Ulpiano non precisa come il magistrato dovesse valutare una stipulatio avente ad oggetto usurae usurarum364: prende in considerazione il divieto di usurae usurarum
nell’ambito della trattazione sulla condictio indebiti, dunque esclusivamente nell’ipotesi in cui il debitore volesse ripetere quanto da lui ingiustamente corrisposto a titolo di
usurae illicitae.
Il fatto che Ulpiano non specifichi in che modo il debitore dovesse comportarsi nel caso dell’esercizio dell’actio ex stipulatu da parte del creditore per ottenere il pagamento delle usurae usurarum, né chiarisca il concreto atteggiarsi della stipulatio relativa alle usurae usurarum, induce necessariamente a dover tener conto di diverse ipotesi365.
Innanzittutto emerge che Ulpiano, attraverso l’affermazione usurarum usurae nec
in stipulatum deduci nec exigi possunt, ha voluto far riferimento ad una stipulatio con cui
il promittente si era obbligato a corrispondere le usurae usurarum, ciò in quanto, il mutuo rimase un negozio gratuito e, d’altra parte, la conventio rimase «di sua natura inidonea a creare un vincolo per le usurae stesse»366. Il giureconsulto potrebbe aver
364 L. SOLIDORO MARUOTTI, Sulla disciplina, cit., 564, afferma infatti che «in definitiva, D. 12.6.26.1 fa fede circa l’esistenza di un divieto di stipulare (oltre che di esigere) interessi composti ed eccedenti l’importo del capitale, ma non ne precisa la fonte, né offre elementi sufficienti per ricostruire con certezza il contenuto originario del precetto normativo»; A. MURILLO VILLAR,
Anatocismo, cit., 503.
365 G. SACCONI, Ricerche sulla ῾stipulatio᾽, Camerino, 1989, 4 osserva infatti che «se è indubitabile che l’obligatio ex stipulatione nasca verbis, tuttavia, come osserva Pedio, nella stessa stipulatio è da ravvisare una conventio, ossia un accordo, per cui soggiunge Ulpiano, ove non esista tale consenso, la stipulatio è nulla. Ma su cosa verte il consenso? Ovviamente sull’oggetto del del contratto che si pone in tal modo in diretto rapportocon la concorde voluntas delle parti». Sul tema altresì il M. TALAMANCA, La tipicità, cit., 35 ss.; ID., ῾Conventio᾽, cit., 163 ss., che infatti osserva, a pagina 167, che «per quanto concerne il rapporto tra gli effetti della conventio e quelli della stipulatio si debbono fare alcune distinzioni. Bisogna vedere se la conventio possa avere o no un’efficacia, sul piano obbligatorio, indipendentemente dall’adibizione di una verborum
obligatio (debba o meno ricorrere - per l’integrazione della fattispecie - una datio rei), e se - nel
caso ciò avvenga - le parti abbiano versato tutto il contenuto precettivo della conventio nella
stipulatio; e va, infine, tenuto conto della struttura della stipulatio stessa, se si tratti cioè di una stipulatio poenae o di una stipulatio in dando o/e in faciendo».
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voluto far riferimento altresì al caso in cui il promissor si fosse obbligato attraverso un’unica obligatio verborum a corrispondere il capitale e le usurae367.
Un altro problema importante per determinare le conseguenze processuali derivanti dalla violazione del divieto di usurae usurarum riguarda la rilevanza che le parti avevano attribuito alla causa della stipulatio attraverso la pronuncia dei verba, poiché essa poteva risultare titolata368 od astratta369. La stipulatio astratta era di gran
lunga lo strumento più diffuso per porre in essere il prestito ad interessi e ciò induce a pensare che Ulpiano, che non fa alcun riferimento alla causa della stipulatio, abbia voluto riferirsi ad una stipula astratta370. Ciò potrebbe essere avvalorato dalla
circostanza che il giureconsulto non si riferisce direttamente alla nullità della stipulatio conclusa in violazione del divieto, ma afferma genericamente che le usurae usurarum non potevano essere in essa dedotte.
Egli afferma che le usurae usurarum dedotte in stipulatio non potevano essere riscosse, perciò il debitore, qualora il creditore avesse dolosamente celato la presenza delle usurae usurarum nella cifra che gli aveva promesso, avrebbe potuto opporre l’exceptio doli per eliminare gli effetti del negozio astratto ed illecito sul piano del ius
367 Ciò potrebbe essere avvalorato dall’utilizzo del verbo deduci che, oltre a riecheggiare il riferimento alla stipula nella sua forma generica, dunque astratta, sembra riferito ad una cifra di denaro unica, in cui le usurae una volta ῾dedotte᾽ non sono più individuabili.
