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Il divieto di anatocismo nella legislazione di Diocleziano

Tra il III ed il IV secolo d.C., in seguito all’instaurazione del dominato ed alla crisi economica e sociale dovuta all’anarchia militare525, furono emanate alcune norme volte

a limitare la libertà delle parti nella determinazione delle usurae: in particolare, coloro che esercitavano usurae supra modum e usurae usurarum vennero puniti attraverso la sanzione penale dell’infamia526.

L’infamia costituiva una sanzione molto grave: implicava la perdita della publica

aestimatio e la diminuzione della capacità giuridica del soggetto nei cui confronti era

inflitta, che non poteva postulare pro aliis, né esercitare il ius suffragii ed il ius honorum527.

Il tenore della costituzione di Diocleziano del 290 d.C. è chiaro nell’infliggere la pena dell’infamia agli usurai, non mancano però opinioni che ritengono che questa sanzione fosse stata disposta ancor prima di Diocleziano528

525 G.PUGLIESE,F.SITZIA,L.VACCA,Istituzioni, cit., 718 s. chiariscono che «la politica economica imperiale consistette nel tentativo di disciplinare le attività economiche con prescrizioni o divieti e col conferimento di corrispondenti poteri ad organi pubblici. L’economia del tempo, per quanto lontana da dal capitalismo o anche dal liberalismo moderni, faceva larga parte alle attività private. E la disciplina giuridica che si venne introducendo riguardò appunto queste attività. Il controllo pubblico, d’altra parte, si esercitava di per sè sulla gestione delle numerose fattorie (villae) e officine imperiali», la medesima dottrina ha infatti utilizzato, con riferimento a questo periodo, la moderna espressione di ῾dirigismo economico᾿, ritenendo che «sembra termine appropriato per rappresentare in modo evocativo il tipo di diritto dell’economia, che gli imperatori del periodo postclassico e giustinianeo vennero introducendo». In questo senso si esprime altresì il Biondi, che sottolinea che «la tradizionale libertà di contrattare, che trova la sua drastica espressione nel principio inter emptorem et venditorem licet inter se circumvenire, che i classici ritenevano lecita (licet) e ben naturale, considerata immorale dai canonisti e teologi medievali, è limitata nell’interesse di colui che la legge ritiene più debole e meritevole di compassione, che potrebbe anche essere il creditore…Una grave limitazione alla libertà contrattuale riguarda la materia delle usurae, rispetto alle quali la legislazione cristiana è nettamente ostile», B. BIONDI, Diritto, cit., 242.

526 Alcuni Autori ritengono invece che la sanzione penale dell’infamia sostituì le sanzioni civili; in primo luogo i Pandettisti: F. GLÜCK, Commentario, cit., 107; G. BILLETER, Geschichte, cit., 272 ss.; A. MURILLO VILLAR, Anatocismo, cit., 509. L’Autore spagnolo ritiene infatti che «en definitiva, se abandonan las consecuencias civiles cuando se exigen intereses ilícitos para pasar a imponer consecuencias penales». In senso contrario:L.SOLIDORO MARUOTTI, Sulla disciplina, cit., 566 s.; A. PIKULSKA, Anatocisme, cit., 443; F. FASOLINO, Studi, cit., 61.

527M. KASER, ῾Infamia᾿ und ῾ignominia᾿ in den römischen Rechtsquellen, in ZSS, LXXIII, 1956, 220 ss. 528 In questo senso il M. KASER, Infamia, cit., 268 s. osserva che «ob ähnliches auch für den Fall der Zinsüberschreitung gilt oder ob hier Diokletian geneuert hat, läßt sich aus C.2,11,20 (290) mehr entschieden». Per il carattere innovativo della norma depone invece il corrispondente passo dei Basilici, che fa riferimento all’introduzione ex novo della sanzione dell’infamia, infatti i maestri bizantini attribuirono al rescritto un carattere innovativo, cfr. M. AMELOTTI, Per

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CI. 2.11(12).20 Impp. Diocletianus et Maximianus AA. et CC. Fortunato.

