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Il concordato preventivo nel nuovo “Codice della crisi d’impresa e

CAPITOLO 1. IL CONCORDATO PREVENTIVO

8. Il concordato preventivo nel nuovo “Codice della crisi d’impresa e

Con l’entrata in vigore del nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza approvato dal Consiglio dei Ministri in data 10 gennaio 2019, la disciplina del concordato preventivo presenta novità di grande rilievo rispetto a quella previgente; tra le innovazioni più importanti si trovano:

v Il mutamento di ruoli tra concordato in continuità aziendale e concordato liquidatorio, in quanto l’ipotesi “ordinaria” di concordato sarà quella in continuità aziendale, laddove la forma liquidatoria sarà ammessa solo ove sussistano specifici e più stringenti requisiti. Il legislatore ha agito con l’obiettivo di incentivare il ricorso al concordato in continuità, che ricorre quando la proposta preveda il superamento della crisi mediante la prosecuzione, diretta o indiretta, dell’attività d’impresa, sulla base di un adeguato piano che consenta, al contempo, di contemperare la salvaguardia del valore dell’impresa e, tendenzialmente, dei livelli occupazionali, con il soddisfacimento dei creditori. L’art. 186-bis l.fall., introdotto dal d.l. n. 83/2012, non chiariva i criteri discriminanti tra concordato in continuità aziendale e concordato liquidatorio, limitandosi ad affermare che la continuità non era da escludersi per il solo fatto che il piano prevedesse “la liquidazione dei beni non funzionale all’esercizio

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I dubbi interpretativi ed i conseguenti contrasti giurisprudenziali sono stati oggetto di un intervento puntuale da parte del legislatore, il quale ha stabilito esplicitamente che la continuità può essere sia diretta, ovvero in capo all’imprenditore che ha presentato domanda di concordato, sia

indiretta. Questa seconda ipotesi, chiarisce espressamente l’art. 84, comma II, CCI, si configura nel caso in cui “sia prevista la gestione dell’azienda in esercizio o la ripresa dell’attività da parte di soggetto diverso da debitore in forza di cessione, usufrutto, affitto, stipulato anche anteriormente, purché in funzione della presentazione del ricorso, conferimento dell’azienda in una o più società, anche di nuova costituzione, o a qualunque altro titolo, ed è previsto dal contratto il mantenimento o la riassunzione di un numero di lavoratori pari ad almeno la metà della media di quelli in forza nei due esercizi antecedenti il deposito del ricorso, per un anno dall’omologazione”.

Così come al comma III, del medesimo articolo, viene individuato il criterio da applicare alla disciplina dei concordati misti, quelli in cui alla continuazione dell’attività di impresa si accompagna la liquidazione degli

assets non strategici: la norma stabilisce che si ha continuità quando “i

creditori vengono soddisfatti in misura prevalente dal ricavato prodotto dalla continuità aziendale diretta o indiretta” e quando i ricavi attesi dalla continuità per i primi due anni di attuazione del piano derivano da un’attività di impresa alla quale sono addetti almeno la metà della media

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dei dipendenti in forza nei due esercizi antecedenti il deposito del ricorso”. Nel caso di continuità aziendale, a ciascun creditore deve essere assicurata un’utilità specificatamente individuata nel piano, il quale dovrà indicare le ragioni per cui la continuità è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori, non essendo più necessario che la continuità preveda il conseguimento di risorse aggiuntive a quelle reperibili con il ricorso alla liquidazione giudiziale.

Per quanto riguarda il concordato liquidatorio, fermo restando l’obbligo di prevedere il soddisfacimento dei creditori chirografari per almeno il 20% del loro ammontare, il nuovo codice ha posto un’ulteriore barriera di accesso consistente nella previsione della prescrizione che un terzo metta a disposizione risorse ulteriori “incrementando di almeno il dieci per cento, rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale, il soddisfacimento dei creditori chirografari”. Quindi, questa configurazione è ammessa solo in presenza di nuova finanza tale da ampliare in modo significativo le prospettive di soddisfacimento per i creditori. Solo a questa condizione, infatti, il concordato, che rappresenta indubbiamente un vantaggio per l’imprenditore, il quale mantiene l’amministrazione dei propri beni ed è esposto a rischi più limitati sotto il profilo della responsabilità penale, diviene conveniente anche per i creditori, i quali

