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L’osservazione dell’elaborazione grafica, progettata con il software QGIS e presentata precedentemente ai fini della ricerca, ha avuto la funzione di mettere in correlazione i limiti raggiunti dai ghiacciai benacense e atesino e i siti archeologici tardo-epigravettiani con datazioni radiometriche; la lettura cronologica ha inoltre permesso di delineare un quadro generale sull’occupazione umana durante il Tardoglaciale, in un’area precedentemente interessata dai ghiacciai. Ne è emerso, infatti che a seguito della deglaciazione, l’ambiente rimase instabile per almeno un migliaio di anni (Frisia, et al., 2007).

La posizione dei siti archeologici mostrati nell’elaborazione grafica, sembra, in qualche caso, essere congruente e strettamente correlata con quella dei limiti raggiunti dai ghiacciai durante l’Ultimo Massimo Glaciale. Questo elemento avvalora verosimilmente l’ipotesi secondo la quale i gruppi umani abbiano seguito il ritiro dei ghiacciai durante i loro spostamenti, effettuando una progressiva risalita lungo i versanti alpini, principalmente durante il Dryas Recente. In questa fase, infatti, rispetto all’interstadio glaciale, si verifica un aumento di mobilità da parte dei cacciatori-raccoglitori tardoglaciali.

Le evidenze archeologiche prese in esame in questa sede hanno permesso di constatare che la presenza umana nel territorio, si attesta prevalentemente a partire dall’interstadio glaciale, anche se già a partire da 17.5-16.5 mila anni cal BP, intorno all’anfiteatro del Garda e al Lago di Ledro, l’ambiente, nel fondovalle, doveva presentarsi già relativamente ospitale (sono registrate formazioni in larice e pino mugo a 17.5-16.5 mila anni cal BP, nel momento in cui il lago di Frassino doveva essere deglaciato, almeno parzialmente).

Durante la prima parte del Tardoglaciale, Riparo Tagliente deve essere stato frequentato nel corso della stagione estiva, ma a partire dal Dryas I e dall’interstadio Bølling-Allerød, i dati

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archeozoologici documentano la presenza umana probabilmente per nove mesi l’anno (da marzo a novembre) (Rocci Ris, et al., 2007), proprio in concomitanza, appunto, del progressivo aumento della densità delle foreste di conifere e della risalita del limite degli alberi fino a 1700 m s.l.m.

Nonostante ciò, l’occupazione umana è successivamente documentata solo dall’inizio dell’interstadio glaciale, più precisamente nei due ripari a fondovalle di Villabruna e Soman inferiore, seguiti dal sito di Val Lastari (primo in media-alta quota a restituire evidenze archeologiche), e proprio a partire dall’interstadio Bølling-Allerød, la frequentazione antropica nel territorio preso in esame, risulta essere relativamente ripetuta e continua. Teoricamente, dunque, tra l’inizio della deglaciazione delle valli alpine e l’interstadio di Bølling –Allerød corrono dunque circa 3500 anni che, oltre ad essere tuttora privi di una collocazione cronostratigrafica (Ravazzi, 2007), non hanno restituito evidenze relative alla presenza umana nei versanti prealpini del Trentino e del Veneto occidentale (fatta eccezione, appunto, per Riparo Tagliente).

I cacciatori-raccoglitori che hanno occupato il territorio, sfruttandone le relative risorse, hanno optato di farlo quando l’ambiente era oramai verosimilmente stabile e le temperature erano relativamente equiparabili ai livelli odierni (7-8°C, forse anche 15°C durante la cronozona Bølling, collocata convenzionalmente intorno a 14.700 anni fa, ed una successiva flessione ca. 5°C, assestandosi su valori di poco inferiori alle attuali al passaggio con la cronozona Allerød) (Cremaschi, 2004). Con l’arrivo del Dryas Recente si evidenzia un abbassamento delle temperature con conseguente diminuzione della densità forestale (a 12.650 BP si evidenzia l’abbassamento del limite degli alberi fino a 1500 m s.l.m. (Ravazzi, 2007), nonché una minore estensione degli accampamenti, che risulteranno localizzati presso zone umide, e dei materiali litici (Duches, et al., 2005). La lettura cronologica evidenzia, inoltre, l’assenza di continuità di frequentazione nei siti attribuibili al Dryas

