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Confronto con i limiti della giurisdizione amministrativa al cospetto d

un atto politico

Per una maggiore comprensione dell’incidenza del sindacato costituzionale su una questione politica si rende necessario estendere l’analisi all’operatività del sindacato del giudice amministrativo in presenza di un atto politico. Ciò risulta essenziale non solo perché l’ambito del processo amministrativo è la sede nella quale si è posto per la prima volta il problema della sindacabilità di un atto politico, ma anche perché i risultati raggiunti in tale sede possono costituire un utile riferimento, sia pure con le dovute differenziazioni in ragione della diversità dei due piani coinvolti, per avallare o meno le soluzioni concretamente operate dalla stessa giurisprudenza costituzionale rispetto alle questioni politiche.

121

V. CRISAFULLI, Osservazione alla sent. 56/1958, in Giur. cost., 1958, 868 s.

122 Sebbene proprio questo sia un ambito particolarmente delicato, in quanto «la linea di

confine tra legittimità e merito diventa estremamente sottile e rischia di essere oltrepassata»: V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, II, cit., 371.

L’indagine si muove in una cornice all’interno della quale figura un dato di comune rilievo, in quanto sia il sindacato della Corte costituzionale che quello del giudice amministrativo potrebbero investire un atto espressione del potere politico, ma inevitabilmente i limiti di tali due giurisdizioni non possono che atteggiarsi differentemente.

Innanzitutto, è necessario delimitare la categoria, notevolmente discussa, di atto politico123, per come sviluppatasi in seno al diritto amministrativo, in quanto da una simile qualificazione dipende l’ambito applicativo dell’art. 31 del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054 (Approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato) che esclude l’impugnabilità giurisdizionale degli atti emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico124

e la sua compatibilità con il disposto dell’art. 113 della Costituzione che prevede che «contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi». Plurime sono le impostazioni elaborate dalla dottrina per individuare l’aspetto qualificante dell’atto politico in modo tale da differenziarlo dall’atto amministrativo125

e delimitare conseguentemente l’area della sindacabilità giurisdizionale. Una prima teoria che si è affermata è quella del movente o della causa soggettiva, in base alla quale è politico l’atto volto al perseguimento di un fine politico, in quanto politici sono i motivi che hanno indotto l’autore dell’atto ad adottarlo126. Tuttavia, questa ricostruzione è stata fortemente criticata per l’assenza di un criterio oggettivo, dal momento che fa dipendere la qualificazione dell’atto dai motivi che l’hanno ispirato, rimettendo

123 Per una ricostruzione di tale categoria, la cui origine è rintracciabile in Francia

nell’interpretazione data dalla giurisprudenza del Conseil d’Etat, v. E CHELI, Atto politico e funzione d’indirizzo politico, cit., 3 ss.; P. BARILE, Atto di governo (e atto politico), in Enc. dir., IV, 1959, 221 ss.; O. RANELLETTI - A. AMORTH, Atti politici (o di governo), in Noviss. Dig. It., I, 1957, 1511 ss; C. DELL’ACQUA, Atto politico ed esercizio di poteri sovrani, Padova, 1983; G. B. GARRONE, Atto politico (disciplina amministrativa), in Dig./ Disc. pubbl., I, 1987, 544 ss.; G. GROTTANELLI DE’ SANTI, Atto politico e atto di governo, in Enc. giur., IV, Roma, 1988, 1 ss.; D. PERUGINI, Sul cd. atto politico come atto non impugnabile, in L’invalidità amministrativa, a cura di V. Cerulli Irelli, L. De Lucia, Torino, 2009; A. ROMANO TASSONE, Atto politico e interesse

pubblico, V. CERULLI IRELLI, Politica e amministrazione tra «atti politici» e atti «di alta

amministrazione», O. RAGOZZINO, Brevi riflessioni in tema di criteri identificativi dell’atto

politico alla luce della recente giurisprudenza amministrativa, tutti in AA.Vv., L’interesse

pubblico tra politica e amministrazione, a cura di A. Contieri, F. Francario, M. Immordino, A.

