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Modelli di moblità dei cacciatori-raccoglitori durante il Tardoglaciale

6: DISCUSSIONI: LA RELAZIONE TRA I LIMITI DELLA DEGLACIAZIONE E

6.4 Modelli di moblità dei cacciatori-raccoglitori durante il Tardoglaciale

L’elaborazione grafica progettata su QGIS ha consentito di mettere in relazione la posizione geografica e le datazioni radiocarboniche dei siti archeologici con i limiti raggiunti dai ghiacciai durante l’ALGM; ciò ha gettato le basi per effettuare una discussione in grado di delineare un quadro cronologico dettagliato della frequentazione umana, in relazione, appunto, alle fasi di ritiro dei ghiacciai e alla riforestazione ambientale a seguito del Tardoglaciale.

Attraverso la lettura cronologica è stato, ad esempio, evidenziato come la Valle dell’Adige sia stata interessata dal ritiro del ghiacciaio atesino già prima o comunque intorno a 14.000 anni BP, mentre la presenza umana nel sito di fondovalle di Riparo Soman sia già testimoniata a 13.363-14.089 cal BP.

Lo scopo di questa ricerca è, tuttavia, tentare di comprendere come i gruppi umani abbiano optato di insediarsi nel territorio a seguito della deglaciazione; lo studio del popolamento antropico nelle Alpi Orientali tra il Tardoglaciale e l’inizio dell’Olocene è stato oggetto di studi interdisciplinari a partire dagli anni ’80 (Broglio A. , 1982) (Bagolini, et al., 1983) (Broglio & Lanzinger, 1990). Questi hanno tentato di individuare dei sistemi insediativi in grado di spiegare i ritmi e le modalità degli spostamenti, che risultano generalmente essere legati dalla disponibilità delle risorse e dalle caratteristiche paleoambientali del territorio. È importante riconoscere, tuttavia, che non è semplice identificare tutti i fattori con cui l’aspetto “mobilità” interagisca (anche se, tra tutte le variabili che la influenzano, l’ambiente è probabilmente quello dominante). Gli studi riguardanti le variabili di mobilità in relazione agli indicatori archeologici, e rapportati a dati etnologici, hanno consentito di elaborare una serie di modelli, basati sia “sulla mobilità intesa come modalità di sfruttamento del

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territorio”, sia “concepita come ampiezza e direzione degli spostamenti” (Cusinato, et al., 2003).

Le prime pubblicazioni in merito, relative agli anni '80, hanno individuato il modello, oggi di riferimento per l’Italia nord-orientale, che ipotizza spostamenti stagionali tra siti di fondovalle e di montagna, con un progressivo aumento di quota e penetrazione verso le aree più interne all'arco alpino dalla fine del Paleolitico al Mesolitico (Broglio A. , 1982); le successive ricerche hanno confermato questo quadro, conferendo ai siti di fondovalle una funzione residenziale, caratterizzati da frequentazioni ripetute e dallo svolgimento di attività diversificate, ed ai siti di media e alta quota la funzione di accampamenti stagionali localizzati in prossimità di specchi d’acqua o pareti rocciose (Broglio & Lanzinger, 1990) (Broglio & Lanzingher, 1996).

Importanti furono anche le pubblicazioni di Murdock (1967) che, qualche anno prima, classificava la mobilità dei cacciatori-raccoglitori in varie categorie: nomadi, semi-nomadi, semi-sedentari e permanenti, e di Binford (1980) che rilevava l'esistenza di due principali tipi di mobilità: “Foragers and Collectors”, secondo cui cacciatori-raccoglitori si definivano foragers, quando si mobilitavano da un accampamento a un altro solo nel corso della stagione estiva, e collectors, coloro che durante la permanenza nell’accampamento invernale si allontanavano periodicamente per effettuare attività specializzate di durata variabile. Un ulteriore elemento preso in considerazione è quello della composizione variabile delle popolazioni nomadi di cacciatori-raccoglitori che adottano strategie per poter vivere, durante il corso dell’anno, in gruppi ristretti o in comunità più numerose in base alla disponibilità delle risorse (Grøn, 1987).

