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1. Ricognizione degli strumenti processuali quali modalità concrete di

“selezione dei casi”

L’analisi compiuta nelle sezioni precedenti consente di effettuare una valutazione di sintesi in merito al problema del riscontro di una “selezione dei casi” ad opera della Corte costituzionale nell’ambito del giudizio in via incidentale.

Innanzitutto, per poter compiere ciò si rende necessario comprendere cosa si intenda e come debba essere interpretata la “selezione dei casi” nel nostro ordinamento. A tal fine, occorre preliminarmente distinguere la selezione dei casi operata inevitabilmente, per la strutturazione stessa del giudizio in via incidentale, dal giudice a quo con la proposizione della questione164, da quella che di fatto la Corte costituzionale potrebbe effettuare attraverso gli strumenti processuali165: ed è quest’ultima quella che rileva nella presente sede.

Con la locuzione “selezione dei casi”166

si fa riferimento a quella operazione di scelta tra più questioni, di modo da concentrare l’attenzione su

164 D’altronde, è nota la qualificazione del giudice comune come “portiere” della Corte,

introduttore necessario, secondo l’immagine elaborata da P. CALAMANDREI, La illegittimità

costituzionale delle leggi nel processo civile, cit., XII: «il giudice è chiamato a fare, si potrebbe

dire, da portiere della Corte costituzionale (…) se il giudice ordinario non apre la porta, la Corte non può entrare in funzione; ma quando la Corte è entrata in funzione, il giudice ordinario non può più richiuderla, e per poter continuare il suo lavoro, bisogna che quella abbia finito il suo». In particolar modo, lo stesso A. evidenzia l’attitudine del giudice ad effettuare una «scelta delle questioni di legittimità costituzionale degne di essere portate all’esame della Corte costituzionale (una specie di filtro o di vaglio che trattiene e trasmette all’esame della Corte costituzionale solo le questioni rilevanti)» (P. CALAMANDREI, Corte costituzionale e autorità giudiziaria, cit., 41).

165 Non assume rilievo in tale sede il problema di un’eventuale selezione delle questioni ante processo.

166 Con tale sintagma è possibile fare riferimento sia «ad un procedimento, più o meno

formalizzato, che mira a circoscrivere in base ad uno o più criteri le domande sulle quali il giudice si pronuncerà, sia all’esito di quel procedimento»: P. BIANCHI, Le tecniche di giudizio e la

selezione dei casi, in AA.Vv., L’accesso alla giustizia costituzionale: caratteri, limiti, prospettive

quelle più “adatte” alla loro risoluzione giudiziaria. Si tratta, pertanto, di un potere di filtro in relazione alle questioni da decidere. Un siffatto potere non è tuttavia ascrivibile alla nostra Corte costituzionale, differentemente da quanto accade in altri ordinamenti167. Depongono in tal senso taluni dati normativi: l’art. 1 della legge costituzionale n. 1 del 1948 che, nel prevedere che «la questione di legittimità costituzionale (…) è rimessa alla Corte costituzionale per la sua decisione», è idoneo ad evidenziare che se il giudice costituzionale è stato istituito per giudicare della legittimità e se la finalità della proposizione di una q.l.c. è la sua decisione ad opera dell’organo a ciò preposto, non può che discenderne un dovere di decisione per la Corte stessa; l’art. 18 delle N.I. che, nel disporre che «la sospensione, l’interruzione e l’estinzione del processo principale non producono effetti sul giudizio davanti alla Corte costituzionale», consente, almeno in date ipotesi168, di «ricavare il carattere officioso del processo costituzionale incidentale e la necessità che esso, una volta avviato, conduca ad una pronuncia che lo definisce»169; l’art. 27 della legge n. 87 del 1953 che, imponendo il rispetto del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, lascia intravedere un obbligo di rispondere in un dato modo170. Al di là di tali disposizioni, occorre

167 Il riferimento principale non può che essere l’ordinamento statunitense, nel quale è

prevista la c.d. case selection, per mezzo della quale la Corte suprema opera una vera e propria selezione delle cause da decidere. Cfr. sul tema, tra i tanti, F. TIRIO, Selezione discrezionale dei

casi davanti alla Corte Suprema federale statunitense, in AA.Vv., L’organizzazione e il

funzionamento della Corte costituzionale, cit., 750 ss.; ID., Il writ of certiorari davanti alla Corte

Suprema, Milano, 2000.

