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Incidenza delle dinamiche processuali sul ruolo e sulla legittimazione

Q UESTIONE POLITICA E GIUDIZIO IN VIA INCIDENTALE : I PROFILI PROBLEMATIC

3. Incidenza delle dinamiche processuali sul ruolo e sulla legittimazione

della Corte costituzionale

Per meglio comprendere i risvolti problematici della linea di confine tra non giustiziabilità e denegata giustizia, e prima di affrontare l’ulteriore problema che può originarsi dall’incontro tra questione politica ed uso, ad opera del giudice delle leggi, di uno strumento processuale e di come ciò vada letto alla luce delle caratteristiche del nostro sistema di giustizia costituzionale, occorre prendere in considerazione, in linea generale, le modalità mediante le quali le dinamiche processuali possano incidere sul ruolo e sulla legittimazione della Corte50.

la decisione della Corte determina delle gravi conseguenze, da un lato, sulle situazioni giuridiche soggettive, e, dall’altro, sulla garanzia della legalità costituzionale.

49

A. SAITTA, Logica e retorica nella motivazione delle decisioni della Corte

costituzionale, cit., 315 s.

50 Da una parte della dottrina è accolta la tesi della distinzione tra “legittimità” e

“legittimazione”, intendendo con la prima nozione «una condizione del potere e delle sue manifestazioni (e dunque si apprezza in una prospettiva statica)», mentre con la seconda si descrive «un processo, un’attività, e perciò si colloca in una prospettiva dinamica» (L. D’ANDREA,

Ragionevolezza e legittimazione del sistema, cit., 318). O, ancora si potrebbe identificare la

legittimazione “nella capacità del potere di suscitare consenso”, mentre la legittimità “nel potere giusto e meritevole di accettazione” (F. LANCHESTER, Legittimità e legittimazione: la prospettiva

del costituzionalista, in Il politico, 1998, 552).

Per una visione generale sul problema della legittimazione degli organi costituzionali v. L. MEZZETTI, Teorie della giustizia costituzionale e legittimazione degli organi di giustizia

A tal fine, è necessario valutare quale sia il grado di operatività e di vincolatività delle regole processuali51. Si tratta di una tematica, oggetto di numerose riflessioni in dottrina52 e che si scontra con un’eterogeneità della fonte produttiva delle regole stesse. Difatti, accanto a regole prodotte da fonti legislative di vario livello, si affiancano regole frutto del potere di autonormazione della Corte e di creazione giurisprudenziale. La singolarità di una tale situazione, se confrontata con le esperienze processuali comuni, ha reso di maggiore rilievo l’attenzione per il rispetto che la Corte ha o deve avere delle regole processuali. A tal proposito è possibile individuare fondamentalmente due posizioni contrapposte in ordine alla vincolatività o meno delle regole processuali.

Un primo orientamento nega l’opportunità che le regole processuali presentino una vincolatività stringente nei confronti della Corte e ritiene necessaria la presenza di «ampi margini di discrezionalità»53. Tale caratteristica sarebbe funzionale a consentire alla Corte di discostarsi dalle regole processuali per meglio modulare la decisione in considerazione dell’“impatto ambientale”54 che quest’ultima potrebbe avere. Ne consegue che in tale prospettiva le regole processuali, talora percepite come «minuzie rituali»55, siano pienamente bilanciabili56 e sacrificabili in nome della tutela di altri principi, ed in particolar modo per consentire un «innesto ragionevole della giustizia costituzionale» nella forma di governo57.

costituzionale, in Estudios Constitucionales, Año 8, 1/2010, 307 ss.; nonché per ulteriori

ricostruzioni, tra i tanti, v. C. MEZZANOTTE, Corte costituzionale e legittimazione politica, cit.; E. W. BÖCKENFÖRDE, Stato, costituzione e democrazia, Milano, 2006; L. MEZZETTI -M.BELLETTI - E. D’ORLANDO - E. FERIOLI, La Giustizia costituzionale, cit., 168 ss.; L. D’ANDREA,La natura giurisdizionale della Corte costituzionale tra rappresentanza politica ed esigenza di chiusura del sistema, cit., 313 ss.; A. RUGGERI - A. SPADARO, Lineamenti di giustizia costituzionale, cit., 10 ss.

