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Condono, sanatoria e “sanatoria giurisprudenziale” Differenze.

2. IL CONDONO EDILIZIO: DALLA LEGGE N 47/1985 ALLA LEGGE N 326/2003, FINO AL

2.2 Condono, sanatoria e “sanatoria giurisprudenziale” Differenze.

Preliminare all’esame dei vari condoni che si sono susseguiti nel corso degli ultimi anni, è la distinzione tra condono, sanatoria e sanatoria giurisprudenziale.

sanatoria per riferirsi indistintamente agli istituti del condono edilizio e della concessione edilizia in sanatoria (ora denominata accertamento di conformità), la dottrina sottolinea come “i due istituti giuridici siano notevolmente diversi, sia per i presupposti richiesti dalla legge per il loro rilascio, sia per le finalità a cui essi tendono”107.

L’articolo 13 della legge n. 47 del 1985, per la prima volta, ha previsto la concessione edilizia in sanatoria attraverso la possibilità di sanare opere che, sebbene sostanzialmente conformi alla disciplina urbanistica edilizia, erano state realizzate in assenza del titolo stesso ovvero con varianti essenziali. La possibilità di richiedere all’amministrazione un accertamento di conformità con effetto sanante è oggi prevista dall’articolo 36 del testo unico dell’edilizia, che, tra le condizioni per il rilascio del permesso in sanatoria108, richiede che l’opera abusiva sia conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell’intervento sia al momento della presentazione della domanda.

L’art. 45 T.U., sempre in relazione alla sanatoria ordinaria, stabilisce che il rilascio della stessa “estingue i reati

contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche vigenti” con la conseguenza che, contrariamente a quanto previsto in tema di condono, la sua efficacia estintiva riguarda esclusivamente le violazioni edilizie e non anche gli altri reati eventualmente concorrenti quali, ad esempio, quelli concernenti la tutela del paesaggio, la normativa antisismica, le aree protette etc.. Della causa estintiva si giovano inoltre tutti i soggetti

responsabili dell’abuso edilizio, ciò in quanto va tenuto conto della valenza “sostanziale ed oggettiva” dell’accertamento di conformità disciplinato dall’art. 36, nonché del fatto che,

diversamente da quanto stabilito per la procedura di condono, la concessione in sanatoria di cui agli artt. 36 e 45 non si fonda sul pagamento di una somma a titolo di oblazione, ma sull’effettivo rilascio del provvedimento sanante109 previo accertamento di conformità delle opere abusive non assentite con gli strumenti urbanistici vigenti nel momento della realizzazione ed in quello della richiesta.

Effetto principale del provvedimento in sanatoria, a seguito dell’accertamento di conformità condotto dall’amministrazione, è                                                                                                                

107 BOATO, INZAGHI, La sanatoria edilizia: limitazioni e modalità applicative,

in Imm. e Propr., n. 3/2004, p. 132.

108 Il termine “sanatoria” deriva dal linguaggio della medicina ed indica il

sanare, il guarire, il correggere, qualcosa che non è sano, e che è

comunque, rispetto al parametro della salute, difettoso. La sanatoria è perciò la “guarigione” di una situazione o di un’attività malata, carente, manchevole, lacunosa.

la legittimazione sul piano formale ed amministrativo delle opere edilizie realizzate abusivamente, ossia realizzate in carenza o difformità dal titolo edilizio previsto. In altre parole, la finalità dell’accertamento di conformità è quella di regolarizzare quegli abusi che presentino un’irregolarità di tipo formale, non

sostanziale. Si tratta di un istituto di carattere generale (o "di regime") qualificato da una fondamentale verifica di conformità da parte delle amministrazioni, non disciplinato da norme transitorie e caratterizzato da peculiari sbarramenti

amministrativi e temporali in un contesto di rigoroso controllo della sostanziale inesistenza di un danno urbanistico110.

Ben diverso é l’istituto del condono edilizio111. Il condono edilizio è, infatti, una sorta di “perdono” amministrativo, che lo Stato eccezionalmente concede per un limitato periodo di tempo. Con il condono edilizio avviene, nei casi previsti dalla legge e su domanda degli interessati, la sanatoria in blocco degli abusi edilizi commessi entro una certa data, ovvero la

regolarizzazione non solo formale ma soprattutto sostanziale, di tutti gli abusi edilizi a prescindere dalla conformità o meno delle opere realizzate alla disciplina urbanistica e edilizia vigente al momento della realizzazione dell’opera ovvero al momento della presentazione della domanda. La caratteristica essenziale del condono è, dunque, quella di essere un provvedimento

