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Conoscenza informata e discussione pubblica delle

III. La famiglia nell’età delle rivoluzioni

2. Affinità e differenze tra società private e repubbliche

2.1. Conoscenza informata e discussione pubblica delle

all’accordo tra morale e politica, definisce la pubblicità (Pu- blizität) come la forma del diritto pubblico, la cui possibilità è implicita nell’idea di giustizia, ed è dunque pensabile soltanto in quanto “può essere conosciuta e resa nota pubblicamente [öffentlich kundbar]”21.

Se la liberazione dai pregiudizi è possibile per il pubblico tramite il libero esercizio della ragione, Kant, in astrazione dalla materia, intende affrontare le condizioni alle quali è possibile la giustizia nella politica in accordo con le semplici leggi della ragione.

Il primo principio del diritto pubblico, “tutte le azioni che concernono il diritto di altri uomini, e la cui massima non è compatibile con la pubblicità, sono ingiuste”22, conforme-

mente al comando dell’imperativo categorico, riguarda l’universalità della legge.

In tale definizione viene chiamato in causa il rapporto tra il pensiero (la massima delle azioni) e la sua manifestazione (nelle azioni che concernono il diritto altrui). Una questione analoga a quella posta, per l’uomo in generale e non per il ––––––––––

21 ZeF B 98 A 92.

IV. La famiglia nei limiti della semplice ragione

171 politico, nel breve scritto Su un preteso diritto di mentire per amo- re degli uomini23 del 1797.

Occasione del saggio del ’97 è la confutazione del detto comune secondo il quale esisterebbe un diritto a mentire in vista di uno scopo particolare, quale l’amicizia nei confronti di un amico24. Kant prende le mosse dall’affermazione di

Constant secondo cui “dire la verità è un dovere, ma solo nei

confronti di chi ha diritto alla verità”, per considerare più precisamente la questione soggettiva, ovvero se esistano o meno un dovere, e un diritto corrispondente, alla veridicità. Il concetto di veridicità distingue al suo interno tra il pensie- ro vero e l’azione del dire la verità, e chiama in causa la defi- nizione di verità, che non è un possesso (Wahrheit kein Besi- tztum ist)25 nella misura in cui non ha un contenuto descrivi-

bile e oggettivo sulla cui base sia possibile accordare un dirit- to ad alcuni, e ad altri negarlo.

La verità è soggettiva poiché è un pensiero autonomo e conseguente del soggetto, ed ha valore universale in quanto questo soggetto pensa in accordo con le leggi della (propria) ––––––––––

23 Nello scritto in polemica con Benjamin Constant, Kant ribadisce la ne-

cessità di dire la verità anche nel caso, assai particolare, in cui ci si trovi ad ospitare un amico proprio quando un assassino intenzionato ad ucciderlo bussi alla nostra porta e ce ne domandi. Secondo Constant la verità è sì un dovere, “ma solo verso coloro che hanno diritto alla verità. Ma nessun uomo ha diritto ad una verità che danneggi un altro uomo” (Über Recht A 302- 303, tr. it. p. 290-1).

24 È utile osservare che la dottrina “del punto dell’amico” ha avuto un

peso giuridicamente rilevante a partire dall’opera cinquecentesca di André Tiraqueau, che razionalizza la permissibilità della propensione del giudice in favore della parte amica. Sulla confutazione di questo punto nel pensiero giuridico tedesco ad opera, in particolare, di Leibniz, si veda G. Tarello, Asso-

lutismo e codificazione del diritto, cit., p. 137.

ragione; essa è anche strutturalmente intersoggettiva nella misura in cui è possibile esercitare liberamente la propria ra- gione soltanto a condizione di poter comunicare ad altri l’oggetto del proprio ragionare. La verità ha dunque solo in quanto tale un valore e, si potrebbe aggiungere, non ha prez- zo.

La confutazione di Kant procede così distinguendo tra la massima dell’azione, la sincerità, e l’azione stessa di essere veri e leali26. Utile a chiarire questo punto è la nota conclusi-

va del secondo capitolo della Religione che distingue l’aspetto del pensiero e quello dell’azione: “posso concedere, benché sia molto doloroso, che non si trovi, nella natura umana, la franchezza (di dire tutta la verità che si conosce). Ma è neces- sario potere pretendere in ogni uomo la sincerità (che sia detto con veracità tutto ciò che si dice)”27. Tale distinzione serve

inoltre a notare che il pensiero autonomo e conseguente non esclude il diritto al silenzio, quando questo è volto ad espri- mere un dubbio; e che il diritto al dubbio è incluso nel diritto alla verità.

