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L’analisi della mole di documenti raccolti sul territorio meridionale italiano ha confermato l’importanza del possesso delle terre nella genesi dei poteri signorili. La tabella numero 2 esprime le percentuali degli oggetti dei contratti, rendendo possibile una descrizione della consistenza del patrimonio signorile intorno al 1130318. Il 40% del totale degli oggetti presenti gli atti presi in esame ha per oggetto le terre, dotate di vigne, castagneti, alberi da frutto. Seguendo, la percentuale più alta dopo le terre è costituita dalle chiese, circa il 30%, di cui i monasteri costituiscono solo il 3%. Un dato che raggiunge evidenze elevate in epoca ducale, superiore al 100% nelle zone meno popolate come Basilicata, Calabria e Molise, mentre si nota un drastica riduzione dopo la costituzione della monarchia normanna. La percentuale delle concessioni di chiese precede di poco quella dei castelli, 13% della media totale e il 7% dei feudi e dei tenimenti. Entrambe queste voci, se esaminate all’interno delle stesse regioni, registrano aumenti in epoca monarchica. Dai documenti censiti risultano essere elevati anche i valori in percentuale dei mulini e dei boschi. Anche alcuni diritti di prelievo fiscale costituivano l’oggetto dei documenti studiati, in particolar modo il passaggio delle rendite derivanti dalle decime e il diritto di accogliere uomini nel proprio territorio. In Basilicata il valore dell’affidatura riscontrato nei documenti esaminati presenta un andamento costante tra l’epoca ducale e quella monarchica, mentre diminuisce di 7 punti circa in Puglia dopo il 1130.

In base ai dati estrapolati dal censimento delle fonti, le prestazioni di lavoro non costituivano una fonte di reddito rilevante, infatti raggiungono in media l’8% totale tra tutte le regioni prese in esame.

L’effettivo potere signorile però non era qualificato dalle prestazioni d’opera dei sottoposti319. Il servo era spesso accasato su un manso e gli oneri che gravavano su

318 Si veda Tabella n. 2, pp. 669-670. 319 T

108 di lui erano più consistenti del lavoro svolto sul dominico. Il valore intrinseco alle cosiddette opere risiedeva piuttosto nel potere simbolico della soggezione che esse esprimevano nella società. La dipendenza giuridica da un altro individuo era il primo indizio dell’efficacia di una preminenza signorile.

I vincoli posti dal signore nell’alienazione dei beni immobili, i diritti signorili che subentrano nell’eredità dei possedimenti, i controlli sui matrimoni tra persone estranee alla signoria e gli obblighi di residenza costituiscono validi indizi di dipendenza. Tra essi l’exitura, un obbligo di residenza indiretto. Nella maggior parte delle regioni del Mezzogiorno gli obblighi di residenza sono attestati dall’XI secolo in avanti. Nel 1081 il chierico Bonifacio rettore di San Michele Arcangelo stipula un contratto a pastinato con un certo Pietro. Egli avrebbe dovuto coltivare e migliorare una terra con vigna e alcuni alberi da frutto per quattro anni. Avrebbe dovuto corrispondere al suo signore ogni anno un terzo dei prodotti e avrebbe dovuto occuparsi del trasporto della metà del raccolto al monastero. Bonifacio permetteva a Pietro di uscire dal fondo con i suoi beni al termine del contratto ma dietro pagamento della tassa di uscita320. A Conversano, un contratto a enfiteusi del 1172 coinvolge l’abate Eustasio e due coloni otrantini per alcuni terreni e le loro pertinenze. Tuttavia l’abate si riserva l’uso esclusivo di un pozzo e affida al suo baiulo la prerogativa di stabilire l’estensione del terreno da semina e il posto dove Pietro potrà edificare casa. Il colono deve coltivare i terreni, riedificare la chiesa distrutta, versare la decima sui prodotti, pagare l’uso dei buoi otto provesini. Per ottenere la licenza di matrimonio verserà il censo in moneta di un provesino. Per poter lasciare il fondo dovrà vendere lo stabile a un abitante appartenente alla stessa signoria e fornire pro exitura una libbra di cera321. Alcuni dipendenti poi dopo essere migrati conservavano per alcuni anni il diritto a riprendere possesso dei beni ricevuti in concessione.

In Calabria la signoria controllava in modo pervasivo i territori e vincolava i rustici ad una condizione di piena subordinazione. Gli stessi inventari che riportano nominalmente i dipendenti con le entrate signorili è testimonianza di come questi individui, sebbene fossero piccoli e medi proprietari terrieri, fossero vincolati alla terra.

320 Si veda Appendice documentaria, Campania, p. 389, doc. n. 51. 321 Si veda Appendice documentaria, Puglia, p. 513, doc. n. 122.

109 Nella Platea dell’arcivescovo di Cosenza, all’interno delle singole località del patrimonio ecclesiastico, erano menzionati i beni costituenti la riserva signorile322. La riserva della mensa episcopale è inserita nella descrizione dei beni feudali ed è composta da casalina, terreni e benefici ecclesiastici dichiarati in demanio. La diocesi nel distretto cittadino, formata dai rioni e dai convicinia, si distingueva dai quartieri nella pars indominicata, Umale, Santa Croce e San Pietro. I beni inclusi nella città erano prevalentemente case e orti, mentre al di fuori di essa si collocavano i tenimenta e le colturae. L’elenco delle chiese censuali che versavano all’anno il

canonicon alla mensa episcopale, in proporzione alla consistenza patrimoniale,

erano circa una trentina nel territorio cittadino; un centinaio quelle della circoscrizione diocesana, per un censo totale di oltre quattrocento tarì323. Una particolarità era costituita dalle chiese dislocate nel territorio di Rose, affidate alla disponibilità della mensa episcopale, i cui ministrantes versavano un tributo più gravoso di quello delle censuali. I fedeli delle chiese censuali erano tenuti a corrispondere quote dei prodotti della terra e degli animali alle chiese che curavano il culto e i sacramenti.Probabilmente metà degli introiti connessi con le decime era destinata al canonico beneficiato e la restante quota alle esigenze collegate al culto. La quarta funeraria e quella sui legati pii era divisa dal vescovo cum capitulo et

sacramentario324. Le prebende registrate sono nove e il documento riporta brevi accenni a benefici presenti in quasi tutti i castra, gestiti dal clero locale. Per quanto riguarda le rendite, gli introiti provenienti dalla locazione della proprietà della mensa vescovile erano in moneta, in cera e in incenso nel distretto cittadino, mentre in ambito diocesano, si aggiungevano frumento, grano, orzo e donativi.

322

DE LEO, Un feudo vescovile cit., p. 23. 323 ibid., p. 60.

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