51 Cfr. sul tema R. R

OMBOLI, Il diritto processuale costituzionale dopo la “svolta”degli

anni 1987-1989, cit., 327. 52

Cfr. i contributi contenuti in AA.Vv., Giudizio “a quo” e promovimento del processo

costituzionale, cit.; nonché i richiami bibliografici fatti nella nota 26 del presente capitolo. 53 G. B

OGNETTI, La Corte costituzionale tra procedura e politica, cit., 224.

54 G. B

OGNETTI, La Corte costituzionale tra procedura e politica, cit., 224.

55 G. B

OGNETTI, La Corte costituzionale tra procedura e politica, cit., 234.

56

Di una bilanciabilità della coerenza processuale per assicurare un esito ragionevole del giudizio discorre C. MEZZANOTTE, Processo costituzionale e forma di governo, cit., 65 ss., spec. 69.

57 C. M

L’altra ricostruzione58

, invece, ritiene che un esito siffatto finirebbe con il cogliere solo uno dei due aspetti che connotano la giustizia costituzionale, impedendo di comprendere che la Corte non deve essere solo sensibile «ai condizionamenti d’ambiente che il sistema di governo determina», ma deve anche essere organo «delle aspettative di giustizia che provengono dalla società»59. Sicché può riconoscersi una vincolatività delle regole processuali, sebbene la capacità di vincolo esercitabile da queste regole deve essere intesa in relazione alle peculiarità che fanno sì che il giudizio della Corte sia un processo, ma pur sempre sui generis.

È stato evidenziato come l’adesione alla prima impostazione sia “censurabile” perché ricostruisce l’esigenza di ricorrere al bilanciamento delle regole processuali quale operazione essenziale per la legittimazione della stessa Corte60, il che conduce ad una visione parziale della stessa funzione della giustizia costituzionale che va, invece, riguardata in una prospettiva più ampia.

Riprendendo le considerazioni di una parte della dottrina, la «funzione della Corte è quella di emettere, a seguito di un processo in forma contenziosa, uniformandosi a un parametro normativo (di livello costituzionale) stabilito a priori, e non avendo di mira alcun’altra finalità che l’attuazione dell’ordinamento, una sentenza insuscettibile di successivi interventi esterni. Il quadro è puntualmente quello della funzione giurisdizionale. Né le cose mutano perché ne forma oggetto la materia politica»61. Da tale definizione – volta tra l’altro ad evidenziare il carattere materialmente giurisdizionale della funzione esercitata dalla Corte – emerge che il richiamo alla “attuazione dell’ordinamento”, non può essere meramente ridotto alla ricerca ad opera della Corte di legittimazione, ma comprende necessariamente un quid pluris. Quindi, ciò che connota il modus

operandi della Corte non può essere la spasmodica ricerca di legittimazione.

Sebbene non possa escludersi che una simile componente venga tenuta presente

58

G. ZAGREBELSKY, Diritto processuale costituzionale?, cit., 105 ss.

59

G. ZAGREBELSKY, Diritto processuale costituzionale?, cit., 122.

60 Cfr. A. M

ORELLI, Il ruolo e le funzioni della Corte costituzionale nella dinamica

dell’ordinamento democratico, cit., 417, che evidenzia come sia «discutibile proprio l’approccio

metodologico suggerito, volto a collocare entro la dinamica del “sistema di governo” lo studio dei meccanismi di funzionamento della giustizia costituzionale» e che «un’operazione del genere finisce col ridurre sensibilmente il ruolo e le competenze della Corte».

61 A.M. S

ANDULLI, La corte e la politica, in Scritti in memoria di Vittorio Bachelet, II, Milano, 1987, 485.

nella scelta della soluzione da approntare per la questione di legittimità sollevata, è necessario che non costituisca la finalità precipua dell’operato del giudice delle leggi, che è, invece, caratterizzato dalla stretta connessione tra la tutela oggettiva della legalità costituzionale e quella soggettiva dei diritti62.

