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CAPITOLO I Profilo storico e attuale dell’art 2049 c.c

1.4 Considerazioni conclusive

Alla luce di quanto sinora analizzato è possibile senz’altro affermare che il sistema della responsabilità civile e il contesto economico e sociale si condizionano vicendevolmente. I giuristi sono ben consapevoli che determinate scelte giuridiche sono in grado di influenzare lo sviluppo economico di determinate attività. La scelta tra un criterio di imputazione oggettivo o soggettivo è fatta pur sempre operando un bilanciamento tra i diversi interessi in gioco così, generalmente, si è propeso per criteri soggettivi di attribuzione della responsabilità nei periodi di incertezza e instabilità economica al fine di incentivare lo sviluppo, anche al costo di sacrificare il diritto al risarcimento del danno, mentre invece si sono preferiti criteri oggettivi di responsabilità a progresso economico raggiunto.

Odiernamente l’analisi del sistema della responsabilità civile si è arricchita di nuovi metodi. Analisi economica del diritto e Law & Economics ci esortano a guardare i fenomeni

della vita reale per individuare le regole giuridiche più efficienti. Il primo utilizza ragioni economiche per modificare il sistema giuridico, il secondo, oggi più attuale, impiega l’economia per meglio comprendere il diritto155. Il quadro si è poi arricchito per la

previsione di una serie di valori costituzionali e comunitari, ritenuti prioritari, che il giurista è vincolato a rispettare.

Con riguardo alla responsabilità dei padroni e committenti per il fatto illecito dei propri commessi si può evidenziare come la norma sia tanto attuale, nonostante la vetustà dei termini impiegati, quanto discussa. Invero, sono pochissimi i capisaldi della materia sui quali può dirsi raggiunto un certo accordo tanto nella giurisprudenza, quanto in dottrina.

Intanto può sicuramente affermarsi che si tratta di responsabilità oggettiva le cui funzioni sono triplici: assicurare al danneggiato il risarcimento del danno; incentivare il soggetto che, per i poteri organizzativi che gli sono propri, può meglio d’altri prevenire gli eventi dannosi e ridurre il rischio collegato all’esercizio di una determinata attività nel modo più conveniente; frazionare il danno attraverso l’internalizzazione del relativo costo.

È questione di minor importanza quella della natura di tale responsabilità in quanto sia che la si affermi diretta perché l’obbligo risarcitorio è posto direttamente a carico del soggetto che deve assolverlo, sia che la si dichiari indiretta perché il responsabile non risponde per fatto proprio ma per fatto altrui, in entrambi i casi si asserisce una verità.

Il criterio di imputazione, inteso quale parametro avente la funzione di collegare il fatto dannoso, non già ad una azione soggettiva ma ad un particolare soggetto, rimane

l’elemento più controverso. Considerato che, come meglio si vedrà, tanto la relazione tra preponente e preposto, il c.d. rapporto di preposizione, quanto la sussistenza di un nesso causale di natura mediata, meglio definito nesso di occasionalità necessaria, più che criteri di imputazione costituiscono elementi costitutivi della fattispecie, allora il criterio da utilizzare per individuare il responsabile è quello che fa riferimento alla teoria del rischio. Il responsabile è quel soggetto che può e deve, ex ante cioè prima che il danno si sia verificato e comunque periodicamente, effettuare una valutazione costi-benefici del rischio correlato all’esercizio della propria attività, al fine di adottare le misure tecniche ed organizzative adeguate a gestirlo.

Si tratta di un criterio che oggi trova riconoscimento espresso anche in ambito

154 G. PACCHIONI, Dei delitti e quasi delitti, Padova, 1940, p. 215. Il pensiero fu ripreso e sviluppato da P.

TRIMARCHI, La responsabilità per il fatto dei dipendenti (Contributo ad una teoria del rischio d'impresa), in Riv. dir. civ., 1959, I, p. 623.

