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Sant’Elia e Sant’Anastasio di Carbone

Il sistema ambientale della Basilicata, caratterizzato da un’elevata densità boschiva, da un assetto prevalentemente montuoso e attraversato da una rete idrografica rilevante per il governo della regione, ha condizionato il sistema insediativo ed economico della regione fin dall’Antichità. L’intervento degli insediamenti monastici, sia di rito latino che greco, ha consentito la trasformazione del paesaggio, lo sfruttamento delle risorse e la riorganizzazione della popolazione.

La distribuzione delle comunità cenobitiche all’interno della regione lucana si localizzava in due aree geografiche: una interna, centro-settentrionale, posta sotto il controllo longobardo; e una meridionale e orientale, di interesse bizantino. La maggior parte delle fondazioni monastiche furono edificate nell’area longobarda, contribuendo a creare nuovi insediamenti attraverso opere di deforestazione e conversione dell’incolto, con il conseguente miglioramento della viabilità. Santa Maria di Banzi, prima dipendenza di Montecassino, dal XI secolo, posta sotto la diretta autorità di Gregorio VII, gestiva un patrimonio costituito da terre, monasteri minori anche di rito greco, chiese, grange, casali dislocati in parte in Calabria, in parte tra Puglia e Basilicata. Qui la rete delle sue dipendenze si distribuiva fino ad Acerenza, Melfi e Venosa. Anche la regione del Vulture, nella porzione dei laghi di Monticchio, era gestita dalla signoria di Sant’Angelo il cui patrimonio di estendeva da Andria, Bari e Molfetta a Lagopesole e Rapolla. Attorno alla sede monastica gravitavano nuclei abitativi che consentirono la rivitalizzazione economica della zona.

Nella seconda metà del X secolo si diffusero in Basilicata, come in Calabria settentrionale e in Campania meridionale, fondazioni monastiche di rito greco. Esse si stanziarono tra l’Agri e il Sinni, corrispondenti alle aree Mercurion (Valle del Lao) e Latinianon; tra i fiumi Bradano e Basento e nella fascia ionica, accogliendo i monaci greci giunti dalla Sicilia e dalla Calabria meridionale, al seguito di Cristoforo e i figli Sabata e Macario, Luca e Vitale da Castronuovo, a causa delle

86 incursioni saracene274. L’antropizzazione e l’incremento demografico di vasti territori furono da attribuire all’opera di questi monaci che controllavano la fondazione di nuovi villaggi, pianificavano l’edificazione di chiese e di insediamenti monastici rupestri, imponevano il dissodamento dei terreni.

Il monachesimo greco subiva l’influenza delle famiglie dei fondatori, sia laici sia ecclesiastici e si caratterizzava per l’assenza dell’autorità ecclesiastica durante il passaggio della carica abbaziale e per la dedizione alla valorizzazione agraria dei territori275.

Dal XI secolo due monasteri in particolare svolsero la funzione di aggregatori della popolazione ed esercitarono la protezione sui complessi monastici minori: Sant’Angelo in San Chirico Raparo e Sant’Elia e Sant’Anastasio di Carbone. In particolare, le vicende di quest’ultimo sembrano ripetere una forma di potere signorile che è possibile riscontrare in altri insediamenti monastici di rito latino, quali San Vincenzo al Volturno e San Clemente a Casauria. A differenza però di queste, come altre, fondazioni ecclesiastiche, per cui manca la documentazione ma permane la struttura edificata, per quanto riguarda il monastero dei SS. Elia e Anastasio di Carbone, i documenti sono numerosi, specie dall’XI secolo in poi, pur non rimanendo traccia delle sue vestigia.

Gli insediamenti monastici erano connessi tra loro, uniti da alcune figure emblematiche dell’eremitaggio che poi decisero di stanziarsi stabilmente su siti preesistenti276. Non solo l’arrivo dei conquistatori non li fece scomparire ma anche le correnti di rinnovamento della pratica monastica nel Mezzogiorno della penisola assunsero modalità particolari. Uno dei membri della comunità greca fu Saba il Giovane che, intorno al X secolo, partì da Amalfi per rifugiarsi nelle silenziose montagne del Lagonegro. Qui fondò un ritiro isolato, la Cava di San Filippo, una delle prime dipendenze del monastero di Sant’Elia di Carbone.

