Ulpiano passa poi all’esame di alcune ipotesi particolarmente gravi di violazione dei divieti legali: le usurae il cui ammontare superi il doppio del capitale e le usurae
usurarum, ovvero gli interessi calcolati sugli interessi327.
Ulp. 26 ad ed. D. 12.6.26.1
Supra duplum autem usurae et usurarum usurae nec in stipulatum deduci nec exigi possunt et solutae repetuntur, quemadmodum futurarum usurarum usurae328.
Il giurista prosegue nel ragionamento intrapreso nel principium e ribadisce che le
usurae semplici eccedenti il duplum,ovvero che abbiano raggiunto e superato il doppio dell’ammontare del capitale preso in prestito329, così come le usurae usurarum, non
327 Il problema specifico del divieto di usurae usurarum è preso in considerazione in relazione al divieto di usurae supra duplum e si presta ad una duplex interpretatio. Invero il divieto di usurae
usurarum può essere considerato in relazione al limite del duplum, come se fossero vietati
solamente gli interessi sugli interessi che determinavano il superamento del duplum, oppure in modo autonomo, come se fosse vietata qualsiasi forma di calcolo di interessi sugli interessi. 328 Ulp.fr. 774LENEL.
329 Per interessi supra duplum o ultra duplum devono intendersi quelli che superano l’ammontare del capitale e che, sommati ad esso, fanno sì che il risultato, ovvero la somma complessivamente dovuta, sia superiore al doppio della cifra presa in prestito dal debitore. La dottrina più datata era solita parlare di usurae alterum tantum.F. GLÜCK, Commentario, cit., 89. Il duplum è quindi determinato dalla somma del capitale e degli interessi. Ciò si legge altresì nella Glossa: gl.
duplum in l. 26.1 ff. 12.6: duplum enim vocat sortem et usuram centesima, e trova conferma in CI.
4.32.10. G. CERVENCA, Sul divieto, cit., 300, nt. 5; F. FASOLINO, Studi, cit., 41. Sebbene l’ammontare degli interessi pari al duplum sia molto elevato per il debitore, si tratta di un limite estremo; è tuttavia probabile che interessi così alti venissero stipulati soprattutto nel periodo repubblicano, basti pensare che l’originario limite legislativo del foenus unciarum, inteso come interesse mensile, costituiva probabilmente il cento per cento del capitale nell’anno di 12 mesi. Probabilmente per questo motivo permane nelle intenzioni dei giuristi la volontà di ribadire, ogni volta fosse opportuno, che gli interessi non erano dovuti interessi stipulati in misura superiore al limite legale, in particolar modo se superavano l’ammontare del capitale. Inoltre il limite del duplum si ritrova in materia di emptio venditio, come limite massimo per la condanna del del venditore per l’evizione, attraverso la stipulatio duplae. Tale stipulatio di garanzia si diffonde nel tardo periodo classico, e si inserisce nel contesto in cui la traditio diventa il modo più diffuso di trasferimento delle res mancipi e nec mancipi. L’utilizzo della traditio per il trasferimento delle res mancipi, determinò l’esigenza di sostituire il modello dell’obligatio
auctoritatis della mancipatio con altre stipulationes con funzione di garanzia: tra queste la stipulatio duplae, con cui il venditore si obbligava a pagare il doppio dell’ammontare del prezzo pagato
dal compratore ove si verificasse l’evizione. Inizialmente l’utilizzo delle stipulationes era facoltativo per le parti e l’inadempimento di esse non faceva sorgere alcuna responsabilità in capo al venditore. Successivamente «nell’ambito dell’elaborazione del contenuto specifico
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possono essere dedotte in stipulatio: da ciò discende che, qualora vengano comunque dedotte in stipulatio, non possano essere riscosse e, qualora indebitamente pagate, possano essere ripetute attraverso la condictio indebiti330.
Il ragionamento di Ulpiano appare volto ad illustrare le modalità di repressione dei due casi più gravi di usurae illicitae, che rappresentano delle degenerazioni del prestito ad interesse, causate dal decorso di un lasso di tempo considerevole tra l’assunzione del debito ed il suo adempimento ma altresì dalla volontà del creditore di eludere i divieti stabiliti ex lege per gli interessi.