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comunitario, in particolare in tema di protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati. Il riferimento è al nuovo Reg. (CE) 27/04/2016, n. 2016/679/UE e al principio di responsabilizzazione ivi sancito. È infatti affermata la responsabilità oggettiva per rischio derivante dall’attività di trattamento dei dati personali, che grava sui soggetti deputati alla gestione diligente e consapevole dei rischi correlati all’attività in un’ottica di prevenzione, al fine di contenerli entro limiti socialmente, economicamente e giuridicamente accettabili156.

156 E. TOSI, Illecito trattamento dei dati personali, responsabilizzazione, responsabilità oggettiva e danno nel GDPR:

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CAPITOLO II

L’art. 2049 c.c. ed i suoi elementi costitutivi

L’art. 2049 c.c. prevede una forma di responsabilità, del cui criterio di imputazione incerto si è dato conto, in cui un soggetto è chiamato a rispondere del danno, cagionato a un terzo, dal fatto illecito di un altro soggetto sulla base di un rapporto preesistente che intercorre fra di loro. Sono dunque tre i requisiti fondamentali su cui poggia la responsabilità di padroni e committenti: l’esistenza di un danno causato dal fatto illecito del “commesso”, l’esistenza di un rapporto tra “commesso” e “committente” (definito rapporto di preposizione) e la relazione tra il danno e l’esercizio delle incombenze del “commesso”157.

Proprio in considerazione del carattere oggettivo della responsabilità extracontrattuale prevista dall’art. 2049 c.c., che prescinde del tutto dall’accertamento della colpevolezza del preponente, diviene essenziale delimitare adeguatamente i confini applicativi della norma perché, pur in assenza di prove liberatorie, la responsabilità del committente non è assoluta158, quest’ultimo potrà infatti dimostrare l’insussistenza, nella

fattispecie concreta, di taluno dei presupposti richiesti dall’art. 2049 c.c.159.

Per questo appare ancor più imprescindibile effettuare una compiuta disamina di ciascuno di questi elementi costitutivi e limitativi della responsabilità in esame.

2.1 Fatto illecito del preposto

Ai fini della configurabilità della fattispecie di responsabilità di cui all’art. 2049 c.c. in capo al padrone o al committente indefettibile presupposto preliminare, rispetto a quelli in presenza dei quali secondo la norma è configurabile quella responsabilità, è la dimostrazione dell’esistenza di un fatto illecito del dipendente o del commesso.

Ma, come odiernamente vada inteso il fatto illecito è questione controversa160. Sul

punto si trovano almeno due diversi orientamenti dottrinali e giurisprudenziali161. Il primo,

157 Così in Cass. civ., 20 giugno 2001, n. 8381, Cass. civ., 24 marzo 2000, n. 3536 e Cass. civ., 09 luglio 1998, n.

6691.

158 M. FRANZONI, L’illecito2, in ID. (diretto da), Trattato della responsabilità civile, Giuffrè, Milano, 2010, p. 785. 159 Cass. civ., 06 maggio 1986, n. 3025 in cui si afferma «L'art. 2049 c.c., allorché disciplina la responsabilità

per fatto illecito dei committenti, certamente pone una presunzione a carico del datore di lavoro sulla base del rapporto di dipendenza, ma non esclude che questa possa essere ritenuta insussistente quando venga provata la mancanza degli estremi di fatto che costituissero il presupposto della norma»

160 P. FRANCESCHETTI, La responsabilità civile, Santarcangelo di Romagna, 2009, p. 35 e seguenti che

efficacemente sintetizza la molteplicità di definizioni di fatto illecito che si trovano in dottrina e chiarisce come ciascuna risulti manifestamente collegata ad una certa visione complessiva del sistema della responsabilità civile.