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M. KASER, ῾Mutuum᾽, cit., 275, chiarisce i caratteri della stipulatio titolata ed afferma che «hiernach wird auch in der mündlichen Stipulationsformel auf das Darlehen Bezug genommen worden sein, etwa nach dem Schema «centum, quae a me mutua accepisti, kalendis…mihi dari
spondesne?». Sollte man hieraus eine Titulierung der Stipulation erschlossen haben, dann lässt
sich ohne weiteres begreifen, dass die mit der Hingabe des Darlehens (oder was dem gleichsteht) begründete Darlehensverbindlichkeit von der aus der Stipulation absorbiert wurde».
369 Le diverse situazioni processuali sono chiaramente prospettate dal M. TALAMANCA,
Istituzioni, cit., 561 s. che osserva «la stipulazione dava luogo ad un’obbligazione civile di stretto
diritto. Le azioni che nascono dalla stipulatio sono l’actio certi, se oggetto dell’oportere è una certa
pecunia od una certa res, e l’actio incerti in tutti gli altri casi…L’actio certi ha due forme: l’actio certae creditae pecuniae e la condictio certae rei…L’actio certae creditae pecuniae ha una condemnatio certa, in cui è prefissata la somma di denaro a cui può condannare il giudice, mentre nella condictio certae rei la condemnatio è incerta, al quanti ea res est…Meno conosciuta, dalle fonti, è
l’actio incerti: essa è caratterizzata dall’intentio incerta al quidquid dare facere oportet. Anche questa azione ha un campo di applicazione abbastanza amplio: oltre che nella stipulatio incerti, nel legato per damnationem e sinendi modo».
370 M. KASER, ῾Mutuum᾽, cit., 276 evidenzia che le fonti depongono per la scarsa diffusione della
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honorarium371. Qualche volta però l’exceptio doli poteva non fornire una tutela ῾a tutto
tondo᾿ al convenuto, infatti, il principio reus in excipiendo fit actor comportava che il convenuto dovesse provare che la stipulatio con la quale aveva assunto l’obbligazione violava in realtà il divieto di anatocismo. Tale prova poteva risultare assai difficile se il debitore si era obbligato a corrispondere un’unica cifra, comprensiva della sors e delle
usurae e non aveva un documento che dimostrasse l’ammontare della cifra numerata.
Pertanto l’avvenuta violazione del divieto non poteva essere individuata con chiarezza perchè l’ammontare effettivo delle usurae non era individuabile all’interno del totale.
Ulpiano non prende in considerazione questo problema specifico ed attraverso l’affermazione usurae usurarum nec exigi possunt et solutae repetuntur372, sembra non
371 Gai 4.116: Comparatae sunt autem exceptiones defendendorum eorum gratia, cum quibus agitur.
Saepe enim accidit, ut quis iure civili teneatur, sed iniquum sit eum iudicio condemnari. Velut si stipulatus sim a te pecuniam tamquam credendi causa numeraturus nec numeraverim: nam eam pecuniam a te peti posse certum est. Dare enim te oportet, cum ex stipulatu teneris; sed quia iniquum est te eo nomine condemnari, placet per exceptionem doli mali te defendi debere. Gai 4.119: Omnes autem exceptiones in contrarius concipiuntur, quam adfirmat is cum quo agitur: nam si verbi gratia reus dolo malo aliquid actorem facere dicat, qui forte pecuniam petit, quam non numeravit, sic exceptio concipitur: si in ea re nihil dolo malo Auli Agerii factum sit neque fiat.
372 Ciò altresì è ribadito in un frammento contenuto nelle Pauli Sententiae, che riguarda le usurae
supra duplum. Si afferma che gli interessi pagati con un tasso annuo superiore alla centesima
devono essere imputati al capitale e possono essere ripetuti solo una volta pagata la sors. Paul.
Sent. 2.14.2: Usurae supra centesimam solutae sortem minuunt: consumpta sorte repeti possunt. Il
collegamento tra le usurae ultra duplum e il genus delle usurae illicitae è ulteriormente avvalorato nell’Interpretatio della sententia appena citata. Int. ad Paul. Sent. 2.14.2: In pecuniis creditis cum
solutio usurarum sortem aequaverit, si quid amplius creditori fuerit datum, de capite debiti subtrahitur. Si vero et centesima et caput impletum est, quod amplius creditori accepit, reddere cogetur debitori.
