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La risoluzione e l’annullamento »

CAPITOLO 1. IL CONCORDATO PREVENTIVO

7. La risoluzione e l’annullamento »

Mentre gli strumenti di impugnazione della decisione con la quale viene omologato il concordato appartengono al diritto processuale e vanno riguardati come veri e propri mezzi di impugnazione diretti a contestare l’ingiustizia dell’omologazione, ovvero l’essersi fondata su vizi del procedimento, gli strumenti della risoluzione e dell’annullamento pertengono a vizi dell’assetto negoziale del concordato.

RISOLUZIONE — Il concordato preventivo si risolve quando vi è inadempimento e quando questo inadempimento è di non scarsa importanza, ai sensi dell’art. 186 l. fall. Il primo quesito che si pone è se l’inadempimento vada visto dal lato del singolo creditore o dal lato della collettività dei creditori: esso va riferito alla proposta di concordato e non all’obbligazione assunta nei confronti del singolo creditore, atteso che l’art. 186 l. fall. fa riferimento all’inadempimento del concordato e non a quello delle singole obbligazioni che derivano dall’omologazione.

Anche se il legislatore ha scelto di affidare al singolo creditore la legittimazione a richiedere la risoluzione 71, non è detto che il grave inadempimento che il

debitore ha avuto nei suoi confronti si rifletta sul concordato, se ad esempio tutti gli altri creditori sono stati soddisfatti.

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L’accertamento di un inadempimento importante non è, però, causa automatica di risoluzione, perché si incontrano almeno due limiti:

¨ La risoluzione non è consentita quando gli obblighi derivanti dal concordato sono stati assunti da un terzo e con liberazione immediata del debitore. Con la riforma del 2005, il legislatore ha espressamente previsto che una modalità possibile si realizzi con l’assunzione da parte di un terzo dell’obbligazione di soddisfare i creditori. In questo caso il fatto- inadempimento è imputabile all’assuntore, avendo i creditori accettato l’immediata liberazione del debitore ed allora la risoluzione si risolverebbe in un travolgimento del procedimento senza alcuna obiettiva responsabilità del debitore. Tuttavia, il ceto creditorio può fare affidamento sul patrimonio del terzo 72: con l’assunzione si determina il

trasferimento della garanzia patrimoniale dal patrimonio del debitore concordatario al patrimonio del terzo e se quest’ultimo è un imprenditore commerciale, gli inadempimenti possono generare una situazione di insolvenza e, quindi, tradursi nella dichiarazione di fallimento dell’assuntore 73;

¨ Il secondo limite è costituito da un profilo temporale: l’iniziativa per la risoluzione può essere avviata efficacemente solo entro un anno dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento del concordato.

72 Questo patrimonio può essere quello che già apparteneva al terzo, ovvero può essere quello

implementato con i beni facenti capo al debitore concordatario quando nella proposta di concordato sia inclusa la previsione del trasferimento dei beni al terzo.

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Pertanto, sino a che l’esecuzione del concordato non è completata non inizia a decorrere il termine per promuovere l’azione. È quindi necessario che la proposta indichi i termini per l’adempimento, perché se così non fosse, per ovvia conseguenza, neppure scadrebbero mai i termini per proporre il ricorso per risoluzione.

L’azione di risoluzione è una tipica azione di natura costitutiva in quanto è volta a rimuovere un vincolo negoziale; in quanto azione contrattuale dovrebbe spettare solo a chi è stato parte del negozio, quindi dalla comunità dei creditori. La difficoltà di coagulare un consenso fra la comunità dei creditori, dopo che il procedimento di concordato si è concluso, spiega il motivo per il quale la

legittimazione alla proposizione dell’azione è affidato, per legge, a ciascun

singolo creditore concorsuale 74 che, però, agisce nell’interesse dei creditori, e

solo di riflesso nell’interesse personale, posto che l’effetto della risoluzione è quello di travolgere il concordato e non la regolazione concordata della singola posizione creditoria. Non compete alcuna legittimazione agli organi della procedura.