161 La questione è evidenziata da M. FRANZONI, L’illecito2, cit., p. 769 che osserva «chi attribuisce un

significato soggettivo all’illecito esclude a priori che il padrone sia chiamato per un fatto non colposo imputabile al preposto; mentre chi qualifica oggettivamente l’illecito afferma che di tale fatto il preponente possa rispondere, quantomeno in astratto. […] Secondo i primi, la nozione di illecito sarebbe delimitata dagli art. 2043 e 2046 c.c.; mentre secondo gli altri, la responsabilità può derivare anche da un illecito del dipendente per il quale non è richiesta la colpa». Si vedano, ad esempio, Cass. civ., 8 maggio 2001, n. 6386 ove espressamente è affermato che «invero, una volta esclusa la colpa del chirurgo, non può essere affermata la responsabilità dell'istituto sanitario, poiché sia l'art. 1228 c.c. sia l'art. 2049 c.c. presuppongono un illecito colpevole dell'autore immediato del danno, onde, in assenza di tale colpa, non è ravvisabile una responsabilità (contrattuale) del debitore per il fatto dei suoi ausiliari o una responsabilità (extracontrattuale) del committente per il fatto illecito dei suoi commessi» oppure Cass. civ., 4 marzo 2005, n.4742 in cui si afferma che la dimostrazione dell’esistenza di un fatto illecito del dipendente deve riguardare tanto il profilo oggettivo

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più risalente, lega la responsabilità del preponente all’accertamento della condotta soggettivamente colpevole del preposto162.

Si tratta di un pensiero legato da un lato alla concezione tradizionale della responsabilità civile fondata sulla colpa, dall’altro ad un’argomentazione letterale in quanto effettivamente la disposizione contiene un esplicito riferimento alla commissione di un fatto illecito da parte di domestici e commessi163. Secondo tale linea interpretativa al fine di

affermare la responsabilità del preponente occorre che il preposto abbia agito almeno con colpa oppure che la colpa dello stesso, benché non sia stata accertata in concreto, sia comunque presunta ex lege164.

Il secondo, diversamente, valorizza l’esigenza di garantire i terzi da qualsiasi fatto dannoso, anche incolpevole, causato nell’ambito di un’attività organizzata e quindi identifica il “fatto illecito” del preposto mediante il rinvio a qualsiasi forma di responsabilità extracontrattuale sia essa colposa, dolosa, presunta, indiretta o oggettiva ovvero, ancor più estensivamente, ammette la responsabilità dell’imprenditore a fronte di qualsiasi comportamento antigiuridico pur incolpevole del preposto o di un danno ingiusto rimasto anonimo e quindi anche in assenza di una previa responsabilità del dipendente.

Specificamente, è fuor dubbio che il preponente risponda del danno ingiusto, colposamente o dolosamente cagionato del preposto165, accertato ai sensi dell’art. 2043 c.c.

e, conseguentemente, si afferma che «in tema di responsabilità dei padroni e dei committenti per fatto illecito dei commessi, la presunzione posta a carico del datore di lavoro, sulla base del rapporto di dipendenza, dall’art. 2049 c.c., ha per necessario presupposto la sussistenza della colpa del domestico o del commesso con la conseguenza che resta superata dalla dimostrata impossibilità da parte del sottoposto di usare quel grado di attenzione e prudenza normalmente richiesto per non incorrere nella colpa»166 ed è

quanto quello soggettivo e Cass. civ., 25 maggio 2016, n. 10757 ove è tuttavia precisato che il fatto illecito del dipendente può essere sia doloso che colposo, senza che sia necessario identificare l'autore del fatto, perché è sufficiente accertare che quest'ultimo, anche se rimasto ignoto, sia legato da rapporto di preposizione con il preponente, ravvisabile tutte le volte in cui un soggetto utilizzi e disponga dell'attività altrui.

162 L. CORSARO, voce Responsabilità per fatto altrui, cit., p. 387 che afferma «la responsabilità nasce sempre, in

ogni caso, per colpa, ma non è detto che solo chi è in colpa debba rispondere del fatto, potendo ben darsi che, accanto all’autore, risponda dell’illecito un’altra persona che in colpa non è».

