• Non ci sono risultati.

Il patrimonio “umano” Le forme della dipendenza

V. 3.1 Villanaggio

La documentazione censita non consente di fornire numerosi dati relativi ai dipendenti di condizione servile. La menzione di essi risulta scarsamente attestata nell’intero arco cronologico considerato. All’interno degli atti stipulati, oltre ai beni patrimoniali, si riscontra anche una certa mobilità sociale325. Gli uomini che costituiscono risorse di scambio tra signori, la cui condizione sociale non è chiaramente menzionata, sono circa trecentocinquanta. Numerosi anche i villani, centosessantuno e i servi, centocinquanta che rappresentano la classe sociale più umile tra i sottoposti. Una pergamena del 1080 elenca i beni concessi dal principe di Capua Giordano all’abate di Montecassino Desiderio. Oltre la chiesa di San Rufo, edificata in città, gli si concedono servi et ancille, curtisanis e aldiis, selve, pascoli, le acque e le paludi del territorio e ogni altra pertinenza. Essi rappresentano gli antichi servi, privi di ogni libertà326. Nel 1060 Giso di Campone dona all’abate Erimundo di Carpineto una serva e un servo con ogni potestà su di loro327. Nel

Codice diplomatico barese vi sono alcuni documenti relativi all’affrancazione di

servi e serve cedute ad alcuni prelati, in virtù della libertà meritata dopo anni di buon servizio328. Spesso la libertà era motivo di ricatto per ottenere ulteriori anni di servizio gratuito. Nel 1214 Giovanni di Canusio cede il servo Roduano al priore del monastero di San Giacomo, Domenico. Il servo presterà due anni di servizio e sarà reso libero se non cercherà di fuggire e se non sarà colpevole di furto329.

La condizione di dipendenza rappresenta uno schema di subordinazione che muta in base ai contesti, le dinamiche di potere e le strutture sociali. Diffuse e differenti erano le dipendenze personali ed ereditarie. Il confine tra la libertà e la servitù nel

325 S. C

AROCCI, La mobilità sociale nel Medioevo, Roma 2010, pp. 1-37. 326 Si veda Appendice documentaria, p. 606, doc. n. 418.

327

Si veda Appendice documentaria, Abruzzo, p. 168, doc. I.

328 Si veda Appendice documentaria, Puglia, p. 541, docc. 22-169 e 193. 329 Si veda Appendice documentaria, Puglia, p. 548, doc. n. 208.

111 rapporto con il potere pubblico è difficile da stabilire poiché non sempre la mancanza di libertà era sinonimo di villanaggio, ovvero il fenomeno di dipendenza servile330. Vi erano distinzioni giuridiche tra coloro che erano vincolati alla terra attraverso il contratto e coloro che erano dipendenti respectu tenimentorum331.

Questi ultimi, infatti, potevano accedere agli ordini sacri anche senza l’autorizzazione del signore a patto di restituire loro la terra avuta in concessione. Affidati, recommendati, commendati o hospites, sono numerosi in Calabria, dopo il 1130 e in Puglia.

In Calabria la condizione normale dei contadini era quello di villani, presenti anche in Puglia centrale e meridionale. La loro libertà personale era limitata ed erano sottoposti a maggiori vincoli. Le informazioni fornite dalle dispute, le inchieste e le controversie giudiziarie evidenziano alcune formule relative alla gestione della terra e degli oneri gravanti sui sottoposti. Assenti nel periodo ducale, queste forme di reazione allo stato di soggezione e di dipendenza risultano solo nelle fonti posteriori al 1130. Ne è un esempio il diploma dell’imperatore Federico II del 1222 in cui si descrive la condizione di servi applicata ad un’intera popolazione della Calabria. I quattro casali citati nel documento - Oliviani, Gasparine, Arunchi e

Mentabri - sottoposti al monastero di Santo Stefano del Bosco, si appellarono al

sovrano chiedendo il ridimensionamento dei loro oneri verso l’abate. L’abate difese le proprie prevaricazioni asserendo che si atteneva alla consuetudine. Egli pretendeva un quinto dei prodotti dell’orto e dell’olivo, la decima del vino, i canoni per i beni posseduti, i donativi e le imposte, tra cui quella per la licenza di matrimonio. Tuttavia le prestazioni d’opera erano pesanti: centodiciotto all’anno e dodici di trasporto. I contadini però persero quando l’abate li accusò di tradimento verso re Ruggero I perché discendenti degli abitanti di Capua. Federico II li condannò a servire perpetuamente quanto richiesto332.

