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I concorsi riservati a personale non obiettore e le prime prese di posizione de

A partire dagli anni 80 del secolo scorso, le Regioni hanno cercato di arginare il problema della massiccia percentuale di medici obiettori presenti nelle diverse strutture mediante l’indizione di bandi di concorso, diretti all’assunzione di medici e operatori sanitari, contenenti clausole formalmente o sostanzialmente riservate a personale non obiettore, tale per cui deriverebbe da un successivo esercizio dell’obiezione di coscienza da parte dell’aggiudicatario l’incapacità di adempiere alla prestazione pattuita, con conseguente potere in capo alla controparte di rescindere il contratto.

4 Quest’ultimo caso escluso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 196 del 1987 già in precedenza analizzata.

5 Per i dettagli della vicenda vedi il successivo Capitolo 5.

Cominciamo dunque ad esaminare, seppur brevemente, i primi casi giurisprudenziali dove sono state affrontate queste questioni, pur non pretendendo di esaurire la casistica giurisprudenziale, tra l’altro molto vasta in materia.

Il TAR Liguria nel 19807 è stato chiamato ad affrontare e a decidere nel merito una causa

che aveva ad oggetto proprio questo argomento.

L’Ente Ospedaliero San Paolo di Savona aveva infatti indetto un bando riservato a specialisti non obiettori e il TAR Liguria, chiamato a pronunciarsi sulla legittimità di tali concorsi riservati, risolve la questione non ritenendo legittime queste procedure di selezione.

Il TAR Liguria sostiene infatti che “Ai sensi del combinato disposto degli art. 3, 51 comma 1 e

97 Cost. ogni requisito speciale per l’ammissione al pubblico impiego, risolvendosi in una limitazione all’accesso, deve trovare la sua fonte in una norma di legge, la quale può porre restrizioni o esclusioni nei confronti di talune classi di persone, purchè queste siano ricollegabili a requisiti attitudinari ovvero ad altre esigenze obiettive e comunque escludano trattamenti differenziali rimessi unicamente all’arbitrio o all’ingiustificata discriminazione”.

Legge che, in questa circostanza specifica, manca e pertanto il bando emesso è da considerarsi illegittimo8.

Il T.A.R. Emilia-Romagna9 ha dovuto affrontare una questione concernente una simile e

tanto attuale ipotesi pochi anni più tardi: nel 1981, infatti, era stato bandito un concorso per l’assunzione di sanitari “non obiettori” presso un Ospedale (USL n. 11 di Correggio); ai candidati è stato esplicitamente richiesto di dichiarare nella domanda “di non sollevare

obiezione di coscienza ai sensi dell’art. 9 l. n. 194”.

Il vincitore del concorso (tale Dott. Accorsi), in seguito, ha però affermato di avere reso tale dichiarazione “avendo necessità di non restare disoccupato” e dunque, in seguito all’assunzione, ha sollevato obiezione di coscienza10.

Il Presidente del Comitato di Gestione, ritenendo che il sanitario fosse “carente del requisito previsto dal pubblico avviso per il conferimento dell’incarico che è stato alla base dell’adozione del decreto n. 22 del 21 novembre 1981 di conferimento dell’incarico stesso”, ha disposto d’urgenza l’immediata cessazione dal servizio.

Pur dichiarando inammissibile il ricorso per ragioni che esulano dalla portata della disciplina contenuta nella legge 194/1978, in questa decisione il TAR precisa che la clausola che condiziona l’assunzione di un sanitario alla non presentazione dell’obiezione di coscienza ai sensi dell’art. 9 legge 194/1978 risponde all’esigenza di consentire l’effettuazione del servizio pubblico per il quale il dipendente è assunto, secondo una prospettiva non estranea alle intenzioni del legislatore del 1978.

7 TAR Liguria, sentenza 3 luglio 1980, n. 396, in Foro Amm. 1980, fascicolo 12 parte 1, pag. 2172. 8 A una decisione analoga perviene anche il TAR Campania: T.A.R. Campania sentenza n. 78/1989. 9 T.A.R. Emilia-Romagna, sez. Parma, 13 dicembre 1982, n. 289, in Foro Amm. 1983, 735 ss. 10 Foro amministrativo, Parte I (1983).