Zito, Napoli, 2010, I, risp. 311 ss., 321 ss. e 687 ss.

124 Preclusione già prevista nell’art. 24 della legge n. 5992 del 1889. 125 E in particolar modo dall’atto di alta amministrazione.

126 Cfr., ad es., V. F

quindi all’autore la possibilità di sottrarre l’atto al sindacato giurisdizionale sulla scorta di presunte finalità politiche che lo sorreggono. Altra impostazione è quella empirica (o altrimenti definita come teoria “casistica”), in quanto ritiene che non sia possibile identificare astrattamente la nozione di atto politico, ma che sia necessario effettuare un’analisi in relazione ai casi concreti: l’atto politico è quello che nel caso concreto è ritenuto tale dagli organi di giustizia amministrativa127. Tale teoria finisce però con il non fornire alcuna soluzione al problema qualificatorio dell’atto politico. Ulteriore elaborazione è la c.d. teoria della causa obiettiva, che identifica come politico l’atto che è causato da interessi fondamentali dello Stato unitariamente intesi128. Quest’ultima impostazione è stata quella maggiormente seguita e variamente sviluppata e che ha condotto alla valorizzazione dell’interdipendenza necessaria tra atto politico e funzione di indirizzo politico. Tale stretta complementarietà ha determinato differenti qualificazioni degli atti politici: come atti che da «supreme considerazioni

dell’interesse generale dello Stato nella sua unità sono causati, sia che

concernano la determinazione delle finalità stesse dello Stato, sia che riguardino il funzionamento organico dei pubblici poteri e l’osservanza della costituzione dello Stato»129; come atti posti in essere «dagli organi costituzionali investiti della

funzione di indirizzo politico e caratterizzati da un elemento di libertà nel fine, o,

con sintesi maggiore, gli atti costituzionali che si presentino liberi nel fine»130; come atti attraverso i quali si manifesta «l’attività di direzione suprema della cosa pubblica (l’indirizzo politico) e l’attività di coordinamento e controllo delle singole manifestazioni in cui la direzione stessa si estrinseca»131.

Nonostante tali tentativi qualificatori, non vengono eliminate le difficoltà nel riconoscere la presenza di un atto politico che si rende essenziale per comprendere quali atti non siano sindacabili. La ratio di tale insindacabilità è stata

127 U. S

ALANDRA,Corso di diritto amministrativo, Roma 1921, 157 ss.; B. LIUZZI,Sulla nozione di atto di governo, in Foro amm., 1927, IV, 51 ss.

128

O. RANELLETTI,Principi di diritto amministrativo, Napoli 1912, 339 ss.; S. ROMANO,

Corso di diritto amministrativo, Padova, 1930, 4 s. 129 O. R

ANELLETTI - A. AMORTH, Atti politici (o di governo), cit., 1513.

130 E. C

HELI, Atto politico e funzione d’indirizzo politico, cit., 181. L’A. evidenzia che l’atto politico presenta due elementi, dati dalla natura costituzionale dell’atto e dalla libertà del fine, che sono tra loro strettamente congiunti di talché « tutti gli atti politici sono costituzionali, non tutti gli atti costituzionali presentano una natura politica» (182).

131 A.M. S

inizialmente ricondotta alla presunzione di legittimità in quanto finalizzati al governo della cosa pubblica e, successivamente, ricollegata alla loro assoggettabilità al solo controllo politico. In particolar modo, l’orientamento prevalente ritiene che gli atti politici sfuggano al sindacato giurisdizionale in considerazione del fatto che, dato il loro carattere di libertà nel fine, non possano ledere diritti soggettivi e interessi legittimi, che sono le situazioni soggettive cui l’ordinamento assicura la tutela giurisdizionale132

.