L’esclusione di un mero arbitrio o di una discrezionalità assoluta della Corte nell’applicazione delle regole generali non impedisce, tuttavia, che sia possibile riconoscerne un uso flessibile allorquando ciò risulti idoneo ad assicurare la garanzia della legalità costituzionale con modalità più soft.

È pur vero che l’uso flessibile delle regole processuali potrebbe consentire alla Corte di effettuare una «accorta selezione politica delle controversie»63, ma per evitare che l’accentuazione di questo carattere conduca ad una assoluta libertà nella scelta dell’interpretazione da dare alla regola processuale64

, risulta essenziale, secondo quanto fatto notare in dottrina, che vi sia un “contenuto minimo essenziale” delle disposizioni processuali non disponibili ad opera del giudice65 o che comunque non vi sia un’applicazione irragionevole delle regole stesse66. Si potrebbe, quindi, distinguere tra bilanciabilità delle regole processuali

62 Cfr. A. R

UGGERI, La tutela delle situazioni soggettive tra dinamiche della normazione

ed esperienze di giustizia costituzionale, in AA.Vv., Nuove forme di tutela delle situazioni

soggettive nelle esperienze processuali. Profili pubblicistici, Milano, 2004, 358, che evidenzia che

«è ormai da tempo superata l’antica credenza secondo cui la giustizia costituzionale non sarebbe al servizio delle situazioni soggettive bensì esclusivamente della legalità costituzionale; e, invero, è acquisizione comune quella per cui la giustizia costituzionale – al pari di Giano bifronte – ha un volto orientato verso i soggetti e un altro a presidio della oggettiva coerenza dell’ordinamento sub

lege constitutionali. La stessa distinzione tra queste due facce è, anzi, ad ogni modo forzata, se si

conviene a riguardo del fatto che la tutela delle posizioni soggettive passa attraverso il ripristino dell’integrità costituzionale violata, così come, di rovescio, quest’ultima si risolve immediatamente in quella (quanto meno sul piano dei giudizi sulle leggi in via incidentale …)».

63 M. L

UCIANI, Corte costituzionale e unità nel nome dei valori, in AA.Vv., La giustizia

costituzionale ad una svolta, cit., 177. 64

R. ROMBOLI, Il diritto processuale costituzionale dopo la “svolta”degli anni 1987-

1989, cit., 328.

65 Tali regole, come messo in evidenza nel cap. II, sono individuate da V. O

NIDA nel seguente modo: «non spetta alla Corte stabilire se decidere o meno, come può fare un organo politico; non spetta alla Corte stabilire su cosa decidere, perché il materiale delle sue decisioni proviene dall’esterno; non spetta alla Corte, se non entro limiti determinati, stabilire quando occuparsi di un determinato tema» (Relazione di sintesi, in AA.Vv., Giudizio “a quo” e

promovimento del processo costituzionale, cit., 305). Alle quali, secondo altra dottrina, va

aggiunta quella dell’obbligo di motivazione di cui all’art. 111, comma 6, Cost. (R. ROMBOLI, Il

diritto processuale costituzionale dopo la “svolta”degli anni 1987-1989, cit., 329). 66 A. R

UGGERI, Presentazione del Convegno su I principi generali del processo comune

che, per le considerazioni precedenti, non può essere accolta67, e adattabilità delle stesse per assicurare una risposta “adeguata” alla domanda di giustizia costituzionale. D’altronde, la necessità di adattamenti risulta essere strettamente collegata alle specialità del processo costituzionale68.