Negli stessi anni il monaco Luca giunse sulla penisola dalla Sicilia, dopo aver fatto vita monastica presso San Filippo di Agira e da qui nella laura di Sant’Elia Speleota a Reggio Calabria. Si racconta che, in seguito ad una visione di un attacco

274

F. SOGLIANI, Paesaggi monastici della Basilicata altomedievale, in «Il capitale culturale», 12(2015), pp. 421-452, p. 429.

275 V.

VON FALKENHAUSEN, Il monastero di Sant’Elia di Carbone in epoca bizantina e normanno-

sveva, in Il *Monastero di S. Elia di Carbone e il suo territorio dal Medioevo all'età moderna : nel millenario della morte di s. Luca abate. Atti del Convegno internazionale di studio promosso dall'Università degli studi della Basilicata (26-27 giugno 1992), Galatina,1996, pp. 61-87, p. 66.

276 G. R

OBINSON, History and cartulary of the greek monastery of S. Elias and S. Anastasius of

87 saraceno, abbia deciso di stanziarsi nella chiesa di San Pietro, presso Napoli. Da qui si spostò nuovamente verso Agrimento, accanto alle rovine del monastero di San Giuliano di Agri.

Durante l’attacco imperiale di Ottone contro i Saraceni, San Luca riprese il cammino fino al castello di Armento in Lucania. Qui probabilmente pose le basi di un romitorio seguendo l’esempio di San Saba. Il toponimo Carbone deriva dal nome del suo fondatore, Luca Karbounes. Quindici anni dopo la scomparsa di San Luca, il successore Biagio, nel proprio testamento, lascia in eredità alcuni beni fondiari nelle province di Latinianon, il monastero degli Archistrateghi e di Santa Maria con le rispettive pertinenze e un’abitazione di Santa Sofia nel castrum di Bari277

. Carbone è solo accennata poiché Biagio è detto di Armento.

Il primo documento in cui fu menzionato Carbone è il testamento dell’abate Luca II, stilato prima di partire per Gerusalemme nel 1059. Egli stesso si definisce “Luca di Carbone”, forse perché, in seguito ai saccheggi saraceni, Armento era stato distrutto. Il suo abbaziato fu caratterizzato da una certa espansione. Egli governava sulle laure nel territorio campano e di Armento. Fece edificare un monastero in onore di San Michele arcangelo; finanziò la ricostruzione della chiesa e il monastero di Teodochio a Casanite e San Pancrazio. Aggiunse al controllo di Carbone i romitori sparsi, le laure e le celle sotto la figura unificante di San Saba e nella comune accettazione di San Luca in qualità di fondatore. Verso gli ultimi anni del suo mandato, Luca acquisì alcune terre a Castelnuovo, o Battabarano, dopo aver chiesto rifugio per i suoi monaci in caso di guerra.

Le mire espansionistiche dei signori vicini furono la causa dell’impoverimento delle risorse dell’abbazia tanto da provocare la dispersione dei monaci. I Normanni, che intorno al 1058 avevano già raggiunto parte della Basilicata, diedero vita al processo di rilatinizzazione delle istituzioni ecclesiastiche con la devoluzione dei beni monastici alle fondazioni di rito latino278, incrementarono e restaurarono le proprietà di quelle abbazie latine preesistenti alla conquista. Ne sono esempio il patrimonio di Santa Maria di Banzi presso Acerenza e la Trinità di Venosa, simbolo della politica ecclesiastica latina di fronte a quella italo-greca. Santa Maria di Banzi sorgeva sulle terre del conte di Montescaglioso, e mantenne l’estensione anteriore

277 R

OBINSON, History and cartulary cit., p. 286. 278

C. D. FONSECA, La prima generazione normanna e le istituzioni monastiche dell’Italia

meridionale, in Roberto il Guiscardo e il suo tempo. Atti delle Giornate normanno-sveve, I (28-29

88 all’arrivo normanno: dai territori di Genzano, Venosa, Oppido Lucano fino a Barletta e Giovinazzo279. Le donazioni proseguirono da parte di Ruggero e Boemondo, Riccardo Senescalco signore di Mottola e Castellaneta, Goffredo conte di Lecce e Roberto di Loritello. Non tutte le fondazioni orientali furono distrutte. Molti monasteri greci nel Salento, in Calabria e in Sicilia, quali per esempio San Nicola di Casole, presso Lecce, Santa Maria del Patir in Calabria e San Salvatore a Messina, continuarono e ampliarono la loro signoria grazie ai nuovi signori normanni e all’interessamento diretto degli Altavilla. Sebbene la politica normanna mirasse alla centralizzazione, circostanze regionali particolari, con popolazione greca consistente, fecero loro adottare un’altra politica. Nelle aree lucano-calabresi i dominatori lasciarono intatte le strutture istituzionali ed economiche dei monasteri greci, tranne quelli abbandonati o i monasteri privati di cui si erano impossessati o quelli imperiali, ereditati per diritto di conquista. Il fine principale era coltivare e rendere fruibili le terre di aree disabitate, per cui permisero alle istituzioni ecclesiastiche più grandi, capaci di investire un maggiore capitale, di riattivare economicamente il territorio e di popolarlo.