L’esigenza di assicurare il rispetto dei principi costituzionali in tema di tutela giurisdizionale ha indotto la giurisprudenza amministrativa ad interpretare l’art. 31 del T.U. n. 1054 del 1924133

in modo restrittivo, per evitare di estendere l’area della non sindacabilità: le ipotesi di atto politico, in quanto tale sottratto al sindacato giurisdizionale, presentano carattere eccezionale rispetto alla regola generale della tutela giurisdizionale ex art. 113 Cost.134. A fronte di una simile lettura, secondo le scelte ermeneutiche del Consiglio di Stato135, l’atto è politico quando: dal punto di vista soggettivo proviene da un organo costituzionale, riguardato oggettivamente costituisce estrinsecazione dell’esercizio del potere politico ed inoltre, non essendovi parametri giuridici alla stregua dei quali effettuarne una verifica, «le uniche limitazioni cui l’atto politico soggiace sono costituite dall’osservanza dei precetti costituzionali, la cui violazione può giustificare un sindacato della Corte costituzionale di legittimità sulle leggi e gli

132 R. G

AROFOLI – G. FERRARI,Manuale di diritto amministrativo, cit., 849.

133 Con l’entrata in vigore della Costituzione si erano posti problemi di costituzionalità

dell’art. 31 ed erano state avanzate due possibili letture conducenti a risultati differenti in termini di legittimità di tale articolo: infatti, se con la «dizione atti emanati dal governo nell’esercizio del potere politico» si intendono «atti formalmente e sostanzialmente amministrativi, per quanto ispirati a finalità di natura politica», l’art. 31 non può che essere considerato costituzionalmente illegittimo; mentre se si fa riferimento «agli atti costituzionali del Governo» è possibile mantenere margini di validità a tale articolo, sia pur nella necessità di interpretarlo in maniera restrittiva (E. CHELI,Atto politico e funzione d’indirizzo politico, cit., 187).

134 Ex multis T.A.R. Lazio- Roma, sez. III-ter, 16 novembre 2007, n. 11271; Cons. St.,

sez. IV, 18 novembre 2011, n. 6083 e Cons. Stato, sez. V, 6 maggio 2011, n. 2718.

135

Cfr. ad es. Cons. St., sez. IV, 29 febbraio 1996, n. 217; Cons. St., sez. IV, 12 marzo 2001, n. 1397; Cons. St., sez. V, 23 gennaio 2007, n. 209.

Non mancano più recenti definizioni di atto politico, pur sempre collocantisi nella linea interpretativa del Consiglio di Stato, in base alle quali: «hanno, difatti, natura politica solo gli atti che sono riferibili ad organi costituzionali dello Stato, collegati immediatamente e direttamente alla Costituzione e alle leggi costituzionali, nei quali si estrinsecano l'attività di direzione e controllo delle singole manifestazioni in cui la direzione stessa si esprime nel rispetto degli interessi del regime politico canonizzati nella Costituzione»: TAR Lazio, Roma, sez. II ter, 28 maggio 2004, n. 5076, e T.A.R. Lazio – Roma, sez. I, 5 marzo 2012, n. 2223.

atti aventi forza di legge o in sede di conflitto di attribuzione su qualsivoglia atto lesivo di competenze costituzionalmente garantite»136.

L’individuazione di tali tratti caratteristici della nozione di atto politico comporta, tuttavia, notevoli difficoltà nel riconoscimento concreto, fortemente acuite in considerazione della diffusione anche a livello locale della funzione di indirizzo politico, in quanto la ridotta dimensione dell’ente che può venire in rilievo rende ancor più difficile distinguere l’atto afferente l’indirizzo politico da quello che, invece, concerne la gestione. Un esempio di tale situazione che ha notevolmente interessato la giurisprudenza amministrativa è quello relativo alla qualificazione in termini politici o amministrativi degli atti compiuti dagli organi di vertice degli enti locali137.