Infatti, Ulpiano afferma che gli interessi ultra duplum e gli interessi sugli interessi non possono essere dedotti in stipulatio né essere richiesti in giudizio dal creditore. La maggior gravità delle ipotesi di violazione dei divieti si deduce dall’esplicito riferimento alla fonte dell’obbligazione e dall’espressa enunciazione per cui le usurae
supra duplum e le usurae usurarum nec in stipulatum deduci nec exigi possunt331.
dell’oportere ex fide bona della formula dell’actio empti, i giuristi classici, però, ammettono dapprima l’esperibilità di questa azione nell’ipotesi in cui il venditore abbia consapevolmente alienato una cosa non sua, ravvisandovi una obbligazione della buona fede contrattuale; successivamente concedono l’azione in ogni caso in cui lo stesso venditoresi rifiuti di prestare la promessa di garanzia nella forma delle stipulazioni». G. PUGLIESE, F. SITZIA, L. VACCA,
Istituzioni, cit., 563.
330 Alla luce delle considerazioni della dottrina più recente che sottolinea l’allargamento del campo di applicazione di tale tipo di condictio ad opera di Ulpiano, come nel caso esaminato in D. 12.6.26 pr, osserva il A. SACCOCCIO, ῾Si certum᾽, cit., 536 s. che «Ulpiano, quindi, per concedere o negare la condictio…non pare più porsi dal punto di vista della datio che trovi o non trovi una sua giustificazione causale in un evento passato o futuro, di conseguenza permettendo o impedendo l’esperibilità dell’azione. Egli parla piuttosto di prestazione debita o indebita». La dottrina più datata, individua invece il rimedio ad hoc nella condictio sine causa, si veda: F. GLÜCK, Commentario, cit., 105.
331 Il B. BIONDI, Contratto, cit., 342 s. osserva, in relazione alla progressiva rilevanza della causa nella stipulatio, che «in tema di causa nella stipulatio riscontriamo uno sviluppo storico analogo a quello riscontrato per i verba. Come da prima quello che conta sono i verba e gradatamente si dà risalto alla conventio, così da prima la stipulatio è recisamente atto astratto, ma gradatamente si prende in considerazione la causa ai fini dell’efficacia dell’atto. Si ha il doppio fenomeno storico della emersione del consenso e della causa…Secondo il ius civile, la stipulatio sine causa è perfettamente valida, ma il promittente, convenuto in giudizio per l’adempimento della prestazione, può opporre la exceptio doli, in base al principio, in base al principio che l’attore è in dolo per il solo fatto che deve subito restituire quello che chiede». Il ragionamento prosegue (343 s.) «circa la causa illecita o turpe si ha il medesimo contrapposto tra ius civile e diritto pretorio. Secondo il ius civile, la stipulatio è valida e lo stipulante può agire in giudizio; ma il pretore gli denega l’azione e non poterla esercitare è come se il diritto non esistesse. Pertanto, procedendo dalla denegatio actionis, si arriva ad ammettere la nullità della stipulatio…Possiamo dire in conclusione che, attraverso il diritto pretorio, la causa è diventata requisito della
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In base al contenuto complessivo di Ulp. D. 12.6.26 pr-1 si possono distinguere tre casi di pattuizione di interessi illeciti tramite stipulatio: gli interessi oltre il limite legale332, gli interessi supra duplum egli interessi sugli interessi333. Le due ultime ipotesi
sono equiparate dal punto di vista della disciplina applicabile, anche se in dottrina si è dubitato dell’integrità del testo334. Da un lato, si è ritenuto assai improbabile che
Ulpiano, dopo aver parlato nel principium di interessi non dovuti, sia passato repentinamente ad esaminare le ipotesi di interessi dedotti in stipulatio ed in particolare le usurae usurarum, si è perciò ipotizzato che il § 1 sia stato rimeneggiato dai complilatori attraverso l’inserimento di un glossema335.
Tuttavia il passo presenta una certa coerenza in quanto costituisce la continuazione del ragionamento intrapreso nel principum. Pertanto altra dottrina ha sostenuto che la pretesa interpolazione non avrebbe nessuna prova valida e che avrebbe, a tutto concedere, carattere meramente formale, in quanto anche le usurae
supra duplum e le usurae usurarum sono interessi non dovuti dal promissor perché
presumibilmente vietati336.
La menzione delle usurae supra duplum, così come quella delle usurae usurarum, risulta in armonia con il tenore generale del passo, mentre l’inciso quemadmodum
futurarum usurarum usurae, riferito agli interessi degli interessi futuri, cioè agli interessi
sugli interessi non scaduti, configura un caso di interessi sugli interessi molto particolare, ma comunque verosimile. Poteva infatti accadere che il promissor si fosse impegnato a corrispondere gli interessi sugli interessi in ragione dell’eventualità di non riuscire a corrispondere per tempo gli interessi semplici.