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26 Si confrontino per un’inquadratura del tema della sincerità e per la let-

teratura di riferimento G. Cunico, Da Lessing a Kant, pp. 173-96; D. Losurdo,

Autocensura e compromesso nell’opera di Kant, cit., pp. 212-4; A. Loretoni, Pace e progresso in Kant, ESI, Napoli 1995, pp. 49-57; L. Sichirollo, Fede e sapere. Giob- be e gli amici. Riflessioni in tema di filosofia, di religione e di filosofia della religione in Kant e in Hegel, in V. Verra (a cura di), Hegel interprete di Kant, Napoli 1981, pp.

219-66.

27 Religion B 296. In una lettera a Moses Mendelssohn del 1766 Kant a-

veva già affermato con chiarezza questo concetto: “in verità io penso, con la più chiara convinzione e con la più grande soddisfazione, molte più cose di quante avrò mai il coraggio di dire. Ma non dirò mai qualcosa che non pen- so” (Briefwechsel X p. 69, tr. it. p. 47).

IV. La famiglia nei limiti della semplice ragione

173 La risposta alla questione se essere veritieri possa non es- sere un dovere è dunque negativa: se così non fosse, afferma il filosofo tedesco, si renderebbe inservibile l’idea stessa del diritto, poiché ciò significherebbe che esistono soggetti a cui tale principio non è applicabile, e il cui diritto all’umanità nella propria persona può essere leso. Nel primo esempio a titolo di chiarimento della formula negativa del principio tra- scendentale del diritto pubblico della Pace perpetua è seguita un’analoga argomentazione a proposito della negazione del diritto di resistenza.

Lo scritto del 1797, pur occupandosi di una questione va- lida per l’uomo in generale, concentra brevemente l’attenzione nel finale sul passaggio da una “metafisica del di- ritto (che astrae da ogni condizionamento di esperienza) a un principio fondante della politica (che applica i concetti a casi empirici)”28, e in cui stabilisce nel principio generale del dirit-

to l’assioma; nella definizione di un sistema di giustizia pub- blica, fondata sulla volontà comune e uguale di tutti, il postu- lato; e nelle condizioni di possibilità di un tale sistema il pro- blema, cui sia la Pace perpetua, sia la Metafisica dei costumi si propongono di dare risposta.

Kant rinviene tra gli esempi di applicazione della prima formula, relativi al diritto interno dello stato e al diritto in- ternazionale, una difficoltà particolare nel caso in cui la poli- tica si rapporti alla morale solo in quanto etica, e consideri i propri doveri come atti di benevolenza, dunque come doveri condizionati. Su questa base rivendica il diritto del filosofo, e dell’essere razionale in generale, a mettere in guardia il politi- co da tale errore e, al fine di smascherare la politica che teme ––––––––––

la pubblicità, osserva la necessità di una seconda formula affermativa:

tutte le massime che, per non fallire nel loro scopo, hanno bisogno della pubblicità, si accordano con la po- litica e col diritto uniti insieme.29

Soggettivamente esiste nell’uomo, in quanto creatura ra- zionale, un dovere ad essere leale con sé stesso, ovvero a pensare da sé, a pensarsi al posto degli altri, e a pensare in modo coerente con sé stesso; a tale dovere si accompagna, da un punto di vista intersoggettivo, l’obbligo di agire in conformità del proprio pensiero e di rendere noto ciò che si pensa. Il pensiero ha una dimensione intersoggettiva fondan- te l’attività stessa che, in quanto bisogno dell’uomo, dev’essere garantita al di là di ogni resistenza: contro Hob- bes, che afferma che il sovrano non ha alcun obbligo verso i sudditi, nello scritto Sul detto comune Kant rivendica per il cit- tadino la facoltà di rendere pubblicamente nota la propria opinione in ogni campo di pubblico interesse, politica com- presa. Perché sia possibile per il singolo pensare liberamente, è dunque necessario garantire la possibilità dell’espressione comune e pubblica e dello scambio libero e aperto all’interno della società civile, sia essa etica oppure giuridica30. Nella se-

conda parte del Conflitto delle facoltà del 1798 Kant afferma che il rischiaramento del popolo, la sua educazione pubblica, non può che avere la pubblicità come condizione, il cui di- vieto, al contrario, ostacola il progresso del genere umano ––––––––––

29 ZeF A 103 B 103 tr. it. p. 161.

30 Cfr. Gemeinspruch A 265. Cfr. anche i punti già citati in Aufklärung A

489-90; DEaD A 515-6; ZeF67-70 . Il Conflitto delle facoltà difende il diritto dei filosofi, che vengono appellati spregiativamente illuministi, ad esprimere pubblicamente le loro opinioni politiche (Streit A 153 tr. it. p. 289).

