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6: DISCUSSIONI: LA RELAZIONE TRA I LIMITI DELLA DEGLACIAZIONE E

6.3 L’occupazione umana a seguito del ritiro glaciale

La presenza di vegetazione a Riparo Tagliente (Fig. 6.1.1, simbolo giallo: 1), verso la fine del primo Tardoglaciale è un elemento fondamentale per ricostruire le modalità comportamentali e insediative dei gruppi umani nell’area a seguito della deglaciazione. Riparo Tagliente, a 226 m s.l.m., nei Monti Lessini, è, infatti, l’unico sito, nell’area presa in esame, che ha restituito tracce archeologiche attribuibili alla prima parte del Tardoglaciale: la frequentazione del sito ha inizio infatti a partire dal Würm antico per poi cessare alla fine del Tardoglaciale (le prime attestazioni del Tardoglaciale sono registrate da 17.219-16.678 cal BP) denotando la presenza di un’assiduità umana complessa, lunga e ripetuta. La sequenza pollinica mostra come da un ambiente periglaciale a clima freddo-arido e a scarsa vegetazione arborea a (tt.18-15), si passi ad un ambiente più temperato ed umido e all’affermarsi di una vegetazione di clima temperato, caratterizzata da una prateria arborata a conifere (pino silvestre e pino mugo) e caducifoglie (quercia, tiglio, olmo, carpino nero, frassino e nocciolo) (tt. 14-5) (Cattani, 1984) (Cremona, 2006-2008). Durante la prima parte del Tardoglaciale, il riparo deve essere stato frequentato nel corso della stagione estiva, ma a partire dal Dryas I e dall’interstadio Bølling-Allerød, i dati archeozoologici documentano la presenza umana probabilmente per nove mesi l’anno (da marzo a novembre); sebbene manchino evidenze di stagionalità relative ai tre restanti mesi invernali non può essere esclusa una eventuale frequentazione da parte dell’uomo anche durante questo periodo (Rocci Ris, et al., 2007). Questo elemento indica che l’ambiente nei Monti Lessini era, soprattutto a partire da ca. 14 ka, divenuto ottimale per le attività di caccia, raccolta e

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sussistenza per i cacciatori-raccoglitori epigravettiani. Come precedentemente accennato, sebbene la selce utilizzata per la produzione dell’industria litica a Riparo Tagliente fosse locale, la presenza di grandi quantità di malacofauna mediterranea e di un esemplare fossile riconducibile al versante occidentale dei Monti Lessini o al Veneto (Arzarello, et al., 2007), è indicatore di contatti o spostamenti da parte di cacciatori-raccoglitori epigravettiani a lunga distanza. Ciò potrebbe rappresentare un importante punto da cui partire per approfondire le indagini sugli spostamenti antropici durante la prima parte del Tardoglaciale nel territorio alpino e prealpino. Il sito, inoltre, è peculiare per l’importanza dell’attività di scheggiatura, sia per la possibile esportazione di nuclei preparati all’esterno dello stesso riparo, sia per la presenza di diversi livelli di specializzazione artigianale; mancano, tuttavia, ulteriori dati in grado di analizzare eventuali cambiamenti di utilizzo del sito nel corso del tempo (Fontana, et al., 2009).

Possiamo, comunque, trarre la conclusione che già dalle prime frequentazioni musteriane, Riparo Tagliente fosse caratterizzato da un ambiente naturale adatto alla produzione artigianale e favorevole al reperimento di materie prime, quali la selce, e alla caccia, e che si fosse mantenuto ottimale e ideale alla presenza antropica anche a seguito dell’espansione e successivo ritiro dei ghiacciai benacense e atesino.

Da un punto di vista cronologico, l’occupazione umana è successivamente documentata nei due ripari a fondovalle di Villabruna e Soman inferiore, seguiti dal sito di Val Lastari, primo in media-alta quota a restituire evidenze archeologiche. A Riparo Soman, posto a 110 m s.l.m. e localizzato nel basso tratto tra i monti della Valle dell’Adige, è attestata, dunque, per la prima volta la presenza umana, in un’area, dunque, che fu precedentemente totalmente coinvolta dall’azione erosiva del ghiacciaio atesino. Le tracce più antiche vengono fatte risalire all’Interstadio Allerød (13.363-14.089 cal BP) e risultano, ad ogni modo, relativamente contemporanee alle fasi di occupazione di Riparo Villabruna (13.450-14.350