L’interprete si spinge ben oltre quanto affermato in Paul. Sent. 2.14.2, fornendoci dati importanti: 1) se il totale degli interessi raggiunge l’ammontare del capitale, le somme eventualmente pagate in surplus dovranno essere scomputate dal capitale, 2) una volta che sia avvenuto il pagamento degli interessi al 12% e quello del capitale, quanto pagato in surplus dovrà essere restituito al debitore. Il testo dell’Interpretatio è più completo, e in parte divergente, rispetto a PS. 2.14.2, perché fa esplicito riferimento al divieto di usurae ultra duplum, che manca nelle PS., e sottolinea l’operatività del principio della ripetibilità degli interessi illeciti sia per gli interessi ultra centesimam che per quelli ultra duplum (mentre Paul. Sent. 2.14.2 applica il principio eclusivamente agli interessi ultra centesimam). Questa divergenza, secondo la dottrina dominante, sarebbe in realtà un’integrazione da parte dell’interprete della trattazione contenuta nelle PS., intesa a chiarire che sia gli interessi ultra centesimam che quelli ultra duplum erano sottoposti alla medesima disciplina: imputazione al capitale fino al suo raggiunimento e restituzione del surplus al debitore.G. CERVENCA, Usura, cit., 1128, nt. 36.
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volersi soffermare sui problemi processuali collegati all’utilizzo dell’exceptio doli373,
quanto piuttosto voler enunciare i diversi contenuti dei divieti relativi alle usurae374.
Attraverso l’elaborazione del meccanismo dell’inversione dell’onere della prova in relazione all’exceptio non numeratae pecuniae, avvenuta probabilmente nell’ambito della cognitio extra ordinem, si perfezionò una tutela più efficace per il debitore375 (v.
infra 132 ss.)
È dunque plausibile che il promissor, di fronte all’actio ex stipulatu del creditore per una cifra comprensiva delle usurae usurarum, si servisse dell’exceptio non numeratae
pecuniae per far valere l’invalidità della stipulatio conclusa in violazione del divieto di
anatocismo, senza doverne fornire la prova, dal momento che tale onere, a partire almeno dal 215 d.C., gravava sull’attore 376.
373 Si tratta altresì di un problema di carattere generale, che deriva dal carattere astratto della
stipulatio, che si fonda unicamente sui verba e sulla voluntas delle parti, ma non può violare i
divieti sabiliti dalla legge. In relazione a tale problema si esprime Paolo in Paul. 12 ad Sab. D. 45.1.35.1: Item quod leges fieri prohibent, si perpetuam causam servaturum est, cessat obligatio, veluti si
sororem nupturam sibi aliquis stipuletur: quamquam etiamsi non sit perpetua causa, ut reccidit in sorore adoptiva, idem dicendum sit, quia statim contra mores sit. Sebbene la questione specifica sia
differente, il giurista afferma con sicurezza che la stipulatio conclusa in violazione di una previsione normativa è nulla e rimane tale anche nel caso in cui la prestazione divenga lecita dopo la conclusione del negozio. In tal sento altresì Ulp. D. 45.1.26 pr, Pomp. D. 45.1.27 pr; Ulp. D. 2.14.7.16.
374 A. MASI, voce Nullità (storia), Enc. dir., XXVIII, Milano, 1978, 859 ss.; G. CERVENCA, Sul divieto,
cit., 292, nt. 7, ha sostenuto, parlando nello specifico delle usurae supra duplum, attraverso un
ragionamento estensibile anche alle usurae usurarum, che «dire che…non possono essere dedotte in stipulatio, significa…sancire a priori la nullità dell’obbligo relativo, senza riguardo al frazionamento eventuale dei pagamenti».G. CASSIMATIS, Les intérêts, cit., 61 ss.; G. SACCONI,
Ricerche, cit., 43 s. spiega che «..mentre in presenza di una stipulatio invalida sussiste l’obligatio ex mutuo che può farsi valere mediante condictio, nell’ipotesi in cui non sia stata effettuata la datio,
la stipulatio risulta parimenti vincolante, ma al creditore che agisce può essere opposta la mancata realizzazione dell’assetto di interessi presupposto dalla stipulatio. L’id quod inter partes
actum est fa sì quindi che in tale ipotesi l’azione esperita dal creditore possa dirsi dolosa, in
quanto con essa si fa valere un credito formalmente valido, ma in cui non si attua l’intesa posta dalle parti a base del contratto. In tal modo si profila per la prima volta una differenza tra quello che è il valore della stipulatio per il diritto sostanziale, ossia un negozio pienamente valido in forza della sua astrazione, e la sua valutazione sul piano processuale che subisce dei condizionamenti e delle limitazioni».