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Recente, permettendo dunque di avvalorare l’ipotesi dell’esistenza di un sistema insediativo caratterizzato da una mobilità estremamente accentuata e mirata alla risalita dei versanti prealpini, nonché allo sfruttamento delle risorse del territorio direttamente in quota.

Tra i siti in quota, Riparo Dalmeri si è rivelato essere peculiare per lo studio dell’occupazione umana a seguito del ritiro glaciale; ciò ha consentito di rilevare una serie di aspetti ancora irrisolti: il modello ad oggi ritenuto di riferimento proposto da Broglio A. (1982), secondo il quale gruppi di cacciatori-raccoglitori utilizzano una strategia di mobilità prevalentemente stagionale e strettamente locale, che collega i siti residenziali del fondovalle atesino con i siti in quota, risulterebbe infatti parzialmente incompleto per delineare una interpretazione esaustiva sulle modalità insediative dei gruppi umani tardoglaciali. Le argomentazioni precedentemente illustrate potrebbero fungere da spunto per convalidare la formulazione di un modello aggiornato, in grado di approfondire le dinamiche di mobilità esplicate dai gruppi umani tardoglaciali in area alpina orientale.

I siti localizzati a fondovalle hanno sicuramente svolto un ruolo chiave nell’articolata struttura di spostamenti di singoli individui o gruppi di individui nell’area atesina: la presenza di almeno un Gruppo culturale Locale, ovvero di almeno una famiglia, è sicuramente testimoniata a Riparo Villabruna, migrato successivamente nel sito in quota di Riparo Dalmeri. Anche i livelli antropizzati di Riparo Soman potrebbero suggerire la presenza semi-sedentaria di un Gruppo culturale Locale, tesi avvalorata dagli indicatori archeologici che delineano la presenza di un campo-base nel fondovalle nel quale venivano avviate diverse attività, comprendenti anche quelle di caccia e di lavorazione dei resti faunistici e delle pelli, queste ultime verosimilmente effettuate, come indicato da Grimaldi (2005) nelle sue proposte, “dalla componente femminile del gruppo insieme ai bambini e agli anziani”. Lo stesso si potrebbe dire per il sito di Arco (cui non sono ancora note datazioni assolute), caratterizzato dalla presenza di 14 unità insediative, situate ognuna

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intorno a una struttura di combustione, costituite da un’abbondante presenza di manufatti litici e da settori specializzati nella produzione di supporti, nel confezionamento e mantenimento di utensili, nei lavori domestici (Mottes, et al., 2018), nella scheggiatura della selce, nonché dalla consistente quantità di fauna calcinata e residui di ocra (Mottes & Bassetti, 2015).

I due modelli proposti da Grimaldi (2005) per i siti sauvetteriani, e discussi precedentemente, sono congruenti anche con l’interpretazione delle testimonianze archeologiche tardo- epigravettiane analizzate in questa sede.