In Puglia come in Campania, gli usi gravavano su tutta la popolazione di un centro abitato rurale, tranne i cavalieri, la cui condizione giuridica era omogenea, mentre i doveri dei componenti variavano in base alla loro ricchezza. In Puglia c’erano gli affidati di simile condizione. Erano individui liberi che si ponevano

330 C

AROCCI, Angararii e franci cit., p. 5; V. D’ALESSANDRO, Servi e liberi, in Uomo e ambiente nel

Mezzogiorno normanno-svevo. Atti delle Giornate normanno-sveve, VIII (20-23 ottobre 1987), Bari,

1989, pp. 293-317; P.CORRAO, Il Servo, in Condizione umana e ruoli sociali nel Mezzogiorno

normanno-svevo. Atti delle none giornate normanno-sveve, (17 - 20 ottobre 1989), Bari 1991, pp. 61-

78 e F.PANERO, Schiavi, servi e villani nell’Italia medievale, Torino 1999. 331 Studi in margine cit., p 230.

112 volontariamente alla dipendenza di un signore. In quanto tali, la loro condizione può presentare alcune agevolazioni. Tuttavia essi non avevano il diritto di disporre dei loro beni. Non potevano trasmettere per via ereditaria i beni senza l’assenso del signore titolare della loro tutela. Nel 1171 l’abate del monastero di San Benedetto di Conversano concesse terre incolte presso la chiesa di San Magno a patto che fosse ricostruita dai concessionari e limitò per iscritto i diritti del monastero verso i nuovi affidati. L’abate precisò la quota delle successioni a favore dei monaci; la quota che le donne unite con un forestiero avrebbero dovuto versare; il libero usufrutto del mulino e del forno da parte dei nuovi arrivati e il ricorso alla giustizia gestita dall’abate. Per coloro che avessero voluto poi emigrare, si decise che avrebbero potuto farlo solo dopo aver venduto le proprie terre agli altri abitanti della comunità contadina e dopo aver donato al monastero pro exitura una libbra di cera. Il numero delle opere era direttamente proporzionale alla presenza di colture intensive, forse finalizzate all’esportazione.333

.

Lo studio delle Platee ha permesso di approfondire la natura del rapporto di dipendenza tra gli individui e il signore patrimoniale.

La Platea dell’arcivescovo di Cosenza menziona circa novecento angararii, tenuti a prestare delle corvées. Le prestazioni di opere non costituirebbero l’elemento utile a distinguere le condizioni di dipendenza o di libertà personale poiché alcune di esse erano previste anche per molti franci homines che si presumevano di condizione libera. Il versamento di censi in moneta e i donativi che dovevano corrispondere erano probabilmente legati al possesso di beni, piuttosto che alla loro condizione giuridica personale. L’ereditarietà della condizione di angarario era connaturata nelle hereditates. Il termine hereditas indicava il bene trasmesso per via ereditaria e, con esso, il trasferimento ereditario dello status giuridico dell’uomo legato alla terra data in concessione dal signore. I discendenti del dipendente defunto ereditavano il possesso del fondo e gli obblighi relativi a quel terreno.

113

V. 3.2 Angarari, censiles, commendati

Il patrimonio umano era costituito da elenchi di angarari, franci homines,

revocati e le rendite dei beni loro locati. Il numero dei franci era quasi pari a quello

degli angarari. Nel registro sono elencati gli obblighi in natura, in moneta e in prestazioni lavorative a cui erano tenuti sia gli angarari sia i franci. Anche la chiesa di Bisignano ripropone le richieste militari, il servitio galearum, e le prestazioni di ordine feudale, quali accompagnare il vescovo eletto alla consacrazione. Alcuni brevi elenchi descrivono i territori minori soggetti ad altri enti ecclesiastici, tra cui il Monastero della Sambucina, o a feudatari laici. Le prestazioni di lavoro sul dominico da parte di coloni, angarari e tributari erano costituite da lavori agricoli e dai servizi di trasporto. Il servitium galearum era dovuto solo da alcuni sudditi della chiesa vescovile. Non interessava solo gli abitanti dei casali ma anche i residenti in città. Vi erano poi servizi di manutenzione dei mulini, fatti a titolo di angaria. Il gallinaggio rappresentava il donativo più richiesto, ma vi era anche l’uso di consegnare al vescovo la spalla di suino e l’offerta di commestiones durante i viaggi e le visite pastorali del vescovo. Tra gli obblighi eccezionali, quelli relativi alla consacrazione del vescovo, il servizio a cavallo e, per i franci homines ecclesiae, il seguire ipsius ecclesiae forum. La società che emerge era suddivisa in uomini della chiesa, del demanio e dei milites. Tranne i chierici, esentati dalle angarie, gli altri erano tenuti a lavori stagionali, in virtù del loro stato servile.