L’attenzione su simili problematiche permane nella sua attualità anche in considerazione della riproposizione ad opera dell’art. 7 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (codice del processo amministrativo) della non impugnabilità degli atti politici. Pertanto, dall’analisi del dato normativo emerge che la qualificazione in termini politici di un atto ne determina la non assoggettabilità al controllo del giudice amministrativo; tuttavia la giurisprudenza permane ferma

136 Cons. St., sez. V, 12 luglio 2011, n. 4502.

137 In particolar modo, la questione si è posta in relazione alla revoca dell’assessore

comunale ad opera del sindaco. Un primo orientamento(nel quale si inscrive la posizione ad es. del T.A.R. Liguria, 7 dicembre 2004, n. 1600) propende per la natura politica valorizzando da un lato, le implicazioni che discendono dalla modifica del Titolo V della Costituzione operata dalla legge costituzionale n. 3 del 2001(ed in particolare le modifiche che hanno interessato gli artt. 114, comma 1, e 117, comma 6, Cost.) e, dall’altro quelle relative alle modalità di elezione del sindaco e delle procedure di nomina e di revoca degli assessori che consentono di considerare la revoca come atto emesso nell’esercizio delle funzioni di indirizzo politico(da un lato, infatti, l’art. 46 del TUEL evidenzia che gli assessori sono “collaboratori” del sindaco e quest’ultimo gode di un potere di nomina e di revoca sulla base di un rapporto sostanzialmente fiduciario, con la conseguente necessità che i componenti della giunta perseguano collegialmente gli obiettivi del governo locale, sicché gli assessori debbono godere la piena fiducia dell’organo responsabile dell’ente; dall’altro le modifiche costituzionali operate nel 2001 consentono di delineare una visione degli enti locali quali livelli autonomi di governo, capaci di perseguire un proprio indirizzo politico- amministrativo.). Il secondo orientamento (v., ad es., Cons. St., sez. V, 23 gennaio 2007, n. 209) riconosce, invece, la natura amministrativa di un simile atto di revoca in considerazione dell’assenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti per l’atto politico: infatti, il sindaco non può essere considerato organo costituzionale e l’atto di revoca non è in realtà libero nei fini, in quanto risulta volto a migliorare la compagine di ausilio del sindaco o ad assicurare la coesione della giunta. Quest’ultima è la ricostruzione prevalentemente seguita dalla giurisprudenza, che riconosce nell’atto di revoca un atto posto in essere da un’autorità amministrativa e nell’esercizio di un potere amministrativo sia pur ampiamente discrezionale. Una simile qualificazione consente, quindi, la sindacabilità del relativo atto. Divergenze sorgono in relazione all’estensione del sindacato giurisdizionale, in merito alla valutazione dei soli profili formali e procedimentali della revoca o anche dell’effettuazione di un sindacato sostanziale, volto a prendere in considerazione, quale parametro di legittimità, anche la funzione tipica del potere di revoca.

nell’interpretare in modo restrittivo la categoria dell’atto politico138: «l’atto politico costituisce ipotesi eccezionale – come tale soggetta a stretta interpretazione, anche in applicazione dell’art. 113 della Costituzione – di sottrazione al sindacato giurisdizionale di atti soggettivamente e formalmente amministrativi, ma costituenti espressione della funzione di direzione politica dell’ordinamento»139. Un simile orientamento ha determinato l’ampliamento dell’opposta categoria degli atti di alta amministrazione che, sia pur nelle peculiarità che li connotano quali anello di congiunzione tra il momento politico e quello amministrativo140, rientrano nell’alveo degli atti amministrativi ed in quanto tali pienamente sindacabili; in tal modo, la giurisprudenza tende ad assicurare il rispetto dell’art. 113 Cost.

Sintomatico è che nella maggior parte delle ipotesi141 nelle quali la giurisprudenza amministrativa tenta di ricostruire la nozione di atto politico giunga nella fattispecie concreta a negarne la configurazione142. Ciò in quanto il riconoscimento della qualifica di atto politico viene limitati ai casi in cui ci sia l’esercizio di «scelte di specifico rilievo costituzionale e politico, ed in cui la qualificazione di “atti amministrativi” non sarebbe corretta»143

.