eccezionale, limitato nel tempo, applicabile a tutti o quasi tutti gli abusi edilizi con la finalità di regolarizzare, non solo

formalmente ma anche sostanzialmente, le opere abusive. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 370 del 1988, è intervenuta a chiarire la differente natura del combinato disposto degli articoli 13 e 22 della l. 47/1985 (attualmente articoli 36 e 45 del d.p.r. 380/2001) rispetto alla fattispecie estintiva prevista dall’articolo 38 della stessa legge. La Corte ha precisato che nell’accertamento di conformità si sia di fronte ad una

disposizione di regime, idonea ad operare in via permanente allo scopo di regolarizzare esclusivamente sul piano urbanistico- edilizio situazioni di mera irregolarità formale di opere realizzate in conformità agli strumenti urbanistici, generali ed attuativi, approvati o in corso di approvazione. In tali casi viene, quindi, ad essere accertata l’inesistenza del danno urbanistico e la mancanza ex tunc della antigiuridicità penale del fatto imputato. A giudizio della Corte, la seconda disposizione, invece, ha natura eccezionale e limitata nel tempo, giustificata dalla consistente diffusione dell’abusivismo edilizio, nonché da una

                                                                                                               

110 Cass. Penale, Sez. III, sent. n. 4398 del 12.5.1997.

111 Da “cum donare”, nel significato di “liberare qualcuno dall’obbligo di

situazione finanziaria di natura eccezionale e straordinaria, cosi come precisato nella sentenza 427/1995.

In sostanza la Corte ha messo in luce come sovente l’uso improprio ed atecnico del termine “sanatoria” abbia portato a confondere due istituti e due nozioni tra loro distinte.

Il nostro ordinamento giuridico, oltre all’accertamento di conformità ed al condono edilizio, conosce, poi, una terza specie di sanatoria edilizia: la cosiddetta sanatoria

giurisprudenziale, coniata dalla giurisprudenza amministrativa negli anni ’60 e derivante dai principi generali di buon

andamento e di economicità dell’azione amministrativa. La prima pronuncia112, che manifesta questo indirizzo, risale al 1963 quando il Consiglio di Stato afferma l’ammissibilità della licenza edilizia in sanatoria per una costruzione già realizzata abusivamente, ma conforme alla successiva disciplina

urbanistica. Tale indirizzo è poi stato ribadito da un’altra

sentenza113 del Consiglio di Stato del 1966 e, in seguito, sempre più frequentemente affermato114. Tale istituto non era condiviso da tutti i giudici né da tutti gli studiosi ma trovava, soprattutto nella Quinta Sez. del Consiglio di Stato, i suoi più strenui

difensori e si stava affermando come tesi prevalente nell'ambito della giustizia amministrativa.

Anche in dottrina115 era predominante la tesi che riteneva sussistente un potere generale di sanatoria delle opere che, sebbene abusive, fossero conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento del provvedimento di sanatoria. I principi dell’azione amministrativa, infatti, vietavano, in quanto in contrasto con l’interesse pubblico, la demolizione di un’opera che in quel momento la pubblica amministrazione avrebbe potuto autorizzare. Si riteneva paradossale, in altre parole, che un’opera edilizia abusiva, perché realizzata senza l’apposito atto di assenso o in violazione della disciplina urbanistica, ma

conforme all’attuale disciplina urbanistica, dovesse essere

                                                                                                               

112 Cons. St., sez. IV, 19 giugno 1963, n. 468, menzionata in Consiglio di

Stato nel quinquennio 1961-65, II, Roma, 1969.

113 Cons. St., sez. V, 27 agosto 1966, n. 968, in Cons. St., I, p. 1455. 114 Cons. St., Ad. Plen., 17 maggio 1974, n. 5, in Foro Amm., 1975, III, p.

106; Cons. St., sez. V, 14 marzo 1972, n. 168, in Riv. Giur. Edil., 1972, I, p. 512; Cons. St., sez. V, 5 novembre 1968, n. 1405, in Riv. Giur. Edil., 1968, I, pag. 1458, nella quale si afferma che la possibilità di licenza in sanatoria è sempre ammessa; Cons. St., sez. V, 14 novembre 1967, n. 1565, in Foro Amm., 1967, I, p. 1690.

 

115 BENVENUTI, Violazione delle norme edilizie e poteri generali di sanatoria del sindaco, in Riv. Amm., 1958, I, p. 1.

demolita e, successivamente, ricostruita nella stessa identica maniera116.