L’eventuale ricorso a siffatti adattamenti e le inevitabili oscillazioni che possono esservi nella giurisprudenza costituzionale non escludono la necessità che siano rintracciabili «standards di comportamento che offrano, nei limiti del possibile, prospettive di certezza ai giudici e ai cittadini circa l’uso di mezzi processuali»69. Per tale motivo, risulta essenziale che le regole processuali siano rispettate dalla Corte costituzionale70, rectius che quest’ultima ne riconosca la non disponibilità “all’occorrenza”: la necessità che vi siano margini di certezza della tutela alla quale è chiamata il giudice delle leggi richiede una certa prevedibilità del comportamento del giudice71, assicurabile mediante la tendenziale osservanza delle regole processuali.

Il collegamento tra certezza ed effettività della tutela dovrebbe costituire, quindi, il tratto essenziale dell’agire della Corte costituzionale; tuttavia, non poche volte la concreta decisione nell’assicurare l’una delle due finisce con il penalizzare l’altra. Ne discende che il tentativo di individuare la soluzione ottimale che tenga in equilibrio, da un lato, la certezza delle regole processuali e, dall’altro, l’effettività della tutela dei diritti, è quanto mai difficoltoso, ponendo la Corte in bilico. Ciò nonostante, è fuor di dubbio che la ricerca di questo

67 Cfr. in tal senso anche le affermazioni del Presidente della Corte costituzionale P.

CASAVOLA, relazione su La giustizia costituzionale nel 1993, in www.cortecostituzionale.it, secondo cui «è stato osservato che le norme del processo costituzionale, costituendo l’unico limite all’attività di questo Collegio, non devono mai essere oggetto di bilanciamento con altri valori. L’affermazione, espressa in termini diversi, sta a significare che la Corte non ha alcuna discrezionalità nell’applicazione delle regole processuali e che, di converso, debbono essere guardate quanto meno con circospezione quelle disposizioni che simile discrezionalità sembrano conferire».

68 Cfr. in tal senso R. R

OMBOLI, Il diritto processuale costituzionale dopo la

“svolta”degli anni 1987-1989, cit., 327. 69

L. ELIA, Considerazioni sul tema, in AA.Vv., Giudizio “a quo” e promovimento del

processo costituzionale, cit., 98.

70 In dottrina è stato fatto notare che la Corte ha «pur tra alcune ambiguità e

contraddizioni, (…) tenuto ferma la necessità del rispetto delle regole processuali»: R. ROMBOLI,

Corte e diritti, cit., 12. 71

Cfr. R. ROMBOLI, Diritti fondamentali, tecniche di giudizio e valore delle disposizioni

processuali, in AA.Vv., La tutela dei diritti fondamentali davanti alle Corti costituzionali, a cura di R. Romboli, Torino 1994, 151 ss.; ID., Il giudizio di costituzionalità delle leggi in via

equilibrio, pur rappresentando un vero e proprio «dramma del diritto»72, debba costituire un’aspirazione del modus operandi della Corte stessa.

Tenendo ferme tali considerazioni, si può cogliere, quindi, l’ineliminabilità di margini di elasticità delle regole processuali, purché tale carattere non ponga in discussione l’esigenza di “precostituzione”73

della regola rispetto all’operato dell’organo chiamato a conformarvisi, in modo tale da assicurarne margini di prevedibilità74. Il che assicura la coerenza e la continuità della giurisprudenza costituzionale e garantisce l’ottenimento di un maggior grado di “accettabilità” della decisione. Ne deriva che, per valutare in che misura rispetto alla singola decisione tali condizioni siano rispettate, il vero e proprio banco di prova della legittimazione della Corte è rappresentato dalla motivazione: tanto più la giurisprudenza adotterà decisioni “coerenti”75

con motivazioni persuasive, tanto minori saranno i rischi di delegittimazione. Difatti, l’organo di giustizia costituzionale, per le caratteristiche che presenta nel nostro sistema, non può che trarre la propria legittimazione dalle modalità di esercizio della propria funzione76.

72 Espressione utilizzata, per indicare il più ampio rapporto che si instaura tra certezza e

giustizia, da F. CARNELUTTI, La morte del diritto, in AA.Vv., La crisi del diritto, Padova, 1953, 177.