D’altronde, l’avvertita esigenza di restringere l’area della non sindacabilità rinviene un non irrilevante input nel progressivo riconoscimento di una maggiore

138 Così, ad es., è stata negata la natura di atto politico al diniego opposto dalla Presidenza

del Consiglio dei Ministri alla Unione degli atei e degli agnostici razionalisti di avviare trattative finalizzate alla stipula di un’intesa con lo Stato ai sensi dell’art. 8, comma 3, della Costituzione, al pari di quanto avvenuto con diverse confessioni religiose (Cons. St., sez. IV, 18 novembre 2011, n. 6083).

139 Cons. St., sez. V, 6 maggio 2011, n. 2718. 140

Sono stati, infatti, definiti come una «cerniera tra indirizzo politico e funzione amministrativa, collocandosi in una terra di mezzo dai confini non sempre chiari. Ecco perché la giurisprudenza è investita di una delicata opera qualificatoria rispetto agli atti politici da calibrare sulle specificità dei casi concreti» (G. PEPE, Atti politici, atti di alta amministrazione, leggi-

provvedimento: forme di controllo e tutela del cittadino, in www.giustamm.it).

141 Cfr. ex multis T.A.R. Lazio – Roma, sez. III-ter, 17 dicembre 2007, n. 13365; T.A.R.

Lazio – Roma, sez. II, 15 dicembre 2007, n. 13361; Cons. Stato, sez. IV, 15 giugno 2007, n. 3286.

142

Non mancano, sia pur in forma episodica, situazioni inverse v. ad es. T.A.R. Puglia, sez. I, 20 dicembre 1990, n. 970; Cons. Stato, sez. IV, 29 luglio 2008, n. 3992 (si tratta della c.d. ordinanza “Dal Molin”, nella quale vengono riconosciuti integrati nel caso concreto i requisiti soggettivo ed oggettivo che conducono al riconoscimento della natura politica dell’atto, in quanto proviene dal Governo e riguarda scelte di specifico rilievo costituzionale, id est la politica internazionale dello Stato).

143 Tale posizione trova conferma non solo nelle decisioni della giurisprudenza

amministrativa (v. ad es. Cons. Stato, sez. IV, 29 luglio 2008, n. 3992), ma anche della giurisprudenza ordinaria (come accade nella sent. n. 11623 del 2006 delle S.U. della Cassazione).

responsabilizzazione degli organi politici, riconducibile al venir meno del c.d. “dogma” dell’irresponsabilità dello Stato144

, dovuto non solo ad una rivisitazione del concetto stesso di sovranità, ma anche ai forti influssi provenienti dalle posizioni dell’Unione europea145

.

In un simile percorso si inserisce un’importante pronuncia della Corte costituzionale, resa con la sent. n. 81 del 2012146, che, nell’esaminare il conflitto di attribuzioni fra enti sollevato dalla Regione Campania a seguito della decisione del Consiglio di Stato in tema di parità di genere nella composizione degli organi regionali, e pur pervenendo ad una declaratoria di inammissibilità, fornisce elementi utili per una migliore comprensione della categoria dell’atto politico e dei limiti incontrati dalla giurisdizione amministrativa. La Regione Campania ha sollevato il conflitto per violazione dell’art. 122, comma 5, Cost., in relazione alla sentenza del Consiglio di Stato, sezione V, 27 luglio 2011, n. 4502, con la quale era stata confermata la decisione, assunta dalla sez. I del T.A.R. Campania147, di annullamento del decreto del Presidente della Giunta regionale di nomina di un assessore, per violazione dell’art. 46, comma 3, dello statuto della Regione Campania, in quanto non idoneo a garantire il «pieno rispetto del principio di una

equilibrata presenza di donne ed uomini». Per i profili di tale conflitto che

144 Cfr. R. B

IFULCO, La responsabilità dello Stato per atti legislativi, Padova, 1999; M. RUOTOLO, Legge, diritto comunitario e responsabilità civile dello Stato, in AA.Vv.,

Trasformazioni della funzione legislativa, a cura di F. Modugno, Milano, 1999, 395 ss.; G.

PISTORIO,Responsabilità del legislatore, in Diz. dir. pubbl., a cura di S. Cassese, V, Milano, 2006,

5111 ss.