168 È stato evidenziato che la modifica che ha determinato l’abrogazione dell’art. 22 delle

N.I. e la sua sostituzione con l’attuale art. 18 potrebbe consentire una lettura differente rispetto a quella alla quale dava luogo il precedente articolo. Difatti, la formulazione dell’art. 18 N.I. potrebbe indurre a ritenere che vicende sopravvenute, diverse dalla sospensione, interruzione ed estinzione del processo principale, siano in grado di incidere sul giudizio costituzionale. Cfr. A. RAUTI, Le nuove “Norme Integrative” della Corte fra collegialità e celerità del giudizio

costituzionale, in www.forumcostituzionale.it. 169 P. B

IANCHI, La creazione giurisprudenziale delle tecniche di selezione dei casi, cit., 204.

170 Al di là delle questioni relative non solo alla deroga espressa a tale principio contenuta

nel comma 2 del medesimo articolo, ma anche all’incidenza di un simile vincolo per la Corte e alla sostanziale flessibilità determinata dalla creatività della giurisprudenza costituzionale (sul tema v. E. CATELANI, La determinazione della “questione di legittimità costituzionale” nel giudizio

incidentale, Milano, 1993, 335 ss.; A. RUGGERI - A. SPADARO, Lineamenti di giustizia costituzionale, cit., 210 ss.; E. MALFATTI - S. PANIZZA - R. ROMBOLI, Giustizia costituzionale, cit., 140 s.), occorre rammentare che il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, per come formulato nella legge n. 87 del 1953, richiede più che altro il “decidere secondo tale corrispondenza”, ma non ha, di per sé considerato, la valenza di “imporre” l’an del decidere. Infatti, la vincolatività di tale principio, attenendo alle modalità della decisione, si esplica in un momento successivo rispetto a quello che “induce” la Corte a decidere.

precisare che il carattere di doverosità, insito nella risposta che il giudice deve dare all’eventuale domanda allo stesso pervenuta, è considerato quale elemento connaturale dei principi generali che reggono la struttura stessa del nostro sistema giurisdizionale171. Ne consegue che non solo non vi è traccia di una disposizione che espressamente preveda una selezione dei casi nel giudizio incidentale172, ma l’analisi del formante legislativo fa ricavare la presenza di una regola “opposta”, in quanto vi è una sorta di obbligo per la Corte di fornire una risposta alle questioni che le vengono proposte. Una simile ricostruzione discende, d’altronde, dalle caratteristiche del nostro stesso sistema di giustizia costituzionale.

Dato tale quadro, occorre ragionare sulla possibilità di ravvisare comunque margini per la realizzazione di una indiretta “selezione dei casi”, pur non contravvenendo, almeno formalmente, al divieto di non liquet173. A tal fine deve considerarsi che l’eventuale individuazione di modalità che possano consentire una selezione dei casi non può che avere origine giurisprudenziale ed essere, pertanto, espressione del modo in cui la Corte costituzionale, esercitando le proprie funzioni, abbia inteso far fronte alle questioni di legittimità.

L’analisi si muoverà sul modo di rapportarsi della Corte rispetto alle varie questioni di legittimità che presentano margini di politicità. In tale percorso possono essere assunti come termini di riferimento, per valutare la presenza o meno di una possibile selezione dei casi, gli strumenti processuali e l’uso che degli stessi è stato fatto ad opera della Corte costituzionale.

Si può notare che a realizzare una selezione dei casi non è tanto lo strumento processuale in sé, quanto piuttosto talune modalità di utilizzo dello strumento stesso. Difatti, la flessibilità che connota talune delle tecniche decisorie, previste e/o create dalla giurisprudenza costituzionale e volte a far fronte ad

171 Pur ritenendosi, quindi, non necessaria un’espressa previsione, non sono mancate

ricostruzioni volte a ricondurre il potere-dovere del giudice di decidere al disposto dell’art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile. V. ad es. G. GORLA, I precedenti storici dell’art. 12

disposizioni preliminari del codice civile del 1942 (un problema di diritto costituzionale?), in Foro it., 1969, V, 112 ss.

172 Un caso di selezione positivizzata può, infatti, essere ravvisato nell’art. 37, comma 2,

della legge n. 87 del 1953 in tema di conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato.

173 D’altronde, parte della dottrina ritiene che tale principio non sia applicabile al giudizio

costituzionale: v. A. PIZZORUSSO, «Verfassungsgerichtsbarkeit» o «Judicial Review of

esigenze ovviamente differenti da una possibile selezione dei casi, è tale da consentire una modulazione atta a dar vita a meccanismi di filtro.