163 Così E. BONVICINI, La R.C. per fatto altrui, cit., p. 106 e seguenti. Tuttavia, è la stessa Suprema Corte a

precisare, Cass. civ., 6 aprile 1995, n.4029, che «il legislatore nel titolo IX del IV libro del Codice civile comprende sotto la denominazione dei fatti illeciti tutti i fatti che comportano una responsabilità extracontrattuale siano o non siano caratterizzati da dolo o colpa». Giova peraltro evidenziare la diversità terminologica utilizzata dal legislatore nel Codice della navigazione, anch’esso del 1942, allorquando, negli artt. 274 e 878, rispettivamente prevede che «l'armatore è responsabile dei fatti dell'equipaggio e delle obbligazioni contratte dal comandante della nave, per quanto riguarda la nave e la spedizione» e che «l'esercente è responsabile dei fatti dell'equipaggio e delle obbligazioni contratte dal comandante, per quanto riguarda l'aeromobile e la spedizione». Interessante anche la definizione, largamente inclusiva, di equipaggio che, a norma dell’art. 316 del Codice della navigazione «è costituito dal comandante, dagli ufficiali e da tutte le altre persone arruolate per il servizio della nave».

164 In questi termini M. ROSSETTI, Commento all’art. 2049 c.c., cit., p. 155 e seguenti. Sulla stessa linea anche B.

PAGLIARA, L’obbligazione al risarcimento del danno, cit., p. 278 il quale con riferimento all’art. 2049 c.c. afferma «non crediamo che si possa parlare di responsabilità oggettiva in senso stretto, quale rapporto immediato e diretto del fatto dannoso perché il fatto da cui origina la responsabilità del committente deve comunque essere un fatto doloso o colposo, sia pure del suo commesso».

165 Si veda la pronuncia del Trib. Treviso, 12 febbraio 2016 ove è affermato che l’art. 2049 c.c. «non costituisce

una autonoma fattispecie di illecito, ma ha il solo effetto di estendere al "padrone o committente" la responsabilità, nei confronti del terzo danneggiato, conseguente al fatto illecito ex art. 2043 c.c. posto in essere dal dipendente».

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altresì precisato che «il dolo del commesso nel compiere il fatto dannoso non esclude il rapporto di occasionalità necessaria con le mansioni affidategli, da intendersi nel senso che l’illecito è stato reso possibile o comunque agevolato dal rapporto di lavoro con il committente, che pertanto ne risponde ai sensi dell’art. 2049 c.c.»167.

A questa affermazione generale, tuttavia, seguono una serie di soluzioni giurisprudenziali che avvallano in primo luogo la posizione di chi, diversamente, riferisce l’obbligazione risarcitoria dei padroni e committenti a qualsiasi fatto produttivo di responsabilità per danni, previsto dal Titolo nono del Libro quarto del Codice civile nonché nelle leggi speciali salvo, comunque, il controllo di compatibilità tra la singola fattispecie e l’estensione della responsabilità prevista dall’art. 2049 c.c. ed in secondo luogo quella che ritiene sufficiente l’antigiuridicità del comportamento dannoso.

Quanto al primo gruppo, è possibile fare riferimento alla giurisprudenza in tema di responsabilità dei maestri nella quale costantemente è confermato che «allorché, in relazione al danno ad un terzo cagionato dal fatto illecito dell’allievo, sia stata affermata la responsabilità dell’insegnante di scuola privata ex art. 2048 c.c. per mancata dimostrazione dell’inevitabilità dell’evento dannoso, sussiste la responsabilità indiretta dell’istituto scolastico con il quale detto insegnante intratteneva il rapporto di lavoro; responsabilità che, traendo fondamento dalla rigorosa previsione dell’art. 2049 c.c., non ammette prova liberatoria da parte del datore di lavoro, sul quale grava il rischio di impresa»168. A contrario,

è esclusa la compatibilità della responsabilità dei genitori con quella del preponente e quindi è ritenuto esclusivamente responsabile quest’ultimo quando il danno è cagionato dal minore nell’esercizio di un incarico ricevuto nell’ambito della prestazione lavorativa169.