In Basilicata i Normanni favorirono i monasteri di Sant’Angelo di Raparo, fondato dal greco Vitale intorno al X secolo, che fu beneficiato da Odobono Marchisio ed Emma, sorella di Roberto il Guiscardo, e SS. Elia e Anastasio di Carbone. Questo cenobio sopravvisse alla presa di potere normanna. Nel 1074 i Chiaromonte, signori feudali di Carbone e di numerosi feudi della Basilicata meridionale, concessero le loro terre al monastero280. Dai documenti si evince come già dal 1092, il monastero di Sant’Elia fosse dotato di diritti bannali, libertà di sfruttare i pascoli, i boschi e la pesca, e di accogliere abitanti entro la propria giurisdizione. La famiglia dei Chiaromonte, sebbene avesse beneficiato molti istituti ecclesiastici del Mezzogiorno, strinse forti legami con il monastero di Carbone sia per quanto riguarda il coinvolgimento nella gestione del cenobio sia attraverso le continue concessioni patrimoniali. Dal 1080 al 1129 le donazioni interessarono

metochia, terreni, villani e diritti nell’area gravitante su Basilicata, Calabria

settentrionale e Puglia. Nel 1096 Alessandro di Ronca, genero di Ugo II di Chiaromonte, signore di Senise e di Cerchiara, concesse il monastero dei Quaranta Martiri all’abate Biagio, con tutte le pertinenze. Seguirono le donazioni da parte di

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ONSECA, La prima generazione cit., p. 154. 280

89 Albereda, vedova di Riccardo Senescalco e di Trotta, vedova di Ruggero Charenga. Il cenobio di Carbone estese il suo patrimonio sulle terre di Tursi e di Policoro lungo la costa, in cui esercitava il diritto di prelevamento della quarta parte del pescato281.

Dal 1101 al 1134 Sant’Elia continuava a svilupparsi. L’abate Nilo fu il signore a cui è legato lo splendore del romitorio. Probabilmente durante il suo abbaziato il monastero introdusse la dedica al profeta Elia, per la prima volta nel 1121, finendo per sostituire l’intitolazione a San Anastasio il Persiano. Nilo fu costantemente in contatto con i baroni locali. Nel 1124 Boemondo I confermava a Sant’Elia i suoi possedimenti: il ponte sull’Agri, detto di Policoro, con la chiesa di Santa Maria e il monastero di Teodochio, la chiesa di Panagia a Scanzano. Il ponte di Policoro era una costruzione di alto valore strategico poiché sito sulla via litoranea che collegava la Calabria a Taranto282. Nel 1126 Boemondo II gli concesse il monastero di San Bartolomeo a Taranto, prima dipendenza urbana di Carbone. Nel 1132 il privilegio di Ruggero Gran Conte confermava alla sua signoria le pregresse concessioni e i feudi di Scanzano e di Asclettino nel castello di Faraclo, oltre a chiese e monasteri, tranne quello di Calvera, acquistato da Carbone nel 1135.

Dal 1167 al 1174 subentrò l’archimandrita Bartolomeo. Nel 1168 Guglielmo il Buono chiese all’abate Bartolomeo di controllare la vita spirituale e la disciplina monastica di abati e monaci di tutti i monasteri che rispettavano la regola di San Basilio. La sua giurisdizione oltrepassava gli attuali confini lucani, raggruppando un territorio che si estendeva da Salerno allo Ionio. A lui erano dovuti tutti i diritti, inclusi quelli spettanti al vescovo283.

L’intento del re era creare un archimandriato settentrionale similare a quello nato precedentemente a Messina per volontà di Ruggero II nel 1154. In realtà, l’archimandrita di San Salvatore a Messina non aveva la responsabilità spirituale dei monasteri greci di una circoscrizione territoriale. Egli era solo il capo di una congregazione monastica formata da cenobi introdotti dal re o da abati o laici.