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diversamente sarebbero maggiormente garantiti dalla liquidazione giudiziale, diretta da un curatore terzo e di norma meno onerosa 84;

v L’art. 85, comma II, CCI, nello specificare il contenuto del piano precisa che questo deve essere “fattibile” sulla quale, il Tribunale; è chiamato ad esprimere una valutazione economica. Il piano dovrà necessariamente indicare:

• le cause della crisi;

• la definizione delle strategie d’intervento e, in caso di concordato in continuità, i tempi necessari per assicurare il riequilibrio della situazione finanziare;

• gli apporti di finanza nuova, se previsti;

• le azioni risarcitorie e recuperatorie esperibili, con indicazione di quelle eventualmente proponibili solo nel caso di apertura della procedura di liquidazione giudiziale e delle prospettive di recupero; • i tempi delle attività da compiersi;

• in caso di continuità aziendale, le ragioni per le quali questa è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori;

• ove sia prevista la prosecuzione dell’attività d’impresa in forma diretta, un’analitica individuazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura.

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v L’art. 85, comma V, CCI, sancisce l’obbligatorietà della divisione dei

creditori in classi in una serie di casi specificatamente individuati;

v L’art.86 CCI stabilisce che, nel solo caso di concordato in continuità, il piano possa prevedere una moratoria, della durata massima di due anni, per i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salva che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione; v A seguito dell’unificazione del procedimento di ammissione, la domanda

di concordato può essere presentata non solo in via autonoma ma anche in risposta alla domanda di apertura della liquidazione giudiziale proposta da un creditore. In questo senso, il debitore potrebbe non limitarsi a chiedere il rigetto della domanda proposta nei suoi confronti, ma chiedere di essere emesso al concordato preventivo: il Codice ha quindi rimodulato i termini oggi previsti dalla Legge fallimentare per il c.d.

concordato con riserva, disponendo che il tribunale, se richiesto, fissa un

termine compresa tra trenta e sessanta giorni, entro il quale il debitore deposita la proposta di concordato preventivo con il piano, l’attestazione di veridicità dei dati e di fattibilità e la documentazione richiesta dall’art. 39, comma I ;

v L’istituto dell’accordo del debitore è stato sostituito dal c.d. concordato

minore, così come disposto dall’art. 74 e ss. CCI, il quale rappresenta una

procedura di composizione concordata della crisi prevista per i professionisti, imprenditori minori ed agricoli, nonché start-up innovative, ricalcando l’accordo di composizione della crisi da

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sovraindebitamento già previsto dalla Legge n. 3/2012 85. Tale nuova configurazione:

• è preclusa ai consumatori che hanno a disposizione solo lo strumento della ristrutturazione dei debiti del consumatore e la liquidazione controllata, riguardando quindi professionisti e le imprese “minori” di tutti i tipi;

• è previsto solo nell’ipotesi di continuità, salvo che non vi sia un apprezzabile apporto di risorse esterne che aumentino in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori. 86;

• La proposta ha contenuto libero, ma deve indicare in modo specifico tempi e modalità per superare la crisi da sovraindebitamento e può prevedere il soddisfacimento, anche parziale, dei crediti attraverso qualsiasi forma, nonché la eventuale suddivisione dei creditori in classi.

Obiettivo della procedura è quello di consentire al piccolo imprenditore di ridurre la propria posizione debitoria, proseguendo l’attività imprenditoriale o professionale svolta.

85 F. FALCONE, in mysolution.it 86 A. TORCINI, in forumprocedure.it

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Capitolo 2

IL CONCETTO DI “GRUPPO DI IMPRESA”

1. Rilevanza giuridica

La nozione di gruppo di società, nella sua più estesa ed ampia accezione, comprende due diversi fenomeni, che vanno sotto il nome di gruppo in senso orizzontale, basato su accordi paritetici fra più società, e di gruppo in senso verticale, basato sul rapporto di controllo fra più società, così come definito dall’art. 2359 c.c. Mentre quest’ultimo trova una generale base normativa nel suddetto articolo, il primo non riceve, almeno per il diritto italiano, una considerazione normativa 87 e nasce da accordi fra più società, volti ad instaurare

fra loro un coordinamento di carattere finanziario ed organizzativo, tale da dar vita ad una loro direzione unitaria, ma senza creare vincoli di subordinazione di una società rispetto all’altra.