Improbum fenus exercentibus et usuras usurarum illicite exigentibus infamiae macula inroganda est. PP. k. Mart. ipss. IIII et III AA. conss. [a. 290].

Il corrispondente passo dei Basilici utilizza, relativamente alla disciplina introdotta da Diocleziano, l’aggettivo ῾Ξένον᾽ che è stato inteso dagli Heimbach nel senso di ῾nuovo᾽529.

B. 21.3.19: Ξένον ἐστὶ τὸ τῆς διατάξεως νόμιμον, ὃτι ὁ τόκους τόκων ἀπαιτήσας ἀτιμοῦται. οἰ ἀναισχύντως τοκίζοντες καὶ τόκους τόκων ἀπαιτοῦντες ἀτιμοῦνται.

Il tenore della norma contenuta in CI. 2.11(12).20 e B. 21.3.19 è chiaro: il prestito con interessi anatocistici è associato all’improbum fenus, ovvero al prestito feneratizio inteso in maniera fortemente negativa perché eccessivamente oneroso per il debitore530.

l’interpretazione della legislazione privatistica di Diocleziano, Milano, 1960, 152 ss., in particolare nt.

321.

529 H.J. SCHELTEMA, A III, cit., 1042; C.G.EHEIMBACH., II, cit., 461: Novum est ius constitutionis,

usuras usurarum exigentem infamari. Improbum foenus exercentes, et usuras usurarum exigentes infamia notantur. Inoltre uno scolio di Taleleo a B. 21.3.19 mette in evidenza il diverso regime

delle usurae usurarum convenzionali nei iudicia stricti iuris rispetto ai iudicia bonae fidei in cui fosse intervenuto un cambiamento dell’iniziale debitore. Esso sembra confermare che in taluni giudizi di buona fede non ricorrevano i presupposti per l’operatività del divieto di anatocismo.

Sch. 5 a B. 21.3.19: Θαλελαίου. Ξένον ἐστὶ τὸ τῆς διατάξεως νόμιμον, ὃτι ὁ τόκους τόκων ἀπαιτῶν ἀτιμοῦται. Σημείωσαι δέ, ὃτι οὐχ ἡ ἐπερώτησις εὐϑέως ἐπιφέρει τὴν ἀτιμίαν, ἀλλ’ ἡ ἀπαίτησις. Νόει δὲ αὐτὸ ἐπὶ στρίκτων· ἐν δὲ τοῖς βοναφίδε καὶ αὐτοὶ οἱ νομικοὶ ἐπιτρέπουσι τόκους τόκων ἀπαιτεῖσϑαι, ὡς ἐπὶ τῆς ‹του›τέλαε, τῆς νεγοτιόρυμ γεστόρουμ. Ἐπὶ μόνων οὖν τῶν στρίκτων τοῦτο ἐκάλεσεν ἀναιδὲς τὸ συνάλλαγμα ἡ διάταξις. Ἄλλως τε καὶ τὸ ῾ἐξκεντίβους᾿ τοῦτο δηλοῖ, ὅταν ἡμεῖς αὐτοὶ ἐξ ἡμετέρας σπουδῆς τοῦ τόκου τόκον διέταξεν, οὐκ ἔτι ἡμεῖς ἐσμεν οἱ γιμνάζοντες αὐτόν, ἀλλ’ἡ τοῦ νόμου δύναμις. Ὅτι δέ ἡ νεγοτιόρυμ γεστόρουμ τόκους τόκων ἀπαιτεῖ, εἴρηται ἐν τῷ μονοβιβλίῳ τῆς [ὑπ]οτνεκαρίας ἐν τῷ δ´. τιτ. ἤτοι βιβ. κε´. τιτ. ε´. κεφ. ια´. θεμ. ζ´. Ζητῶν γὰρ ἐκεῖ περί τινος κεφάλαιον καὶ τόκους καταβαλόντος προγενεστέρῳ δανειστῇ καὶ ζητήσας, εἰ καὶ τῶν τόκων, ὧν κατέβαλε, τόκους λαμβάνει, εἶπεν οὕτως· οὗτος οὐκ ἐχείρισε νεγότιόν [τινος], ἵνα λάβῃ τόκους τόκων, ἀλλ’ἴδιον πρᾶγμα ἔπραξεν. H.J. SCHELTEMA, B IV, 1325; C.G.E.HEIMBACH, II, cit., 462.