375 G. PUGLIESE, L’onere, cit., 383 ss.
376 M.R. CIMMA, ῾De non numerata pecunia᾿, cit., 98, con riferimento alla costituzione di Caracalla del 215 d. C., contenuta in CI. 4.30.3, spiega che «all’intervento legislativo di Caracalla si deve invece la formulazione esplicita della norma in base alla quale l’esperimento dell’ exceptio n.n.p. invertiva l’onere della prova, e questo provvedimento fece sì che l’opposizione del convenuto, che almeno di fronte alle cauzioni semplici era più una contestazione della verità del
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È tuttavia possibile che già prima di questa statuizione le difficoltà probatorie potessero essere evitate dal debitore attraverso la minaccia dell’exceptio doli ed il creditore, per scongiurare il rischio di non ottenere alcunchè dal processo, decidesse di agire per la somma di denaro lecita377. La dottrina che ha sostenuto l’operatività della
tecnica conservativa dell’obbligazione attraverso la riduzione degli interessi entro il limite legale, ha forse presupposto tale effetto ῾deterrente᾿ dell’exceptio doli378.
Secondo questa dottrina l’ammontare della condanna, veniva ridotto ai soli interessi leciti e la stipulatio era dunque solo parzialmente nulla379. Quanto si dice è
documento che non un’eccezione in senso tecnico, assumesse un regime particolare che consente di identificare l’eccezione come un istituto autonomo e definito: forse non è il caso che la denominazione exceptio n.n.p. si riscontri a piene lettere per la prima volta proprio nel rescritto del 215». Tale supposizione sembra confermata dal tenore della successiva Nov. Theod. 9 del 439 d.C. che affermò la nullità di qualsiasi atto contrario ai divieti normativi, anche qualora le norme che sancivano il divieto nulla prevedessero in tal senso e sancì definitivamente la nullità delle stipulazioni aventi ad oggetto le usurae illicite, tra cui anche le usurae usurarum.Si veda in propositoA. MASI, voce Nullità, cit., 864 che chiarisce che la Nov. Theod. ha sancito un principio generale in connessione con la finalità specifica di impedire l’elusione di una costituzione del 382 d.C. (C.Th. 12.1.92=CI. 10.32.34). In tal modo «la novella supera la distinzione tra leges perfectae, minus quam perfectae ed imperfectae, in quanto afferma che gli atti compiuti contro un divieto normativo non solum inutilia, sed pro infectis etiam habeantur, anche se il legislatore si sia limitato a porre il divieto di cui si tratta senza esplicitare le conseguenze dell’inosservanza di esso».
377 V. ARANGIO RUIZ, L’῾exceptio᾽, cit., 269, dopo aver esaminato vari casi in cui la minaccia dell’exceptio doli sortisce l’effetto di far diminuire l’ammontare della condanna, osserva che il passo di Paolo, in de var. lect. D. 44.1.22 pr: Exceptio est condicio, quae modo eximit reum damnatione,
modo minuit damnationem, potrebbe essere addirittura genuino.
378 In quanto un potere così esteso del soggetto iusdicente poteva verificarsi esclusivamente nell’ambito della cognitio extra ordinem del periodo tardoclassico, L. SOLIDORO MARUOTTI, Sulla
disciplina, cit., 564; ID., ῾Ultra sortis᾿, cit., 178; C. VITTORIA, Le ῾usurae usurarum᾿, cit., 314.
379 L’altra dottrina che ha approfondito le caratteristiche del rimedio dell’exceptio ha confermato questa determinazione temporale ha sostenuto che, sebbene nelle fonti si parli di eccezione in diminuzione della condanna (Paul. l. s. de var. lect. D. 44.1.22 pr), questa poteva affermarsi solo nell’ambito della cognitio, perché prima di tale procedimento l’exceptio appare sempre come una condizione negativa inserita nella formula, apposta alla condemnatio. G.I. LUZZATO, voce
Eccezione (dir. rom.), in Enc. dir., XIV, Milano, 1965, 135 ss.; C.A. CANNATA, voce Eccezione (dir.
rom.), in Noviss. Dig. it., VI, Milano, 1975, 346 ss. Tuttavia osserva V. ARANGIO RUIZ, L’῾exceptio᾽, cit., 269 s. che «per quanto nel risultato pratico il gioco dell’officium iudicis imperniato sull’exceptio si risolvesse nel far sborsare al convenuto una somma minore, ad un giurista non poteva sfuggire che, a rigore di termini processuali, non si aveva mai una condanna diminuita, ma un adempimento volontario in misura ridotta, che l’exceptio rendeva sufficiente all’assoluzione, ovvero un dare e riprendere per parte dell’attore sul contenuto immutabile della condanna…comunque la differenza fra il sistema classico e postclassico è solo in apicibus
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facilmente immaginabile solo se le usurae usurarum formavano oggetto di specifica ed autonoma stipulatio, caso che nella pratica si dovette realizzare assai raramente380,
mentre, nel caso in cui la stipula fosse unica, l’ipotesi prospettata necessita di qualche ulteriore chiarimento.
