• Non ci sono risultati.

Legambiente, “Ecomafie” e la nozione giuridica di ambiente

3. L’ABUSIVISMO EDILIZIO IN CONCRETO: LEGAMBIENTE ED “ECOMAFIE 2013”

3.2 Legambiente, “Ecomafie” e la nozione giuridica di ambiente

Il discorso sull’abusivismo è molto complesso e non può essere solo, riduttivamente, analizzato dal punto di vista del paesaggio. La storia del nostro territorio nazionale dimostra che

l’abusivismo è una condizione temporanea, che decade nel momento della sua legalizzazione. Il tema della legittimazione o meno dell’edilizia illegale, è decisivo per quanto riguarda le condizioni di integrità e rilevanza dei paesaggi in relazione a due questioni: la sua pericolosità sociale e politica e la sua aggressività fisica e spaziale nei confronti dei contesti paesaggistici locali. Lo sviluppo edilizio disorganizzato e l’affermazione dell’abusivismo edilizio negli anni ’70 e ’80 è, infatti, tra le principali cause del dissesto ambientale nel nostro paese.

Il nostro territorio è, per sua connotazione geomorfologica, vocato a un forte rischio di dissesto; ma certamente il realizzare opere in totale disaccordo da quelle che sono le norme e gli strumenti previsti dal nostro ordinamento, mette a dura prova la resistenza dell’ambiente stesso portando, alle volte, a

conseguenze tragiche ed irreversibili.

In alcuni casi, per “giustificare” l’attività di costruzione abusiva, si deve guardare anche al fattore culturale. A tal proposito bisogna affermare che molto spesso c’è un’assenza di consapevolezza del fenomeno abusivo e delle sue

conseguenze da parte di molti: dal politico, all’amministratore locale fino ad arrivare al cittadino. Molte declinazioni sul territorio, infatti, sono frutto di una totale inconsapevolezza del fenomeno e degli effetti irreversibili che esso porta con sé. Tale fenomeno ha, quindi, assunto una rilevanza sociale ai limiti dell'ordinarietà, poiché la stessa percezione di illegalità del fenomeno è considerata talmente tenue che il reato commesso non comporta reazioni di riprovazione sociale per rilevanti quote della popolazione, facendo si che questo malcostume continui a danneggiare l'economia, il paesaggio e la cultura della legalità e del rispetto delle regole.

Ma l’abusivismo edilizio non può essere considerato solo come il risultato di fattori culturali: non potrebbe certo raggiungere queste dimensioni senza una connessione con un’attività edilizia legale. Se, infatti, confrontiamo nella tabella sottostante l’andamento della produzione edilizia e la curva dell’abusivismo, appare evidente la stretta correlazione tra i due trend: quando cala uno, sale l’altro e viceversa.

Questa correlazione suggerisce anche una possibile

spiegazione del fenomeno, soprattutto per il Mezzogiorno, dove proprio l’edilizia costituisce il settore industriale e produttivo più

rilevante. La crisi degli anni ’70 e ’80, come già accennato in precedenza, spinge a cercare altre opportunità fino ad arrivare alla costruzione sempre più frequente di quelli che sono

immobili abusivi. Oggi, sotto il segno della crisi che si fa sempre più forte, continuano i segnali di difficoltà che alimentano la costruzione senza regole e svincolata.

Ecco che sempre più forte si è avvertita la necessità di ovviare a situazioni estreme e pericolose, generate da comportamenti umani avulsi da qualunque regola, attraverso la creazione di movimenti o associazioni che fossero guidate dalla necessità di tutelare il territorio in quanto habitat naturale dell’uomo, e quindi scenario necessario per lo sviluppo dello stesso.

Con tale scopo nasce la Lega dell’Ambiente nel 1980, che prenderà solo nel 1992 il nome di Legambiente, erede dei primi nuclei ecologisti e del movimento antinucleare che si sviluppò in Italia e in tutto il mondo occidentale nella seconda metà degli anni ’70. L’intento dei promotori era, ed è, quello di mantenere alta l’attenzione dei cittadini sulle emergenze ambientali del paese, favorendo il diffondersi di un ambientalismo fondato su solide basi scientifiche. Ma cos’è questo ambientalismo

scientifico di cui Legambiente si fa promotrice? E’ un

ambientalismo attento ad individuare le cause reali del degrado ambientale e le forme efficaci per combatterlo; tale metodologia si attiva per conquistare alla causa ambientalista soprattutto gli scienziati, i tecnici, gli intellettuali166.