La ratio socio-economica che sta alla base di tale indirizzo, oltre ad essere ravvisabile in principi di tipo amministrativo, quali quelli della logicità e dell’economia dell’azione amministrativa, si fonda quindi sulla considerazione della inutilità o

irragionevolezza di una sanzione demolitoria riguardo a un’opera che potrebbe essere realizzata nuovamente, con le stesse forme e condizioni, in quanto di per sé già conforme alle previsioni urbanistiche attuali.

Recentemente, anche tra i Giudici di merito, si sono segnalate pronunce favorevoli all’uso di tale istituto: la conformità

sopraggiunta di quell’intervento illegittimamente realizzato alla luce della normativa precedente, è riconosciuta poichè tale conformità può essere considerata in via del tutto autonoma rispetto all’originaria istanza, anche nell’ipotesi in cui tale illegittimità originaria avesse condotto all’annullamento del permesso in sede giurisdizionale. La sanatoria risulta, infatti, possibile poiché basata su presupposti normativi assolutamente nuovi in materia edilizia; pare, pertanto, palesemente

irragionevole e contrastante con il principio di economicità dell’azione amministrativa negare la sanatoria di quegli

interventi che sarebbero legittimamente concedibili al momento della nuova istanza, perdendo oltretutto automaticamente efficacia, a seguito della presentazione di questa, il pregresso ordine di demolizione e ripristino117.

Adottando una seconda tipologia d’interpretazione, più rigida e letterale, delle disposizioni in materia di concessione in

sanatoria, il principio della “doppia conformità” appare come un principio non facilmente derogabile. Tale principio, legato alla sanatoria ordinaria, prevede che siano sanabili soltanto quegli interventi conformi sia agli strumenti urbanistici ed edilizi relativi al tempo in cui i medesimi interventi sono stati eseguiti, sia a quelli del tempo in cui è stata presentata la domanda di sanatoria.

Invero, i sostenitori della tesi più restrittiva adottano

un’interpretazione dell’art. 13 della legge 47/1985, il quale prevede tassativamente il principio della “doppia conformità” ai fini della sanatoria e ritengono che il Legislatore da un lato abbia cercato di rispondere a un’esigenza d’ordine economico ai fini della conservazione di ciò che risulta conforme alle previsioni urbanistiche, dall’altro abbia posto paletti fermi e precisi alla sanabilità degli abusi formali, in modo da qualificarle come                                                                                                                

116 MANCUSO, L’accertamento di conformità, in L’attività edilizia nel Testo

unico, collana di Urbanistica e Appalti, Ipsoa, 2003, p. 440.

117 TAR Umbria n. 9 del 14 gennaio 2011; TAR Lombardia n. 1178 del 18

norma di chiusura nei confronti dell’abusivismo edilizio.

Secondo questa tesi, dunque, il cui punto di forza è costituito dal richiamo alla legalità e alla tipicità degli atti amministrativi: dopo l’art. 13 della legge 47/1985, non vi sarebbe più spazio per la “sanatoria giurisprudenziale”.

La giurisprudenza di merito risulta per lo più schierata su tale specifico fronte: una diversa interpretazione dell’art. 13,

favorevole all’istituto della sanatoria giurisprudenziale, finirebbe, per avere l’effetto di attribuire una sorta di “premio” in favore degli autori di abusi edilizi in senso sostanziale, in quanto i medesimi verrebbero trattati allo stesso modo di coloro che avessero deciso di realizzare, senza richiedere il previo rilascio del titolo integrativo, modifiche non in contrasto con le norme edilizie vigenti al momento della realizzazione dell’intervento. Pertanto, avallando la legittimità dell’istituto della sanatoria giurisprudenziale, si creerebbero vere e proprie forme di abusivismo edilizio mediante modifiche a posteriori dello strumento urbanistico118.

Di contro, e come già affermato in precedenza, la dottrina ha ritenuto e ritiene assolutamente valida la sanatoria di un manufatto realizzato in contrasto con le norme vigenti al

momento della sua realizzazione, ma divenuto successivamente non contrastante con le norme vigenti al momento della

richiesta di sanatoria. Infatti, esigenze di proporzionalità, buon andamento, ragionevolezza ed economicità impongono di evitare interpretazioni eccessivamente restrittive della norma che possano poi condurre a risultati assolutamente contrastanti con i principi posti a fondamento dell’azione amministrativa. Tanto premesso, un manufatto realizzato illegittimamente, ma conforme alla normativa vigente al momento della richiesta della sanatoria, dovrebbe essere demolito o comunque soggetto a sanzione per poter poi essere ricostruito nella stessa identica forma e consistenza, con ingiustificato danno, per la collettività e i principi d’interesse pubblico119.

