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1. L’incidenza dei poteri del Presidente della Corte costituzionale

sull’andamento dei lavori

Nell’analisi delle modalità attraverso le quali la gestione dei tempi processuali può essere utilizzata dalla Corte costituzionale per affrontare una questione politico-discrezionale, vengono in rilievo due direttrici: l’una descrittiva, attinente all’organizzazione dei lavori della Corte costituzionale vista dall’angolo visuale dei poteri del suo Presidente, l’altra, invece, volta a comprendere come possano essere manipolati i tempi processuali in relazione alla politicità della questione.

Ragionando sulla prima tematica occorre prendere in considerazione in primo luogo la figura del Presidente della Corte costituzionale4 o più precisamente il ruolo e i poteri che lo stesso esercita all’interno del collegio, così come riconosciutigli dalle varie fonti sulla giustizia costituzionale.

In particolar modo, ci si occuperà dei poteri inerenti all’attività giurisdizionale della Corte, in ragione del fatto che l’esame dovrà essere funzionale ad evidenziarne la specificità nell’ambito di un giudizio in via incidentale avente ad oggetto una questione politica. A tal fine, si seguirà la classificazione, proposta in dottrina5, che si basa sulla distinzione di tali poteri in relazione al momento temporale di esercizio degli stessi6. Pertanto, assumendo come punto di riferimento l’udienza della Corte, si possono distinguere: i poteri

4

Sulla quale v. i contributi di T. MARTINES, Il Presidente della Corte costituzionale, in

Giur. cost., 1981, 2055 ss. (da cui si cita), ora anche in Opere, II, cit., 755 ss.; G. CERRINA FERONI, Il Presidente della Corte costituzionale, in Diritto e società, 1994, 667 ss.; G. AZZARITI,

Il ruolo del Presidente della Corte costituzionale nella dinamica del sistema costituzionale italiano, in AA.Vv., L’organizzazione e il funzionamento della Corte costituzionale, a cura di P. Costanzo, Torino, 1996, 182 ss.

5 T. M

ARTINES, Il Presidente della Corte costituzionale, cit., 2069.

6 Distinzione che risulterà utile anche per differenziare in relazione a tali fasi i poteri dei

esercitati prima dell’udienza, i poteri esercitabili nel corso dell’udienza ed i poteri che possono essere esercitati dopo l’udienza.

Sono soprattutto i poteri relativi alla fase preliminare allo svolgimento dell’udienza che acquisiscono maggiore interesse per le finalità del presente lavoro.

Nella prima categoria rientrano, innanzitutto, il potere di nomina del giudice relatore e quello della fissazione della data per la discussione e la convocazione della Corte, che costituiscono entrambi esplicazione di una possibile incidenza sull’andamento dei lavori. Si tratta, tuttavia, di una influenza differente, in quanto l’uno coinvolge il profilo contenutistico, mentre l’altro colpisce l’andamento dei lavori sotto il profilo della tempistica processuale.

Le disposizioni di riferimento per tali due poteri sono rappresentate dall’art. 26 della legge n. 87 del 1953 e dagli artt. 7 e 8 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale (16 marzo 1956 e successive modificazioni). Dalla lettura congiunta di tali articoli si ricava che, dopo la notificazione dell’ordinanza e l’eventuale costituzione delle parti, il Presidente della Corte esercita tali due poteri, benché ciò possa avvenire in due momenti temporali differenti.

D’altronde, un indice della sussistenza di un lasso temporale potrebbe essere individuato nella previsione dell’art. 9, comma 2, delle N.I. che, nel richiedere l’apporto consultivo del giudice per l’istruzione affinché sia disposta la convocazione in camera di consiglio nei casi indicati in questo articolo, fa percepire che ci dovrebbe essere un lasso temporale, sia pur breve, tra la nomina del giudice e la fissazione dell’udienza (in camera di consiglio o pubblica). Tale frangente temporale potrebbe avere la funzione di consentire al giudice di valutare se ricorra uno dei casi indicati e di riferire in tal senso al Presidente.

Il dato normativo non introduce, però, un termine stringente entro il quale il Presidente debba esercitare siffatti poteri e, conseguentemente, «risulta assolutamente libero in ordine al quando della nomina del relatore, ciò che gli consente di calibrare i lavori della Corte in relazione alla sua sensibilità»7. Tuttavia, sembra che nella prassi si registri il ricorso ad un unico decreto con il

7 P. P

ASSAGLIA, «Presidenzialismo» e «collegialità» nel procedimento decisorio della

quale contestualmente si designa il giudice relatore e si convoca la Corte per la trattazione della causa8. Situazione che non incide, però, sulla discrezionalità nella determinazione del ruolo delle cause.

