, bensì devono essere spazialmente separate (per esempio, una superficie rossa non può essere, al contempo, bianca, e nella porzione dello spazio in cui si trova una lepre non può trovarsi, nello stesso momento, una volpe); al contrario, nelle realtà in senso lato intelligibili (intelletto e anima) le forme sono, seppure a livelli diversi, unitarie, cosicché non è possibile separarle completamente l'una dall'altra, per quanto sia possibile distinguerle. Allo stesso tempo, un'analisi di passi come II 6.2.7-14 e II 1.6.46-52 ha permesso di dimostrare che Plotino condivide, a fianco di questa caratterizzazione dei corpi più squisitamente platonica (e, si potrebbe dire, più precisamente neoplatonica), anche una definizione del corpo più canonica e trasversale a diverse scuole, ossia quella di "estensione tridimensionale dotata di resistenza" (τριχῇ διαστατὸν μετὰ ἀντιτυπίας). Il rapporto esatto tra queste due definizioni, che provengono a Plotino da fonti e istanze differenti, non è del tutto chiaro: da un lato esse mettono in campo concetti distinti e non immediatamente riducibili l'uno all'altro, d'altro lato non solo sono compatibili, ma vengono spesso trattate come equivalenti: in particolare, esiste una forte affinità tra la nozione di estensione spaziale e quella di parcellizzazione, in quanto l'incapacità delle forme di compenetrarsi reciprocamente corrisponde di fatto alla loro istanziazione in regioni diverse dello spazio. È quindi più prudente, per evitare il rischio di semplificazioni, esaminare separatamente la genesi dell'una e quella dell'altra. È, questo, il tema del terzo capitolo, in cui ci si chiede in che modo le proprietà indicate vengano ad essere, dando luogo al corpo; si è trattato soprattutto di determinare quale sia, per ciascuna di esse, l'apporto dei due componenti costitutivi del corpo, la materia e la forma. L'attenzione di Plotino (e la nostra di conseguenza) si è appuntata soprattutto sul problema della genesi dell'estensione spaziale. Vi sono certo ottimi motivi per ricondurla alla materia, che sarebbe così da concepire come un sostrato esteso: il principio che, nel

Timeo, era comunemente identificato, a partire da Aristotele, con la materia è infatti la

χώρα, cioè "spazio"; in effetti, un interlocutore di Plotino nel trattato II 4 (cap. 11.1-13), che abbiamo identificato, sulla scorta di altri studiosi, con un interprete del Timeo, platonico ma forse influenzato dallo stoicismo, si fa fautore di un'abolizione della

nozione di materia, che dovrà essere rimpiazzata dall'estensione: è in questa che le forme verranno ad essere, mentre un sostrato inesteso, non apportando ai corpi né le forme né l'estensione, risulterà completamente inutile alla loro genesi. Tuttavia, il nostro autore sostiene risolutamente e senza tentennamenti la riconduzione dell'estensione all'azione della forma e non della materia: quest'ultima è inestesa, e acquisisce la grandezza assieme a tutte le altre forme, anche se la sua propensione ad essa è in qualche modo primaria in quanto le altre sono ricevute nell'estensione, nel senso che la materia le manifesta come spazialmente separate. Questa soluzione è l'esito della combinazione di due presupposti, ossia che la grandezza stessa rappresenta una determinazione e ha quindi natura formale, e che la materia non può non essere totalmente indeterminata, in quanto è totale privazione, e deve esserlo per poter fungere adeguatamente da sostrato. Il risultato cui si perviene, che cioè la grandezza sensibile è prodotta da due fattori nessuno dei quali è esteso (la forma è la grandezza, ma non è grande al modo dei sensibili, e la materia è di per sé inestesa), viene difeso alla luce di una concezione della causalità per cui la causa dà al causato ciò che essa stessa non ha: le forme sono responsabili del possesso, da parte dei corpi, della determinazione "grandezza", mentre la materia, che la riceve su di sé, è responsabile del modo in cui essa si manifesta nel mondo sensibile, ossia dello scarto tra intelligibile e sensibile: senza di essa non si uscirebbe mai dallo stadio della grandezza inestesa proprio del primo di questi due domini, e non si passerebbe mai alla grandezza come estensione spaziale propria del sensibile. Questo prodotto è qualcosa di diverso da entrambi i suoi fattori, ciascuno dei quali è indispensabile per la sua genesi. Lo stesso meccanismo opera, del resto, nella genesi di qualunque qualità sensibile: la forma si esplica nel mondo del divenire in modo diverso che nell'intelligibile, e ciò in virtù della materia. Dal punto di vista del legame di Plotino con la tradizione precedente, si può osservare che la dottrina della natura inestesa della materia è di matrice aristotelica, ma è da lui ripresa non semplicemente contro il Timeo platonico, bensì per accentuare una potenziale interpretazione della χώρα, intesa come sostrato totalmente indeterminato. Per quanto riguarda la resistenza, Plotino riconosce anche in essa, come nell'estensione, una determinazione formale.