Con la sentenza 7 maggio 2009, n. 2835 il Consiglio di Stato è tornato nuovamente a pronunciarsi in merito all’istituto che stiamo analizzando, affermando il principio, per vero non condiviso dalla maggior parte dei Tribunali amministrativi regionali, secondo cui può essere rilasciata la concessione in sanatoria per quelle opere che “realizzate senza concessione o in difformità dalla concessione, siano conformi alla normativa urbanistica vigente al momento in cui l’autorità comunale                                                                                                                

118 TAR Veneto n. 2200 del 23 dicembre 1996; TAR Emilia Romagna-

Bologna, Sez. II, n. 16 del 15 gennaio 2004.

119 MENGOLI, CROSETTI, TRAVI, VINTI E GIAVAZZI, in Sandulli, Testo unico dell’edilizia – D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 modificato con il D.Lgs. 27 dicembre 2002 n. 31, artt. 1-51, 136-137 – 2009.

provvede sulla domanda in sanatoria”. In sostanza, secondo il giudice amministrativo, la sanatoria edilizia può ben intervenire anche a seguito della conformità “sopraggiunta” di un intervento che in un primo tempo, ovvero al momento della sua

realizzazione, non era assentibile.

Il principio normativo della “doppia conformità” è riferibile all’ipotesi ragionevolmente avuta di mira dal legislatore,

desumibile cioè dal senso delle parole utilizzate dall’art. 13 della Legge n. 47 del 1985, o dal vigente art. 36 del D.P.R. 6 Giugno 2001 n.380, ipotesi che è quella di garantire il richiedente dalla possibile variazione in senso peggiorativo della disciplina edilizia, a seguito di adozioni di strumenti che riducano o escludano, appunto lo ius aedificandi quale sussistente al momento di presentazione dell’istanza”120.

A tal proposito il Consiglio di Stato ha osservato che "gli artt. 13 e 15 della L. 28 febbraio 1985, n. 47, richiedenti per la sanatoria delle opere realizzate senza concessione e delle varianti non autorizzate, che l’opera sia conforme tanto alla normativa urbanistica vigente al momento della realizzazione dell’opera, quanto a quella vigente al momento della domanda di sanatoria, sono disposizioni contro l’inerzia dell’Amministrazione, e

significano che, se sussiste la doppia conformità, a colui che ha richiesto la sanatoria non può essere opposta una modificazione della normativa urbanistica successiva alla presentazione della domanda".

Viceversa “la norma non può ritenersi diretta a disciplinare l’ipotesi inversa dello ius superveniens edilizio favorevole, rispetto al momento ultimativo della proposizione dell’istanza”. Secondo il giudice amministrativo sarebbe dunque ammissibile anche la sanatoria di opere conformi alla normativa vigente al momento in cui il Comune provvede sulla domanda pur se contrastanti con quella vigente al momento della presentazione dell’istanza.

In effetti, osserva il Consiglio di Stato, imporre per un unico intervento costruttivo, comunque attualmente “conforme”, una duplice attività edilizia, demolitoria e poi identicamente

riedificatoria, lede parte sostanziale dello stesso interesse pubblico tutelato, poiché per un solo intervento, che sarebbe comunque legittimamente realizzabile, si dovrebbe avere un doppio carico di iniziative industriali-edilizie, con la conseguenza contrastante con il principio di proporzionalità, di un significativo aumento dell’impatto territoriale ed ambientale.

Alla luce dell’analisi di tali considerazioni possiamo sostenere, perciò, che il condono, istituto che analizzeremo più

dettagliatamente nelle pagine a seguire, altro non è che una                                                                                                                

misura eccezionale, disposta una tantum con legge dello Stato, volta a sanare uno stato di fatto illegittimo, nel caso di specie di diffuso abusivismo edilizio, che non è più possibile od

opportuno, secondo un’insindacabile valutazione politica del legislatore, rimuovere, ma che si intende riportare nell’alveo della legalità, a definizione di una serie di fattispecie altrimenti necessitanti una ingente attività amministrativa o giudiziaria di accertamento ed applicazione di misure repressive,

ripristinatorie o sanzionatorie.

Per sua natura il condono, al pari di ogni altra misura “premiale” ammessa nel nostro ordinamento, può intervenire solo su

fattispecie perfezionatesi prima della sua adozione, ed esplica la sua efficacia sanante solo per il passato, con riferimento ad un arco di tempo determinato dalla legge stessa.

Una considerazione finale è d’obbligo: il termine condono, così diffuso nel linguaggio degli addetti ai lavori, non è mai stato usato dal legislatore. Di fatto, è entrato a far parte del linguaggio dei tecnici e di quello dei giuristi tanto che continueremo ad usarlo, pur nella consapevolezza dell’improprietà lessicale121.