Nell’ipotesi di sanitario assunto per assicurare il servizio di interruzione della gravidanza, la eventuale, successiva obiezione di coscienza resa dal medesimo fa venir meno la sussistenza di un indispensabile requisito cui era subordinata la stessa assunzione. E’ legittima, conseguentemente, la decadenza pronunciata nei confronti del sanitario, anche se adottata dal presidente della USL con i poteri d’urgenza e successivamente ratificata dal comitato di gestione. Il diritto all’obiezione di coscienza subisce dunque un limite inevitabile qualora il suo esercizio impedisca il realizzarsi del servizio per il quale il dipendente è stato assunto.

Il TAR Emilia Romagna si rivela, in sostanza, favorevole all’emanazione di bandi riservati e dunque decide in senso diametralmente opposto rispetto alla precedente pronuncia del TAR Liguria.

Il TAR Campania11 nel 1989 si pone invece sulla stessa lunghezza d’onda del TAR Liguria

posto che ha sanzionato come illegittimo il provvedimento di dispensa dal servizio per incapacità sopravvenuta adottato contro un medico di “Unità sanitaria locale assistente di ostetricia”, che aveva sollevato, sei anni dopo l’assunzione a seguito di concorso riservato, obiezione di coscienza.

Affrontiamo ora i tre casi più vicini a noi da un punto di vista temporale12, cercando di porre

l’attenzione proprio sull’atteggiamento di volta in volta assunto dai diversi T.A.R. chiamati a pronunciarsi sui casi loro sottoposti.

3. “Caso Puglia” e “Caso Lazio” a confronto: l’obiezione di coscienza del personale operante nei Consultori familiari.

Prima di analizzare nel merito la sentenza del TAR Puglia n. 3477/2010 e la sentenza del TAR Lazio n. 8990/2016, è opportuno innanzitutto soffermarsi sul ruolo che i Consultori familiari hanno in base alla disciplina normativa dettata nella legge 194/1978 visto che entrambe le sentenze sopra citate chiamano in causa il ruolo degli stessi nel procedimento abortivo e, entrambi i casi, originano da scelte organizzative che cercano di garantire alcuni servizi legati all’interruzione volontaria della gravidanza nei Consultori familiari, nonostante la presenza di personale obiettore.

11 T.A.R. Campania, sez. IV, 3 maggio 1989, n. 78, in “Trib. Amm. Reg.”, I, 2570.

12 TAR Puglia (Bari), sez. II, sentenza 14 settembre 2010, n. 3477; TAR Lazio, sez. III quater, 2 agosto 2016, n. 8990; Caso dell’Ospedale San Camillo Forlanini di Roma del febbraio 2017.

3.1. Il ruolo dei consultori familiari statuito nella L. 194/1978 e la possibile obiezione di coscienza all’interno degli stessi.

Istituiti nel 197513, i consultori svolgono un ruolo fondamentale all’interno della vicenda

abortiva. E’ l’articolo 2 della legge 194 a farne esplicito richiamo affermando che “i consultori

familiari […] assistono la donna in stato di gravidanza: A) informandola sui diritti a lei spettanti…sui servizi sociali, sanitari e assistenziali concretamente offerti dalle strutture operanti nel territorio;

B) informandola sulle modalità idonee a ottenere il rispetto delle norme della legislazione sul

lavoro a tutela della gestante; C) attuando direttamente […] speciali interventi, quando la gravidanza o la maternità creino problemi per risolvere i quali risultino inadeguati i normali interventi di cui alla lettera a);

D) contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della

gravidanza…”.

La Legge impone dunque ai consultori diversi obblighi; le condotte di questi enti sono orientate alla conoscenza dei diritti riconosciuti alla donna dalla legislazione statale e regionale e alla segnalazione dell’esistenza sul territorio di ogni servizio del quale la donna possa in concreto avvalersi.

Ai consultori spetta dunque il delicato compito di relazionarsi con la donna che intende interrompere una gravidanza, aiutandola anche a superare le cause che potrebbero indurla a ciò; si tratta non di un compito volto a dissuadere la donna ma piuttosto di un momento informativo, necessario e imprescindibile, per garantire la libera scelta della gestante nel pieno delle proprie responsabilità assunte anche alla luce di un quadro informativo più completo.

Ai sensi dell’art. 5 comma 1 della L. 194/1978, nel consultorio avvengono soltanto gli accertamenti medici dello stato di gravidanza; l’esame, insieme alla donna, ed eventualmente anche al padre del concepito, di soluzioni che potrebbero aiutarla a rimuovere le cause che la inducono alla richiesta di interruzione della gravidanza; e, infine, l’attività di certificazione dello stato di gravidanza e della richiesta di interruzione volontaria della stessa nei primi novanta giorni14.