Una delle rare Platee a carattere laico è rappresentata dalla contea di Sinopoli, gestita da Guglielmo Ruffo, prevedeva come le altre, la strutturazione del territorio suddiviso in doma, unità familiari simili alle fratrie, in cui gli obblighi sono stati ereditati ex origine e in aporia, i complessi patrimoniali tenuti dalle doma. Burgensi,

franci, homines censualia e incensualia, homines esterni, reccomendati e villani

sono le distinzioni che ripropone la Platea. Nel dettaglio il registro elenca ogni categoria di uomini e i rispettivi proventi, da versare in proporzione alla tipologia di beni posseduta e suddivisi in base alla sostanza del censo. I beni censualia erano gravati dal censo a differenza degli incensualia. Le excadentiae erano quei beni rientrati nel demanio signorile per mancanza di eredi. I prelievi più richiesti erano le angarie ei censi e i donativi erano anche qui caratterizzati in galline e uova.

114 Il Codice Solothurn descrive il patrimonio fondiario e umano della Chiesa salernitana334. In area capuana, all’interno della denominazione villani, sembrano esserci delle differenze di condizione sociale. I diplomi principeschi operano, infatti, una distinzione tra villani semplici e villani hereditaneos. Gli angarari o homines de

angaria o de servitio detenevano il manso, a cui erano vincolati per trasmissione

ereditaria. Lavorano e coltivano i fondi e costituivano la forza lavoro dei terreni del signore. Potevano anche possedere del bestiame, per il quale versavano un censo. Nel momento in cui si accettava la conduzione del manso, si acquisiva anche la condizione di sottoposto, respectu tenimentum cioè dovuta dal regime della terra ricevuta. Le angarie e il versamento del terratico costituivano le richieste di servizi più onerosi e numerosi all’interno della Platea. Tra le opere vi era la manutenzione dei mulini, il lavoro nei campi, di cui rendere la metà del prodotto raccolto, i numerosi donativi e il servizio de troctis in quadrigesimis due giorni a settimana. I censi relativi all’uso delle terre comuni per la raccolta di foraggio e di ghiande presentavano simili rilevanze.

Nei documenti di Abruzzo e Campania prima del 1130 sono menzionati alcuni

commendati o hospites. Si tratta di estranei che sceglievano di sottoporsi al dominus

in modo da godere di vantaggi economici e giuridici, tra cui l’assegnazione di terre e la protezione giuridica nonché il diritto di usufruire delle risorse comuni. Spesso il loro legame era ereditario verso un altro uomo ma non dovuto alla discendenza. Essi ereditavano una serie di vincoli di clientela, relazioni economiche, verso il signore. Puglia e Campania presentano la parola defisus pre 1130. Erano uomini liberi per cui chiese e monasteri erano esenti dalle richieste pubbliche per privilegio, definiti anche excusati335. Nei documenti sono ricordati in relazione ai contratti a pastinato. Una pergamena del 1151 è relativa allo stralcio di una denuncia relativa alla posizione di un non libero, Simeone Sapatino di Calvizzano. Il signore Sergio de Turre e la badessa Gaita di San Gregorio armeno avanzavano pretese su di lui. L’uno lo riteneva proprio uomo intuitu persone; l’altra perché erede di una terra in cui abitava alla madre. La deposizione della denuncia viene ricompensata con quaranta tarì di Amalfi336. Sempre in Campania il contratto a enfiteusi del 1209 vede la cessione di alcuni censiles del monastero di Cava a Simone de la fabreca con la

334 Si veda Appendice documentaria, Platee, p. 645ss. 335

Si veda Appendice documentaria, Campania, p. 438, doc. n. 39; p. 441e p. 454ss, docc. nn. 4, 395 e 446.

115 disponibilità di un fondo fuori città a patto che versassero al monastero la metà dei frutti raccolti e la metà del vino prodotto, il terratico e i donativi a Natale e Pasqua. Se la disposizione di massarici è presente sempre prima del 1130, la schiera di uomini la cui condizione giuridica era scelta volontariamente, è difficile da classificare.