Legambiente è convinta da sempre che un nesso inscindibile leghi il progresso della scienza, all’obiettivo di contrastare il degrado ambientale che minaccia gli equilibri ecologici, colpisce la vita degli uomini di oggi, ipoteca il destino delle future

generazioni. Sebbene i movimenti ecologisti siano stati influenzati anche da posizioni utopistiche, l’ambientalismo è però un pensiero politico a forte impronta scientifica, le cui radici affondano nei nuovi paradigmi scientifici sull’interazione tra uomo e ambiente affermati dalla biologia e dall’ecologia nel corso dell’Ottocento e del Novecento167.

Legambiente ritiene che una seria riflessione sull’ambiente aiuti anche a rivedere criticamente le strutture della produzione del sapere scientifico ed i meccanismi della sua legittimazione. Ecco che l'approccio scientifico, unito a un costante lavoro d’informazione, sensibilizzazione e coinvolgimento dei cittadini, ha garantito il profondo radicamento di Legambiente nella società fino a farne l’organizzazione ambientalista con il maggior numero di volontari e la diffusione più capillare sul                                                                                                                

166 CARETTO; Ambiente, sostenibilità e qualità della vita, Amaltea Edizioni,

2000.

167 GANAPINI, Ambientalismo made in Italy. Speranze di un ambientalista.

territorio; è riconosciuta dal Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare come associazione di interesse ambientale, fa parte dell'Ufficio Europeo dell'Ambiente

(l'organismo che raccoglie tutte le principali associazioni ambientaliste europee) e dell'International Union for

Conservation of Nature, inoltre è riconosciuta dal Ministero degli Affari Esteri come ONG di sviluppo.

Singolare è anche la struttura che quest’associazione si da: una molteplicità di comitati locali che combattono anche duramente le battaglie sul territorio di più o meno significatività e che annualmente rinnovano la loro fiducia ad un centro che si impegna in grandi campagne d’opinione di portata nazionale. E’ impossibile riconoscere quanto questa associazione sia cresciuta e stia crescendo tutt’ora e quanto più forte stia diventando l’esigenza di favorire un nuovo “umanesimo ambientalista”168 che sia fatto di attenzioni ai diritti civili, alla tutela del territorio su cui viviamo. E proprio la voglia di sensibilizzare, porta Legambiente a valutare e verificare i fenomeni abusivi in lassi di tempo sempre più ristretti così da poter fare una comparazione ravvicinata sugli effetti che le attività illecite e senza regole portano a compimento in danno dell’uomo e dei luoghi della sua esistenza.

L’attenzione particolare che muove l’attività di Legambiente, quindi, guarda ai quei luoghi in cui l’essere umano si forma e vive ed, ampliandone la portata oggettiva, arriva a

ricomprendervi l’ambiente naturale o artificiale nel quale agisce e si sviluppa l’uomo stesso169. La protezione del paesaggio e dell'ambiente ha una storia discretamente recente che ancora oggi da vita ad intensi dibattiti e a mancati riconoscimenti

espliciti da parte della nostra Costituzione: l'istituzionalizzazione a livello centrale della tutela di detto bene trae origine dalla Legge 8 luglio 1986, n. 349, con cui venne istituito il Ministero dell'ambiente. Questo deve assicurare la promozione, la conservazione ed il recupero delle condizioni ambientali conformi agli interessi fondamentali della collettività ed alla qualità della vita, nonché la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale e la difesa delle risorse naturali dall'inquinamento. Sembra, dunque, che l'ambiente sia stato configurato come un bene immateriale oggetto di tutela in sede civile, amministrativa, penale. Alcuni esponenti della dottrina170 sostengono che la questione ambientale abbia acquisito una centralità sempre crescente nei dibattiti non solo                                                                                                                

168 CARETTO, op. cit.

169 PREDIERI, voce Paesaggio, Enc. Dir., XXX, pp. 510, Giuffré, Milano,

1981.

170 VOLLERO, Diritti umani e diritti fondamentali fra tutela costituzionale e tutela sovranazionale: il diritto ad un ambiente salubre.

scientifici ma anche politici e giuridici a cui corrisponde una sempre maggiore apprensione della stessa società civile.

L’evoluzione della giurisprudenza costituzionale ha contribuito al superamento della tradizionale tesi interpretativa che sosteneva la natura proteiforme della “materia ambiente”, come tale

capace di affasciare sia la tutela dei beni paesaggistici e culturali, sia la disciplina contro gli inquinamenti, sia il governo del territorio.