La figura che domina la scena dell’economia contemporanea è quella del gruppo di società, operante sotto il controllo di una «società madre» o «società capo- gruppo»: a ciascuna delle società che compongono il gruppo corrisponde, quale oggetto sociale, un distinto settore di attività o una distinta fase del processo produttivo, ma le azioni di ciascuna di queste società appartengono in tutto o in parte alla società madre o società capogruppo, detta anche società holding, alla

87 La legge azionaria tedesca ne dà, invece, una definizione nella classificazione dei gruppi

«quando imprese giuridicamente autonome, pur mancando rapporti di dipendenza, sono riunite sotto un’unica direzione, esse formano ugualmente un gruppo; le singole imprese sono imprese facenti parte di un gruppo». F. GALGANO, I gruppi di società, Torino,2001

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quale spetta, perciò, la direzione dell’intero gruppo. In linea di principio, questa è terza rispetto ai rapporti giuridici che le società controllate pongono in essere, tale per cui coloro che abbiamo acquistato ragioni di credito nei loro confronti non hanno titolo per invocare la responsabilità patrimoniale della capogruppo; la Cassazione, nella suddetta separazione patrimoniale, con evidente funzione di diversificazione dei rischi, ha ravvisato i cardini sui quali ruota il diffuso intreccio di fenomeni di raggruppamento o di rapporto di controllo fra società 88.

Sulla stessa linea si muovono la giurisprudenza lavoristica, la quale ribadisce costantemente il principio secondo cui «il fenomeno del collegamento societario non comporta l’insorgere di un autonomo soggetto di diritto o di un centro di imputazione di rapporti, diverso dalle società collegate, le quali conservano la rispettiva personalità» 89 e quella penalistica, secondo cui «il gruppo di società

non costituisce un unico soggetto giuridico o un autonomo soggetto di imputazione rispetto alle società che non fanno parte, le quali conservano una distinta ed autonoma soggettività giuridica» 90.

Alla luce di quanto appena detto, il gruppo di società consente di fruire più intensamente del beneficio della responsabilità limitata, perché rende fra loro separati i rischi relativi ai vari settori imprenditoriali, impedendo che le avverse vicende di un settore intacchino il patrimonio destinato agli altri settori o quello proprio della holding.

88 Cass., 17.2.96, n. 1214, MGL, 1996, 345 89 Cass., 29.11.96, n. 10688, MFI, 1996, 90 Cass., 23.5.9, n. 2787, RDPe, 1997 II, 1386

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2. La nozione di controllo, direzione e coordinamento

Nel codice civile troviamo due gruppi di disposizioni che trattano il fenomeno del gruppo di imprese. Il primo viene individuato nell’art. 2359 c.c. il quale fornisce la definizione di controllo, che qualifica come società controllate:

1) le società in cui un’altra società dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria. Questo è il cosiddetto controllo interno di diritto, “interno” perché basato sulla partecipazione azionaria e “di diritto” perché la misura della partecipazione è tale da attribuire, per legge, la maggioranza dei voti nell’assemblea ordinaria, ossia il 50% più uno del capitale sociale. Di norma, questo è dato dalla proprietà delle azioni o dalla titolarità delle quote, ma facendo riferimento, la norma, al fatto di disporre dei voti, si ritiene che esso sussista anche quando si abbia un diritto, sulle azioni o quote altrui, che attribuisca il voto, come nel caso di usufrutto o pegno, non computando però i voti spettanti per conto di terzi;

2) le società in cui un’altra società dispone dei voti sufficienti per esercitare una influenza dominante nell’assemblea ordinaria. Questo è il controllo interno di fatto, ossia quello minoritario reso possibile dall’assenteismo degli azionisti, in quanto il socio, seppur non disponga della maggioranza dei voti esercitabili in assemblea ordinaria, è tuttavia in grado di esercitare su di essa una influenza dominante;

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3) le società che sono sotto l’influenza dominante di un’altra società in virtù di particolari vincoli contrattuali con essa. È il cosiddetto controllo esterno, ossia quello subito dalla società da parte di un’altra società, indipendentemente da ogni controllo azionario, ma in forza di vincoli contrattuali quali contratti di agenzia, di commissione, di concessione di vendita, per esempio. È doveroso precisare che non è sufficiente la mera dipendenza economica, bensì è necessario che i vincoli contrattuali siano tali da produrre effetti equivalenti al controllo interno.