Un’altra categoria di subalterni era costituita da homines recommendati, coloro che si sottoponevano volontariamente alla defensio o commendatio del signore, per sottrarsi agli oneri verso il fisco. La Platea asserisce che era loro dovere solo quanto stabilito nel registro, ad eccezione di coloro che dalla Chiesa ottenevano in gestione un bene. Questi ultimi erano tenuti a versare l’adiutorium, il datum e ciò che devono alle festività di dedicazione della chiesa. Si ricorda inoltre che tutti i recomendati erano sottoposti alla giustizia nella Curia ecclesiastica. La chiesa salernitana evidenzia che dietro le concessioni di homines, villani, habitatores si celava un trasferimento dei censi signorili a cui, costoro erano obbligati, e che si trattasse di uomini di condizione libera. Diversa la condizione dei censiles, la cui condizione giuridica è affine alle categorie servili, sebbene soggetta ad una evoluzione che nella seconda metà del XII secolo permetterà ad alcuni di loro di trasformarsi in piccoli imprenditori337.

V. 3.3 Il coinvolgimento degli uomini di condizione libera

Sebbene la mobilità di uomini dipendenti sia riscontrabile con maggiore sicurezza nelle pergamene, non mancano casi relativi a uomini liberi: cavalieri, burgensi, tributari o censiles338. Giovanni, figlio di un cavaliere di Camerota, nel 1146 fu donato a Cava dal signore Ruggero con i suoi beni tenuti in feudo affinché fosse in dominio del monastero e prestasse i servizi feudali all’abate339

. Nei documenti abbiamo solo due attestazioni di burgensi, uno in Calabria e uno in Campania340. Nel 1188 vi fu una controversia tra il dominus Ascettino de Brui, figlio di Guglielmo e i fratelli della signora di Oppido, in relazione ad un feudo di cui si era appropriata. Il giudice di Calabria, Giovanni di Reggio sancisce il possedimento del feudo di

337 A.D

I MURO, Terra, uomini e poteri signorili nella Chiesa salernitana (secc. XI-XIII), Bari 2012, p. 67ss.

338

Si veda Appendice documentaria, Campania, p. 328, doc. n. 26. 339 Si veda Appendice documentaria, Campania, p. 365, doc. n. 257.

116 Marescotto ad Ascettino con ogni pertinenza, tra cui campi, boschi, case, burgensi e villani. Nel 1231 un diploma dell’imperatore Federico II concede all’abate del monastero di Sant’Eufemia, in Campania, alcuni beni nel territorio di Nocera, tra cui un porto, con la terra limitrofa e i casali, in cambio del castrum di Neocastro, metà quota della città posseduta dal monastero, i milites, burgenses, franci et villani. La menzione di alcune categorie nello stesso atto deve essere interpretata ponendo attenzione alle sfumature notarili adottate nella stesura del documento, che hanno la volontà di distinguere un preciso status giuridico341.

Nell’area salernitana, il Codice Solothurn distingue i liberi in franci liberi, esenti da ogni tributo o prestazione, e i franci servientes, esentati dalle prestazioni parzialmente. I liberi godevano del privilegio di non essere gravati dagli oneri legati alla loro origine342. Lo status giuridico dei franci è legato alla nascita. Essi dovevano delle prestazioni militari, quali il servizio di difesa delle coste, o direttamente ai funzionari del re, come i servizi per le galee regie. Il loro stato di liberi però non comportava una riduzione degli oneri signorili. Erano tenuti a corrispondere alla Chiesa i donativi a Natale e Pasqua, a prestare le opere, versare le imposte, provvedere al mantenimento dell’arcivescovo per un giorno ed una notte durante la sua annuale visita pastorale alle parrocchie, pagare l’adiutorium per la consacrazione dell’arcivescovo, o quando costui si recava a Roma per un concilio e, infine, contribuire al mantenimento del re, qualora attraversasse la regione. I franci erano chiamati a partecipare anche alla magna expeditio, cioè all’allestimento del grande esercito, costituito da tutti gli uomini liberi, per difendere il regno343.Nella Platea di Luca quasi la metà degli homines franci, circa duecentocinquanta, doveva anche prestare nel feudo arcivescovile, il castello di San Lucido, il servizio militare inviando e provvedendo al mantenimento di un serviens armato per quattro mesi, da maggio a settembre. Il servizio poteva essere commutato con un versamento pecuniario consistente in due soldi e con la corresponsione di donativi. Vi erano poi i franci per cartam, esentati dal prestare il servizio militare a San Lucido. Essi versavano una tassa in sostituzione più bassa, un soldo al posto di due.

Le Platee menzionano anche gli homines iurati della Chiesa che, in quanto vassalli del signore, ricevevano in feudo o in concessione, alcune terre. Essi si riscontrano nella Platea di Cosenza e in quella di Salerno in gruppi corrispondenti a

341

CAROCCI, Angararii e franci cit., pp. 205-241. 342 ibid., p. 20.

343 D

117 ciascuna baiulazione ed erano chiamati a testimoniare sul patrimonio e sui diritti esercitati della Chiesa sul territorio344.

118

CAPITOLO VI