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Diritti di prelievo connessi alla titolarità del feudo

La richiesta di servizi, siano essi militari, di trasporto, inerenti la difesa e relativi alle prestazioni feudali, costituisce il quarto valore più alto del prelievo signorile. In Abruzzo e Calabria la percentuale raddoppia tra il periodo ducale e quello monarchico. Nelle restanti aree invece si dimezza.

L’attestazione di rapporti vassallatico-beneficiari è presente in Campania, specie nella zona di Aversa, dove circa quattro documenti menzionano la parola feudum. In uno del 1050 sono ravvisabili sia la coesione orizzontale all’interno della milizia e sia la struttura verticale feudale che garantiva la fedeltà; si legge infatti che Guglielmo Barbotus, unus ex militibus de Aversa, offriva sei moggia di terre alla badessa di San Biagio cum meis aliis fidelibus et militibus377.

Sebbene il numero dei feudi si affermò come strumento di legame utilizzato dal sovrano, i diritti connessi alla titolarità del feudo esplicitati chiaramente nei documenti sono pochi. Alcuni documenti, restituiti dalle regioni Abruzzo e Basilicata, registrano la loro presenza in epoca ducale378. Nel ducato pugliese il lessico feudale adottato non aveva diretta corrispondenza con il legame vassallatico. I termini fidelis e vassallus non rispecchiavano relazioni interne al mondo dell’aristocrazia bensì si riferivano a semplici dipendenti rurali. La situazione calabrese è differente. Sebbene in epoca pre monarchica i legami feudo-vassallatici non siano riscontrati, alcuni documenti e, in particolar modo la cronaca di Goffredo Malaterra, permettono di comprendere come l’aristocrazia militare fosse strettamente sottomessa al sovrano379. Nella fase monarchica, le carte che riportano la parola “feudo”, ne descrivono la consistenza in uomini, alcuni terreni di grandi dimensioni, le colturae, altri piccoli appezzamenti e vigneti380. In relazione ai

377 Si veda Appendice documentaria, Campania, da p. 317, docc. nn. 43-46-53.

378 Si veda Appendice documentaria, Abruzzo, p. 149, doc. n. 38; da p. 157, doc. n. 9ss. 379 G. N

OYÉ, Féodalité et habitat fortifié en Calabre dans la deuxième moitié du XIe siècle et le

premier tiers du XIIe siècle, in Structures féodales et féodalisme dans l’Occident méditerranéen (Xe- XIIIe siècles). Bilan et perspectives de recherches. Actes du Colloque de Rome (10-13 octobre 1978),

Rome 1980, pp. 607-630. 380

Si veda Appendice documentaria, Abruzzo, p. 182, doc. n. 40ss; p. 191, doc. n. 26ss; Basilicata, p. 212ss.

133 rapporti vassallatico-beneficiari, più comuni sono le richieste relative ai diritti feudali, quali adiutorio e adoa. Il prelievo dell’adiutorio, tributo straordinario sui beni stabili che i re richiedevano in casi particolari, è costante in Abruzzo, assente in Basilicata e Molise; con un lieve aumento in Puglia dopo il 1130. Relativo solo alle carte datate posteriormente al 1130, in Calabria e in Campania con valore stimato intorno al 2%. Un esempio di questo tipo di prelievo è attestato in una pergamena del 1123 in cui il vescovo di Penne Grimoaldo e l’abate di Carpineto, Giovanni, permutano «rebus proprietatis nostre pinnensis Ecclesie…cum suis pertinentibus

ecclesiis, terris, vineis, cultis et incultis, quarta et decima». L’abate concede al

vescovo in beneficio et in feudo altri castelli purché gli sia dato in festivitate Sancti