530 L’aggettivo improbum si ritrova altresì in un’altra fonte di poco precedente a quella in esame. CI. 4.32.16 Imp. Gordianus A. Flavio Sulpicio. Cum non frumentum, sed pecuniam fenori te accepisse

adleges, ut certa modiatio tritici praestaretur, ac, nisi is modus sua die fuisse oblatus, mensurarum additamentis in fraudem usurarum legitimarum gravatum te esse contendis, potes adversus improbam petitionem competente uti defensione.[s.d.] In questo testo la petitio di usurae oltre il limite legale

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Nonostante vi fossero altre previsioni della sanzione penale dell’infamia nel periodo dioclezianeo, come l’infamia derivante da arte scenica, da violazione di societas, da violazione di deposito, da bigamia, da matrimonio del tutore con la pupilla, da

crimen suspecti tutoris e da stuprum, la maggior parte della dottrina ritiene che la

disposizione contenuta in CI. 2.11(12).20 abbia avuto una portata innovativa531.

Una parte della dottrina recente ha ritenuto che la norma contenuta in CI. 2.11(12).20, che da un lato associa le usurae usurarum all’improbum fenus e dall’altro fa riferimento alle usurae usurarum praticate illicite, fosse finalizzata a sanzionare solamente coloro che pretendessero le usurae usurarum oltre un certo limite. Tale dottrina ha perciò dedotto, a contrario, che nella maggior parte delle ipotesi queste dovessero essere lecite532 ed ha inoltre ipotizzato che l’applicazione della sanzione

dell’infamia sia stata assai breve o non si sia affatto verificata533.

A sostegno di questa ipotesi, si invoca l’importanza della disposizione contenuta in una costituzione del medesimo periodo che si riferisce alle conseguenze civili connesse al superamento del tasso massimo delle usurae ed in particolare al principio

viene definita improba. G. BILLETER, Geschichte, cit., 273. La persistenza dell’infamia come sanzione per l’improbum fenus è inoltre testimoniata da un passo delle pseudo-agostiniane

Quaestiones Veteris et Novi Testamenti (102.5): Quanto enim quis sublimior est, tanto magis, licet leve peccatum eius, grave est crimen. Sicut enim humilitas in potente sublimis et magnifica est, ita et culpa eius pro crimine habenda est. Exceptis enim peccatis, quae constat omnibus esse inlicita, non omnia licent potentibus, quae sunt concessa humilibus. Dignitoso enim homini negotiari deforme est, et popinam ingredi notabile est. Senatoribus quoque fenus infamia est (SOUTER 203). P. GARBARINO, ῾Senatores in

annis minoribus constituti᾿ e ῾usurae᾿. Contributo all’esegesi di C.Th. 2,33,3, in BIDR, XCI, 1988, 337

ss., in particolare 345, nt. 30; L. SOLIDORO MARUOTTI, Sulla disciplina, cit., 579, nt. 70.

531 F. GLÜCK, Commentario, cit., 107; G. BILLETER, Geschichte, cit., 272 ss.;L. SOLIDORO MARUOTTI,

Sulla disciplina, cit., 566 s.; A. PIKULSKA, Anatocisme, cit., 443; F. FASOLINO, Studi, cit., 61. Per le altri casi di applicazione della sanzione dell’infamia si vedano: CI. 2.11(12).21; CI. 2.11(12).22; CI. 4.34.10; CI. 5.5.2; CI. 5.6.7; CI. 5.43.9; CI. 9.9.24.