IV. La famiglia nei limiti della semplice ragione

175 verso il meglio31. Ciò che vale per l’uomo in generale, deve

valere anche per il politico se un accordo tra la morale e la politica è possibile. Compito della politica è dunque porsi in accordo con il pubblico, e condizione di tale accordo non può che essere una conoscenza informata delle condizioni della vita comune, fondata sulla pubblica discussione.

Kant definisce tale accordo negli stessi termini utilizzati a proposito del dovere dei genitori nei confronti del proprio bambino, quello di renderlo soddisfatto della sua condizione (es mit seinem Zustande zufrieden zu machen)32. Solo nella Pace per-

petua e non nella Rechtslehre, Kant chiama in causa diretta- mente la felicità come scopo generale del pubblico, pur a- vendo cura di ripetere, a conclusione del ragionamento, che la formula del diritto pubblico è trascendentale, e prescinde da ogni considerazione della materia della legge e dalla stessa dottrina della felicità33. È tuttavia possibile osservare che in

questa occasione, la distinzione tra i motivi formali e i motivi materiali non è così netta come il filosofo cerca di mostrare. Nella Rechtslehre Kant è esplicito nel negare che il figlio abbia un qualsivoglia dovere etico nei confronti dei genitori; né è fatto mai accenno ad un dovere d’amore degli ultimi nei con- fronti del primo; inoltre, col raggiungimento dell’autonomia del figlio, entrambe le parti sono liberate da ogni responsabi- lità per le eventuali mancanze passate. Tuttavia l’affermazione di un diritto del figlio a essere reso contento della propria situazione non è chiaramente comprensibile da un punto di vista del diritto, essendo tale condizione variabi- le e dipendente da motivi materiali. La Pace perpetua rimanda ––––––––––

31 Streit A 152-4.

32 ZeF A 103-4 B 110-11; MdS AB 113.

ad una trattazione ulteriore del tema, che non ha poi trovato luogo, e lascia la questione indefinita.

È stato messo in luce che la pubblicità contribuisce alla realizzazione della felicità dei cittadini dello stato costruendo uno spazio pubblico e garantito per la conoscenza e l’agire comune, ed è in quanto tale una misura politica che rispetta e garantisce universalmente i diritti degli uomini costruendo una soluzione cosmopolitica e non regionalistica in risposta al problema della guerra34. Tale osservazione è utile anche in

relazione alla famiglia, ove non è in alcun modo prevista una vera e propria sfera privata, cioè intangibile, ma lo stato può, come si è visto, intervenire sia nel rapporto tra i coniugi, sia nella relazione tra genitori e figli, sia nel rapporto giuridico tra il rappresentante della famiglia e i domestici. Condizioni di una effettiva sottoposizione al diritto dei rapporti familiari divengono tanto l’esistenza di tribunali in grado di far rispet- tare il diritto, quanto la possibilità di una discussione pubbli- ca e aperta sui fondamenti di tali rapporti.

Il diritto pubblico è dunque definito nel paragrafo 43 co- me l’insieme delle leggi che devono essere promulgate uni- versalmente; tali leggi sono pubbliche nella misura in cui c’è una costituzione, ovvero una forma che rende uomini e po- poli “partecipi di ciò che è di diritto”35. Il primo paragrafo

della seconda parte della Rechtslehre si conclude riaffermando l’unicità del principio del diritto: ciò che vale per gli uomini tra loro, vale per i popoli considerati in quanto stati, e per gli uomini in relazione agli stati, i cui rapporti (il diritto dello stato, il diritto delle genti e il diritto cosmopolitico) costitui- scono i tre elementi interdipendenti del sistema del diritto ––––––––––

34 Si confronti V. Gerhardt, Zum Ewigen Frieden, cit., pp. 186-211. 35 MdS A 162 B 192.

IV. La famiglia nei limiti della semplice ragione

177 pubblico, che sono tali in quanto se uno soltanto di essi do- vesse mancare, l’intera costruzione verrebbe meno.