L’incompatibilità è altresì affermata con riferimento alla responsabilità per esercizio di attività pericolose in quanto qualsiasi danno prodottosi nel corso dello svolgimento di un’attività considerata pericolosa sarebbe immediatamente ricondotto all’esercente senza riguardo al soggetto che abbia materialmente cagionato il danno170. L’affermazione, tuttavia,

non risulta del tutto condivisibile. Se da un lato, infatti, questa ricostruzione riconnette, giuridicamente, al solo esercente la qualità di centro di imputazione della responsabilità per i danni discendenti dall’esercizio di un’attività pericolosa così correttamente escludendo la possibilità di agire in regresso nei confronti del dipendente, dall’altro non tiene conto del fatto che per il dominus dell’attività pericolosa, non per il preponente, rimane salva la possibilità di liberarsi fornendo la prova, contemplata dall’art. 2050 c.c. e non dall’art. 2049 c.c., di aver adottato tutte le cautele atte ad evitare il danno.

Emerge quindi un difficile coordinamento tra le due norme che trova composizione allorquando si individui correttamente il soggetto passivo dell’art. 2050 c.c. e si distingua,

167 Cass. civ., 14 novembre 1996, n. 9984. Di recente, nello stesso senso, Cass. civ., 10 maggio 2000, n. 5957. 168 Cass. civ., 18 luglio 2003, n. 11241.

169 In particolare, secondo Cass. civ., 10 maggio 2000, n. 5957 in Giust. Civ. Mass., 2000, 980 «la responsabilità

(diretta) dei genitori, ai sensi dell'art. 2048 c.c., per il fatto illecito dei figli minori imputabili può concorrere con quella dei precettori, essendo esse rispettivamente fondate sulla colpa "in educando" e su quella "in vigilando". La presenza di questi astratti titoli di responsabilità, fra loro concorrenti, non impedisce che / trattandosi di illecito commesso da minore nell'esercizio della sua attività di apprendista / possa essere accertata la responsabilità esclusiva, ex art. 2049 c.c., del datore di lavoro. Tale responsabilità, essendo fondata sul presupposto dell'esistenza di un rapporto di subordinazione fra l'autore dell'illecito ed il proprio datore di lavoro, e sul collegamento dell'illecito stesso con le mansioni svolte dal dipendente, prescinde del tutto dalla colpa "in eligendo" o "in vigilando" del datore di lavoro, è quindi insensibile all'eventuale dimostrazione dell'assenza di colpa dello stesso, e può ricorrere anche in caso di dolo del commesso».

170 Così in particolare M. FRANZONI, Dei fatti illeciti, Bologna, 1993, p. 486 secondo cui «il padrone risponde

dei danni cagionati dai propri dipendenti non già in via indiretta in base all’art. 2049, ma direttamente, siccome l’opera dei preposti è assorbita nel concetto di esercizio/svolgimento dell’attività pericolosa».

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come prospettato in dottrina, tra pericolosità dell’esercizio dell’attività e pericolosità della condotta causativa del danno171. Nel primo caso per il danno subito dal terzo e cagionato

dal preposto nell’ambito dell’attività pericolosa risponde direttamente l’esercente ex art. 2050 c.c. per fatto proprio se non prova di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno; nel caso invece di danno cagionato al terzo dalla pericolosità della condotta del preposto, condotta intesa come fatto dell’uomo e qualificata illecita ai sensi dell’art. 2043 o seguenti, risponde l’esercente ex art. 2049 c.c. nella sua qualità di preponente.

