È necessario a questo punto verificare se vi fossero altre ipotesi in cui fosse ammessa la possibilità di calcolare usurae usurarum nei rapporti di buona fede, con particolare riguardo ai casi di gestione di negozi altrui.
A questo proposito bisogna chiarire che, a differenza della soluzione adottata da Marciano in D. 20.4.12.6, le situazioni che ci accingiamo ad esaminare hanno ad oggetto le usurae dovute dal gestore al gerito per aver distratto in usus suos le somme riscosse per il gerito e quindi per non aver adempiuto all’obbligo di investire fruttuosamente le somme in suo favore479. Si tratta di ipotesi in cui le usurae legali vengono calcolate su
una cifra unitaria considerata come sors, a prescindere dal fatto che questa sia a sua volta costituita da usurae480.
Questo principio è chiaramente espresso in alcuni passi di Cervidio Scevola, giureconsulto vissuto all’epoca degli Antonini, inseriti nel titolo 2.7 del Digesto, de
479 Il medesimo principio si ritrova in Ulp. 35 ad ed. D. 26.7.7.4, che specifica che la violazione dell’obbligo di foenerare o deponere non causa di per sè la conversio in usus suos, la conversio non può essere presunta e pertanto occorre darne prova nelle singole ipotesi; e in Imp. Ant. CI. 5.56.1., tuttavia, non rientra nell’ipotesi di conversio in usos suos, il prestito ad interesse che il tutore faccia a nome proprio con il denaro del pupillo e nel suo interesse (Paul. 9 resp. D. 26.7.46.2). Il tutore è inoltre tenuto ad investire produttivamente il capitale del pupillo (Ulp. 35
ad ed. D. 26.7.7.3: Pecuniae, quam in usus suos converterunt tutores, legitimas usuras praestant, sed hoc ita demum, si evidenter doceantur pecuniam in usus suos convertisse: ceterum non utique qui non faeneravit vel non deposuit, in suos usus vertit, et ita divus severus decrevit. doceri igitur debet in usus suos pecuniam vertisse; e Ulp. 35 ad ed. D. 26.7.7.7: Si deponi oporteat pecunias ad praediorum comparationem, si quidem factum est, usurae non current: sin vero factum non est, si quidem nec praeceptum est, ut deponantur, pupillares praestabuntur, si praeceptum est et neglectum, de modo usurarum videndum est. et solent praetores comminari, ut, si non fiat depositio vel quanto tardius fiat, legitimae usurae praestentur: si igitur comminatio intercessit, iudex qui quandoque cognoscet decretum praetoris sequetur). Solo se sussistono motivi che rendano ragionevole lasciare la pecunia
pupillare otiosa il tutore può non investirla. R. CARDILLI, Il ῾periculum᾿, cit., 44 s. e bibliografia ivi citata; A. PETRUCCI, Prime riflessioni, cit., 72.
480 L’obbligo del gestore di corrispondere le usurae è affermato in vari momenti dai prudentes, nel corso di tutto il periodo classico. Pap. 2 resp. D. 3.5.30.3: Qui aliena negotia gerit, usuras praestare
cogitur eius scilicet pecuniae, quae purgatis necessariis sumptibus superest; e ancora in Paul. 2 ad Nerat. D. 3.5.18.4: Non tantum sortem, verum etiam usuras ex pecunia aliena perceptas negotiorum gestorum iudicio praestabimus, vel etiam quas percipere potuimus. Contra quoque usuras, quas praestavimus vel quas ex nostra pecunia percipere potuimus quam in aliena negotia impendimus, servabimus negotiorum gestorum iudicio. I giuristi deducono l’obbligo delle usurae in capo al
gestore in base alla natura di iudicium bonae fidei dell’actio negotiorum gestorum, Paul. 9 ad ed. D. 3.5.6: quia tantundem in bonae fidei iudiciis officium iudicis valet, quantum in stipulatione nominatim
eius rei facta interrogatio. Cfr. G. CERVENCA, Contributo, cit., 117; A. BÜRGE, Fiktion und
Wirklichkeit: Soziale und rechtliche Strukturen des römischen Bankwesens, in ZSS, CIV, 1987, 543; R.