Tutto questo avviene durante un incontro con la donna nel quale il medico entra nel merito dell’autenticità della sua scelta, valutando le ragioni che hanno portato a questa sua decisione. E’ bene ribadire che l’attività svolta dai consultori familiari è di semplice assistenza alla donna e all’interno degli stessi non si praticano interruzioni di gravidanza come si evince dalla stessa Legge 194 .

13 Legge 29 luglio 1975 n. 405.

Il medico del consultorio, di fronte alla richiesta della donna di interrompere la gravidanza, alla fine del colloquio, le rilascia un documento che ne attesta lo stato di gravidanza e la relativa richiesta di interruzione, invitandola a soprassedere per sette giorni.

Decorsi i sette giorni la donna, se rimane convinta della propria scelta, potrà presentarsi in una struttura autorizzata per ottenere l’interruzione di gravidanza sulla base del documento precedentemente rilasciatole15.

I Consultori sono i principali luoghi a cui si rivolgono le donne che intendono interrompere la gravidanza nel primo trimestre di gestazione16.

Una indagine conoscitiva promossa dal Parlamento nel 200517 ha dimostrato che in quell’anno,

per la prima volta, il Consultorio è stato il servizio maggiormente utilizzato dalle donne italiane e immigrate per la consulenza e la certificazione preliminari all’interruzione volontaria di gravidanza. Anche dagli ultimi dati disponibili, risalenti al 7 dicembre 201618, il Consultorio

risulta il luogo al quale si rivolgono il 42,3% delle donne che intendono abortire, rispetto al 21,4% che si rivolgono al medico di fiducia e al 33% che si rivolgono al servizio ostetrico ginecologico di un presidio ospedaliero19. Tenuto conto che in quest’ultimo gruppo di donne

sono incluse anche coloro che accedono all’interruzione di gravidanza oltre il terzo trimestre e che debbono quindi necessariamente passare attraverso un accertamento delle condizioni di salute proprie e del feto da parte di un medico del servizio ostetrico ginecologico dell’ente ospedaliero in cui deve praticarsi l’intervento, risulta evidente come il Consultorio sia senz’altro il principale luogo organizzativo in cui la donna che intenda procedere all’interruzione volontaria di gravidanza nei primi novanta giorni incontra i servizi sanitari.

Sorge dunque l’urgenza di fornire prestazioni adeguate già a questo livello in quanto non in tutti i Consultori è possibile ottenere la certificazione necessaria ad accedere in una struttura autorizzata per ottenere l’interruzione della gravidanza in quanto spesso vi è un’elevata presenza di medici obiettori che rifiutano di provvedere a tale adempimento20.

E’ legittimo a questo punto domandarsi se il rilascio dello stesso documento da parte del medico del consultorio possa essere considerata attività volta direttamente a interrompere la gravidanza e quindi se il medico, che esercita la sua professione presso un consultorio e che si

15 Art. 5 Legge 194/1978 comma 3.

16 L’interruzione di gravidanza in un periodo gestazionale successivo coinvolge prevalentemente strutture diverse e di conseguenza pone questioni organizzative inerenti all’obiezione di coscienza degli operatori diverse rispetto a quelle del personale operante nei consultori.

17 Camera dei Deputati, XII Commissione, Indagine conoscitiva sull’applicazione della legge 194 del 1978 recante “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, in particolare per quanto riguarda le funzioni attribuite dalla legge ai consultori familiari. Documento conclusivo (31 gennaio 2006).

18 Relazione del ministro della salute sull’attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria della gravidanza del 7 dicembre 2016; tabella IVG 2015 numero 16 in allegato alla relazione.

19Www.salute.gov

sia dichiarato obiettore di coscienza, possa legittimamente rifiutarsi di rilasciare quel documento o anche solo prescrivere contraccettivi di emergenza o meccanici opponendo a tale rifiuto ragioni legate a motivi di coscienza.

E’ proprio da queste circostanze che si inquadrano le iniziative delle Regioni, come quella posta in essere dalla Regione Puglia (su cui si è espresso il TAR con sentenza 3477/2010) a proposito del rapporto fra obiettori e non nell’organico dei Consultori e quella posta in essere dalla Regione Lazio (su cui si è espresso il TAR con la sentenza 8990/2016 e attualmente in attesa di decisione presso il Consiglio di Stato) con le sue Linee guida sull’attività all’interno dei Consultori.

L’obiezione di coscienza in entrambi i casi è oggetto di un tentativo di regolazione mirante a rendere disponibili in maniera più rispondente alle esigenze degli utenti i servizi.