In totale accordo con entrambe le proposte, viene di seguito illustrata un’alternativa teorica che potrebbe ulteriormente approfondire le dinamiche di mobilità esplicate dai gruppi umani tardoglaciali, elaborata sulla base degli indicatori archeologici analizzate in questa sede: questo “modello” vede la presenza di Gruppi culturali Locali nei siti di fondovalle, che si mobilitano in alta quota con l’inizio della stagione estiva, soffermandosi in territori favorevoli alle attività di caccia e sussistenza, e delineatosi, al tempo stesso, geograficamente idonei alla semi-permanenza. Nel sito (in quota) scelto dall’intero gruppo vengono effettuate attività simili a quelle svolte nei siti di fondovalle: il sito in quota, dunque, fungerebbe, al tempo stesso, sia come luogo dedito ad attività di caccia e di sussistenza, sia come vero e proprio campo-base (evidenze riscontrate a Riparo Dalmeri: attività rituali, caccia, produzione di supporti, lavorazione tessuti cutanei animali, presenza di bambini); sebbene la maggior parte dei resti faunistici rinvenuti nei siti presi in esame delineino una frequentazione in quota prevalentemente stagionale, è possibile che alcuni individui prolunghino la loro permanenza anche durante l’inverno: un dente di stambecco a Riparo Dalmeri mostra la presenza di un’ultima banda di tipo invernale, documentando un periodo di uccisione più inoltrato, tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera (Bertola, et al., 2007). Gruppi culturali di Lavoro, costituiti da singoli individui o da gruppi limitati di

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cacciatori-raccoglitori, effettuano spostamenti dal sito di fondovalle alla media-alta quota e/o direttamente in quota (probabilmente, appunto, anche durante la stagione più fredda), per adempire ad attività di caccia, sussistenza e ricerca di buone materie prime selcifere (come dimostano le analisi sugli itinerari percorsi dai cacciatori-raccoglitori provenienti da Riparo la Cogola per raggiungere i depositi selciferi), sfruttando comunque anche (o forse soprattutto) il fondovalle (Riparo Soman superiore e Arco).

Quanto appena affermato, non vuole confutare il modello ad oggi ritenuto di riferimento proposto da Broglio A. (1982), ma vuole tentare di creare ulteriori spunti di riflessione sulle dinamiche di mobilità esplicate dai gruppi umani in un’area interessata dal ritiro dei ghiacciai a seguito dell’ultima glaciazione würmiana, delineandosi, dunque, non come teoria sostitutiva, ma integrativa. Le proposte elaborate da Grimaldi (2005) per i cacciatori- raccoglitori sauvetteriani in Italia nord-orientale, risultano essere congruenti e idonee anche per i siti epigravettiani recenti nell’area indagata, nonché interessanti per affrontare nuove argomentazioni sugli spostamenti e sui contatti a lunga distanza dei cacciatori-raccoglitori. In accordo con quanto delineato nel suo modello “circolare”, infatti, dopo averne indagato gli aspetti, sono state avanzate nuove riflessioni sulle dinamiche mobilitative adempite dai gruppi umani durante il Tardoglaciale. In una fase in cui l’adattamento era probabilmente uno dei comportamenti indispensabili per far fronte alla presenza di bruschi cambiamenti climatici e all’instabilità ambientale, è stata considerata l’importanza della coesione sociale e della cooperazione di vari Gruppi culturali Locali e di Lavoro.

I dati presentati in questa sede dimostrano, in conclusione, che il modello, ad oggi ritenuto di riferimento, potrebbe rivelarsi poco esaustivo per motivare la migrazione verso i versanti prealpini di intere famiglie tardo-epigravettiane. L’eventuale arrivo di nuovi Gruppi culturali Regionali nel territorio alpino, durante il Tardoglaciale, come precedentemente ipotizzato sulla base della malacofauna di origine mediterranea rinvenuta in alcuni siti

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archeologici e l’assenza di evidenze archeologiche nell’Alto Adriatico, pone inoltre nuovi interrogativi sull’importanza di adoperare comportamenti e/o legami di affinità e solidarietà tra individui o intere comunità non necessariamente locali.

Sebbene il modello di “Nomadismo Verticale” non possa essere totalmente escluso, si vogliono, con quanto esaminato, porre le basi per la formulazione di alternative teoriche in grado di decifrare vari aspetti di mobilità e modalità insediative degli ultimi cacciatori- raccoglitori epigravettiani nell’Italia nord-orientale, a seguito dell’ultima glaciazione würmiana.

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