Nel 1174 il monastero subì un incendio che distrusse ogni ricchezza. La riedificazione avvenne su Montechiaro, una vetta più alta, dove vi era venerata Santa Caterina. I possedimenti del cenobio comprendevano i feudi di Castronuovo, Scanzano, Policoro, Feraclo e Carbone; le terre e la giurisdizione sui monasteri e

281 R

OBINSON, History and cartulary cit., p. 289. 282

VON FALKENHAUSEN, Il monastero di Sant’Elia cit., p. 77. 283 Cfr. R

OBINSON, History and cartulary cit., p. 301; VON FALKENHAUSEN, Il monastero di Sant’Elia cit., pp. 83-87.

90 chiese tra Basilicata e la Puglia. Fino alla seconda metà del XIII secolo il patrimonio sarà consolidato. La regina Costanza rinnovò tutti i privilegi precedentemente accordati e confermò la giurisdizione del monastero su quelli greci della Basilicata con il diritto di riforma concesso da Guglielmo il Buono.

La documentazione posseduta rivela la mancanza di donazioni da parte di proprietari o funzionari greci, probabilmente a testimonianza delle difficoltà socio- economiche degli abitanti locali. Particolarità che aggiunge maggior rilevanza al ruolo svolto dal monastero di Carbone. L’imperatore Federico II pose il monastero sotto la sua protezione riconfermandone gli antichi privilegi e concedendo terre a Episcopia e Oriolo. La consistenza patrimoniale del monastero di Carbone ricevette conferme fino al XIV secolo. Il monastero fu poi soppresso nel 1809, dopo che le truppe napoleoniche distrussero le sue strutture.

La signoria monastica esercitata nella Basilicata meridionale mostra come, per le signorie monastiche di rito latino, essa sia il prodotto di conquiste militari poiché gli abati vi fanno parte solo in seguito a concessioni laiche. Si tratta di signorie monastiche bannali che, pur essendo molto ricche territorialment,e sono incomplete, dal momento che conservano solo parzialmente alcuni diritti. Come esito del progressivo processo di riconversione al rito latino, la regola benedettina prenderà il posto di quella orientale. Le preesistenti abbazie latine accrebbero i loro già vasti patrimoni e altre svilupparono un’estensione del controllo politico ed economico più ampio nella regione, contribuendo ad alimentare le forze militari al servizio della monarchia normanna, riappropriandosi dell’esercizio dei diritti pubblici ad essa riservati.

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CAPITOLO IV

Le fonti

Il censimento sistematico della documentazione del Meridione peninsulare italiano ha interessato lo studio di diverse tipologie di fonti al fine di individuare i caratteri costitutivi la natura del regime signorile in epoca normanno-sveva, tra il 1050 e il 1250, con qualche scarto per alcuni documenti di una certa rilevanza. Solo alcuni medievisti d’Oltralpe, in studi a carattere regionale, si sono avvalorati di un apporto documentario consistente per indagare il fenomeno signorile e le modalità di esercizio del proprio potere. Altri si sono rivolti ad analizzare una situazione più circoscritta, spesso incentrata nell’analisi delle modalità di gestione del patrimonio da parte di enti ecclesiastici o monastici, titolari di signorie fondiarie.

Le edizioni documentarie finora censite sono oltre un centinaio per un totale di circa milleduecento atti. I documenti sono stati scelti perché presentano chiari indizi di signoria di natura pubblicistica. Sono state prese in considerazione le principali edizioni documentarie edite poiché lo studio delle fonti inedite avrebbe posto evidenti problemi di falsificazione nonché di tempo. La maggior parte dei documenti proviene da archivi di enti ecclesiastici. Seguendo un criterio metodologico di distinzione del materiale documentario regionale, molto si è attinto dal censimento dei codici diplomatici, i cartulari e le cronache dei monasteri, le singole raccolte di documenti riportati da eruditi locali, le platee. La ricchezza documentaria di alcune regioni, in particolar modo Campania e Puglia, evidenzia dei divari consistenti rispetto ad altre zone. L’Abruzzo, il Molise e la Basilicata presentano una situazione in cui un numero elevato di carte è ancora inedito, disperso in altri archivi o perduto per sempre. Nel grafico numero 1 è possibile vedere che i Cartulari lucano e teramano hanno fornito un numero consistente di documenti284. Osservando poi il

92 grafico successivo si nota la distribuzione della quantità dei documenti in decenni dal 1050 al 1250. Il maggior numero di pergamene inerenti la signoria è posteriore alla monarchia di Ruggero II. Il dato cresce continuamente dal regno di Guglielmo II al 1210 per poi decrescere sensibilmente. Tra il 1091 e il 1100 si registra un altro valore alto a cui segue quello relativo ai primi anni del potere ducale di Roberto il Guiscardo. Peculiare è la totale mancanza di documenti censiti relativi all’anno 1138, come se le attività diplomatiche avessero subito un arresto in concomitanza con le vicende politiche e militari di Ruggero II285.