Per tentare di ottenere un quadro sempre più completo ed esaustivo, le pubblicazioni scientifiche recenti adottano prevalentemente approcci che prendono in considerazione alcuni fondamentali indicatori, quali le evidenze relative all'approvvigionamento delle

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materie prime litiche, le risorse alimentari, la distribuzione e localizzazione topografica degli insediamenti, “sebbene la risposta in termini di strategie insediative, mobilità e sussistenza dei cacciatori-raccoglitori paleo-mesolitici alle nuove condizioni ambientali instauratesi della regione alpina sud-orientale tra Tardoglaciale e Olocene antico appare più complessa e diversificata rispetto a quanto ritenuto in precedenza” (Cusinato, et al., 2003).

Nel tentativo di approfondire ed aggiungere nuove ipotesi sui comportamenti dei gruppi umani a seguito dell’ultima deglaciazione würmiana in ambito alpino, verranno di seguito prese in considerazione pubblicazioni scientifiche relative agli ultimi anni, confrontandole con i dati cronologici e geografici mostrati nell’elaborazione grafica proposta in questa sede. Una ricerca molto interessante da cui trarre spunto per poter ipotizzare un modello di mobilità dei cacciatori-raccoglitori nel Tardoglaciale è stata effettuata da Phoca-Cosmetatou (2005): la sua indagine ha interessato principalmente i siti di Fumane (attribuibile al Paleolitico superiore e datato a ca. 34.000-31.000), e i ripari di Soman, Dalmeri e Villabruna, che sono stati suddivisi in due categorie principali: “ripari di fondovalle”, interpretati come campi base (base-camps) e “siti in quota all’aperto utilizzati per brevi periodi” (short term sites). Lo studio ha fondamentalmente riconsiderato la nozione di uniformità all’interno della categoria dei ripari a fondovalle, poiché Riparo Soman e Riparo Villabruna sono insediamenti interpretati come “campi base nel fondovalle”, ma in realtà utilizzati anche come siti per la caccia (hunting camps); mentre Riparo Dalmeri, identificabile come sito in quota all’aperto utilizzabile per brevi periodi ha invece restituito evidenze tipiche di contesti a fondovalle (industria litica, pietre dipinte, presenza di bambini).

Indagini più approfondite e basate sulla predominanza di ogni singola specie cacciata cui resti sono stati rinvenuti all’interno dei siti (principalmente stambecchi), ha consentito l’elaborazione di un ulteriore modello interpretativo più recente, nuovamente proposto da Phoca-Cosmetatou (2009): esso vede la suddivisione dei siti in “primary butchery sites”,

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dunque siti indirizzati all’uccisione degli animali e localizzati in prossimità dei luoghi di caccia e “secondary consumption sites”, viceversa posizionati in lontananza dai luoghi di caccia e destinati ad una lavorazione delle ossa o delle pelli. Ciò presuppone che le ossa povere di carne e gli individui di animali giovani vengano abbandonati nei siti primari, mentre le ossa ricche di carne e individui più anziani vengano trasportati nei siti secondari per ulteriori lavorazioni. Sulla base dei resti faunistici, dunque, i siti di Riparo Soman, Villabruna e Riparo la Cogola sono stati interpretati come siti secondari, poiché in maggior misura mostrano tracce di lavorazione e di consumo piuttosto che di macellazione/uccisione. Tuttavia Riparo Dalmeri, che più di tutti gli altri siti ha rilevato forti evidenze e tracce di uccisione con il 95% di resti appartenenti ad una singola specie cacciata (tutti gli altri siti delineano una percentuale inferiore a 60%), e identificabile dunque come “primary butchery sites”, ha restituito tracce che fanno riferimento a diverse attività sociali e non può, dunque, essere riconosciuto come sito dedicato esclusivamente alla caccia. Il sito di Dalmeri porta alle conclusioni che la forte presenza di resti faunistici appartenenti ad una singola specie cacciata non era correlata alle attività di approvvigionamento di cibo effettuata sul posto. Questa considerazione presuppone l’esistenza di una forte mobilità da parte dei cacciatori- raccoglitori tardo-epigravettiani.