532 G. BILLETER, Geschichte, cit., 272; A. MURILLO VILLAR, Anatocismo, cit., 509. La dottrina che si è espressa in senso contrario ha sottolineato che attraverso un esame più approfondito della norma, in relazione ad un’altra sancita dal medesimo Diocleziano, si fa largo una conclusione diversa. La norma contenuta in CI. 4.2.8 non prende in considerazione la pena dell’infamia per coloro che praticavano interessi supra legitimum modum. Il testo normativo fa riferimento ad alcune conseguenze civili derivanti dal superamento del tasso massimo legale, in particolare al principio per cui gli interessi semplici eccedenti la centesima debbano essere automaticamente ridotti entro tale saggio. Tuttavia il mancato riferimento all’infamia sembra dovuto al fatto che all’imperatore fosse stato specificamente posto il quesito sulla possibilità dell’automatica riduzione del tasso d’interesse stipulato oltre la centesima e la sors.E. BIANCHI, In tema d’usura.

Canoni conciliari e legislazione imperiale del IV secolo (II), in Athenaeum, LXII, 1984, 136 ss., in

particolare 147.

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per cui gli interessi semplici eccedenti la centesima debbano essere automaticamente ridotti entro tale saggio.

CI. 4.2.8 Impp. Diocletianus. et Maximianus AA. et CC. Proculo.

Si pro mutua pecunia, quam a creditore poscebas, argentum vel iumenta vel alias species utriusque consensu aestimatas accepisti, dato auro pignori, licet ultra unam centesimam usuras stipulanti spopondisti, tamen sors, quae aestimatione partium placitum definita est, et usurarum titulo legitima tantum recte petitur. Nec quicquam tibi prodesse potest, quod minoris esse pretii pignus quod dedisti proponis, quominus huius quantitatis solutioni pareas. S. XVII k. Ian. AA. conss. [a. 293].

Questa disciplina tuttavia non ha necessariamente influenza sull’applicazione sul regime penale dell’infamia: da essa emerge unicamente la volontà di prendere in considerazione il problema da un diverso angolo visuale, determinato dall’esigenza di rispondere al quesito specifico di un debitore534.

La soluzione giuridica contenuta in CI. 4.2.8 prende le mosse da una fattispecie peculiare: il debitore, che ha chiesto del denaro a mutuo, riceve degli oggetti, il cui valore è stato stimato con il consenso di entrambe le parti, fornisce in garanzia un pegno d’oro e si obbliga inoltre attraverso una stipulatio usurarum a versare interessi oltre il tasso massimo stabilito dalla legge535.

L’imperatore risolve la questione in conformità ai principi generali in materia di

usurae: poiché la stima è dipesa dalla volontà delle parti, il debitore è comunque tenuto

a restituire il capitale in base alla stima del valore dei beni ricevuti a mutuo, mentre non è tenuto all’adempimento degli interessi oltre la centesima (usurarum titulo legitima

tantum recte petitur).

534 F. FASOLINO, Studi, cit., 62 s., afferma che «tale opinione, tuttavia, non sembra condivisibile, atteso che le disposizioni contenute in CI. 4.2.8 sono perfettamente compatibili con quanto sancito in CI. 2.11.20, riguardando, le prime, la riduzione automatica della volontà negoziale delle parti, le altre, la sanzione penale di un comportamento illecito».B. BIONDI, Diritto, cit., 243. 535 Il complessivo assetto di interessi delineato dalla fattispecie di CI. 4.2.8, sembra delineare il c.d. contractus mohatrae, M. KASER, Die Verteilung der Gefahr beim sogenannter ῾Contractus

Mohatrae᾿, in Synteleia Arangio Ruiz, I, Napoli, 1964, cit., 74 ss.;E. BIANCHI, In tema d’usura, cit., 138, nt. 4 giustamente sottolinea che il fatto che il pegno d’oro sia di valore inferiore rispetto alla stima degli oggetti dati in prestito fonda dei dubbi sull’esattezza della stima degli oggetti fatta dalle parti, perché difficilmente il creditore avrebbe acconsentito ad una garanzia inferiore rispetto al valore dei beni dati a mutuo.