Potrebbe altresì trattarsi di un inserimento dei compilatori giustinianei che, al fine di fornire una trattazione minuziosa dei possibili casi di usurae usurarum, hanno
stipulatio, però nel senso che la mancanza o illiceità della causa non rende nullo l’atto, ma può
essere opposta dal promittente».
332 Per quanto riguarda gli interessi oltre il limite legale si tratta di una deduzione dettata dal senso complessivo del passo.
333 La disciplina illustrata da Ulpiano in relazione alle usurae illicitae riguarda l’ipotesi in cui il debitore contesti l’illiceità degli interessi dopo averli pagati. G. CERVENCA, Sul divieto, cit., 295 s.; ID., Usura, cit., 1128, nt. 36; L. SOLIDORO MARUOTTI, Sulla disciplina, cit., 564.
334 G. BILLETER, Geschichte, cit., 271 s.; G. CERVENCA, Sul divieto, cit., 293.
335 G. SCHWARZ, Die Grundlage, cit., 53 ss.; A. GUARINO, Diritto privato romano12, Napoli, 2001, 800, nt. 66.5.1.
336 G. CERVENCA, Sul divieto, cit., 300 s., nt. 6, M. KASER, Das römische Privatrecht2, I, München, 1971, 497, nt. 32; A. MURILLO VILLAR, Anatocismo, cit., 503, che specifica che il riferimento alle
usurae usurarum risulta in armonia con con il riferimento alle veteres leges fatto da Giustiniano in
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messo sul medesimo piano le usurae usurarum e gli interessi sugli interessi futuri. Il riferimento agli interessi sugli interessi futuri si ritrova altresì in CI. 4.32.28.1 dell’anno 529 (definimus nullo modo licere cuidam usuras praeteriti vel futuri temporis in sortem
redigere et earum iterum usuras stipulari) e ciò induce a pensare che si trattasse di
un’ipotesi concreta di interessi sugli interessi, sebbene particolarmente rara e riprovevole.
La dottrina che per prima ha preso in considerazione il problema specifico delle
usurae usurarum ha interpretato il passo nel senso che esso stabilisca un divieto
autonomo riferito alle usurae usurarum convenzionali337. La dottrina più recente ha
invece circoscritto il divieto di usurae usurarum al superamento del duplum ed ha perciò ritenuto illeciti i soli interessi sugli interessi che determinano il superamento dell’ammontare del capitale338. Entrambe le interpretazioni sono possibili ed assume
dunque un’importanza preliminare la comprensione della portata del divieto di superamento del duplum.
La fattispecie contempla invero il caso in cui l’obbligazione di pagare le usure
supra duplum o le usurae usurarum sia stata assunta tramite stipulatio. Non è chiaro se il
giurista abbia voluto fare riferimento ad un’unica stipulatio sortis et usurarum oppure ad una stipulatio usurarum separata dalla stipulatio sortis ed inoltre non viene specificato se la stipulatio risultasse titolata od astratta, anche se la lettura del passo nel suo complesso induce a propendere per l’astrattezza del negozio.
Il riferimento al duplum come limite estremo per l’ammontare degli interessi deve essere inteso come il doppio del capitale inizialmente preso in prestito: in altri termini si fa riferimento all’ipotesi delle usurae ultra sortis summam339.
337 T.MOMMSEN, Römische Geschichte11, III, Leipzig, 1856, 537 ss.; G.CERVENCA , Sul divieto, cit., 291; L. SOLIDORO MARUOTTI, Sulla disciplina, cit., 564; G. CASSIMATIS, Les intérêts, cit., 61 ss.; M.E. GÓMEZ ROJO, Historia, cit., 12 ss.; R. HERRERA BRAVO, ῾Usurae᾿, cit., 19 ss.
338 F. FASOLINO, Studi, cit., 42; A. MURILLO VILLAR, Anatocismo, cit., 502 s.; A. PIKULSKA,
Anatocisme, cit., 442.