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cal BP) e a quelle più antiche di Val Lastari (13.506-14.051 cal BP). Sulla base di indagini archeozoologiche, Riparo Soman fu occupato principalmente dalla primavera all’autunno, improntandosi, anche, come sito specializzato alla caccia. Godendo di una buona posizione geografica ed avendo restituito tracce ripetute di frequentazioni antropiche, il sito potrebbe, tuttavia, essere stato occupato per gran parte dell’anno, ipotesi che non è comunque verificabile sulla base dei soli dati archeozoologici (Bertola, et al., 2007): le testimonianze faunistiche sono determinate, infatti, da una forte frammentarietà dei reperti, dovuta all’azione del gelo e all’attività umana, nonché all’uso delle ossa come combustibile (Fiore & Tagliacozzo, 2003). Si ricordi, tuttavia, che all’inizio dell’interstadio glaciale, la Valle dell’Adige doveva essere completamente deglaciata e il ritiro dei ghiacci interessava già la provincia di Trento. L’ambiente a Riparo Soman, localizzato a fondovalle, doveva essere, di conseguenza, relativamente idoneo alla presenza umana anche durante le stagioni più rigide. L’occupazione antropica da parte dei cacciatori-raccoglitori epigravettiani è successivamente testimoniata a Riparo Dalmeri, posto a 1240 m s.l.m., dalla consistente presenza di industria litica, nonché da focolari, industria su osso, resti faunistici e dal rinvenimento di pietre dipinte, in parte raffiguranti temi naturalistici e animali (Fiore & Tagliacozzo, 2003); alla fase più antica di occupazione umana corrisponde la datazione di 13.200-13.400 cal BP., messa in relazione alla struttura con pietre dipinte (Angelucci, et al., 2011). Essa potrebbe verosimilmente essere interpretata come un’area destinata alla collocazione delle pietre, poiché al momento del ritrovamento la maggior parte delle pietre giaceva con la superficie decorata rivolta verso il basso. Analizzando la seconda fase occupazionale, che risale a 12.900-13.100 cal BP, equivalente ai livelli delle superfici d’abitato, si potrebbero ottenere interessanti spunti per comprendere gli spostamenti dei cacciatori-raccoglitori epigravettiani; l’elevata presenza di resti di stambecco offrono indicazioni sulla frequentazione del sito, che deve essere avvenuta tra l’estate e l’inizio

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dell’inverno (Bertola, et al., 2007). Considerando che alla fase più antica è relazionabile la struttura con pietre dipinte, caratterizzate dalla rappresentazione di diverse figure zoomorfe, antropomorfe, schematiche, composite su due facce, nonché svariati tipi di pietre dipinte con ematite (Dalmeri & Neri, 2008), si potrebbe ipotizzare la presenza di un culto verosimilmente legato alla funzione simbolica propiziatoria delle figure animali. Le rappresentazioni zoomorfe, infatti, sembrano essere il risultato di un’osservazione attenta delle abitudini e del comportamento degli animali rappresentati: non c’è una fedele riproduzione della fisionomia dell’animale, ma una “semplificazione” della forma finalizzata alla rappresentazione di un determinato comportamento o atteggiamento (Bertola, et al., 2007). A dare maggiore sostegno a questa ipotesi potrebbe essere un’area, vicino alla parete, costituita da abbondanti ossa con strie di macellazione che sembra indicare una zona dove più intensa era l’attività di macellazione (Fiore & Tagliacozzo, 2006) (Bertola, et al., 2007).

Inoltre, l’attività di pesca effettuata sicuramente nel fondovalle del fiume Brenta, attualmente posto a ca. 250 m s.l.m. (Dalmeri G., et al., 2006), potrebbe fornire un elemento in più per affermare che fosse comunque presente una forte mobilità da parte dei gruppi umani che occupavano i siti di media-alta quota.

I siti archeologici rimanenti e indicati in mappa, fanno riferimento alla fase successiva del Dryas Recente, che inziò bruscamente in area alpina circa 12.895 anni fa. (Walker, et al., 2008). A seguito del forte calo delle temperature, è stato registrato un conseguente cambiamento ambientale, verificato nel diradamento della copertura vegetazionale e nell’abbassamento del limite della foresta a ca. 1500 m s.l.m. (Ravazzi, 2007). Per quanto riguarda le frequentazioni umane nel territorio alpino, rispetto alla fase precedente dell’interstadio Bölling-Allerød (14.500-12.900 anni cal BP), emergono la tendenza ad una

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riduzione dell’areale stimato di accampamento e della durata di frequentazione dei siti, fattori che fanno presupporre ad un aumento di mobilità interna (Dalmeri, et al., 2013). Tenendo in considerazione i siti archeologici con datazioni radiometriche, la presenza umana nel Dryas recente si attesta fondamentalmente in siti di media-alta quota (Palù Echen 1250 m s.l.m.; Riparo La Cogola 1070 m s.l.m.; Laghetto della Regola 1240 m s.l.m.; Riparo Cornafessa 1240 m s.l.m.); solo in un caso, a Riparo Soman, 110 m s.l.m., l’occupazione del territorio continua anche all’inizio Dryas recente (ma potrebbe tuttavia essere incluso anche il sito di Arco cui, sebbene non siano ancora state pubblicate le date cronologiche dei livelli antropici, risulta attribuibile al Dryas Recente).