La previsione legislativa che viene in considerazione in questo proposito è quella contenuta nell’articolo 9 della Legge 194, oggetto spesso di diverse interpretazioni. Il primo comma dell’art. 9 dispone infatti che “il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è

tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza”, precisando poi al terzo

comma che l’esonero riguarda unicamente il “compimento delle procedure e delle attività

specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento.”

Chi dà prevalenza all’ultima formulazione esclude che gli obiettori di coscienza possano rifiutarsi di compiere attività non materialmente abortive, e quindi non intravede nell’ambito dei servizi consultoriali, che forniscono prestazioni che attengono alla fase preliminare dell’intervento, alcuna prestazione possibile oggetto di obiezione.

Chi invece fa leva sulla prima disposizione segnala come le procedure obiettabili siano anche quelle di cui all’articolo 5 della legge21, procedure che si svolgono anche nei Consultori e non

riguardano quindi la pratica medica direttamente rivolta a determinare l’interruzione della gravidanza, e questo può portare a estremismi interpretativi che si traducono di fatto nel tollerare l’astensione quasi totale degli obiettori anche dal semplice contatto con la donna che richiede una interruzione volontaria di gravidanza; pertanto è necessario non prescindere da quanto previsto dal terzo comma dell’art. 9.

A proposito delle attività svolte all’interno dei Consultori può essere esercitata allora obiezione di coscienza? Le attività che vengono esercitate all’interno di essi sono passibili di obiezione oppure, attenendo alla fase preliminare dell’intervento, escludono che i medici possano esercitare tale facoltà? La certificazione rilasciata dai consultori è attività

21 Sono le attività dette citate all’inizio del presente paragrafo, che si svolgono genericamente all’interno dei consultori.

specificatamente e necessariamente diretta a determinare la pratica abortiva? E la prescrizione dei contraccettivi di emergenza?

Procediamo con ordine e affrontiamo dapprima il “caso Puglia” per poi passare a analizzare il “caso Lazio” e vediamo come le decisioni dei due Tribunali Amministrativi Regionali hanno risolto questi quesiti, delineando il ruolo dei consultori nei procedimento di IVG.

3.2. Il “caso Puglia”: sentenza TAR n. 3477/2010. Il “problema” dei bandi di concorso “riservati”.

A proposito delle funzioni svolte all’interno dei Consultori familiari, in merito a un concorso indetto per il reclutamento del personale operante in essi con lo specifico proposito di contenere i dannosi effetti provocati dal massiccio ricorso all’obiezione di coscienza all’aborto, si è pronunciato il TAR Puglia nel 201022.

Clausole di questo tipo sono da ricondursi alla necessità di espletare gli interventi di IVG e quindi di garantire la corretta applicazione della legge 194/1978 presumendo che ciò sia impedito dalla massiccia presenza di obiettori di coscienza.

La Regione Puglia, preso atto che all’interno del proprio territorio quasi la metà degli interventi abortivi sono praticati in strutture private, anche a causa della diffusione dell’obiezione di coscienza tra il personale sanitario delle strutture pubbliche, con il “Piano regionale di salute 2008-2010” ha inteso riportare gradualmente la gestione delle IVG all’interno di queste ultime, nella consapevolezza che alla loro marginalizzazione corrisponde una riduzione nell’espletamento di un’efficace attività di prevenzione dell’aborto, la quale costituisce uno dei punti qualificanti della legislazione del 197823.

La Giunta della Regione Puglia, in vista del potenziamento delle strutture consultoriali, quale punto privilegiato di accesso ai servizi socio-sanitari connessi alla gravidanza voluta e non, adotta infatti nel 2010 la delibera n. 735, nell’ambito di un progetto di riorganizzazione della rete dei Consultori pugliesi, con cui dispone l’integrazione del personale di alcuni Consultori, individuati dalle ASL, con medici ginecologi e ostetriche “non obiettori” al fine di assicurare la garanzia nell’erogazione dei servizi consultoriali.

Su questa base, l’ASL di Bari ha adottato il Piano Attuativo Locale e, di seguito, il Comitato Consultivo Zonale Medici Specialisti Ambulatoriali Interni della Regione Puglia-Bari ha emanato la nota protocollata 242 dell’8 aprile 2010, assimilabile a un bando di concorso, e richiedente espressamente specialisti non obiettori di coscienza per le attività consultoriali; tale clausola “espulsiva” ha così impedito la partecipazione alle procedure selettive da parte del

22 TAR Puglia (Bari), sez. II, sentenza 14 settembre 2010, n. 3477.

23 M. P. Iadicicco, Obiezione di coscienza all’aborto e attività consultoriali: per il T.A.R. Puglia la presenza di medici obiettori nel consultori familiari è irrilevante ma non del tutto, Giur. Cost., fasc.2,

personale sanitario che ha sollevato obiezione di coscienza ai sensi dell’art. 9 della legge n. 194/197824.