Partendo da questi presupposti e facendo riferimento ai concetti di “Gruppi culturali” dedotti dalla letteratura archeologica ed espressi da Grimaldi (2005) nel suo “Un tentativo di definire un modello di territorio e mobilità per i cacciatori raccoglitori sauveterriani dell’Italia nord-orientale”, si potrebbe tentare, seguendo in larga parte il medesimo stile di pensiero, di dedurre un modello di mobilità per i cacciatori-raccoglitori epigravettiani nell’Italia nord- orientale a seguito della deglaciazione würmiana. Lo schema concettuale da lui proposto, delinea la probabile presenza di tre tipologie di Gruppi culturali:

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“il Gruppo culturale Regionale può essere associato agli individui che hanno frequentato l’Italia nord-orientale nel corso del tempo e delle generazioni; il Gruppo culturale Locale può essere associato alla famiglia o famiglie che fisicamente e periodicamente hanno frequentato e abitato i siti archeologici che oggi conosciamo; infine, il Gruppo culturale di Lavoro può essere associato a tutti gli individui che, singolarmente o in gruppo, si sono spostati sul territorio per effettuare mansioni diverse e che possono avere lasciato tracce archeologiche più o meno effimere (manufatti di superficie oppure limitate concentrazioni di manufatti.” (Grimaldi, 2005).

Sulla base di queste considerazioni, possiamo ipotizzare che gli individui che hanno sfruttato le stesse risorse naturali dell’ambiente alpino e frequentato il territorio preso in esame, a partire dal Tardoglaciale fino alla fine del Dryas Recente, possano far parte di un unico Gruppo Culturale Regionale. Questa premessa, potrebbe essere d’ausilio per tentare di individuare l’eventuale coinvolgimento di individui appartenenti ad uno o più “Gruppi culturali Locali o di Lavoro” nei siti archeologici menzionati in questa sede. Alla luce di quanto appena esposto, verranno di seguito segnalati una serie di aspetti relativamente simili appartenenti ai due ripari di Dalmeri e Villabruna, che potrebbero indicare la presenza di uno stesso Gruppo culturale Locale o di Lavoro in entrambi i siti.

Il sito di Villabruna, secondo il modello di Phoca-Cosmetatou (2005), potrebbe essere interpretato come campo base nel fondovalle, ma, proprio come il sito di Soman, fu utilizzato anche per la caccia: i numerosi resti faunistici rinvenuti documentano l’attività prevalente di caccia allo stambecco con valori di ca. il 56%, e di camoscio alpino rappresentato da ca. il 21% di resti attribuibili ad ungulati (De Angelis, et al., 2015). La caccia nel sito a fondovalle, è inoltre testimoniata dalle diagnosi effettuate sulle tracce d’uso di alcuni strumenti litici (alcuni dei quali consoni per essere utilizzati come punte di proiettili), nonchè dalla sepoltura del giovane cacciatore-raccoglitore, rinvenuto nel rifugio A (Ruta, et al., 2018). Le indagini

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effettuate sui resti osteoarcheologici dell’individuo hanno consentito di individuare un'asimmetria marcata dell'omero che suggerisce la tendenza di compiere ripetuti movimenti di lancio nella caccia, e un marcato rimodellamento della diafisi femorale, derivante probabilmente dall'effetto combinato dello stile di vita mobile e del territorio montuoso (Vercellotti, et al., 2008). Anche a Riparo Dalmeri si praticava con maggiore rilevanza la caccia allo stambecco. (Dalmeri G.et al., 2006). Erano inoltre cacciati il cervo, il camoscio, il capriolo, l’alce, il cinghiale, l’orso e il tasso, ma le evidenze faunistiche testimoniano anche l’attività di caccia agli uccelli (Fiore & Tagliacozzo, 2005) e di pesca effettuata sicuramente nel fondovalle del fiume Brenta, attualmente posto a ca. 250 m s.l.m. (Dalmeri G., et al., 2006). La sostanziale frammentarietà dei reperti è connessa, nei livelli inferiori, ad un importante sfruttamento della carcassa da parte dell’uomo e nel 20% dei casi all’uso degli stessi come combustibile per i focolari (Fiore & Tagliacozzo, 2003), ma le analisi sulle tracce d’uso rinvenute su diversi reperti faunistici e su ossa hanno dimostrato che il sito fosse principalmente utilizzato come luogo di caccia, macellazione, e per nascondere cure (Cristiani, et al., 2012). Tuttavia, come già stato esaminato, a Riparo Dalmeri sono documentate diverse attività sociali, dunque non può essere identificato esclusivamente come sito dedito alla caccia: si ricordi, inoltre, che il rinvenimento di denti da latte, nonché di 2 denti appartenenti a due giovani individui (dal grado di riassorbimento fisiologico della radice si deduce un’età di 6-7 anni per un individuo e di 9-13 per l’altro) che sulla base delle indagini sulle microusure suggeriscono marcate pressioni da masticazione (Giacobini, 2005), testimonia l’occupazione di almeno un’intera famiglia all’interno del riparo sicuramente durante l’interstadio glaciale (Dalmeri, et al., 2006).