Sulla base di quanto appena detto, si potrebbe supporre che durante l’interstadio Bølling- Allerød, i cacciatori-raccoglitori epigravettiani usassero mobilitarsi dal fondovalle alle quote medio-alte durante le stagioni estive, molto probabilmente per attività di caccia e sussistenza; l’analisi dei resti faunistici, testimonia, tuttavia, in alcuni casi, la verosimile presenza umana per tutto il corso dell’anno. Nel Dryas recente, nonostante il repentino peggioramento delle temperature e, di conseguenza, dello stato ambientale e vegetativo, le testimonianze antropiche vengono comunque registrate prevalentemente nelle medie-alte quote. Mussi e Peresani (2011) intravedono un modello insediativo ben stabilito: insediamenti più piccoli caratterizzati da frequentazioni più brevi suggeriscono uno sfruttamento continuo del territorio e un modello di mobilità maggiormente elevato.

I due siti di Palù Echen e Riparo La Cogola sembrano, infatti, documentare una “nuova” mobilità da parte dei gruppi umani che iniziarono ad effettuare la risalita lungo i versanti alpini a seguito del ritiro glaciale. È di fondamentale importanza ricordare che questa ricerca si basa sull’analisi di siti archeologici cui si conoscono le datazioni assolute. Per avvalorare l’ipotesi, infatti, risulterebbe ausiliario considerare anche i siti datati su base crono- tipologica, quali il sito di Andalo, messo in relazione alla fine dell’interstadio Allerød e le

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prime fasi iniziali del Dryas Recente; Lagét, relativo al Dryas Recente e Terlago, stanziamento tardopaleolitico a bassa quota. Future pubblicazioni sulle ricerche effettuate recentemente nel sito di Arco, localizzato anch’esso a fondovalle, potrebbero aggiungere nuovi elementi in grado di documentare le modalità degli spostamenti da parte dei cacciatori- raccoglitori, nel Dryas Recente. Il sito è fondamentale per la ricostruzione delle frequentazioni antropiche preistoriche del territorio, poiché il rinvenimento di 14 aree strutturate, ognuna messa in relazione ad una struttura di combustione, testimonia modalità organizzative e spaziali dell’insediamento abitativo, prima sconosciute nei contesti di fondovalle italiani (Mottes & Bassetti, 2016). È inoltre testimoniato l’uso del fuoco volto allo sradicamento, pratica svolta a partire dal Neolitico, in contesti adibiti per attività di coltivazione o di pascolo (Mottes, et al., 2014). Il sito è, ad oggi, datato su base tipologica al Dryas Recente ma le indagini ancora in corso offriranno sicuramente maggiori elementi per ottenere ulteriori informazioni sui comportamenti umani a seguito della deglaciazione in area alpina.

L’impatto esercitato dal Dryas Recente sulla presenza antropica non è, infatti, totalmente rilevabile sullo stato attuale di ricerca; la continuità insediativa nell’area può essere dimostrata solo nel sito di Riparo la Cogola, testimoniata anche dalla presenza di resti combusti nel quale sono stati accesi ripetutamente focolari fino alla fase di transizione tra Epigravettiano recente e Mesolitico.

Da un punto di vista prettamente geografico (facendo esclusione delle attribuzioni cronologiche), l’osservazione accurata dell’elaborazione grafica permette di evidenziare la complessiva relazione tra la posizione dei siti archeologici e i limiti raggiunti dai ghiacciai durante l’ALGM.

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I siti di Riparo Soman e di Riparo Cornafessa sembrano quasi relazionati geograficamente con il versante orientale della transfluenza che colmava la Valle dell’Adige, ma lo stretto

SITI M

S.L.M.

DATE CAL BP DATE 14C BP Riparo Soman 110 11.828-12.819 11.824-12.850 13.363-14.089 Riparo Tagliente 226 13.448-14-469 15.360-16.548 16.678-17.219 Riparo La Cogola 1070 12.001-12.613 12.402-12.826 9.430±60 9.820±60 10.095±40 Riparo Dalmeri 1240 12.900-13.100 13.200-13.400 Laghetto delle Regole 1240 12.600-12.357 12.376 11.174 Riparo Cornafessa 1240 11.300-12.000 11.400-12.150 Palù Echen 1250 12.209±197 Val Lastari Ripari Villabruna 1060 500 13.144-13.899 13.163-13.756 13.506-14.051 14.350-13.450

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rapporto con i ghiacciai sembra essere presente anche nell’Altopiano di Folgaria, cui tracce antropologiche si rinvengono nel sito di Palù Echen e a Riparo la Cogola. Sebbene le evidenze archeologiche facciano riferimento alla fase successiva del ritiro dei ghiacciai, la presenza di una forte correlazione geografica avvalora maggiormente l’ipotesi secondo la quale gli spostamenti umani abbiano seguito nel corso del Dryas Recente, il ritiro glaciale, effettuando la risalita alpina.

Figura 6.3.1: Posizione geografica dei siti archeologici in relazione al bacino idrografico dell’Adige e al bacino idrografico del Brenta (elaborata con QGIS 3.4.3-Madeira).

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