Ed infatti, col conforto di numerose pronunce della Corte Costituzionale, la dottrina e la giurisprudenza ritengono oramai pacificamente che la disciplina unitaria e complessiva del bene ambiente inerisce ad un interesse pubblico di valore

costituzionale “primario” e “assoluto”171, e deve garantire, come prescrive il diritto comunitario, un elevato livello di tutela.

Costituisce un dato di fatto, però, che la Costituzione non menzioni l’ambiente tra i principi fondamentali e i diritti dei cittadini.

Ciò nonostante, proprio in ragione del già annunciato rilievo primario ed assoluto del bene giuridico ambiente, l’interesse ambientale viene unanimemente qualificato come interesse di rilevo costituzionale, protetto in particolare dagli articoli 9, comma 2, e 32 Cost.

Pure sotto questo aspetto ha avuto grande rilievo

l’interpretazione evolutiva offerta dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale: secondo la Consulta, infatti, la tutela del paesaggio di cui all’art. 9 Cost. “deve essere intesa nel senso lato di tutela ecologica”172, dunque anche come “interesse alla conservazione dell’ambiente naturale”173, mentre la tutela della salute di cui all’art. 32 Cost. vale anche come “tutela

dell’ambiente in cui l’uomo vive”174. Ed è proprio in ragione di una lettura congiunta degli artt. 9 e 32 Cost., quindi, che la Consulta afferma la concezione “unitaria” dell’ambiente, che comprende “la conservazione, la razionale gestione ed il miglioramento delle condizioni naturali, l’esistenza e la

preservazione dei patrimoni genetici terrestri e marini, di tutte le specie animali e vegetali che in esso vivono allo stato naturale ed in definitiva la persona umana in tutte le sue estrinsecazioni”, secondo quanto affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 22 maggio 1987, n. 210.

Questa ricostruzione ha delle immediate ricadute in punto di riparto della competenza legislativa tra Stato e Regioni nella “materia ambiente”.

Al riguardo, merita sottolineare che soltanto a seguito della                                                                                                                

171Corte Cost., sentenza n. 151 del 1986. 172Corte Cost., sentenza 3 ottobre 1990, n. 430. 173Corte Cost., sentenza 11 luglio 1989, n. 391. 174Corte Cost., sentenza 16 marzo 1990, n. 127.

riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione l’ambiente ha per la prima volta conosciuto una specifica menzione nella Carta Fondamentale, ed in particolare nel novellato art. 117 Cost.

Nel dettaglio, il citato art. 117 si occupa dell’ambiente nel comma 2, alla lettera s), ove si prevede la potestà legislativa esclusiva statale in materia di “tutela dell’ambiente,

dell’ecosistema e dei beni culturali” e nel successivo comma 3, ove si stabilisce la competenza concorrente tra Stato e Regioni con riguardo alla “valorizzazione dei beni culturali e ambientali”. È in questo senso che va interpretato il dato costituzionale, che di certo non dipinge la “materia ambiente” come una “materia in senso tecnico” rigorosamente circoscritta e delimitata: invero, in virtù dell’art. 117, comma 2, lett. s), Cost., lo Stato ha il potere di fissare gli standard minimi ed uniformi di tutela dell’ambiente sull’intero territorio nazionale. Questo, tuttavia, non esclude la possibilità che le regioni prevedano una tutela più rigorosa rispetto a quella statale, conosciuta come derogabilità in melius, nell’esercizio della potestà concorrente o di quella residuale, in relazione a materie che si intrecciano con il valore ambiente e paesaggio.

L’evoluzione legislativa e la giurisprudenza costituzionale, quindi, portano ad escludere che possa identificarsi una “materia” in senso tecnico, qualificabile come “tutela

dell’ambiente”, dal momento che non sembra configurabile come sfera di competenza statale rigorosamente circoscritta e delimitata, giacché, al contrario, essa investe e si intreccia inestricabilmente con altri interessi e competenze, così come affermato nella sentenza n. 407 del 2002.

Rifacendosi esplicitamente alla giurisprudenza della Corte antecedente alla nuova formulazione del Titolo V della Costituzione, la Corte ricava dunque una configurazione

dell’ambiente come “valore” costituzionalmente protetto, che, in quanto tale, delinea una sorta di materia “trasversale”, in ordine alla quale si manifestano competenze diverse, che ben possono essere regionali, spettando allo Stato le determinazioni che rispondono ad esigenze meritevoli di disciplina uniforme sull’intero territorio nazionale175.