Pertanto, la Corte, pur non disponendo per sistema di strumenti appositi per operare una selezione dei casi, potrebbe servirsi dell’“armamentario” di cui dispone per selezionare le questioni da decidere nel merito. Si può, quindi, assistere ad una selezione che «avviene esclusivamente all’interno del processo e senza che alcuna norma espressamente la consenta»174.

Nonostante nessuno degli strumenti processuali normalmente utilizzati dalla Corte sia stato creato o impiegato al solo esclusivo fine di realizzare una c.d.

case selection in presenza di una questione politica, si possono individuare le

tecniche che sono comunque in grado di assolvere una simile funzione. Vengono, innanzitutto, in rilievo le decisioni di inammissibilità, rispetto alle quali va riconosciuta l’attitudine a consentire alla Corte di «liberarsi rapidamente della questione»175: aspetto che è spesso collegato alla forma di manifestazione ed alla sede nella quale una decisione di tal tipo è solitamente adottata, ma che, per l’uso indifferenziato fatto dalla Corte tra le coppie concettuali “sentenza/ordinanza” e “udienza pubblica/camera di consiglio”, risulta più che altro ascrivibile al mancato esame del merito della q.l.c.

Tuttavia, è piuttosto difficile individuare con certezza i casi nei quali la Corte ricorre ad una decisione processuale perché reputa “opportuno” non decidere la questione di legittimità.

Indici di un tale “disagio” ad esaminare il merito possono ravvisarsi nel caso in cui venga adottata una decisione di inammissibilità motivata dal rispetto della discrezionalità del legislatore: dalla motivazione potrà, quindi, emergere in modo più o meno chiaro una valutazione di sottesa opportunità-inopportunità della decisione.

Altra modalità di modulazione dell’inammissibilità che potrebbe rappresentare un sintomo di una tecnica di non decisione è quella argomentata sulla non sufficiente motivazione dell’ordinanza di rimessione176. Si tratta di

174 P. B

IANCHI, La creazione giurisprudenziale delle tecniche di selezione dei casi, cit., 317.

175 G. P. D

OLSO, Giudici e Corte alle soglie del giudizio di costituzionalità, cit., 330.

176 R. R

OMBOLI, La mancanza o l’insufficienza della motivazione come criterio di

un’argomentazione che può presentarsi piuttosto sfuggente tanto da risultarne difficile la verifica; il che potrebbe consentire alla Corte di farne uso anche per evitare di affrontare questioni politicamente accese.

Un’ulteriore tecnica che potrebbe prestarsi ad essere utilizzata indirettamente come modalità di selezione è l’inammissibilità per mancata o insufficiente interpretazione177, in quanto è ben possibile che in relazione a questioni rientranti nella sfera discrezionale del legislatore la Corte decida di propendere per un necessario intervento interpretativo ad opera del giudice a

quo178. Se una simile scelta nella maggior parte dei casi può essere dovuta ad una erronea o inadeguata interpretazione del giudice comune, non è escluso che talvolta tale argomentazione venga utilizzata per evitare che la soluzione sia individuata dalla Corte, prevenendo in tal modo possibili ingerenze di quest’ultima nella discrezionalità del legislatore.

177 E. L

AMARQUE, Una sentenza «interpretativa di inammissibilità»?, in Giur. cost., 1996, 3107 ss.; M.R. MORELLI, Ancora una nuova tipologia di decisione costituzionale: la

«interpretativa di inammissibilità» (a proposito della sentenza n. 347 del 1998, sulla azione di disconoscimento di figlio nato mediante inseminazione eterologa), in Giust. civ., 1998, I, 2410 ss.;

V. MARCENÒ, Le ordinanze di manifesta inammissibilità per “insufficiente sforzo interpretativo”:

una tecnica che può coesistere con le decisioni manipolative (di norme) e con la dottrina del diritto vivente, in Giur. cost., 2005, 785 ss.; G. SORRENTI, L’interpretazione conforme a

Costituzione, cit., 239 ss.; P. CHIRULLI, Una manifesta inammissibilità “interpretativa” per

risolvere la questione previdenziale del familiare collaboratore di titolare di farmacia: non convince del tutto l’ord. n. 448 del 2007 della Corte costituzionale, in Giur. cost., 2008, 1525 ss.;

G.U. RESCIGNO, Quale criterio per scegliere una sentenza interpretativa di rigetto anziché una

ordinanza di inammissibilità per mancato tentativo di interpretazione adeguatrice?, in Giur. cost.,

2008, 3362 ss.