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Ciò implica che l’obbligazione di pagare gli interessi sia limitata, automaticamente, ai soli interessi leciti536. È pertanto evidente l’assenza di qualsiasi

connessione tra il disposto di CI. 4.2.8 e la sanzione dell’infamia nei confronti di coloro che praticano le usurae usurarum prevista da CI. 2.11(12).20.

Dall’esegesi dei passi dei giuristi del periodo severiano, in particolare dal tenore di Ulp. 26 ad ed. D. 12.6.26.1 (v. supra 116 ss.), è risultato che gli interessi sugli interessi non potevano essere richiesti in giudizio (usurarum usurae nec in stipulatum deduci nec

exigi possunt et solutae repetuntur). Ergo, probabilmente Diocleziano non percepì la

necessità di soffermarsi di nuovo sul divieto di interessi anatocistici, affermato in modo chiaro ed incontrovertibile solo tre anni prima: la mancata menzione delle usurae

usurarum in CI. 4.2.8 e la ferma statuizione dell’infamia per coloro che praticavano ogni

forma di improbus fenus, costituiscono ulteriori riscontri a favore dell’autonomia del divieto di anatocismo convenzionale, ma non possono essere considerati decisivi per affermare che la pena dell’infamia rimase ῾auf dem Papier᾿ e che non ricevette alcuna applicazione pratica.

Al contrario, la norma contenuta in CI. 4.2.8, se letta in collegamento con la norma di CI. 2.11(12).20, conferma la consapevolezza dell’imperatore della necessità di subordinare l’applicazione del divieto di anatocismo alla concreta esigenza di tutela della parte debitrice537.

Ciò è indirettamente avvalorato dal fatto che, proprio nel periodo dioclezianeo, si sia perfezionata la tutela processuale del debitore attraverso l’exceptio e. n. n. p., che ha permesso di attribuire rilevanza processuale alla violazione del divieto di usurae

usurarum posta in essere altresì attraverso l’escamotage della capitalizzazione delle usurae mediante una stipulatio di carattere astratto. La tutela fu inizialmente accordata

536 Per il funzionamento del meccanismo della riduzione automatica ai soli interessi leciti si veda L. SOLIDORO MARUOTTI, ῾Ultra sortis᾿, cit., 164 ss.; ID., Sulla disciplina, cit., 555 ss. Tale meccanismo risulta tuttavia inapplicabile alle usurae usurarum (v. supra 124 ss.)

537 Così si esprime G. BILLETER, Geschichte, cit., 272, conformemente C. VITTORIA, Le ῾usurae

usurarum᾿, cit., 316, nt. 90, che si esprime in termini più cauti ed osserva che «detta costituzione

comunque non dovette rimanere in vigore a lungo. Infatti, probabilmente, la sua menzione nel

Codex non doveva rivestire alcun particolare significato. Invero, una costituzione che - come

quella in esame – comminava l’infamia non aveva un grande valore all’età di Giustiniano, dal momento che, se si confrontano le fonti concernenti la detta sanzione, ci sia accorge che essa era andata perdendo il valore che aveva avuto in passato fino a sparire dell tutto». In senso contrario invece E. BIANCHI, In tema d’usura, cit., 147, nt. 34, che sottolinea opportunamente, con riguardo a CI. 2.11(12).20, che «il suo stesso inserimento nel Codice di Giustiniano contrasta con l’idea di una costituzione rimasta «auf dem Papier». In tal senso: L.SOLIDORO MARUOTTI, Sulla

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attraverso l’exceptio n. n. p. in factum che, in virtù delle statuizioni contenute in CI. 4.30.9, era opponibile al creditore che agisse in giudizio per ottenere la somma indicata in una stipulatio ma in realtà versata al debitore in misura inferiore. In questo caso, secondo il contenuto di CI. 4.30.9, il debitore poteva non essere condannato a pagare la somma dedotta in stipulatio, ma solamente la somma effettivamente ricevuta (v. supra 131 ss.)538.