Per quanto attiene alla possibile incidenza sull’andamento dei lavori che il potere di nomina del giudice relatore e quello di fissazione dell’udienza possono esplicare, occorre notare che la scelta, ex art. 7 delle Norme integrative, di uno o più giudici9 per l’istruzione e la relazione della causa può influire sull’impostazione stessa della discussione e potrebbe determinare una specializzazione nell’assegnazione di determinate materie a taluni giudici piuttosto che ad altri10. Una simile scelta può, quindi, «essere rilevante per la “sensibilità” rispetto ai casi che possono venir messi in gioco e che possono influenzare l’atteggiamento generale dell’intera Corte»11

.

Il potere di fissazione della data per lo svolgimento dell’udienza ha, invece, maggior rilievo in questa sede di analisi, perché la discrezionalità che in parte caratterizza tale potere può consentire, nella scelta da effettuare, di tenere in considerazione differenti aspetti. Viene, quindi, rimesso alla “sensibilità” del Presidente della Corte12 l’individuazione del momento idoneo per procedere alla discussione di una data questione. Il criterio principale che guida la scelta della data di fissazione è sicuramente quello cronologico, di modo che questioni iscritte in data anteriore nel registro delle ordinanze dovrebbero tendenzialmente essere trattate prima di altre di data successiva. Tuttavia, ciò non sempre si verifica e le ragioni sottese alla fissazione della discussione sono state variamente individuate:

8 Come attestato da P. P

ASSAGLIA, «Presidenzialismo» e «collegialità» nel procedimento

decisorio della Corte costituzionale, cit.

9 La possibilità di nominare come relatori più giudici, presente a volte nella prassi, è stata

introdotta con la modifica di tale articolo operata con la delibera del 7 ottobre del 2008. Tuttavia, occorre notare che la riscrittura delle N.I. in tal senso introduce un possibile contrasto con il disposto dell’art. 26 della legge n. 87 del 1953, che prevede la nomina di un solo giudice per l’istruzione e la relazione.

10 Su tali problemi v. R. R

OMBOLI, Composizione del collegio giudicante e assegnazione

delle cause nei giudizi davanti alla Corte costituzionale, in AA.Vv., L’organizzazione e il

funzionamento della Corte costituzionale, cit., 333 ss.; A. RUGGERI - A. SPADARO,Lineamenti di giustizia costituzionale, cit., 52; E. MALFATTI - S. PANIZZA - R. ROMBOLI, Giustizia costituzionale, cit., 78.

11 G. Z

AGREBELSKY, La giustizia costituzionale, cit., 88.

D’altronde, come evidenziato da un ex giudice costituzionale «la scelta del relatore può pesare molto ai fini della decisione, e del suo andamento»: U. SPAGNOLI, Appunti di un giudice

costituzionale, in AA.Vv., L’organizzazione e il funzionamento della Corte costituzionale, cit., 30.

12 V. G. C

nella «irreparabilità del pregiudizio derivante dal ritardo nella decisione», nella «quantità di questioni pendenti sul medesimo oggetto, come test dell’interesse sociale al problema e come indice dell’incidenza della pronuncia della Corte sull’amministrazione della giustizia in genere», nella «importanza intrinseca delle questioni», nell’esigenza di «evitare contrapposizioni inutili con il legislatore», nel «mantenere l’estraneità della Corte rispetto a processi politici in corso», nel «sottrarre la Corte a situazioni di tensione con altri organi costituzionali»13. Può, quindi, notarsi che la determinazione del ruolo delle cause non è espressione di esercizio di un potere neutro14: infatti, consente al Presidente di calibrare la data dell’udienza in relazione alla particolare delicatezza della questione oggetto della causa.

Ulteriori poteri, sempre ascrivibili a quelli che si esercitano prima dell’udienza e che possono condizionare l’andamento dei lavori, sono, da un lato, la facoltà di ridurre, fino alla metà, i termini dei procedimenti, come riconosciuto dall’art. 9 della legge costituzionale n. 1 del 1953, che potrebbe consentire alla Corte costituzionale di intervenire ancor di più «a ridosso delle scelte della politica»15, e dall’altro, il potere della scelta del rito, tra l’udienza pubblica e la camera di consiglio, secondo quanto previsto dall’art. 26, comma 2, della legge n. 87 del 1953 e dagli artt. 8 e 9 delle Norme integrative. In particolar modo, quest’ultimo potere è esercitabile non solo quando non si sia costituita nessuna delle parti, ma anche se si ritiene che possa ricorrere il «caso di manifesta infondatezza, di manifesta inammissibilità, di estinzione ovvero di restituzione degli atti al giudice rimettente»16. Nell’ipotesi di mancata costituzione, la scelta del rito palesa una tendenziale e quasi automatica opzione per la camera di consiglio – sia pur con la necessaria determinazione del solo Presidente della

13

Per i casi richiamati v. G. ZAGREBELSKY, La giustizia costituzionale, cit., 88 s.