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administratione et periculo tutorum et curatorum qui gesserint vel non et de agentibus vel conveniendis uno vel pluribus, che riguardano la responsabilità dei tutori e dei curatori
per la gestione del patrimonio del pupillo o del minore di venticinque anni. Scaev. 11 dig. D. 26.7.58.1
Ex duobus tutoribus pupilli altero defuncto adhuc impubere pupillo, qui supererat ex persona pupilli sui iudice accepto consecutus est cum usuris, quantum ex tutela ad tutorem defunctum pervenerat: quaesitum est, iudicio tutelae, quo experitur pubes factus, utrum eius tantum portionis, quae ab initio quod ex tutelae ratione pervenerat ad defunctum contutorem, usurae veniant, an etiam eius summae, quae ex sortis usuris pupillo aucta post mortem eius ad superstitem aeque cum sorte translata sit aut tranferri debuit. respondit, si eam pecuniam in se vertisset, omnium pecuniarum usuras praestandas: quod si pecunia mansisset in rationibus pupilli, praestandum, quod bona fide percepisset aut percipere potuisset, sed, faenori dare cum potuisset, neglexisset, cum id, quod ab alio debitore nomine usurarum cum sorte datur, ei qui accipit totum sortis vice fungitur vel fungi debet.
Scaev. 11 dig. D. 26.7.58.4
Quaesitum est, an usurae pupillaris pecuniae, quas tutores debuerunt, cum ad curatorem transferuntur, in sortem computantur et universae summae usuras debere curatores incipiant. Respondit omnis pecuniae quae ad curatores transit, parem causam esse, quia omnis sors efficitur481.
La disamina di Scevola si inquadra nell’ambito della tendenza ad accostare le regole sulla tutela impuberum alla cura minorum482, da cui risulta che al curatore
481 Scaev. fr. 40 LENEL.
482 Questo passo è stato ritenuto interpolato dal Solazzi sia per l’utilizzo del verbo computantur, che per il riferimento al curatore, che si presenta al singolare all’inizio del passo e al plurale alla fine dello stesso, pur trattandosi della medesima fattispecie, S. SOLAZZI, ῾Curator impuberis᾽, Roma, 1917, 131; tali considerazioni non sembrano però decisive, sia per la coerenza interna che il passo presenta, sia per la coerenza di esso con la complessiva trattazione del libro ventiseiesimo, che al §1 prende in considerazione un caso simile e lo risolve con la medesima
ratio, G.CERVENCA,In tema di ῾usurae᾽, cit., 94 ss., al quale si rimanda per approfondimenti. Altri
autori ritengono che l’obbligo di investire fruttuosamente il denaro del pupillo sia di origine giustinianea, P. BONFANTE, Corso di diritto romano I. Diritto di famiglia, Milano, 1963, 606 ss.; tuttavia depongono per la genuinità del passo le altre norme sugli obblighi dei tutori introdotte dal medesimo imperatore Settimio Severo (divieto di alienazione dei fondi del pupillo, obbligo di deposito del denaro dell’impubere); A. PETRUCCI, Prime riflessioni, cit., 73, nt. 30.
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spettassero i poteri di amministrazione del patrimonio del minore, sin dall’età classica. Di conseguenza i curatori dei minori di venticinque anni e dei furiosi assumevano i medesimi obblighi nei confronti degli assistiti, previsti per i tutori degli impuberi483.
Il primo passo, che riguarda la responsabilità del cotutore nel caso in cui l’altro tutore muoia, è interessante nella sua ultima parte per capire l’operatività del principio per cui il tutore o il curatore che usa a proprio vantaggio il denaro del pupillo deve corrispondergli le usurae sull’intera cifra distratta a fini personali, a prescindere dal fatto che questa somma sia costituita da denaro riscosso da terzi a titolo di usurae (si
eam pecuniam in se vertisset, omnium pecuniarum usuras praestandas).
Il passo sottolinea che le somme riscosse a titolo di usurae che vengono trasferite ad un altro soggetto, in questo caso il cotutore, perdono la loro natura di interessi in seguito al trasferimento della proprietà del denaro. In virtù di questo cambiamento soggettivo non vi è alcuna necessità di applicazione del divieto di anatocismo perché l’obbligo di corrispondere le usurae sul totale, costituito a sua volta da usurae, grava su un soggetto diverso da colui che ha corrisposto le usurae semplici484.
483 La sua corrispondente versione di Basilici è contenuta in B. 37.7.58.4: Καὶ οἱ καταβαλλόμενοι παρὰ τῶν ἐπιτρόπων τόκοι ὡς κεφάλαιόν εἰσι παρὰ τοῖς κουράτωρσι, καὶ πάντων χρεωστοῦσι τόκους. H.J. SCHELTEMA, A V, cit., 1672; C.G.E.HEIMBACH, III, cit., 669: Etiam usurae
solutae a tutoribus veluti sors sunt apud curatores, et omnium usuras debent. Il passo dei Basilici è più
lineare e presuppone il computo degli interessi pagati dal tutore nel capitale che passa nelle mani dei curatori, i quali sono tenuti a pagare gli interessi sul totale ottenuto (πάντων χρεωστοῦσι τόκους). Il fatto che nei Basilici non si trasponga il quesito presentato a Scevola (quesitum est), testimonia che il dubbio fu sopito attraverso l’equiparazione del regime delle curatele e della tutela, in ordine all’obbligo dei gestori di corrispondere le usurae in caso di
conversio in usus suos e di pecunia lasciata ingiustificatamente otiosa.