La decisione n. 3477/2010 del TAR Puglia viene resa a seguito del ricorso presentato da alcuni medici ginecologi, iscritti all’Ordine dei Medici di Bari, che lamentavano la discriminazione operata ai loro danni dalla Regione Puglia e dall’ASL Bari per l’indizione di una procedura di selezione di specialisti per attività consultoriali, con la specificazione che dovesse trattarsi di personale “non obiettore di coscienza”.

Nella citata sentenza del 2010 il Tribunale Amministrativo regionale pugliese dichiara l’annullamento della delibera della giunta regionale per violazione dei criteri di proporzionalità e ragionevolezza25 dal momento che l’obiezione di coscienza all’interruzione volontaria della

gravidanza si profila “assolutamente irrilevante, posto che all’interno dei suddetti Consultori

non si pratica materialmente l’interruzione volontaria della gravidanza per la quale unicamente opera l’obiezione ai sensi dell’art. 9 comma 3.”.

Il TAR constata come nessuno dei compiti assegnati al personale che opera nei Consultori sia suscettibile di essere rifiutato da medici e ostetriche in virtù della loro obiezione di coscienza, dal momento che si tratta di strutture in cui non si pratica materialmente l’interruzione della gravidanza. Infatti pur partecipando i medici consultoriali all’iter procedimentale scandito dalla legge 194 non compiono nessun atto che possa ritenersi astrattamente idoneo e destinato concretamente alla soppressione della vita umana.

Anche per quanto concerne il rilascio del certificato, il TAR Puglia sostiene che il medico obiettore non può rifiutarsi di rilasciarlo perché tale atto si limita ad attestare lo stato di gravidanza e la richiesta di aborto della donna, e dunque il suo rilascio da parte del medico obiettore non può ritenersi un’attività “specificamente e necessariamente diretta all’interruzione della gravidanza”.

Rilevato allora che il compito del Consultori non è quello di praticare aborti, per il giudice amministrativo la presenza teorica di soli obiettori all’interno dei Consultori è irrilevante ai fini della corretta applicazione della legge 194 in quanto qualsiasi medico, obiettore o meno, è tenuto a svolgere le attività e le funzioni cui è stato istituzionalmente previsto il consultorio. Per questo motivo il TAR Puglia ha ritenuto irragionevole, e quindi illegittima, la discriminazione fra obiettori e non nella definizione dell’organico dei Consultori stessi; in particolare questa esclusione andrebbe a integrare una violazione degli art. 19 e 21 Cost. posti a fondamento dell’obiezione di coscienza, ma anche dell’art. 4 Cost. relativo al diritto al lavoro e dell’art. 3 Cost. che garantisce il principio di eguaglianza26.

24 M. P. Iadicicco, Obiezione di coscienza all’aborto e attività consultoriali, cit., p. 2000.

25 C. B. Ceffa, Gli irrisolti profili di sostenibilità sociale dell’obiezione di coscienza all’aborto a quasi quarant’anni dall’approvazione della legge 194 sull’interruzione volontaria della gravidanza, Rivista

AIC, Fasc. 1/2017, 14 marzo 2017, p. 6 e ss.

Pur accogliendo il ricorso, il giudice amministrativo non ha però del tutto escluso la possibilità di limitare l’accesso alle strutture consultoriali da parte di specialisti obiettori27,

quando tale previsione trovi fondamento nei principi di ragionevolezza e proporzionalità e sia finalizzata a garantire il necessario contemperamento tra le diverse istanze coinvolte nel procedimento abortivo.

I criteri utilizzati dal legislatore per definire l’ambito di operatività dell’obiezione di coscienza, infatti, si presentano fortemente eterogenei28. Pertanto il Tar Puglia si è spinto a giustificare la

previsione di una riserva di posti dell’organico dei Consultori a medici non obiettori, purchè sia assicurata anche la proporzionale presenza di medici obiettori (in sostanza il 50%).

Tale passaggio della decisione potrebbe rivelarsi in contrasto con quanto precedentemente affermato; infatti una volta affermato che “la presenza teorica di soli obiettori all’interno del

consultorio (…) appare irrilevante ai fini di una corretta doverosa applicazione della legge 194