Più difficile da determinare è l'origine del μερισμός, in quanto il nostro autore non le dedica una trattazione specifica come quella consacrata all'estensione. Sebbene le pagine delle Enneadi spingano ad identificare tre candidati al ruolo di responsabile della parcellizzazione, vale a dire l'estensione sensibile stessa, il luogo (τόπος) e la materia, è possibile limitare la scelta a quest'ultima soltanto: i primi due candidati sono sovente

associati alla parcellizzazione non perché ne siano propriamente causa, bensì perché sono ad essa strettamente legati: nel momento in cui la materia, ricevendo le forme, le manifesta separatamente l'una dall'altra, ossia in cui ha origine il μερισμός, hanno origine per ciò stesso anche l'estensione spaziale e il luogo, attraverso i quali tale separazione si manifesta. Una totale sovrapposizione tra estensione e μερισμός sarebbe comunque problematica, in quanto la prima è il prodotto della combinazione di forma e materia e ha una componente determinata a fianco di quella non-formale, mentre il secondo è riconducibile solamente alla materia; una via d'uscita da questa impasse potrebbe consistere nel far coincidere il μερισμός con la sola componente non-formale dell'estensione spaziale, ossia la dispersione delle forme, la quale dipende ovviamente dalla sola materia.

In buona sintesi, dunque, per Plotino il corpo è il prodotto della combinazione di due fattori, le forme e la materia; per quanto tutte le sue determinazioni positive siano ricondotte alla prima, è di fatto la seconda ad originare la caratteristica di esso più peculiare, cioè la parcellizzazione. Sebbene questa situazione, in cui il marchio più importante della realtà fisica è impresso da una non-realtà e un non-principio, possa apparire paradossale, essa è tutto sommato ben comprensibile: ciò che caratterizza la dimensione corporea rispetto ai livelli superiori del reale (l'anima, l'intelletto ecc.) è proprio il fatto che questo stadio si costituisce per l'incontro dell'intelligibile con la sua privazione, ossia la materia.

Per concludere, si può tentare una risposta alla seguente domanda: in che rapporto si pongono le teorie qui sopra esposte con la concezione plotiniana della realtà nel suo complesso, e qual è il loro grado di originalità? Si tratta cioè di teorie ereditate da Plotino, magari con qualche adattamento, dalla tradizione precedente, e che, nate esternamente al suo "sistema", possono tranquillamente trovare posto anche al di fuori di esso; oppure il materiale ereditato dalla tradizione è stato fortemente riplasmato, cosicché queste dottrine si pongono in un rapporto stretto con i capisaldi del suo pensiero? La risposta dovrebbe a questo punto risultare chiara: da un lato, Plotino fa ampio uso di posizioni e dottrine preesistenti: non è il primo pensatore post-platonico e post- aristotelico a reintrodurre l'ipotesi monista (v. a proposito la n. 10); non risale a lui la definizione del corpo come "estensione tridimensionale dotata di resistenza" (v. par. 2.1), e nemmeno l'associazione della dimensione corporea all'essere μεριστός è una sua invenzione, trovandosi già in Tim. 35a (v. par. 2.2.2); non è lui, infine, il primo a sostenere la natura inestesa della materia (v. par. 3.1.3.2), anche se è il primo a farlo con

tanta consapevolezza e decisione. D'altra parte, tutti questi elementi, provenienti da scuole filosofiche diverse, sono riorganizzati secondo un preciso asse strutturale, ossia l'unità come chiave di lettura della realtà: e questo significa non solo assemblare questi elementi di diversa provenienza, ma anche, molto spesso, attribuire loro un significato, delle implicazioni e/o un'importanza nuova rispetto a quella che avevano originariamente. L'importanza di questa chiave di lettura è visibile in tutti i principali risultati raggiunti nei precedenti capitoli: l'idea che la materia sia un prodotto dell'anima, e che quindi derivi in ultima istanza dall'Uno, implica la riconduzione di ogni grado del reale a questa sola ἀρχή, sottraendo, a quella realtà che era tradizionalmente considerata antitetica al Bene, da esso indipendente e ad esso complementare, il rango di principio per farne il suo ultimo e più inconsistente derivato – il quale sarà allora, poiché massimamente distante dal principio, privo di ogni determinazione, compresa l'estensione –. La descrizione della dimensione sensibile come parcellizzata, che in Platone è nettamente subordinata ad altre caratterizzazioni di essa (basate per esempio sulla sua natura diveniente, sul fatto che, conseguentemente, non può essere oggetto di scienza e così via), viene fortemente valorizzata da Plotino e interpretata in riferimento all'unità, come tipica di un grado della realtà che ne è quasi completamente privo. Allo stesso modo, la proprietà dell'estensione spaziale, che era attribuita canonicamente al corpo dalle scuole più disparate e dagli stessi matematici, e che quindi poteva apparire piuttosto neutrale e priva di speciali implicazioni, viene risemantizzata nella medesima direzione, tanto da sovrapporsi in una certa misura alla parcellizzazione. Infine, la convinzione che la causa non possieda la proprietà che produce nel causato, per quanto sia forse nata in riferimento alla seconda ipostasi e non alla prima (cfr. n. 150), trova la sua applicazione più emblematica e la sua massima necessità proprio in riferimento a quest'ultima: nel momento in cui si pone a principio della realtà ciò che, nella sua assoluta semplicità, è privo di ogni determinazione, diviene infatti cruciale rendere conto della sua facoltà di produrre tutta la varietà del reale, il che è reso possibile solo da una simile concezione della causalità.

In tal modo, nella stessa analisi delle realtà più distanti dall'Uno si mostra il suo ruolo cruciale nella filosofia di Plotino: ben lungi dall'essere semplicemente un'ulteriore ipostasi aggiunta ai principi della tradizione medioplatonica – dio, idee, materia –, l'unità obbliga, nel momento in cui viene introdotta in questo sistema, a una sua riorganizzazione radicale, assurgendo al ruolo di principio strutturante del suo pensiero.

APPENDICE I (LESSICALE): IL SIGNIFICATO DI ΟΓΚΟΣ