Sull’affermarsi e sull’evoluzione di tali pronunce – il cui uso è andato progressivamente accrescendosi – v. la ricostruzione e l’analisi fatta da G. SORRENTI,La Costituzione “sottintesa”, in Corte costituzionale, giudici comuni e interpretazioni adeguatrici, cit., 15 ss.

La dottrina ha variamente classificato le ipotesi di inammissibilità interpretativa: v. a titolo esemplificativo E. CATELANI, La determinazione della “questione di legittimità

costituzionale” nel giudizio incidentale, cit., 290 ss.; V. MARCENÒ, Le ordinanze di manifesta

inammissibilità per “insufficiente sforzo interpretativo”: una tecnica che può coesistere con le decisioni manipolative (di norme) e con la dottrina del diritto vivente, cit., 789 s.

E così ,ad es., secondo una impostazione si potrebbero distinguere tre categorie: «il caso in cui il giudice non compia la scelta interpretativa, evitando quindi di prendere posizione sul significato da attribuire al disposto legislativo cui la questione di costituzionalità si riferisce»; quando «il giudice prospetti diverse opzioni ermeneutiche tra loro alternative senza risolversi a farne propria una»; il caso in cui «il giudice pur avendo individuato (più o meno chiaramente) la norma da applicare, espressione di un percorso ermeneutico che consentirebbe di evitare la situazione di incostituzionalità, trascura di esperire, talora a causa della presenza di un diritto vivente sul punto, tale tentativo di interpretazione conforme a Costituzione». (G.P. DOLSO, Giudici

e Corte alle soglie del giudizio di costituzionalità, cit., 108).

Questo intento “elusivo” potrebbe risultare maggiormente evidente nelle ipotesi in cui la Corte, adottando una decisione di inammissibilità interpretativa, lasci intendere che sia possibile superare l’errore interpretativo in cui il giudice è incorso mediante un’interpretazione conforme a Costituzione; o, ancora, nel caso in cui sia la stessa Corte ad indicare l’interpretazione che dovrebbe essere seguita. Si può notare come, soprattutto in quest’ultima ipotesi, la Corte pieghi lo strumento dell’inammissibilità per raggiungere un risultato che ben potrebbe ottenersi con un’altra tecnica decisoria di creazione giurisprudenziale, id est la decisione interpretativa di rigetto. Le motivazioni che sorreggono una simile scelta possono essere molteplici e tra queste potrebbe individuarsi anche quella di non assumere direttamente una data interpretazione che, per il fatto di intervenire in un ambito discrezionalmente riservato al legislatore, potrebbe creare delle interferenze179.

La situazione potrebbe assumere connotati di maggiore problematicità se riferita ad un contesto nel quale si “denuncia” un’omissione del legislatore, a fronte della quale la Corte preferisce demandare al giudice il compito di effettuare un c.d. “bilanciamento in concreto”180

.

Scelte di tal tipo possono, inoltre, sollevare perplessità in quanto «se da un lato la Corte, rinunciando a dettare la norma adatta, sembra voler salvaguardare l’ambito discrezionale del legislatore, dall’altro, proprio invitando il giudice concreto a dare una soluzione al caso dinanzi a lui pendente, determina un restringimento di quella discrezionalità legislativa che intendeva tutelare e garantire, e, in prospettiva, determina addirittura una sua delegittimazione (come se dell’intervento legislativo se ne potesse fare – teoricamente e in ultima istanza – a meno)»181

.

In definitiva, può ricavarsi che gli strumenti processuali, per la flessibilità che li connota, sono tali da consentire alla Corte di modulare diversamente la risposta da dare alla proposizione di una questione che presenti afferenza con le

179 Si affronteranno nel capitolo successivo talune delle problematiche connesse ad una

simile scelta.

180

R. BIN, Giudizio «in astratto» e delega di bilanciamento «in concreto» (nota a Corte

cost. 419/1991), in Giur. cost., 1991, 3754 ss. 181 V.M

ARCENÒ, La Corte costituzionale e le omissioni incostituzionali del legislatore:

valutazioni politico-discrezionali del legislatore. Tale modulazione può, quindi, articolarsi nel modo più vario: dalla valorizzazione di elementi d’inammissibilità diversi dalla discrezionalità e tale, a volte, da non consentire di comprendere quando l’assorbimento di quest’ultima sia dovuto o voluto182

; ad un uso meramente retorico-assertivo della sussistenza di discrezionalità; o ancora dall’effettiva e ben argomentata presenza di una scelta che esula dai compiti propri di un giudice costituzionale e rientra, invece, in quelli degli organi politici.