74 Privo della legittimazione è il creditore successivo che non risente dell’obbligatorietà del

concordato e che non è stato parte dell’accordo, mentre la legittimazione spetta a chi non ha partecipato al procedimento ma, in quanto creditore anteriore, avrebbe ben potuto parteciparvi.

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Il procedimento, ideato sulla falsariga del procedimento per la dichiarazione di fallimento, si apre con ricorso proposto oltre che nei confronti del debitore anche degli eventuali garanti 75, posto che sono parti interessate dalla pronuncia

di risoluzione.

Al termine del procedimento, il tribunale pronuncia con sentenza se ritiene di accogliere la domanda di risoluzione e tale sentenza è provvisoriamente esecutiva, travolgendo, da subito, gli effetti del concordato. Quanto al mezzo di impugnazione non pare doversi applicare direttamente l’art. 18 l. fall., che è norma invocabile solo quando viene anche dichiarato il fallimento. Ma se è vero che il tribunale deve giudicare soltanto sulla domanda di risoluzione 76 e se tale

domanda è fondata, la sentenza che pronuncia la risoluzione, in quanto resa al termine di un procedimento che ha le forme del procedimento in camera di consiglio, deve essere fatta oggetto di reclamo, davanti alla corte d’appello, ai sensi dell’art. 739 c.p.c., da proporre nel termine di dieci giorni dalla notificazione in quanto decisione resa nel contraddittorio delle parti.

Quanto al contrario, se il tribunale ritiene infondata la domanda di risoluzione ove si seguisse il rinvio alle regole sul procedimento per la dichiarazione di fallimento, ne dovrebbe conseguire che la decisione vada presa con un decreto di rigetto, reso ai sensi dell’art. 22 l. fall. e reclamabile davanti alla corte d’appello nel termine di trenta giorni e non ricorribile immediatamente per cassazione.

75 Cass., 31 marzo 2010, n.7942, in www.Foro.it

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Se si applicano i principi generali del processo, la pronuncia di rigetto dovrebbe avvenire, in realtà, con sentenza in quanto il contenuto del provvedimento, di regola, non incide sulla forma della decisione e così se ne ricava che il tribunale pronuncia, comunque, con sentenza reclamabile ex art. 739 c.p.c.; ove, invece, si reputi preferibile, per esigenze di armonia del sistema speciale, che debbano applicarsi i principi generali della legge fallimentare, la conseguenza è che nel caso di rigetto della domanda di risoluzione il tribunale debba provvedere con decreto 77.

A sua volta, la decisione resa dalla corte di appello, in quanto avente natura decisoria, sia nel caso di accoglimento della richiesta di risoluzione che nel caso di rigetto, è ricorribile per cassazione nel termine ordinario di sessanta giorni dalla notificazione.

È doveroso precisare che, a differenza di quanto accade nel concordato fallimentare, nel concordato preventivo non si realizza alcun effetto automatico per ciò che attiene alla pronuncia della sentenza di fallimento; pertanto, soltanto quando vi siano, anche, domande di fallimento il tribunale che pronuncia la risoluzione può dichiarare il fallimento 78. La pronuncia non è comunque

automatica, il tribunale deve pur sempre valutare la sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi e l’assenza di fatti, sostanziali e processuali, impeditivi.

77 NISIVOCCIA, La consecuzione del fallimento al concordato preventivo: le fattispecie di

conversione

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ANNULLAMENTO — Mentre l’azione di risoluzione del concordato presuppone che sia stata validamente omologata la proposta e questa non abbia avuto regolare esecuzione, l’azione di annullamento, invece, presuppone che vi sia stato un vizio nella formazione del consenso, in quanto tale consenso si è formato su una alterata rappresentazione della realtà.

Quando questa inesatta percezione della realtà è scoperta durante il procedimento di concordato, su segnalazione del commissario giudiziale può essere sperimentato il procedimento di revoca ai sensi dell’art. 173 l. fall., ma se ciò non è accaduto e le false rappresentazioni sono poi scoperte, è agibile il rimedio dell’annullamento.