145 Basti, infatti, pensare al riconoscimento di responsabilità dello Stato membro per il

mancato recepimento di una direttiva comunitaria, attraverso la categoria del c.d. illecito comunitario fonte di responsabilità e di conseguente risarcimento del danno provocato: cfr. per una ricostruzione a titolo esemplificativo M. CARTABIA, Omissione del legislatore, diritti sociali e

risarcimento dei danni (a proposito della sentenza «Francovich» della Corte di Giustizia delle Comunità europee), in Giur. cost., 1992, 505 ss.; F. TORIELLO, La responsabilità civile dello Stato

per violazione del diritto comunitario nella giurisprudenza della Corte di giustizia, in Contr. impr. eur., 1997, 682 ss.; A. DI MAJO, Responsabilità e danni nelle violazioni comunitarie ad opera

dello Stato, in Eur. dir. priv., 1998, 745 ss.; L. FUMAGALLI, La responsabilità degli Stati membri

per la violazione del diritto comunitario, Milano, 2000; E. CALZOLAIO, La responsabilità degli

Stati membri per violazione del diritto comunitario, Milano, 2004. 146 V. tra i primi commenti a tale decisione R. D

ICKMAN, L’atto politico questo

sconosciuto, in www.forumcostituzionale.it; F. BILANCIA, Ancora sull’ “atto politico” e sulla sua

pretesa insindacabilità. Una categoria tradizionale al tramonto?, in www.rivistaaic.it, 4/2012; F.

BLANDO, «Atto politico» e «Stato di diritto» nella sent. n. 81 del 2012 della Corte costituzionale, in www.forumcostituzionale.it.

interessano ai fini della presente trattazione148, si deve considerare che la Regione ritiene che l’atto di nomina dell’assessore presentando una natura politica non avrebbe potuto costituire oggetto di sindacato ad opera della giurisdizione amministrativa. Nonostante la Corte adotti una decisione di inammissibilità, in motivazione, sviluppa delle argomentazioni che non potranno non influenzare gli sviluppi successivi dell’annosa quaestio della sindacabilità dell’atto politico. Infatti, secondo la Corte costituzionale il riconoscimento della natura politica di un determinato atto non preclude in senso assoluto la sua sindacabilità: occorre piuttosto riconoscere che sussistono, anche rispetto agli atti politici, dei “limiti” ravvisabili in taluni principi del sistema giuridico, sicché ne va garantita l’osservanza attraverso uno scrutinio sul relativo atto.

Pertanto, il mantenimento della validità della categoria dell’atto politico non impedisce di prendere atto della configurabilità di spazi della discrezionalità politica, che pur essendo tali, «trovano i loro confini nei principi di natura giuridica posti dall’ordinamento, tanto a livello costituzionale quanto a livello legislativo; e quando il legislatore predetermina canoni di legalità, ad essi la politica deve attenersi, in ossequio ai fondamentali principi dello Stato di diritto. Nella misura in cui l’ambito di estensione del potere discrezionale, anche quello amplissimo che connota un’azione di governo, è circoscritto da vincoli posti da norme giuridiche che ne segnano i confini o ne indirizzano l’esercizio, il rispetto di tali vincoli costituisce un requisito di legittimità e di validità dell’atto, sindacabile nelle sedi appropriate»149.

La portata di tali affermazioni potrebbe risultare dirompente nell’ambito di un consolidato orientamento volto a negare la sindacabilità di un atto che presenti le caratteristiche soggettive ed oggettive per una qualificazione in termini di politicità: anche l’atto politico potrà essere oggetto di sindacato nella misura in cui entri in contrasto con un parametro giuridico, sia pur di peculiare connotazione. Ne discende che «la circostanza che il Presidente della Giunta sia un organo politico ed eserciti un potere politico, che si concretizza anche nella nomina degli

148

Ulteriore profilo è quello dell’eventuale tentativo della Regione di ottenere un riesame nel merito della sentenza del Consiglio di Stato, mediante la denuncia di un vero e proprio error in