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CAPITOLO QUINTO

IL DIVIETO DI ANATOCISMO NELL’IMPERO ROMANO CRISTIANO. 1. La condanna della dottrina cristiana al prestito feneratizio: i Concili della Chiesa e le opinioni dei Padri nel corso del IV sec. d.C.

Dal IV secolo in poi, i precetti della religione cristiana iniziarono ad avere una certa influenza sull’attività normativa degli imperatori. Tale influenza si manifestò soprattutto nel periodo giustinianeo, ma l’elaborazione che rafforzò le proibizioni relative alle usurae ebbe inizio nel corso del IV secolo d.C.: emerse, in parte, nei Concili della Chiesa e trovò la sua massima espressione nel pensiero dei Padri539.

È dunque opportuno tracciare, almeno a grandi linee, le caratteristiche delle opinioni emerse dai Concili della Chiesa ed elaborate dagli esponenti della religione cristiana, per capire l’influenza che esse ebbero sulla legislazione imperiale in materia feneratizia. Il fondamento del divieto ecclesiastico di prestito ad interesse risiede, oggi come allora, nella contrarietà del prestito oneroso al precetto della carità cristiana540.

Tuttavia nell’ambito dell’elaborazione dei divieti relativi alle usurae i riferimenti all’anatocismo sono indiretti ed assai rari. Pertanto si ritiene opportuno riportare le considerazioni di carattere generale elaborate dalla dottrina dominante541.

539 B. BIONDI, Diritto, cit., 244 s., spiega infatti che «in epoca cristiana la repressione dell’usura non è più un problema politico, ma essenzialmente morale, che s’inquadra nella tendenza generale della nuova legislazione di proteggere i deboli, limitando la libertà di contrattazione. La Chiesa è nettamente ostile all’usura ma non agli interessi. Che il denaro produca interessi nella stessa guisa che l’albero produce frutti, non è escluso come si desume dalla parabola del servo infingardo (Matt. 25, 24-30), sebbene si debba intendere in senso figurato. Gesù non avrebbe scelto, come parabola, un esempio di atto riprovato. Quello che invece si vieta, come contrario alla carità cristiana, è l’abuso della propria situazione, lucrare in modo eccessivo, approfittando delle disgraziate condizioni di chi, trovandosi in strettezze, è disposto a promettere tutto quello che pretende l’altra parte».

540 A. SIFONIOU, Les fondaments juridiques de l’aumône et de la charité chez Jean Chrystosome, in Rev.

dir. Can., XIV, 1964, 241 ss.; R. COPPOLA,Profili etico-giuridici del debito estero nella posizione della Chiesa cattolica, in La dette, cit., 107 ss.

541 M.ROBERTI, Cristianesimo e collezioni giustinianee. Dissertazione preliminare, in Cristianesimo e

diritto romano. Scritti di M. Roberti, E. Bussi, G.Vismara, in Pubbl. Univ. Catt. Sacro Cuore, XLIII,

Milano, 1935, 1 ss.; E. DAL COVOLO, I Severi e il cristianesimo, Roma, 1989, 11 ss.; M. PAVAN,

Cristianesimo e impero romano nel IV secolo d.C., in I Cristiani e l’impero nel IV secolo, Atti del Convegno di Macerata (17-18 dicembre 1987), a cura di G. Bonamente e A. Nestori, Macerata,

1988, 1 ss.; E. J. JONKERS, Quelques remarques sur les Pères de L’Eglise, les Conciles et les Constitutions

des Empereurs Chrétiens, en leurs rapports réciproques, comme sources pour l’histoire du Bas-Empire, RIDA, II, 1949, 500 ss.; M. GIACCHERO, ῾Fenus᾿, ῾usura᾽, ῾pignus᾽ e ῾fideiussio᾽ negli scrittori partistici

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Nel corso della prima metà del IV sec. d.C. il tema delle usurae fu preso in considerazione in modo particolare da tre Concili della Chiesa: il Concilio di Elvira del 305-306, il Concilio di Arles del 314 ed il Concilio di Nicea del 325.