484 Una logica simile si ritrova in una decisione di Ulpiano in materia di hereditas petitio. Il passo riguarda specificamente la disciplina applicabile ai frutti dell’eredità, in sede di hereditas petitio. Viene applicato il principio, già affermato dallo stesso Ulpiano (49 ad Sab. D. 50.16.178.1), in virtù del quale: Hereditas iuris nomen est, quod et accessionem et decessionem in se recipit: hereditas
autem vel fructibus augetur, che considera l’eredità come un’entità capace di incrementarsi dei
frutti che essa stessa produce. Il problema è strettamente connesso alla problematica più generale che riguarda il concetto di hereditas come universitas. L’accoglimento di tale concetto sembra essere alla base delle soluzioni ulpianee. Ulp. 15 ad ed. D. 5.3.20.3: Item non solum ea quae
mortis tempore fuerunt, sed si qua postea augmenta hereditati accesserunt, venire in hereditatis possessionem: nam hereditas et augmentum recipit et deminutionem. sed ea, quae post aditam hereditatem accedunt, si quidem ex ipsa hereditate, puto hereditati accedere: si extrinsecus, non, quia personae possessoris accedunt. Fructus autem omnes augent hereditatem, sive ante aditam sive post aditam hereditatem accesserint. Sed et partus ancillarum sine dubio augent hereditatem. Anche se il
passo non riguarda specificamente l’ammissibilità degli interessi sugli interessi, essa sembra non potersi dedurre dal tenore generale della consultatio. Infatti sembra che il passo si riferisca esclusivamente a determinati fatti naturali che determinano l’aumento o la diminuzione
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Il secondo passo riguarda un obbligo specifico del curatore e prevede l’applicazione del medesimo principio enunciato in D. 26.7.58.1485. La consultatio rivolta
a Scevola è circoscritta: viene chiesto se gli interessi che i tutori devono ai propri assistiti debbano essere imputati al patrimonio pupillare che viene trasferito ai curatori nel momento in cui il pupillo raggiunge la pubertà e se i curatori siano obbligati a corrispondere ulteriori interessi sul patrimonio pupillare così ottenuto (capitale originario ed interessi dovuti dai tutori)486.
La risposta del giurista è affermativa: egli spiega che i curatori sono tenuti a corrispondere gli interessi sull’intera pecunia pupillare che viene loro trasmessa, poiché essa passa al curatore per la medesima causa e si considera un’unica sors, suscettibile dunque di produrre nuovi interessi. Il giurista presuppone dunque l’obbligo, per il curatore, di amministrare diligentemente il patrimonio del minore.
dell’eredità, come la produzione dei frutti ed il parto della schiava, fatti del tutto indipendenti dall’attività giuridica di di qualsiasi soggettó. Si veda, amplius, R. ORESTANO, ῾Hereditas nondum
adita᾿, in Iura, XXXIII, 1982, 1 ss.; R. SIRACUSA, L’῾actio de universitate᾿ nell’ambito della concezione
romana dell’῾hereditas᾿ come ῾universitas᾿, in SDHI, LXVI, 2000, 119 ss.
485 Per le caratteristiche generali dell’istituto ed in particolare sull’estensione del regime della tutela alla curatela, in seguito all’accettazione del principio per cui la curatela è un istituto necessario nei confronti di tutti i minori, si veda: F. SITZIA, voce Curatela (Capo II, v. Tutela e
curatela), in Noviss. Dig. it., XIX, Milano, 1973, 918 ss.; A. CENDERELLI, La῾ negotiorum gestio᾽, Torino, 1997, 95 ss.