14

P. PASSAGLIA, «Presidenzialismo» e «collegialità» nel procedimento decisorio della

Corte costituzionale, cit. 15 M. L

UCIANI, Corte costituzionale e unità nel nome dei valori, in AA.VV.,La giustizia costituzionale ad una svolta, a cura di R. Romboli, Torino, 1991, 177.

16

Tale formulazione dell’art. 9, comma 2, delle N.I., risente anch’essa della modifica del 2008 che ha interessato questo testo normativo e recepisce in parte una prassi che si era da tempo andata consolidando rispetto all’equiparazione dei casi di manifesta inammissibilità a quelli di manifesta infondatezza, che precedentemente erano i soli espressamente previsti.

Corte –, che «può riverberarsi in una maggiore «libertà di decisione» da parte della Corte, meno direttamente esposta alla pressione dell’opinione pubblica»17

. Negli altri casi, invece, la determinazione del Presidente in merito alla scelta del rito non è ascrivibile interamente allo stesso, in quanto all’esercizio «concorre, in forma consultiva, il giudice per l’istruzione»18

. Nonostante in siffatte ipotesi si tratti di un «pronostico»19 in relazione all’esito che può giustificare la scelta per la camera di consiglio, risulta forte l’incidenza sull’andamento dei lavori, perché la convocazione in camera di consiglio, nelle ipotesi di cui all’art. 9, comma 2, delle N.I., induce a propendere per l’adozione di una delle formule decisorie ivi richiamate. Ne risulta, quindi, una considerevole influenza nella direzione della stessa discussione.

Un temperamento può essere, tuttavia, individuato nella previsione dell’art. 9, comma 4, delle N.I., che consente alla Corte costituzionale di disporre la discussione in pubblica udienza se ritenga che «la causa non debba essere decisa in camera di consiglio». Significativa, per meglio comprendere l’attenuazione suddetta, è anche la previsione del comma 3 del medesimo articolo, che permette alle parti costituite di esporre le ragioni in base alle quali la causa, per la quale è stata disposta la trattazione in camera di consiglio, dovrebbe essere discussa nell’udienza pubblica.

L’andamento dei lavori della Corte può subire un’influenza anche nel caso in cui il Presidente della Corte eserciti il potere di cui all’art. 15 delle N.I., in base al quale è possibile sia disporre la riunione di due o più cause per una loro trattazione congiunta in una medesima udienza pubblica o camera di consiglio sia rinviare una causa «al fine della trattazione congiunta con altra causa connessa o che implichi la soluzione di analoghe questioni».

Si tratta di un potere che risulta connotato da un’ampia discrezionalità nella scelta, in assenza di criteri predeterminati, e che si basa sulla necessità/opportunità di una trattazione congiunta argomentata con formule – connessione, identità, analogia tra cause, e così via – utilizzate in modo

17 P. P

ASSAGLIA, «Presidenzialismo» e «collegialità» nel procedimento decisorio della

Corte costituzionale, cit. 18 T. M

ARTINES, Il Presidente della Corte costituzionale, cit., 2078.

19 A. P

IZZORUSSO, L’attività della Corte costituzionale nella sessione 1987-88, in Foro it., 1988, V, 408.

promiscuo, tale da impedire di coglierne dei veri e propri tratti caratteristici20. Il che ha condotto una parte della dottrina ad evidenziare che mentre in alcuni casi la riunione sembra essere disposta con «insostenibile leggerezza», in altri sembra «rispondere alle esigenze di una precisa strategia»21. Infatti, mediante tale strumento è ben possibile rinviare la trattazione di questioni che non sono particolarmente “gradite” o comunque rispetto alle quali il decorso di un certo lasso di tempo potrebbe consentire l’assunzione di una decisione più “compatta”. Il che palesa l’uso strategico che ben potrebbe essere fatto della riunione22

.

Il rinvio della discussione, invece, è un potere che influisce sull’andamento dei lavori e che interviene dopo la fissazione dell’udienza, determinando una modifica del ruolo «in corso d’opera»23

. Tale potere può essere sia volto a consentire una riunione delle cause sia finalizzato a rinviare la discussione di una causa che mantiene la propria autonomia.