Bartholomei usque in octava sei denari e se il vescovo sarà coinvolto in qualche

disputa, adiutorium et consilium impendam. Per la conferma del patto e per il restauro della chiesa si deve versare alla chiesa vescovile ventiquattro denari ogni anno, il giorno dell’Assunzione o un bue l’anno. Sempre in Abruzzo nel 1207, La badessa del monastero di San Cosma di Tagliacozzo ha una controversia con il nipote Bartolomeo Girardi il quale vessa il monastero continuamente di richieste non lecite. La corte sentenzia di restituire alla badia le terre coltivate nonché le decime sul mulino e sul vino. La badessa pretende anche la corresponsione dell’adiutorio. Nella sentenza del 1158 a favore dei cittadini di Corato contro le pretese dei baroni, si giunge a sancire la libera disposizione dei beni acquisiti dopo l’assegnazione dei feudi in cambio della corresponsione dell’adiutorio381

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Nel 1137 un privilegio di re Ruggero II concede alla città di Benevento l’esenzione dal pagamento delle fidanze, tra cui donativi, opere, terratico, imposte su chiese e sugli abitanti. Il condono del pagamento dei relevi concedendo la libertà di usufruire dei pascoli, dei boschi e delle acque382.

La menzione del relevio è campana ed è attestata dopo il 1130. Il relevio, o laudemio, è quel tributo feudale dovuto al sovrano dal feudatario sia all’atto della sua investitura sia nel momento della sua successione feudale. Ciò consentiva agli eredi di conservare il possesso dei beni immobili dopo rinnovata investitura. Solitamente l’importo era pari a metà delle entrate provenienti dai beni del feudo, escludendo l’importo dell’adoa. Anche quest’ultima è riscontrata solo in questa regione. Si tratta del servizio in moneta che il feudatario prestava al sovrano in

381 Si veda Appendice documentaria, Puglia, p.550, doc. n. 53; Abruzzo p. 175; Campania, p. 354ss. 382 Si veda Appendice documentaria, Campania, p. 271.

134 sostituzione del servizio militare a cui era tenuto. Il diploma di Federico II del 1235 inerisce il comportamento della signora Teodora del casale di Santa Maria di Polla. Teodora impediva all’universitas di Polla e ai suoi uomini di fare legna, attingere acqua nel tenimento di Polla, il libero pascolo e il diritto di acquisto. La signora di Polla avanzava poi alcune pretese anche sull’universitas di Cava: il tributo feudale dell’adoa, la corresponsione dell’adiutorio e delle collette, sottoponendo gli abitanti a prestazioni di lavoro nei campi383.

La Platea della Contea di Sinopoli, versione latina del 1274, di un antico inventario redatto in greco nel 1194 a cui Guglielmo Ruffo, divenuto conte di Sinopoli, volle rapportarsi per ricostruire i beni di famiglia ereditati, è una testimonianza laica del sistema di gestione del patrimonio signorile. La Contea era in diocesi di Mileto e intorno alla prima metà del XIII secolo era stata affidata da Federico II a Carnelevario di Pavia che la trasmise alla figlia Margherita, sposa di Folco Ruffo. Oltre Sinopoli, furono compresi nella dote altri feudi di entità minore. La struttura della platea è articolata in diverse sezioni i cui blocchi principali sono costituiti dai quaterni in cui sono annotati iura et redditus del contado, in base a provenienza e consistenza. Nel territorio di Sinopoli si distinguono i doma, unità familiari che hanno ereditato gli obblighi con le terre, e gli aporia, i beni immobili, alcuni soggetti ad excadentia. Nell’elenco successivo vi è il patrimonio del casale di Sant’Eufemia e la registrazione dei diritti degli uomini recomandati e burgensi. Seguono poi i censi in denaro e in natura, con la dettagliata annotazione delle prestazioni personali. Oltre a Sinopoli sono registrati i casali Lacuzane, Sicri, SS. Procopio e Pteruse, Aquarii, Arduri, Caconitti, Ropila, Syderoni e S. Stephani; alcuni feudi e le terre del demanio. La fonte consente una ricostruzione dettagliata della struttura e dell’organizzazione territoriale. Le diverse categorie di beni immobili non sono descritte autonomamente ma considerate in funzione della rendita che producono per il mantenimento del signore, o dei vincoli imposti ai rispettivi concessionari384.

383 Si veda Appendice documentaria, Campania, p. 628. 384

La platea della Contea di Sinopoli (secoli XI-XII), P. De Leo (cur.), Soveria Mannelli 2006. Si veda Platee, p.

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