Si è evidenziato, perciò, come la disciplina sulle attività a rischio rilevante, incidendo su una pluralità di iteressi e di oggetti, in parte di competenza esclusiva dello Stato, ma in parte anche di competenza concorrente delle Regioni, consenta una serie di interventi regionali nell’ambito, ovviamente, dei principi

fondamentali della legislazione statale in materia176.                                                                                                                

175 Cfr. sentenze n. 507 e n. 54 del 2000, n. 382 del 1999, n. 273 del 1998.   176 Argomentazione poi integralmente ripresa nella sentenza n. 135 del 2005

Dal 1994, perciò, l’Osservatorio Nazionale Ambiente e Legalità di Legambiente svolge attività di ricerca, analisi e denuncia dei fenomeni abusivi e dei reati ambientali in collaborazione con tutte le forze dell'ordine (Arma dei Carabinieri, Corpo Forestale dello Stato e delle Regioni a statuto speciale, Capitanerie di porto, Guardia di Finanza, Polizia di Stato, Direzione

investigativa antimafia), l'istituto di ricerche CRESME, e con magistrati impegnati nella lotta alla criminalità ambientale. E proprio la collaborazione tra l’associazione e le forze armate porta Legambiente a coniare il termine “Ecomafia” stante ad indicare quei settori in cui l’attività, solitamente ad alto impatto ambientale, si colora di sfumature che poco hanno a che fare con la legge e la legalità ma, bensì, poggia su realtà di tipo criminoso.

Dal 1993, ogni anno, con il rapporto Ecomafia si raccontano annualmente i numeri e le storie della criminalità ambientale, degli assalti, spesso di stampo mafioso, all’ambiente stesso, tant’è che Legambiente continua a chiedere l’introduzione dei delitti ambientali nel Codice penale; realtà che sta cominciando a concretizzarsi solo negli ultimi anni anche se non è ancora del tutto realizzata e realizzabile.

Tali tipi di reati sono molto redditizi e, paradossalmente,

prevedono pene assai lievi qualora vengano scoperti. In più, la crisi che stiamo attraversando è un potente incentivo a

calpestare le regole più elementari; motivazione che spiega perché le attività degli ecocriminali continua a registrare il segno più.

I dati sull’abusivismo edilizio confermano che, nonostante la crisi, il fenomeno non dà nessun segnale di recessione e sono decine di migliaia le sentenze di abbattimento che non riescono ad essere eseguite.

E’ innegabile, alla luce dei dati che riporteremo tra poco, che questo tipo di criminalità ha come regole condivise il dumping ambientale e come vittime i cittadini, l’ambiente in cui vivono e la loro salute, le istituzioni ed i principi della convivenza civile, a cominciare dal rispetto della legalità, le imprese oneste e la buona amministrazione.

I numeri e le inchieste riassunte in questo elaborato impongono, secondo Legambiente, ed è difficile non condividerne il

pensiero, l’adozione di un pacchetto di misure indispensabili. Non a caso Legambiente ha depositato alla Camera ed al Senato, alla fine del 2012, un disegno di legge sulla “Repressione dell’abusivismo edilizio”; disegno di legge riproposto anche in questa legislatura. L’obiettivo è quello di impedire che la mancata applicazione delle norme che prevedono la demolizione e/o l’acquisizione al patrimonio comunale degli immobili abusivi finisca per alimentare un clima

di rassegnata accettazione del fenomeno e la perdita della credibilità dello Stato, incapace di far rispettare le leggi. La proposta prevede, in particolare, la definizione di modi e tempi certi in cui censire ed eseguire le demolizioni e l’applicazione di sanzioni più severe. Oltre a questo, Legambiente, propone una serie d’interventi utili per migliorare l’attività repressiva e

consentire alle stesse associazioni ambientaliste di dare un contributo più efficace per l’affermazione della legalità.

Quella del 2013 è la ventesima edizione del rapporto Ecomafia, realizzato per la prima volta nel 1994 insieme all’Arma dei Carabinieri e all’istituto di ricerca Eurispes. La speranza più grande è che con il passare del tempo e l’aumentare della consapevolezza e della sensibilizzazione tra i cittadini, si possa arrivare un giorno a constatare che gli abusi, peggiori ancora se connessi a reati di stampo mafioso, non sono più la regola ma diventano l’eccezione; un’eccezione rara, anzi, a dir meglio, inesistente.

Per scoprire quali sono stati fino ad adesso, e tutt’ora, i numeri e gli spiacevoli incrementi avvenuti negli ultimi anni specialmente nella Regione Toscana non resta che proseguire nella lettura dei prossimi paragrafi.