Anche il rinvenimento di pietre dipinte nei due ripari di Dalmeri (riferibili all’interstadio di Allerød) e di Villabruna-A (relative alla fine dell’interstadio Bølling) meritano alcune considerazioni: il sistema pittorico tipico delle pietre dipinte di Villabruna è stato messo in

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correlazione con quello delle pietre del Riparo Dalmeri, poiché costituite dallo stesso linguaggio pittorico, dalle figure con evidente significato simbolico e dall’utilizzo della stessa tonalità di ocra (a differenza di quelle rinvenute a Riparo Tagliente, che risultano essere decorate ad incisione) (Bertola, et al., 2007). Più in particolare, le raffigurazioni attribuibili alla tradizione figurativa naturalistica, si collocano, sia per le pietre di Dalmeri (RD211, RD196) sia per Villabruna (n.5), nella sua fase terminale, quando l’esecuzione è semplificata, poco curata nei dettagli e i particolari anatomici vengono trascurati (Fig. 6.4.1); anche per le figure antropomorfe si manifesta un’analogia concettuale, con la presenza di un forte schematismo “essenziale” a Dalmeri (nella pietra RD82) e “iperantropico” a Villabruna (pietra n.2), con la moltiplicazione degli arti che potrebbe esprimere l’intenzione di esaltare le doti del cacciatore epigravettiano (Fig. 6.4.2).

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Figura 6.4.1: Le raffigurazioni antropomorfe naturalistiche e schematizzate interpretate di Riparo Dalmeri, a confronto con quelle del Riparo Villabruna-A. Traspare una sostanziale affinità tecnico-stilistica, evidenziata graficamente in alcuni tratti delle figurazioni pittoriche appartenenti ai due siti epigravettiani. La pietra n. 5 di Villabruna suggerisce un

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Figura 6.4.2: Interpretazione delle figure antropomorfe naturalistiche e schematiche di Riparo Dalmeri, comparate con quella di Riparo Villabruna-A. Risulta evidente un’affinità tecnica e stilistica nelle raffigurazioni pittoriche proveniente

dai due siti epigravettiani (da Dalmeri & Neri, 2008: 311)

In entrambi i siti, inoltre, è stata rinvenuta malacofauna, cui specie determinate appartengono alla fauna moderna presente nell’area mediterranea: la collezione malacologica di Riparo Dalmeri è composta da 25 conchiglie marine attribuibili alla Classe dei Gastropodi, riconducibili esclusivamente a due specie, Cyclope e Columbella, oltre al solo frammento appartenente alla Mitra sp.; a Riparo Villabruna sono state rinvenute in totale quattro conchiglie marine: tre di queste fanno parte della Classe dei Gastropodi (due di Columbella

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rustica, una di Mitra sp.), mentre uno dei gusci è stato attribuito alla classe degli Scafopodi (Dentalium cf. inaequicostatum). Il rinvenimento di sole due specie a Riparo Dalmeri farebbe supporre che siano state scelte di proposito dall'uomo e che siano state raccolte lungo le spiagge (Dalmeri & Fiocchi, 1998). Il rinvenimento di conchiglie marine evidenza la presenza o di contatti a lunga distanza o di forte mobilità; per tentare di dare una spiegazione plausibile alla loro presenza nei due ripari potrebbe essere molto interessante far riferimento all’assenza di indicatori archeologici nell’Alto Adriatico, e dunque di gruppi umani, durante il Tardoglaciale: un’ipotesi, evidenziata da Boschian (2003), vede la migrazione dei cacciatori-raccoglitori verso i versanti alpini, poiché, per quanto possa apparire anomalo, a seguito del brusco cambiamento climatico, le colline della regione nord-adriatica divennero ancora meno idonee alla presenza umana rispetto al territorio alpino e, anche nella seconda parte del Tardoglaciale, l’innalzamento del livello del mare non rese agibile il territorio. Questo presupporrebbe che nuovi Gruppi Culturali abbiano occupato il versante prealpino, includendo, di conseguenza, l’eventualità di effettuare operazioni di cooperazione con i gruppi umani già insediati nel territorio (o per adempire attività rituali o di sussistenza); la coesione sociale, infatti, permette verosimilmente di superare con maggiore successo periodi di scarsità alimentare, come espresso durante una rassegna da Binford (2001), cui argomentazioni dettagliate verranno riproposte nel suo “Constructing Frames of Reference: An Analytical Method for Archaeological Theory Building Using Ethnographic and Environmental Data Sets” (in stampa).