339 Nel periodo classico l’ammontare degli interessi oltre il doppio del capitale preso in prestito poteva essere causato esclusivamente da una degenerazione del prestito stesso per cause non previste al momento della stipula. Gli interessi semplici infatti dovevano sottostare al limite della centesima, è quindi improbabile che interessi ultra duplum venissero dedotti in stipulatio. Solo nel periodo antico, in cui la legislazione antifeneratizia non era ancora sviluppata (come l’economia d’altronde), interessi così elevati avrebbero potuto essere oggetto di sponsio. Invero l’originario limite legislativo del foenus unciarum, inteso come interesse mensile, costituiva probabilmente il cento per cento del capitale nell’anno di 12 mesi. Inoltre il divieto di superamento del duplum della somma dedotta in obbligazione si ritrova nel contesto dei bonae
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Affinché possa essere compreso il significato effettivo del limite del duplum è indispensabile determinare il periodo di tempo nel quale le usurae dovessero maturare e raggiungere tale importo massimo. Ulpiano tace in proposito ma, nello stesso periodo in cui Ulpiano illustra l’operatività del limite del duplum, esso viene preso in considerazione in un rescritto di Antonino Caracalla.
CI. 4.32.10 Imp. Antoninus A. Crato et Donato militi.
Usurae per tempora solutae non proficiunt ad dupli computationem. Tunc enim ultra sortis summam usurae non exiguntur, quotiens tempore solutionis summa usurarum excedit eam computationem. [a. 215]
CI. 4.32.10 stabilisce le modalità di calcolo del duplum: esso include solamente gli interessi scaduti e non quelli pagati regolarmente. Sembra dunque che la norma contenuta nella costituzione abbia voluto far riferimento alle usurae scadute da pagare in un’unica soluzione, il cui ammontare superasse l’importo del capitale preso in prestito. Il testo del rescritto non contiene alcun riferimento alla fonte da cui discende l’obbligo di pagare gli interessi, mentre Ulpiano fa espresso riferimento alle usurae dovute ex stipulatu. È probabile che anche Caracalla si riferisse alla stipulatio come fonte dell’obbligazione, vista la diffusione di tale contratto per la pattuizione degli interessi340.
molto importante nell’ambito della crescente attenzione del sistema romano al soggetto debole del rapporto contrattuale, che si manifestò prima attraverso il riconoscimento della buona fede come parametro di valutazione in alcuni iudicia (quelli in cui le usurae erano previste in un patto aggiunto ad un contratto di buona fede) e poi implicò che mai il debitore fosse tenuto a pagare più del doppio di quanto inizialmente preso in prestito. Tale limitazione ebbe origine probabilmente dalla stipulatio duplae creata per l’evizione e si sviluppò soprattutto in relazione agli interessi, tanto da poter essere considerato un principio generale in materia di obbligazioni pecuniarie. S. TAFARO, Brevi riflessioni, cit., 14 ss. sottolinea che «..vi sono molti casi nei quali i giuristi della tarda Repubblica e dell’Impero applicarono il limite del doppio; al riguardo un riferimento certo appare il limite introdotto per gli interessi sia legali che convenzionali. Esso risulta applicato già sul finire dell’età Repubblicana (tra il 72 e il 70 a.C.) da un editto di Lucullo, mentre non è databile la sua introduzione in Roma, dove tuttavia era operante durante il Principato, poiché la giurisprudenza di quel periodo lo menzionava più volte, dandone per scontata la sua applicazione; la quale fu anche confermata e, talora meglio precisata, da alcune costituzioni imperiali ispirate dai giuristi della Cancelleria. Di modo che appare legittimo concludere che in tutta l’esperienza romana si tentò di non consentire che un debitore potesse essere gravato oltre il doppio del debito contratto».
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Il dettato di questa costituzione afferma l’irripetibilità delle usurae pagate nei termini, in quanto non comprese nel calcolo del duplum, quindi non vengono prese in considerazione al fine della determinazione del quantum ripetibile. Questa regola tuttavia non corrisponde esattamente a quanto affermato da Ulpiano in D. 12.6.26.1, che sembra infatti contemplare la ripetibilità degli interessi ultra duplum a prescindere dal momento in cui essi siano stati corrisposti: per Ulpiano essi non avrebbero potuto neanche essere dedotti in stipulatio, tranne nel caso in cui il superamento del duplum non fosse prevedibile al momento dell’assunzione dell’obbligazione e fosse stata, per esempio, promessa la restituzione di una certa somma di denaro ad un certo tasso, come invece sembra avvallare il contenuto della costituzione341.