73 Inoltre, l’esigenza della precostituzione delle regole e della loro tendenziale certezza si

avverte in modo pregnante soprattutto nel caso del controllo di ragionevolezza: difatti, queste componenti assicurano la linea divisoria tra giudizio di legittimità e giudizio di merito. In tal senso cfr. A. ANZON, Modi e tecniche del controllo di ragionevolezza, in La giustizia costituzionale a

una svolta, cit., 36.

74 Tale prevedibilità risulta, come evidenziato in dottrina, essere strettamente collegata

alla stessa certezza del diritto, cfr. L. GIANFORMAGGIO, Certezza del diritto, in Dig./Disc. priv., 1988, II, 274.

75 Termine da intendersi secondo la doppia accezione ravvisata in dottrina: quale coerenza

interna, dovendo il dispositivo «esser il conseguente punto finale di un adeguato ragionamento svolto, muovendo da certe premesse, appunto nella parte motiva» e come coerenza all’esterno, dovendo le singole pronunce «comporre un “indirizzo” giurisprudenziale (in senso proprio), e non una somma scomposta ovvero una sequela frammentaria di decisioni reciprocamente scollegate o, addirittura, palesemente incoerenti» (A. RUGGERI - A. SPADARO, Lineamenti di giustizia

costituzionale, cit., 170). 76 Cfr. E. B

INDI, La garanzia della Costituzione. Chi custodisce il custode?, Torino, 2010, 141 s., secondo la quale «le Corti, se vogliono svolgere il ruolo di garanti della Costituzione, terreno di unificazione-integrazione di diversi valori presenti in una società sempre più pluralista (…), è alla qualità del loro prodotto giurisprudenziale che devono guardare; all’equilibrio che mostrano nelle operazioni di bilanciamento, le quali devono servire ad assicurare il contenuto minimo essenziale dei diritti (…). Non è quindi una legittimazione ex ante, da elezione, collegata al circuito rappresentativo, ma ex post, da funzione».

4. Ricadute sul giudice a quo nel caso di una decisione di inammissibilità

per rispetto della discrezionalità del legislatore

La presenza di una questione politica e gli strumenti processuali sovente utilizzati dalla Corte per fornirne una “risoluzione” mettono, per così dire, sotto i riflettori in via diretta il rapporto intercorrente tra Corte e legislatore. Tuttavia, a ben vedere, gli “attori” della mise en scène sono tre, in quanto un ruolo non marginale è da riconoscere anche al giudice a quo, non tanto per la sua attività di impulso del sindacato di costituzionalità quanto piuttosto per le importanti scelte che lo stesso è chiamato ad effettuare dopo l’adozione di una pronuncia processuale motivata in riferimento al rispetto della discrezionalità legislativa.

Difatti, la possibilità della quale dispone la Corte nel gestire mediante una decisione processuale l’eventuale questione politico-discrezionale se, da un lato, consente al giudice delle leggi di non entrare nel merito della stessa per prevenire interferenze con il potere legislativo, dall’altro, lascia insoluti i dubbi di costituzionalità avanzati dal giudice comune con l’ordinanza di rimessione. Pertanto, l’interazione tra questione politica e sindacato costituzionale finisce con il riverberarsi in chiave problematica proprio su quel giudice che aveva richiesto l’intervento della Corte: il giudice viene, di fatto, lasciato «solo con i suoi problemi»77.

Si rende, quindi, necessario valutare quali siano le vie percorribili dal giudice a quo78, considerando che nel caso di una decisione di inammissibilità per salvaguardare la sfera riservata al legislatore si ha, come evidenziato in precedenza, una pronuncia processuale imperniata su un “vizio” non sanabile dallo stesso giudice79.

Dopo la decisione di inammissibilità, il giudizio principale, sospeso in attesa della pronuncia della Corte, prosegue ed il giudice deve pronunciarsi. Ma, a tal fine, la peculiare decisione costituzionale risulta di fatto poco utile: il giudice

77 L. C

ARLASSARE, Le «questioni inammissibili» e la loro riproposizione, cit., 165.