L’annullamento ricorre quando: il passivo è stato dolosamente esagerato per indurre i creditori a ritenere conveniente la proposta, nel timore di una platea di creditori più ampia di quanto in verità riscontrabile senza una condotta dolosa 79;

oppure quando l’attivo è stato sottratto o dissimulato in modo da indurre i creditori a votare favorevolmente sul presupposto di una carenza di attivo che tale è stata palesata, ma che in realtà era meno significativa, sia perché i creditori se avessero saputo sull’esistenza di atti di sottrazione avrebbero potuto preferire la soluzione del fallimento con l’annesso accesso alla tutela dell’azione revocatoria ordinaria e fallimentare, sia perché una parte dell’attivo ancora presente è stata svalutata per rendere più competitiva la proposta.

79 Non è causa di annullamento l’occultamento del passivo che pure costituisce un elemento che se

conosciuto avrebbe potuto indurre i creditori a valutare diversamente la fattibilità del piano concordatario.

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Occorre che lo scostamento, oltre che doloso, sia stato quantitativamente apprezzabile per influenzare il voto dei creditori 80.

Dal punto di vista del procedimento, stante il rinvio dell’art.186 all’art. 138 l.fall. e da questo all’art. 137 l. fall., le regole sono le medesime del procedimento di risoluzione.

L’effetto della risoluzione e dell’annullamento è quello di rimuovere l’esdebitazione 81 di cui all’art. 184 l. fall., con alcune rilevanti conseguenze:

• rimosso il concordato, i creditori riprendono pienamente il diritto di agire, anche esecutivamente, nei confronti del debitore e hanno diritto di riscuotere l’intero loro credito, senza più considerare la falcidia oggetto della proposta di concordato 82;

v Gli atti compiuti in esecuzione del concordato omologato mantengono efficacia e ciò sulla scorta di un duplice argomento: da una parte l’art. 67, comma III, lett. e) l. fall. sancisce espressamente l’esenzione da revocatoria fallimentare degli atti posti in essere in esecuzione di un concordato preventivo; dall’altra parte, il principio dell’intangibilità degli atti legalmente compiuti proprio della procedura di fallimento ex art 18, comma XV l. fall., è almeno parzialmente replicato nel concordato preventivo, sebbene per i soli atti di ordinaria amministrazione.

80 Cass., 19 gennaio 1987, n. 396, in Fall., 1987, 584

81 NARDECCHIA, La risoluzione del concordato preventivo

82 Poiché la presentazione della domanda di concordato determina la sospensione del corso degli

interessi, questi riprendono a decorrere a meno che contestualmente alla pronuncia di risoluzione non venga dichiarato anche il fallimento, posto che in tal caso opera il principio della

consecuzione fra procedure e quindi la sospensione del corso degli interessi prosegue sino alla chiusura del fallimento.

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Pertanto, per gli atti non legalmente compiuti, ove alla risoluzione non segua il fallimento, in mancanza di un soggetto che rappresenta i creditori, ciascuno può far valere il vizio per ottenere la caducazione dell’atto e può comunque promuovere l’azione revocatoria ordinaria; v Vanno inoltre menzionato il principio della c.d. stabilità dei riparti, ciò che

giustifica che i creditori abbiano diritto a trattenere quanto riscosso in esecuzione del concordato, sempre che le erogazioni ricevute siano avvenute nel rispetto della legge, il che vuol dire nel rispetto dei principi di parità di trattamento, salve le cause legittime di prelazione 83. I crediti

sorti durante la procedura, in quanto sorti in occasione di una procedura concorsuale, sono certamente muniti del rango prededucibile ai sensi dell’art. 11, comma II, l. fall., nel caso di successivo fallimento. Per ciò che concerne i crediti sorti dopo il decreto di omologazione, la natura prededucibile può essere riconosciuta solo quando si tratti di crediti che ineriscono alle attività di esecuzione del concordato e sempre che siano strettamente funzionali.

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8. Il concordato preventivo nel nuovo