L’utilizzo dell’exceptio doli poteva assumere comunque, prima della litis
contestatio, una funzione di ῾spauracchio᾿- come osserva l’Arangio Ruiz - «nel senso di
obbligare l’attore che non voglia rinunziare alla speranza di vittoria a ridurre in iure la sua pretesa al saldo381». Infatti, il creditore che voleva agire per ottenere la condanna
del convenuto alla cifra complessiva formata da sors, usurae licitae ed usurae usurarum poteva, di fronte all’evenienza che il convenuto opponesse l’exceptio doli e ne potesse dimostrare il fondamento, decidere di agire soltanto per la sors e le usurae licitae. La sua pretesa, altrimenti, sarebbe potuta risultare caratterizzata non solo da dolus praeteritus ma altresì da dolus praesens, dal momento che si era fatto promettere le usurae usurarum
iuris; e le ragioni delle parti non erano peggio tutelate dalla struttura e dall’applicazione pratica
della formula di quel che fossero più tardi, nel pieno dominio della cognitio magistratuale». 380 L. SOLIDORO MARUOTTI, Sulla disciplina, cit., 566, la tesi, peraltro sostenuta dall’Autrice con particolare riferimento alla stipulatio avente ad oggetto le usurae supra duplum, non viene espressamente dichiarata inapplicabile agli interessi sugli interessi nell’ambito dell’analisi di D. 12.6.26.1. A sostegno di questa opinione viene spesso citato un passo delle quaestiones di Papiniano, contemporaneo di Ulpiano, in cui viene avanzata la soluzione della nullità parziale della stipulatio proprio in relazione al superamento del duplum. Pap. 2 quaest. D. 22.1.9 pr:
Pecuniae faenebris, intra diem certum debito non soluto, dupli stipulatum in altero tanto supra modum legitimae usurae respondi non tenere: quare pro modo cuiuscumque temporis superfluo detracto stipulatio vires habebit. La fattispecie presa in esame da Papiniano, nell’ambito dell’esame delle relazioni
fra l’interesse e la pena convenzionale, descrive il caso in cui il debitore si sia impegnato, tramite stipulatio, a pagare il doppio della somma capitale dovuta a titolo di penale (nel caso di mancato adempimento alla scadenza). La stipulatio, secondo Papiniano, deve considerarsi valida solo per la parte che, al momento del pagamento non supera il limite massimo stabilito per gli interessi, gli ulteriori interessi dovuti per la scadenza del termine, che determinano il superamento del duplum devono essere detratti. Poiché il debitore è tenuto a pagare solamente gli interessi legittimi, la stipulatio è parzialmente nulla: non vincola il debitore nella parte in cui la pena concordata oltrepassa il tasso legale, parte incompatibile con il precetto normativo, K. VISKY, L’applicazione, cit., 67 ss. Il ragionamento di Papiniano presuppone la vigenza del principio per cui la pena stipulata non possa eccedere il massimo stabilito per gli interessi, la cui
ratio consiste nel non consentire di eludere i divieti relativi alle usurae attraverso la stipula di
una penale. Il frammento però non ha specificamente ad oggetto le usurae usurarum, ma la pena convenzionale, non è perciò determinante ai fini della ricerca intrapresa. Anche perché le usurae
usurarum, da quanto è emerso finora, erano oggetto di un autonomo divieto e non era dunque
possibile la distinzione fra lecite ed illecite. 381 V. ARANGIO RUIZ, L’῾exceptio᾽, cit., 268 ss.
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in violazione del divieto ed agiva in giudizio per ottenere la condanna del convenuto al versamento delle medesime382.
La ῾posta in gioco᾽ era dunque alta per l’attore, perché, nel caso in cui il convenuto fosse riuscito a dimostrare che egli aveva agito per conseguire le usurae
usurarum, avrebbe potuto perdere anche la possibilità di ottenere il capitale
effettivamente versato e le usurae licitae. È dunque verosimile che egli decidesse di agire solamente per le somme lecite e che, in questo modo, l’utilizzo dell’exceptio doli conducesse in concreto alla diminuzione dell’ammontare della somma richiesta383.
Inoltre, la circostanza che Ulpiano affermi che il pagamento delle usurae usurarum e delle altre usurae illicitae configuri un indebitum, potrebbe in un certo senso avvalorare