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La conduzione della terra e le forme della dipendenza

V. 1 I contratti agrari

La maggior parte degli atti notarili, compresi tra X e XIII secolo, sono concessioni e donazioni a cui seguono i contratti agrari, suddivisi in pastinato, livello ed enfiteusi313. In un’analisi più precisa, basata sulla percentuale e non sui numeri assoluti estratti dai documenti censiti, si nota che durante il periodo ducale, la percentuale delle donazioni, di cui la quota maggiore è occupata da quelle pro

anima, pareggiava quello delle concessioni. Quando salì al potere Ruggero II e si

diede forma ad un’unità monarchica tale da uniformare le forme di potere alla volontà regia, le forme di gestione e di organizzazione della terra mutarono.

Le prerogative signorili erano evidenti nelle clausole di alcune tipologie contrattuali, che consentivano di assoggettare a vita o per un periodo prolungato, il sottoposto al fondo concesso. In questo modo il detentore delle ricchezze creava una soggezione informale che gli consentiva una forma di controllo sociale e giurisdizionale, tale da gestire la popolazione al fine di fondare nuovi insediamenti, e, nel caso di signori ecclesiastici, una forma di controllo che interessava anche l’aspetto spirituale.

Un fenomeno di ristrutturazione e difesa della proprietà furono le donazioni agli enti ecclesiastici, fatte in funzione dei benefici che sarebbero derivati all’offerente. Una clausola garantiva a quest’ultimo l’usufrutto dei beni donati dietro il versamento di un canone; in questo modo, i liberi proprietari avrebbero salvaguardato il patrimonio dalle eventuali confische dei signori laici. Nel grafico la percentuale relativa ad esse decresce sensibilmente, mentre si riducono di poco le

105 concessioni e i contratti a pastinato. Le differenze sono maggiori se si osservano i patti minori. Come si evince dal Grafico numero 4 le vendite incrementano il loro valore percentuale rispetto al ridotto mercato fondiario che si presentava sotto Roberto il Guiscardo314. Durante la fase monarchica cresce la cifra delle cessioni e dei contratti di locazione. Diviene considerevole il valore percentuale delle rinunce e dei contratti ad enfiteusi presenti tra i documenti censiti che, a differenza del contratto a pastinato, permettevano al concessionario di avere dei terreni senza esserne il coltivatore per poi riconcederli sulla base di nuovi rapporti di dipendenza a carattere vassallatico-beneficiario. Si riporta un esempio in una rinuncia del 1159 in cui il miles Girone figlio di Stefano Guastianense di Andria e signore del feudo di Birgonia viene meno al patto con Leone, il priore di San Michele, circa metà fondo di un suo tributario, appartenente al demanio del cenobio perché incamerato per manomorta315.

In Abruzzo, i grandi patrimoni, sia laici sia ecclesiastici, erano distribuiti in modo piuttosto uniforme. Dal X secolo i patrimoni laici si frazionarono attraverso una serie di donazioni ad enti religiosi. La popolazione contadina venne accentrata anche qui nelle terre signorili lottizzate per il bisogno di manodopera. Il contratto di livello regolava le loro condizioni. Dai documenti emerge che le curtes e i piccoli centri monastici erano dati in gestione ai signori locali e ai grandi proprietari terrieri dalle grandi abbazie. Le alienazioni di beni aumentano al fine di incamerare denaro destinato alla costruzione di nuovi centri e all’assetto economico dei suoi possedimenti. Come in Sabina, anche l’Abruzzo vede i conti o i membri di potenti famiglie franche diventare concessionari dei beni monastici e disporre di capitali accumulati attraverso il prelievo fiscale316.

Il censimento dei documenti ha evidenziato come in Campania, il contratto a pastinato abbia avuto una grande diffusione. L’area urbanizzata vedeva la coltura intensiva della campagna. Assenti o rare risultano le operae prima della monarchia, se si eccettuano i servizi di manutenzione e gli impegni legati ai meccanismi di conversione dei prodotti; residuale il numero dei servi. Ne è un esempio il territorio di Cava de’ Tirreni in cui i contratti stipulati imponevano ai contadini di stabilirsi sul terreno da coltivare. Erano tenuti a produrre e fornire vino anche per conto del

314 Si veda Grafico n. 4, p.664 315

Si veda Appendice documentaria, Puglia, p. 528, doc. n. 81. 316 A.M.C

IVITARESE, I contratti agrari in Abruzzo nei secoli X e XI, in «Clio», 20 (1984), pp. 17-29, a p. 23.

106 proprietario e a occuparsi degli strumenti ma raramente dovevano prestare delle

operae. Dopo la monarchia, i grandi complessi monastici si occupano della gestione

di un gran numero di uomini da sfruttare nella riserva signorile. Il ruolo rivestito dalle prestazioni d’opera consentiva di distinguere la condizione sociale dei sottoposti.

Nella terra di San Vincenzo al Volturno, il contratto di livello interessava molti uomini liberi al fine di accentrarli in una zona da bonificare e in cui incrementare le coltivazioni. Due erano le tipologie di contratto a lungo termine. Vi era il contratto a ventinove anni che permetteva al dominus di concedere beni dietro pagamento di un censo in denaro, a cui seguiva uno annuale o la cessione di un fondo agrario dal concessionario con l’aggiunta di una somma di denaro. Vi era poi il patto a tre generazioni che prevedeva la cessione di beni senza pagamento, gravati di un censo annuale in natura o in moneta, con l’aggiunta di prestazioni di opera. I contratti stipulati invece con i coltivatori liberi si configurano come livelli in senso stretto e appartengono alla tipologia di contratto per tre generazioni. I coltivatori potevano essere diretti e indiretti. Questi ultimi, a cui erano cedute alienazioni di lunga durata, fornivano al signore il denaro utile per affrontare gli investimenti e assicuravano una certa circolazione monetaria. I coltivatori diretti invece, livellari in senso stretto, stabilivano la natura e la portata dei prelievi effettuati dal monastero sulla loro produzione317.

317 S.P

IVANO, I contratti agrari in Italia nell'alto Medioevo. Precaria e livello, enfiteusi, pastinato e

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