Dal Concilio di Elvira del 305-306 d.C. emerse una proibizione molto dura rispetto al prestito feneratizio: si proibì di praticare qualsiasi forma di foeneratio ai religiosi ed ai laici, pena la riduzione allo stato laicale per i religiosi, che poteva tramutarsi in scomunica per la continuazione, e la scomunica per i non religiosi, fatta salva la possibilità di ravvedimento542.

Dal Concilio di Arles e da quello di Nicea scaturirono posizioni progressivamente più tenui: il divieto di prestito feneratizio fu infatti riservato ai soli membri del clero, inizialmente venne prevista la sanzione della scomunica (Arles), in seguito sostituita dalla radiazione dall’ordine ecclesiastico (Nicea)543. Le diverse

posizioni ideologiche dei tre Concili furono la conseguenza del mutamento dei rapporti fra il potere imperiale ed il potere ecclesiastico che si verificò tra un Concilio e l’altro544.

Il primo Concilio che prese in considerazione il problema del prestito oneroso si svolse ad Elvira, una città della Spagna nella regione della Betica, in cui il cristianesimo era stato introdotto di recente e l’interpretazione dei precetti cristiani non si era ancora sviluppata. Perciò il Concilio di Elvira si caratterizza per il rigore e l’ortodossia: da esso

L’atteggiamento dei concili in materia d’usura dal IV al IX secolo, in AAC, IV, 1981, 307 ss.; E.

BIANCHI, In tema d’usura, cit., 321 ss.; P. GARBARINO, ῾Senatores᾽, cit., 337 ss.; G. CASSIMATIS, Les

intérêts, cit., 29 ss; M.E. GÓMEZ ROJO, Historia, cit., 22 ss.; per lo sviluppo del pensiero cristiano sul divieto di usura fino ai giorni nostri: R. COPPOLA, Il problema dell’usura nella visione e nel

diritto della Chiesa, in Atti del Convegno su: “L’usura ieri ed oggi”, cit., 251 ss.; G.PUGLIESE,F.SITZIA, L.VACCA,Istituzioni, cit., 878 osservano che «un divieto particolare fu quello di non superare un

dato limite di tasso di interessi. A rigore, secondo i principi cristiani, qualunque patto di interessi avrebbe dovuto essere vietato. Ma questo è uno dei punti in cui il diritto del nostro periodo non si conformò ai principi cristiani. L’avversione cristiana agli interessi determinò soltanto, e solo nel sottoperiodo giustinianeo, un abbassamento del tasso medio consentito». 542 Per i testi dei canoni conciliari, in particolare per Elvira, Can. XX, G.D. MANSI, ῾Sacrorum

Conciliorum nova et amplissima collectio᾽, II, Paris, 1901-1927, 22 ss.

543 Arles, Can. XII, G.D. MANSI, ῾Sacrorum Conciliorum᾽, cit., 472; Nicea, Can. XVII, G.D. MANSI, ῾Sacrorum Conciliorum᾽, cit., 675.

544 G.CRIFÒ, La Chiesa e l’Impero nella storia del diritto da Costantino e Giustiniano, in Cristianesimo e

istituzioni politiche. Da Costantino a Giustiniano, a cura di E. Covolo e R. Uglione, Roma, 1997, 171

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scaturisce il divieto, nei confronti dei laici e degli ecclesiastici, di qualsiasi forma di prestito oneroso, la cui violazione viene sanzionata con la scomunica545.

I Concili di Arles e di Nicea si svolsero invece in località in cui la religione cristiana era stata profondamente recepita: la Gallia e la Bitinia. Inoltre, durante il periodo che intercorse fra il Concilio di Elvira e quello di Arles avvenne un mutamento