Se prendiamo questa ipotesi come verosimile, potremmo pensare che le conchiglie rinvenute nei due ripari di Villabruna e Dalmeri possano appartenere proprio a quei cacciatori- raccoglitori che dall’Alto Adriatico furono spinti a muoversi verso nord, instaurandosi, appunto, in nuovo territorio e collaborando con i Gruppi culturali Locali o di Lavoro che già conoscevano l’entità delle risorse presenti nella regione. Tuttavia anche a Riparo Tagliente

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la presenza di un considerevole numero di conchiglie marine ornamentali (728) (Fontana, et al., 2012) e di un esemplare fossile molto probabilmente riconducibile al versante occidentale dei Monti Lessini o al Veneto orientale (Arzarello, et al., 2007), farebbe supporre l’esistenza di una serie di spostamenti da parte dei cacciatori-raccoglitori epigravettiani o contatti a lunga distanza. A causa della posizione geografica e della cronologia del sito, però, l’ipotesi dei gruppi umani provenienti dall’Alto Adriatico diviene, in questo caso, più problematica, anche se non totalmente inverosimile.

Figura 6.4.3: Ornamenti: 1-15) Riparo Tagliente; 16-20) Riparo Villabruna; 21-26) Riparo Dalmeri. 1) Cyclope pellucida; 2) Cyclope neritea; 3) Columbella rustica; 4) Buccinum undatum; 5) Nassarius cf. circumcinctus; 6) Homalopoma sanguineum; 7) Clanculus cf. corallinus; 8) Nassarius incrassatus; 9) Cerithium vulgatum; 10) Aporrhais

pespelecani; 11) Aspa marginata; 12) Pecten jacobaeus; 13) Glycymeris sp.; 14) Anomia ephippium; 15) Dentalium inaequicostatum; 16) Mitra sp.; 17-19) Columbella rustica; 20) Dentalium cf. inaequicostatum; 21-25) Columbella

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Sarebbe interessante, tuttavia, approfondire gli studi sulla malacofauna rinvenuta nel territorio dell’Italia nord-orientale nei siti attribuiti al Tardoglaciale per tentare di sviluppare un quadro che sia d’ausilio per comprendere i comportamenti dei cacciatori-raccoglitori epigravettiani e l’eventuale areale di contatti a lunga distanza.

Per tornare agli aspetti che correlano i due siti di Villabruna e Dalmeri, i livelli antropici di Riparo Villabruna sono datati 14.350 cal BP- 13.450 cal B.P (il complesso delle pietre dipinte è attribuibile all’interstadio Bølling; i livelli superiori del riparo relativi all’interstadio Allerød non hanno restituito datazioni); i livelli antropici di Riparo Dalmeri fanno riferimento ad una fase immediatamente successiva e sono datati a 13.200-13.400 cal BP e 12.900-13.100 cal BP (il complesso delle pietre dipinte è attribuibile alla fase più antica di frequentazione, ovvero all’interstadio Allerød).