486 F. GLÜCK, Commentario, cit., 99 ss.; G. CASSIMATIS, Les intérèts, cit., 62; è altresì necessario chiarire che l’avvicinamento tra la figura del tutore e del curatore fu il risultato di un processo che si protrasse per tutta l’età classica e la configurazione degli obblighi gravanti sui gestori necessari venne modellata sul rapporto fra dominus e procurator omnium bonorum: «Con ogni probabilità, fino a quando il rapporto fra dominus e procurator omnium bonorum venne tutelato dall’actio negotiorum gestorum, la giurisprudenza addossò al procurator l’obbligo di gerire i nuovi affari del dominus sulla base dell’officium. La stessa regolamentazione doveva trovare applicazione nel caso della tutela del furiosus e successivamente, anche in quello della cura
minorum, mentre, per la gestione spontanea, verisimilmente, si giunse ad ammettere la
responsabilità omissiva del gestore nei limiti in cui egli desse l’impressione di aver assunto complessivamente l’amministrazione del patrimonio del gerito e, dunque, sembrasse, agli occhi dei terzi un procurator. Estromessa dalla negotiorum gestio la procuratio omnium bonorum, la giustificazione fondata sull’officium conservò la propria validità per le curatele, marginali sul piano costruttivo e sempre più vicine alla tutela sotto il profilo sistematico, mentre per la gestione spontanea, sulla quale la disciplina dell’istituto si andò a modellare, continuò a rilevare la diversa motivazione menzionata nel passo di Ulpiano. Non incorreva in tale obbligo, invece, chi aveva intrapreso la gestione con l’intenzione di gerire un unico affare o più affari determinati, a meno che l’apparenza non fosse quella di una gestione generale»; G. FINAZZI,
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Sebbene questo frammento sia stato interpretato da una parte della dottrina come testimonianza dell’inesistenza di un divieto assoluto di anatocismo487, sembrerebbe
trattarsi semplicemente di un’ipotesi di estensione dell’obbligo di corrispondere le
usurae, già gravante sui tutori, ai curatori, nel caso di utilizzo a proprio vantaggio del
denaro del pupillo o di mancato impiego fruttifero dello stesso488. Da tale estensione
discende la possibilità per il minore di agire con l’actio negotiorum gestorum nei confronti del curatore, per ottenere da lui le usurae dovute per aver distratto la somma a proprio vantaggio o per averla lasciata improduttiva489.
487 A. MURILLO VILLAR, Anatocismo, cit., 504, nt. 34, sebbene si renda conto del fatto che questo passo non riguarda l’anatocismo in senso proprio, ritiene che esso provi, insieme a Ulp. D. 17.1.10.3 e Ulp. D. 26.7.7.12, l’assenza di una proibizione assoluta di anatocismo al tempo di Ulpiano e sottolinea che «no debe olvidarse que los intereses capitalizados que producen nuevos intereses de forma pactada o legal son casos de usurae usurarum, de donde se colige que en tiempos de Ulpiano no existía una prohibición absoluta». In questo senso si esprime anche F. FASOLINO, Studi, cit., 49, che afferma, in relazione ai medesimi frammenti, che «..ci troviamo di fronte ad ipotesi che, a stretto rigore non possono intendersi come applicazione di interessi composti veri e propri: in tutte e tre le fattispecie considerate, infatti, appare essere solo indiretto il collegamento tra le somme riscosse a titolo di interessi e gli altri interessi che su di esse decorrono, non sussistendo, in definitiva, identità causale tra i due distinti rapporti giuridici, differenziati, peraltro, anche sotto il profilo soggettivo, da cui scaturiscono le une e le altre usurae…laddove fosse esistito un divieto assoluto di interessi sugli interessi è assai probabile che essi ne avrebbero fatto menzione, quantomeno per giustificare la deroga che, eventualmente, si fosse applicata ai casi in questione mentre, invece, accade l’esatto contrario: i giuristi suddetti non si preoccupano affatto di un eventuale divieto ma sembrano interessati esclusivamente a chiarire la portata della regola per la quale, in relazione ad alcune situazioni classificabili, in senso lato, come debitorie, decorrono gli interessi legali». Tali Autori perdono di vista il contenuto primario dei passi ed arrivano a conclusioni estreme e pertanto apodittiche. Al contrario, il fatto stesso che Scevola si ponga il problema nell’ambito di una trattazione riguardante in primo luogo gli obblighi dei curatori dei minori di venticinque anni testimionia che il divieto esisteva ed era per i giuristi assai importante, ma in questo caso non vi era ragione per applicarlo, poiché non vi era ragione di tutelare il debitore dall’anatocismo, essendo questi persona diversa. F. GLÜCK, Commentario, cit., 99 s. Non si configura neanche una deroga nei confronti del divieto perché il caso in esame esula totalmente dal campo di applicazione del divieto di usurae usurarum.