Il comma II, dello stesso articolo, equipara al controllo interno di diritto e di fatto, il controllo indiretto, che si attua per interposizione, fra la controllante e la controllata, di altra società, controllata dalla prima e controllante la seconda, da sola o attraverso società fiduciaria o interposte persone, dando vita al fenomeno delle cosiddette società a catena.

Il secondo gruppo di disposizioni, che tratta del fenomeno del gruppo di imprese, si colloca nel «Capo IX Direzione e coordinamento di società» nell’ambito nel titolo V «Delle società» del libro V del codice civile, con gli innovativi artt. dal 2497 al 2497septies c.c., a seguito della decisione da parte del legislatore della riforma societaria del 2001, il quale aveva previsto «una disciplina del gruppo secondo i principi di trasparenza e tale da assicurare che l'attività di direzione e coordinamento contemperi adeguatamente l'interesse del gruppo, delle società

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controllate e dei soci di minoranza di queste ultime»91 ex art. 10, lett. a, L. n.

366/2001; l’Esecutivo, però, non ispirandosi a modelli stranieri, considerati insoddisfacenti, nel nuovo capo, non utilizzò né il termine, né fornì una definizione; tuttavia, si ritiene che abbia identificato il relativo fenomeno con la nozione di “direzione unitaria e coordinamento”.

L’art. 2497 c.c., in ordine alla “responsabilità” delle società o degli enti che esercitano l’attività di direzione e controllo. Obiettivo della normativa è fornire determinate garanzie a taluni soggetti, specie ai soci ed ai creditori delle società oggetto di direzione e coordinamento, nel caso in cui le scelte societarie di queste ultime siano “influenzate” da obiettivi e/o strategie a beneficio della società esercitante l’attività di direzione e coordinamento (ADC). La società che esercita l’ADC è ritenuta responsabile sotto il profilo risarcitorio quando sia dimostrato che “esercitando attività di direzione e coordinamento di società”, abbia agito “nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime”, arrecando pregiudizio ai soci, relativamente alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, ed ai creditori delle società soggette a tale ADC, relativamente all’integrità del patrimonio della società

Tuttavia, tale tutela trova coerente limitazione nel caso in cui il suddetto pregiudizio sia quantitativamente e qualitativamente bilanciato

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dall’appartenenza della società controllata, e dunque indirettamente dai suoi soci e dai suoi creditori, al gruppo, ovvero da altre operazioni che siano tali da compensare il pregiudizio subito. In un’ottica di gruppo, infatti, è necessario utilizzare un criterio valutativo che non si limiti all’analisi di singole operazioni, ma approfondisca l’esame dell’attività del gruppo stesso nella sua unitarietà, considerando eventuali vantaggi compensativi che la comune strategia di gruppo potrebbe comportare a favore della società controllata.

Sono altresì solidalmente responsabili con la capogruppo coloro che hanno preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, chi ne ha tratto beneficio. Da ultimo sono responsabili gli amministratori, ed in relazione e nei limiti del ruolo di garanzia da loro ricoperto, i sindaci, della società soggetta ad ADC nel caso in cui omettano di dare esecuzione agli obblighi di pubblicità previsti dagli artt. 2497-bis e 2497-ter c.c. Per poter configurare una responsabilità ai sensi dell’art. 2497 c.c. è necessario che ricorrano i seguenti presupposti:

• sia stata posta in essere un’ADC ovvero, più semplicemente, sussistano le condizioni affinché operino le previsioni degli artt. 2497-sexies e 2497- septies c.c.;

• l’ADC sia stata esercitata da una società o da un ente, anche se recentemente la giurisprudenza ha esteso tale ambito anche alle persone fisiche 92;

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• i suddetti soggetti abbiano agito nell’interesse imprenditoriale proprio o altrui;

• sia riscontrabile una violazione dei principi di corretta gestione societaria ed imprenditoriale;

• la violazione dei suddetti principi abbia determinato un pregiudizio per i soci e/o creditori della società soggetta all’ADC.