Si può, quindi, notare che i poteri del Presidente della Corte, per come riconosciuti dalle varie disposizioni normative o per come concretamente utilizzati, possono imprimere un certo andamento ai lavori della Corte costituzionale24. Tuttavia, soprattutto nel caso in cui si intenda utilizzare siffatti poteri per dilazionare nel tempo l’esame di questioni di particolare delicatezza, individuandone il momento “favorevole” per la discussione, è quanto mai opportuno che l’uso del potere rinvenga una «consonanza con l’orientamento degli altri giudici o, almeno, della maggior parte di essi»25.

20 C. S

ALAZAR, Riunione delle cause nel giudizio sulle leggi e teorie del «caos», ovvero:

della «leggerezza» (insostenibile?) del processo costituzionale, in AA.Vv., L’organizzazione e il

funzionamento della Corte costituzionale, cit., 359. 21

C. SALAZAR, Riunione delle cause nel giudizio sulle leggi e teorie del «caos», ovvero:

della «leggerezza» (insostenibile?) del processo costituzionale, cit., 363 s. 22 Cfr. sul tema C. S

ALAZAR, Riunione delle cause nel giudizio sulle leggi e teorie del

«caos», ovvero: della «leggerezza» (insostenibile?) del processo costituzionale, cit., 358 ss.; E.

BINDI, La riunione delle cause nel giudizio incidentale, Padova, 2003, spec. 375 ss.

23 S. S

CAGLIARINI, Il tempo della Corte. L’uso del fattore temporale nel giudizio di

legittimità costituzionale in via incidentale tra «effettività» e «seguito» della decisione, in AA.Vv.,

«Effettività» e «seguito» delle tecniche decisorie della Corte costituzionale, a cura di R. Bin, G.

Brunelli, A. Pugiotto e P. Veronesi, Napoli, 2006, 201.

24 Basti pensare al fatto che il Presidente della Corte possa, sostanzialmente, determinare

«l’andatura della Corte»: G. BRANCA, Quis adnotabit adnotatores?, in Foro it., 1970, V, 35.

25 T. M

2. La possibile manipolazione dei tempi processuali: dilazione e

contrazione in relazione alla politicità della q.l.c.

Delineati i poteri del Presidente della Corte nella gestione dei tempi processuali, occorre valutare come, anche attraverso tali poteri, sia attuabile una modulazione dei tempi processuali allorquando si sia in presenza di una questione politica.

Innanzitutto, il passaggio che consente di valutare una simile modulazione è rappresentato dal riconoscimento della natura, sostanzialmente ordinatoria, di molti dei termini che scandiscono lo svolgimento del giudizio costituzionale26. Il che, unitamente alla necessità di poter valutare «l’impatto ambientale»27

delle proprie pronunce, ha indotto la dottrina a ritenere che la Corte sia «padrona assoluta dei tempi del proprio giudizio»28. La descritta situazione consente, pertanto, margini di modulazione e di manipolazione della tempistica processuale in funzione di determinati e contingenti scopi.

Il ricorso all’esigenza di un’eventuale modulazione dei tempi può essere collegato alla circostanza che la Corte costituzionale, come noto, giudica spesso della legittimità di leggi di approvazione piuttosto recente29 e ciò potrebbe determinare una possibile maggiore interferenza con il potere politico30.

Per capire come concretamente sia possibile una manipolazione dei tempi processuali, sia sub specie di dilatazione che di contrazione degli stessi, occorre segnalare quelli che possono essere gli strumenti per realizzare un simile risultato. Vengono in rilievo, da un lato, taluni dei poteri presidenziali precedentemente

26 Cfr. G. Z

AGREBELSKY, La giustizia costituzionale, cit., 88 s.

27

G. BOGNETTI, La Corte costituzionale tra procedura e politica, in AA.Vv., Giudizio “a

quo” e promovimento del processo costituzionale, Milano, 1990, 224. L’A. evidenzia, a tal

proposito, che «alla Corte spetta difendere i valori della Costituzione; ma l’efficacia della sua difesa può anche dipendere dal taglio che essa dà al suo intervento e dal momento in cui essa lo effettua, sicché occorre, almeno entro certi limiti, concederle spazi aperti di scelta».

28 T. G

ROPPI, I poteri istruttori della Corte costituzionale nel giudizio sulle leggi, Milano, 1997, 214.