Sul punto la giurisprudenza più recente appare attenta ad individuare il corretto titolo di imputazione della responsabilità. Infatti, con riferimento ad una fattispecie di responsabilità dell’organizzatore di manifestazioni sportive afferma «l’esercente di attività pericolosa – inteso come organizzatore di eventi sportivi – può essere chiamato a rispondere, congiuntamente, vuoi ai sensi dell’art. 2050 c.c., in base al regime tipico di tale norma, vuoi ai sensi dell’art. 2049 c.c., per quanto posto in essere dai suoi preposti nell’esercizio delle attività commissionate, e la responsabilità del preposto non esclude, ma semmai si somma, a quella del preponente»172.

Nel caso di specie Lamborghini S.p.A. è individuata quale organizzatrice di manifestazioni sportive pericolose cui deve riconnettersi, giuridicamente, la qualità di centro di imputazione della responsabilità per i danni discendenti, agli atleti ed ai terzi, dal suo esercizio, fatta salva la possibilità di liberarsene fornendo la prova liberatoria, prevista dall’art. 2050 c.c., di aver adottato tutte le cautele atte ad evitare il danno. Ed è proprio la complessa organizzazione di una manifestazione sportiva che, secondo il giudice, rende indispensabile la presenta di preposti, la cui attività, tuttavia, resta pur sempre imputabile agli organizzatori ai sensi dell’art. 2049 c.c. anche quando le mansioni agli stessi delegate riguardano la gestione di fattori di rischio, coessenziali tuttavia all’esercizio della particolare attività sportiva che costituisce oggetto della manifestazione. Su tali aspetti e fattori di rischio, infatti, permane il potere nonché dovere di controllo dell’organizzatore, che non può liberarsi dalla relativa responsabilità commettendoli a terzi. Egli rimane investito di immanente ed irrinunziabile potere di vigilanza, ed è, a tutti gli effetti, titolare di posizione di garanzia verso i terzi. Inoltre, giacché anche l’attività degli atleti soddisfa in maniera diretta l’interesse fondamentale dell’organizzatore sportivo, è giocoforza da ritenersi che all’organizzatore debbano essere ricondotte, ex art. 2049 c.c., le conseguenze dannose dell’agire di tutti coloro che da costui sono stati coordinati e richiesti di organizzare l’evento, in base al principio cuius commodum. In definitiva, Lamborghini S.p.A., nonostante abbia esternalizzato molti compiti relativi all’evento a società peraltro specializzate, è tenuta comunque a rispondere delle conseguenze dannose direttamente discendenti da carenze organizzative di tale manifestazione, in considerazione del fatto che ne trae beneficio, anche di natura non patrimoniale.

Di incompatibilità si parla anche con riferimento all’art. 2051 c.c. ovvero con

171 Con riferimento all’art. 2050 c.c. è senz’altro possibile affermare che soggetto passivo della norma è colui

che svolge l’esercizio dell’attività pericolosa inteso come colui che in concreto gestisce l’attività, organizza il lavoro e può adottare le opportune misure di prevenzione per evitare danni. Su tale soggetto, infatti, permane un potere / dovere di controllo, su tutti i fattori di rischi, che non può essere delegato. Cfr. E. BONVICINI,

La R.C. per fatto altrui, cit., p. 394 e seguenti.

172 Così Trib. Bologna, 17 settembre 2019 e Trib. Roma, 5 marzo 2020. Non invece la giurisprudenza del

secolo scorso che afferma genericamente la responsabilità dell’esercente ai sensi dell’art. 2049 c.c. In particolare, nella sentenza del Trib. Perugia, 15 ottobre 1998, si afferma che «la scuola di equitazione costituisce esercizio di attività pericolosa quando gli allievi sono principianti, a causa della loro inesperienza e conseguente incapacità di controllo dell'animale. Di conseguenza, il gestore di un maneggio risponde