L’esercizio dell’ADC è molto difficile da dimostrare, non avendo il Legislatore previsto alcuna definizione specifica che la identifichi univocamente. L’ADC si presume comunque esercitata, salvo prova contraria, quando la controllante è obbligata al bilancio consolidato, ai sensi degli artt. 25 e segg. D.Lgs. 127/1991, ovvero quando controlla società ai sensi dell’art. 2359 c.c. (ex art. 2497-sexies).

L’art. 2497-bis c.c., in materia di “pubblicità” delle società e degli enti che esercitano l’attività di direzione e coordinamento e di quelle che vi sono soggette, secondo il quale la controllata soggetta all’altrui attività di direzione e coordinamento deve, per mezzo dei sui amministratori:

• indicare nei propri atti e nella propria corrispondenza il nome della società controllante che esercita l’ADC;

• esporre in Nota Integrativa un prospetto riepilogativo dei dati essenziali dell’ultimo bilancio della capogruppo;

• far iscrivere la condizione di essere soggetta all’altrui direzione in apposita sezione del Registro delle Imprese;

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• indicare nella Relazione sulla gestione i rapporti intercorsi con la capogruppo e con eventuali altre società da essa controllate, soggette sempre alla sua direzione e coordinamento, spiegando l’effetto che tale attività ha avuto sull’esercizio dell’impresa e sul suo risultato finale; • esplicitare, nella Relazione sulla gestione, e motivare le decisioni sociali

intraprese con l’influenza della capogruppo, indicando le ragioni e gli interessi la cui valutazione ha inciso sulla decisione.

L’art. 2497-ter c.c., circa le “motivazioni delle decisioni”, riporta che Le decisioni

delle società soggette ad attività di direzione e coordinamento, quando da questa influenzate, debbono essere analiticamente motivate e recare puntuale indicazione delle ragioni e degli interessi la cui valutazione ha inciso sulla decisione. Di esse viene dato adeguato conto nella relazione di cui all'art. 2428 c.c.

L’art. 2497-quater c.c., sul “diritto di recesso” del socio di società soggetta ad attività di direzione e coordinamento. Oltre ad una tutela di tipo risarcitorio, il Legislatore ha previsto che il socio di società soggetta ad ADC possa godere di uno strumento ad hoc che lo tuteli al momento dell’entrata e dell’uscita della società dal gruppo.

Il socio può infatti recedere:

a) quando la società o l'ente che esercita attività di direzione e coordinamento ha deliberato una trasformazione che implichi il mutamento del suo scopo sociale, ovvero ha deliberato una modifica del

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suo oggetto sociale consentendo l'esercizio di attività che alterino in modo sensibile e diretto le condizioni economiche e patrimoniali della società soggetta ad attività di direzione e coordinamento;

b) quando a favore del socio sia stata pronunciata, con decisione esecutiva, condanna di chi esercita attività di direzione e coordinamento ai sensi dell'art. 2497 c.c; in tal caso il diritto di recesso può essere esercitato soltanto per l'intera partecipazione del socio;

c) all'inizio ed alla cessazione dell'attività di direzione e coordinamento, quando non si tratti di una società con azioni quotate in mercati regolamentati, ne derivi un'alterazione delle condizioni di rischio dell'investimento e non venga promossa un'offerta pubblica di acquisto. Tale disciplina deve esse in ogni caso coordinata con le distinte discipline che regolano il recesso nelle società per azioni e nelle società a responsabilità limitata.

L’art. 2497-quinquies c.c., sui “finanziamenti nell’attività di direzione e coordinamento”. Ai finanziamenti infra-gruppo, concessi alle società soggette all’ADC dalla società capogruppo o da altre da questa controllate, si applicano le garanzie nei confronti dei creditori non soci previste dall’art. 2467 c.c. Tali garanzie constano:

i) nella postergazione che il rimborso di tali crediti subisce

ii) se il rimborso è stato eseguito nell'anno precedente alla dichiarazione di fallimento della società, nella restituzione dello stesso.

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La postergazione opera, tuttavia, nel solo caso in cui i finanziamenti siano stati concessi nonostante la società versasse in una situazione di squilibrio finanziario (inteso come rapporto tra patrimonio netto ed indebitamento) ovvero nel caso in cui fosse ragionevole attendersi una ricapitalizzazione della società piuttosto