29 Situazione che ha indotto parte della dottrina a ricorrere all’immagine di una «Corte

cronometro, che non ha quasi arretrato»: M. MIDIRI, La Corte e il ruolo delle cause: riflessi del

cattivo funzionamento della «macchina delle leggi», in AA.Vv., L’organizzazione e il

funzionamento della Corte costituzionale, cit., 291. 30 Cfr. E. C

analizzati, quali la fissazione della data per la discussione, l’eventuale rinvio della discussione e la riunione delle cause, e dall’altro, l’uso di ordinanze istruttorie ed eventuali tecniche che, dopo l’adozione del dispositivo, possono comunque ritardare la decisione. Sull’esplicazione di questo ultimo gruppo di poteri occorre spendere qualche breve considerazione. Per quanto riguarda l’ordinanza istruttoria, il suo possibile impiego per finalità dilatorie potrebbe costituire uno dei motivi che inducono la Corte ad adottarla, tanto che in presenza di questioni politico-discrezionali la Corte potrebbe ritenere più prudente sospenderne l’esame per richiedere un’ordinanza di tal tipo, in modo tale da “guadagnare” tempo nella decisione31; sebbene, non si debba ritenere che l’intento dilatorio sia l’unico motivo di una simile adozione32.

Quanto, invece, all’eventuale ricorso a modalità che intervengono dopo l’udienza, si possono individuare il ritardo nell’adozione della decisione dopo l’approvazione del dispositivo e il ritardo nel deposito in cancelleria della decisione stessa. Nel primo caso vi è una dissociazione temporale tra l’udienza, che può essere o meno accompagnata dalla divulgazione del dispositivo33, e la decisione che interviene dopo un certo lasso di tempo34.

Nel secondo, invece, non c’è alcuno scarto temporale, in quanto il ritardo è imputabile al solo deposito in cancelleria della decisione, per tentare di ritardare gli effetti della decisione.

31 Come, ad es., accaduto con l’ord. del 2 luglio del 1987 resa nel giudizio conclusosi con

la sent. n. 826 del 1988 relativa alle emittenti radiotelevisive; in argomento v. le osservazioni fatte da R. PINARDI, La Corte, i giudici ed il legislatore: il problema degli effetti temporali delle

sentenze d’incostituzionalità, Milano, 1993, 202.

32 V. la posizione di T. Groppi, I poteri istruttori della Corte, cit., spec. 212 ss., secondo

la quale più che un intento «dilatorio» dovrebbe riconoscersi nell’adozione di talune ordinanze istruttorie un carattere «monitorio».

33

Solitamente ciò si verifica, mediante un comunicato stampa, quando si tratta di una decisione «particolarmente “attesa” dall’opinione pubblica ovvero anche dagli altri organi costituzionali»: E. ROSSI, Relatore, redattore e collegio nel processo costituzionale, in AA.Vv.,

L’organizzazione e il funzionamento della Corte costituzionale, cit., 353. Basti pensare, ad es., al

comunicato del dispositivo in tema di matrimonio tra persone dello stesso sesso che ha condotto alla sent. n. 138 del 2010; anche se, in questo caso, lo scarto temporale è stato minimo attestandosi in un solo giorno di differenza tra il comunicato e il deposito in cancelleria della decisione. Ulteriore esempio può essere rintracciato nella sent. n. 262 del 2009, sul c.d. “lodo Alfano”, il cui dispositivo è stato comunicato dodici giorni prima del deposito della sentenza.

34 Non vi è «nessun limite di tempo (…) tra la data della «prima» camera di consiglio (in

cui si adotta la decisione) e la data della seconda (in cui si approva la sentenza)»: E. ROSSI,

I motivi che stanno alla base dell’uso di tali strumenti e/o poteri possono essere molteplici e tra questi potrebbero esservi anche intenti meramente dilatori per evitare di affrontare illico et immediate una questione politica che potrebbe creare attriti con il legislatore. Indubbiamente, risulta difficile capire quando in realtà possa ritenersi presente un intento di dilazione dei tempi di questo tipo, ma ciò nondimeno non può essere escluso che accada.

Proprio rispetto alla gestione di una questione politica assume un decisivo rilievo la disponibilità che la Corte finisce con l’avere, per mezzo dei predetti istituti, dei tempi processuali. Il che presenta una doppia veste, in quanto in parte può essere considerata come una modalità che, dilazionando o contraendo i tempi della discussione, consente di individuare il momento temporale più appropriato e potenzialmente indicato per affrontare la questione evitando di dover ricorrere ad una “non decisione”. D’altro canto, non possono sottacersi i rischi connessi ad una completa disponibilità da parte dell’organo chiamato a pronunciarsi sulla