Al fine di estrapolare e manipolare con facilità i dati raccolti relativi al fenomeno signorile, sono state elaborate due tipologie di raggruppamenti: una tabella che raccoglie i singoli atti presi in esame e una relativa alle platee286.

La tabella numero 1. riporta la titolatura delle fonti censite in forma abbreviata. Oltre ai caratteri estrinseci del documento, segue la voce relativa ai soggetti coinvolti e lo status giuridico relativo alla condizione del concessionario e non del concedente. Relativamente alla compilazione del prelievo signorile, spesso vi sono delle lacune dovute all’effettiva mancanza di un riferimento preciso all’interno del documento. Inoltre le forme di prelievo possono essere intese sia in senso positivo, nel senso che il concedente si appropria di alcuni diritti o usufruisce di alcuni tributi, sia in senso negativo, quando cioè, rinuncia ad una o più prerogative. Seguono poi i campi relativi agli obblighi a cui sono tenuti i concessionari. Infine sono stati rintracciati alcuni esponenti di famiglie di feudatari presenti nel Catalogus Baronum ed esplicitati in nota i rispettivi riferimenti.

L’analisi dei documenti censiti ha consentito una rielaborazione statistica in grado di fornire una campionatura di dati inerenti la signoria. Le singole voci in cui è stato disgregato il documento sono state rielaborate sia in relazione alla regione geografica di appartenenza, sia in relazione alla cronologia documentaria. Si è poi deciso di scegliere l’anno 1130, per vedere eventuali mutamenti del regime signorile dalla data di costituzione della monarchia normanna di Ruggero II. La conquista normanna mutò il volto del potere in Italia meridionale e la monarchia uniformò sotto il suo potere ogni licenza signorile inglobando nel feudo l’aristocrazia militare che esercitava diritti di comando e di prelievo.

285

Si veda il Grafico n. 2, p. 624. 286 Si veda Tabella. n. 1, p 145. e p. 591.

93 I grafici e le tabelle formulate, in alcuni casi, riportano i valori in percentuale, espressa come numero di documenti che contengono lo specifico elemento signorile su quelli censiti, per permettere una comparazione tra le varie aree regionali e, all’interno dell’intero arco temporale considerato, tra le due fasi storiche scelte intorno al 1130. L’uso della percentuale è stato necessario in quanto alcune regioni hanno fornito un numero di carte inferiore ad altre. L’elevata presenza di ecclesiastici va ridimensionata in relazione al grado di conservazione delle carte presso questi enti. I documenti presenti all’interno delle edizioni di fonti miscellanee sono stati accorpati alla regione di appartenenza, quando la località era espressa.

Tra i documenti editi prevalgono atti privati di varia natura: concessioni, donazioni pro anima e contratti a pastinato. Valori simili si riscontrano tra le alienazioni, le conferme e i diplomi. In seguito alla costituzione della monarchia normanna si nota un aumento delle locazioni, delle controversie, delle rinunce e dei contratti ad enfiteusi, mentre diminuisce il valore delle donazioni287.

La Campania e la Puglia sono state le regioni più prolifiche dal punto di vista documentario. I codici diplomatici e i numerosi fondi archivistici degli archivi vescovili campani offrono fino alla fine del XIII secolo la trascrizione di una serie di contratti individuali di lunga durata che a volte portano all’alienazione della proprietà della terra da parte del concedente. I concessionari erano liberi nella coltivazione della terra e dovevano versare un canone. Molto alta è la percentuale dei contratti a pastinato che comportavano l’impianto di alberi e vigne e la corresponsione di un canone spesso ritardato. Tuttavia prevedevano che la proprietà di metà del campo andasse al coltivatore288. L’elevata presenza di contratti enfiteutici a differenza del pastinato, dava la facoltà al concessionario di avere dei terreni senza esserne il coltivatore e permettere poi di concederli sulla base di nuovi rapporti di dipendenza a carattere vassallatico-beneficiario.

Il Chronicon di Santa Sofia di Benevento è stato compilato intorno al 1119 e rappresenta il più antico cartulario dell’Italia meridionale. É formato da quattro parti: una versione degli Annales di Benevento, una collezione canonica consacrata