Ciò nondimeno, occorre conciliare le potenzialità espansive insite nel possibile utilizzo degli strumenti processuali quali modalità di filtro delle questioni da decidere nel merito con le implicazioni discendenti dalla posizione istituzionale della Corte nel sistema e che fanno sì che, in linea di massima, «non spetta alla Corte stabilire se decidere o meno, come può fare un organo politico; non spetta alla Corte stabilire su cosa decidere, perché il materiale delle sue decisioni proviene dall’esterno; non spetta alla Corte, se non entro limiti determinati, stabilire quando occuparsi di un determinato tema»183.

Se, quindi, si tengono presenti queste tre linee-guida e si riguardano alla luce di esse le scelte della Corte dalle quali sembra apparire che gli strumenti processuali realizzino una, sia pur indiretta, selezione dei casi, si può notare che, in realtà, ciò che muove la Corte in scelte siffatte non è la realizzazione di una selezione dei casi, ma la preoccupazione, più o meno forte, di approntare in relazione alle situazioni concrete le modalità più idonee per relazionarsi con i suoi interlocutori, non contravvenendo al suo ruolo di giudice delle leggi e dei diritti. In definitiva ciò che muove la Corte non è altro che l’esigenza di proteggere la Costituzione.

182 È, inoltre, ben possibile che tale procedimento logico sia invertito e che, quindi, sia il

richiamo alla discrezionalità a consentire alla Corte di evitare di prendere posizione su altri aspetti della q.l.c.

183 V. O

NIDA, Relazione di sintesi, in Giudizio “a quo” e promovimento del processo

2. Questione politica vs “tono” costituzionale della questione di

legittimità nel giudizio sulle leggi in via incidentale?

L’analisi di come la Corte costituzionale moduli gli strumenti processuali per gestire una questione politica può essere utile per tre scopi principali: per ragionare sul rapporto tra diritto e politica e sulle interazioni che ne derivano sotto più profili; per trarre delle considerazioni in relazione al modo di incidenza delle dinamiche processuali sul ruolo e sulla funzione della Corte costituzionale; per interrogarsi sull’individuazione di un quid novi tra i requisiti di ammissibilità della questione di legittimità costituzionale nel giudizio incidentale.

Proprio quest’ultimo percorso è quello che verrà analizzato in questa sede, rinviando al capitolo successivo la trattazione degli altri due.

Per fare ciò occorre richiamare due delle considerazioni già svolte relativamente alla nozione di questione politica in senso stretto e al ruolo degli strumenti processuali.

Per quanto riguarda la prima, si tende a far riferimento a quella scelta, incidente sulla sfera pubblica, posta in essere dagli operatori politici per gestire la porzione di potere della quale sono titolari. Una nozione che finisce, però, per costituire un concetto autoreferenziale, in quanto pur potendo identificare delle indicazioni generali a livello teorico, l’individuazione in concreto non può che essere rimessa alla Corte. Solo dopo che la Corte effettua una scelta, con la tipologia decisoria ritenuta più indicata, si potrà capire se, nel caso concreto, ricorra o meno una questione politica. Pertanto, la questione è politica se è la Corte a qualificarla come tale: di talchè è la discrezionalità del giudice costituzionale che di fatto delimita l’ambito della discrezionalità legislativa. Aspetto questo che evidenzia la notevole labilità e fluidità della nozione in esame. Relativamente al secondo aspetto, viene all’attenzione l’attitudine degli strumenti processuali ad essere indici di una indiretta selezione dei casi. Tuttavia, quest’ultima è funzionale non tanto a scremare le questioni decidibili nel merito, ma ad assicurare alla Corte di relazionarsi con i propri interlocutori nel modo meno invasivo sia per il rispetto dell’equilibrio istituzionale e sia in termini di tutela dei diritti.

Alla luce di tali considerazioni, è necessario valutare se la nozione di questione politica possa essere assunta come elemento indicativo dell’area del non giustiziabile184; o, più propriamente, invertendo la prospettiva, se il vaglio circa l’assenza del connotato politico-discrezionale della questione costituisca un elemento che la Corte debba accertare per poterla analizzare nel merito. Sia pur con le precisazioni effettuate in precedenza – sulla non rintracciabilità di un’area