È dunque doveroso poter supporre che Riparo Villabruna e Riparo Dalmeri fossero stati occupati dal medesimo gruppo culturale; le testimonianze antropiche delineano un quadro abbastanza limpido: a Riparo Dalmeri era presente sicuramente almeno una intera famiglia (presenza di denti di bambini), ed era un sito in cui venivano praticate diverse attività sociali, anche specializzate. Il complesso delle pietre dipinte è attribuibile alle prime fasi di frequentazione, forse in relazione ad attività rituali e/o simboliche (le figure rappresentate farebbero pensare ad attività propiziatorie legate alla caccia). Lo stesso linguaggio simbolico si rinviene nelle pietre dipinte di Villabruna, correlabili ad una sepoltura di un giovane cacciatore-raccoglitore, anch’esse come a Riparo Dalmeri, con la faccia dipinta rivolta verso il basso. I livelli antropici di Villabruna fanno riferimento ad una fase antecedente rispetto alle frequentazioni di Dalmeri: il complesso delle pietre dipinte di Riparo Dalmeri potrebbe dunque essere stata opera dello stesso gruppo di individui umani o da un numero ristretto di individui che, da Riparo Villabruna, scelse di stanziarsi nel nuovo territorio svolgendo, inizialmente, attività propiziatorie e rituali. Se teniamo in considerazione l’ipotesi che vede

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la presenza di guppi umani provenienti dall’Alto Adriatico, si potrebbe pensare anche ad un loro iniziale arrivo nel sito posto a fondovalle di Villabruna, e ad una successiva migrazione verso il sito in quota di Riparo Dalmeri. È ovvio che quanto appena detto deve essere visto come una proposta ipotetica basata su pochi indicatori archeologici. Sarebbe tuttavia interessante tenere in considerazione questo aspetto per eventuali indagini future relative al comportamento dei cacciatori-raccoglitori del territorio, estendendo dunque le ricerche all’area della regione nord adriatica, ed effettuando comparazioni tipologiche dell’industria litica o di eventuali testimonianze artistiche.

La distanza tra i due siti di Villabruna e di Dalmeri, comunque, è facilmente percorribile, anche se Dalmeri è localizzato lungo il margine nordorientale dell’Altopiano dei Sette Comuni, sopra il fianco destro della Valle della Brenta a 1250 m di quota, e Villabruna lungo la Valle del Cismon, tributaria di sinistra della Brenta, a 500 m di quota. Ad oggi, il tratto percorribile a piedi per giungere da Riparo Villabruna a Riparo Dalmeri consta di una distanza di ca.40 km, delineandosi come un percorso effettuabile in una decina di ore. Sulla base delle analogie nelle evidenze archeologiche rinvenute in entrambi i siti, delle posizioni geografiche degli stessi e delle letture cronologiche si potrebbe affermare che a Riparo Villabruna vivesse un gruppo di individui (o famiglie) che si fosse mobilitato verso le medie-alte quote, inizialmente mantenendo il collegamento con il fondovalle, e soffermandosi definitivamente a Riparo Dalmeri, dopo l’abbandono. Proprio per via della presenza di bambini in quest’ultimo, si potrebbe far riferimento ad un Gruppo culturale Locale. Quanto appena affermato avvalorerebbe la stabilità del modello di mobilità proposto da Broglio A. (1982) e definito da Grimaldi (2005) come “Modello di Nomadismo Verticale”, secondo il quale gruppi di cacciatori-raccoglitori utilizzano una strategia di mobilità prevalentemente stagionale, che collega i siti residenziali del fondovalle atesino con i siti in quota.

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I due ripari di Villabruna e Dalmeri sono i casi più esponenti che, a causa delle numerose evidenze archeologiche, maggiormente si prestano ad un confronto multidisciplinare; tuttavia, segni di eventuali mobilità da parte di uno stesso Gruppo culturale potrebbe intravedersi anche in altri siti tardoglaciali esaminati in questa sede, attraverso la diagnosi dell’industria litica e dell’individuazione delle aree di approvvigionamento della selce. Analisi tecniche su gran parte delle collezioni epigravettiane recenti dell’area presa in esame hanno consentito, in passato, di individuare i metodi adottati per la produzione delle industrie; sono state definite tre “fasi”, nelle quali le trasformazioni che interessano la produzione dei supporti si organizzano secondo uno schema cronologico:

“Fase I: Insiemi litici attribuiti alla parte recente del Dryas antico, rappresentati dalle collezioni provenienti dal Riparo Tagliente, tagli 17-12;

Figura 6.4.4: Produzioni litiche della prima fase (Bertola, et al., 2007: 61)

Fase II: Insiemi datati tra la fine del Dryas antico e la prima metà della cronozona di

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