488 G. CASSIMATIS, Les intérêts, cit., 62; in questo senso si esprime, seppur brevemente, il A. BÜRGE, Fiktion, cit., 540 s. osserva che «für die Verwaltung von Mündelgelder können wir aufgrund von Äußerungen Scaevolas von Zinspflicht ausgehen, die sich ohne weiteres auf den curator überträgt, und die Zinsen für bereits eingenommene Zinsen umfaßt. Zinsen werden aber auch dann geschuldet, wenn die Anlage in verzinsliche Forderungen schuldhaft versäumt wurde».
489 Sottolinea Finazzi che «il rapporto tra il soggetto sottoposto a curatela ed il curatore era ricondotto alla negotiorum gestio, se ne deve inferire che, nell’ambito dell’unitaria figura giuridica, la regolamentazione differiva a seconda dei casi: mentre nella gestione generale e
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È evidente che in questo caso il divieto di usurae usurarum non ha ragione di essere applicato, in quanto l’obbligo di corrispondere le ulteriori usurae sul totale, comprensivo di sors ed usurae, grava su un soggetto diverso dal debitore originario, dal momento che è avvenuto il trasferimento delle somme inizialmente costituenti usurae al curatore. Perciò il giurista mira a trovare una soluzione totalmente incentrata sulla tutela del minore.
La soluzione contraria sarebbe del tutto irragionevole: l’applicazione del divieto di anatocismo non avrebbe senso poiché non avrebbe la funzione pratica di tutelare il debitore da un aumento ingiustificato della somma dovuta. Invero nel caso in esame, l’obbligo di corrispondere le ulteriori usurae grava su un soggetto diverso (curatore) dal debitore iniziale (tutore). Mancano i dunque i presupposti applicativi del divieto di anatocismo.
I Pandettisti hanno evidenziato questo aspetto ed hanno sottolineato che in ipotesi del genere non si verifica il computo di interessi su altri interessi in relazione alla medesima obbligazione, perché è avvenuto il mutamento della persona del debitore attraverso una novazione soggettiva dell’obbligazione iniziale490. Tale
novazione, che ha comportato l’estinzione dell’obbligazione iniziale, obbliga il curatore a corrispondere gli interessi sull’intera cifra a lui trasmessa, secondo il principio per cui «se un tutore o un amministratore di sostanze altrui trascura di percepire gli interessi, o rivolge a proprio vantaggio gli interessi percepiti, codesto amministratore deve per legge pagare gli interessi di queste somme»491.
coattiva del curator, gravava in capo al gestore l’obbligo di perseverare nell’amministrazione degli affari del gerito anche dopo che il primo negozio intrapreso era portato a termine, nel caso della gestione spontanea del singolo negotium non v’era alcun obbligo che quello di condurlo a compimento»; G. FINAZZI,Ricerche, cit., 36 ss.; A. CENDERELLI, La ῾negotiorum gestio᾽, cit., 100 s. 490 Per i problemi connessi alla configurabilità dell’istituto della novazione soggettiva, si veda il completo saggio di P. APATHY, ῾Animus novandi᾽, cit., 47
491 F. GLÜCK, Commentario, cit., 99 s., prosegue spiegando che «si comprende in questa ipotesi anche il caso che il tutore stesso, ma non come tutore, debba gli interessi al pupillo; ciò avviene ad es. se egli ha preso a preso a prestito denari del pupillo col consenso del contutore, o se era debitore di un terzo, di cui il pupillo divenne erede, ed egli deve pagare come tutore interessi di questi interessi, perché nella sua qualità di tutore era in arretrato del pagamento a sè stesso degli interessi come debitore. Infatti il tutore in questo caso funge come una doppia persona, come tutore e come debitore. Come ora è dovere del tutore di esigere gli interessi dagli altri debitori del pupillo e impiegare i danari pel bene del pupillo, così quest’obbligo gli incombe verso sè stesso, se egli è debitore del pupillo». Questo caso specifico è contemplato in Tryph. 2 disp. D. 26.7.54: Non existimo maximis usuris subiciendum eum, qui a contutoribus suis mutuam pecuniam
pupilli accepit et cavit certasque usuras promisit, quas et alii debitores pupillo dependunt, quia hic sibi non consumpsit nec clam nec quasi sua pecunia licenter abutitur et, nisi his usuris a contutore mutuum ei
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Il quesito posto a Scevola deriva soprattutto dall’incertezza, che caratterizzò il periodo classico, fino al III secolo d.C., relativa all’accostamento della figura del curatore del minore al tutore dell’impubere. Il progressivo avvicinamento delle due figure riguardò in primo luogo l’estensione al curatore degli obblighi gravanti sul tutore, tra cui l’obbligo di foenerare ovvero di investire in prestiti fruttiferi il patrimonio del pupillo. Conseguenza giuridica e logica dell’obbligo di foenerare era l’obbligo di