Risulta quindi plausibile che la costituzione di Caracalla costituisse una specificazione, probabilmente relativa ad un caso peculiare, del principio affermato da Ulpiano e si riferisse esclusivamente a quelle fattispecie in cui gli interessi, inizialmente pattuiti in misura lecita, avessero superato l’ammontare del capitale a causa del decorso del tempo, senza che ciò fosse stato previsto dalle parti al momento della conclusione dell’accordo. L’adempimento delle usurae oltre l’importo del capitale da corrispondere in un’unica soluzione, risultava infatti particolarmente gravoso per il debitore, al contrario del caso in cui le usurae fossero state pagate regolarmente. Perciò gli interessi pagati ante tempore solutionis non venivano inclusi nel calcolo del duplum ed erano irripetibili342. Altra dottrina ha ritenuto che Ulpiano abbia analizzato la regola in
questione prima dell’emanazione del rescritto di Caracalla e perciò non ne abbia tenuto conto343.
341 C. VITTORIA, Le ῾usurae usurarum᾿, cit., 311.
342 «La disposizione contenuta nel rescritto non sarebbe stata applicabile se le usurae supra duplum fossero state espressamente stipulate ab initio. - sottolinea la L. SOLIDORO MARUOTTI, Sulla
disciplina, cit., 578 s., nt. 63 - Nel qual caso, stante la parziale invalidità del patto, gli interessi
illeciti corrisposti sarebbero stati senz’altro ripetibili, dopo il pagamento del capitale. Se questo è vero, tra la costituzione imperiale ed i testi che sembrano enunciare il principio della nullità dei contratti relativi ad interessi illeciti, non sarebbe ravvisabile alcuna contraddizione».
343 Questo è quanto sostenuto dal Cervenca, che ha sottolineato che «invero, mentre da un lato sappiamo che i commentari ad edictum ulpianei (o almeno i primi 50-60 libri) furono redatti in un periodo corrispondente al regno di Caracalla (e il rescritto di questi contenuto in CI. 4.32.10 ci è pervenuto senza data), dall’altro lato non è credibile che Ulpiano abbia potuto ignorare o addirittura scientemente discostarsi dal regime statuito in una costituzione dll’imperatore in carica. Sembra dunque confermata l’impressione, già ricavabile dalla semplice lettura del rescritto, secondo cui scopo del medesimo sarebbe stato quello di introdurre una delimitazione alla portata del divieto», G. CERVENCA, Sul divieto, cit., 292. La dottrina più datata riteneva invece che «l’imperatore Antonino mitigò la severità dell’antico diritto, disponendo che gli intererssi già pagati non dovessero essere computati nel duplum e che quindi gli interessi
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In base alle due testimonianze a nostra disposizione emerge che il superamento della cifra del capitale si poteva in concreto verificare in seguito a tre diverse pattuizioni: a) la restituzione della sors doveva avvenire entro un termine inferiore agli otto anni e quattro mesi (tempo necessario affinché l’ammontare degli interessi, calcolato al 12%, raggiungesse la somma del capitale) ma ad un tasso d’interesse superiore al 12%; b) il tasso d’interesse era rispettoso del limite legale ma la restituzione della sors e delle usurae era prevista in un termine superiore agli otto anni e quattro mesi; c) la restituzione del capitale e dei relativi interessi al tasso legale non era sottoposta ad un termine fisso344, di conseguenza il superamento dell’ammontare della
sors si verificava in seguito al decorso del tempo, senza che ciò fosse prevedibile al
momento della conclusione dell’accordo345.
Nell’ultimo caso, caratterizzato dall’imprevedibilità della violazione del divieto, la stipulatio doveva essere sicuramente valida ed il pretore avrebbe dovuto concedere al debitore/convenuto un’exceptio al fine di far emergere l’inesigibilità degli interessi oltre il duplum346.
potessero decorrere anche dopo che si era pagato in interessi una somma equivalente al capitale…L’antico diritto doveva adunque valere solo rispetto agli interessi arretrati. Ma Giustiniano ristabilì l’antico diritto, secondo il quale anche gli interessi già pagati non dovevano superare la somma del capitale», in particolare F. GLÜCK, Commentario, cit., 89 s.
344 C. VITTORIA , Le ῾usurae usurarum᾿, cit., 311, rileva che sovente l’incertezza sul termine di restituzione era voluta dalle parti, in particolare dal creditore, per poter esigere interessi anatocistici ed osserva che «si potrebbe, tuttavia, ipotizzare che la mancata electio di un termine per la restituzione comportava l’indubbio vantaggio, in particolari casi, della possibilità di
exigere al momento della restituzione non solo gli interessi scaduti e non pagati, ma anche quelli