78 Per l’esame dei possibili effetti che una decisione di inammissibilità potrebbe produrre

nei confronti di giudici diversi da quello del processo principale v. G.P. DOLSO, Giudici e Corte

alle soglie del giudizio di costituzionalità, cit., 286 ss., spec. 298 ss.

79 Differentemente da quanto potrebbe essere nel caso, ad es., di una inammissibilità per

carente motivazione della rilevanza, in quanto questa carenza può ben essere colmata dal giudice a

dubitava o era certo della incostituzionalità della disposizione che era chiamato ad applicare nel giudizio per la sua prosecuzione e/o definizione, e tale stato permane nonostante l’avvenuta pronuncia del giudice delle leggi. Quid accidit?

A fronte di tale situazione lo scenario prospettabile non può che essere duplice: o il giudice, nonostante la funzione di «deterrente psicologico»80 che la decisione di inammissibilità dovrebbe determinare, propone nuovamente una questione di legittimità costituzionale o non propone una simile questione.

La configurazione della prima via comporta l’accettazione di una serie di considerazioni: che la pronuncia di inammissibilità non ha necessariamente effetti preclusivi per la riproposizione della questione81; che il carattere preclusivo dipende dalle ragioni per le quali l’inammissibilità è pronunciata82

; che l’inammissibilità per salvaguardare la discrezionalità del legislatore è, ordinariamente, indicativa di un ostacolo non superabile dal giudice a quo83; che in alcune circostanze la riproposizione, pur a fronte di un’inammissibilità per rispetto della sfera discrezionale del legislatore, costituisca una via percorribile.

Alla luce di tali precisazioni può ammettersi che, in date situazioni, il giudice, animato dalla necessità che sia la Corte a sciogliere i dubbi di costituzionalità relativi alla disposizione che egli reputa essenziale per il proprio giudizio, decida di riproporre la medesima questione già dichiarata inammissibile. Il che può determinare più percorsi nel tipo di scelta che la Corte dovrà effettuare sulla stessa questione di legittimità costituzionale. Difatti, può accadere che la Corte, mutando il precedente indirizzo, assuma una decisione di merito, a sua volta diversificabile in relazione alla formula adottata. Si tratta, tuttavia, di un

80 L. C

ARLASSARE, Le «questioni inammissibili» e la loro riproposizione, cit., 164.

81 V., ad es., le considerazioni di una parte della dottrina (V. C

RISAFULLI, Nota a prima

lettura a ord. n. 21 del 1979, in Giur. cost., 1979, 270), che nell’analizzare i caratteri delle

decisioni di inammissibilità e di restituzione degli atti evidenzia che la distinzione tra tali pronunce «è prevalentemente teorica perché, nel concreto dell’esperienza giurisprudenziale, il giudice a quo può riproporre la questione sia nell’una che nell’altra ipotesi, senza che la Corte opponga alcuna preclusione anche se era in precedenza intervenuta una sentenza di inammissibilità».

82 Cfr. M. L

UCIANI, Le decisioni processuali e la logica del giudizio costituzionale

incidentale, cit., 119 ss.; R. ROMBOLI, Carattere preclusivo delle decisioni di inammissibilità della

Corte costituzionale, errori di fatto e ammissibilità della revocazione, in Riv. dir. proc. civ., 1989,

1119 ss.; di recente sulla posizione assunta dalla Corte di cassazione in relazione al vincolo delle sentenze costituzionali v. anche E. LAMARQUE, Corte costituzionale e giudici nell’Italia

repubblicana, cit., 78 s. 83 G.P. D

esito di difficile concretizzazione84, in quanto la particolare delicatezza del motivo che aveva indotto a scegliere in prima battuta l’inammissibilità verosimilmente orienterà la Corte a far valere nuovamente quelle argomentazioni. Ciò non esclude che, qualora un mutamento di atteggiamento vi sia, si ottenga una decisione che, superando il vaglio preliminare, possa assicurare una migliore definizione del processo principale alla luce delle certezze costituzionali fornite: e così una