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CAPITOLO I Profilo storico e attuale dell’art 2049 c.c

1.3 L’art 2049 c.c del 1942: natura, funzione e criteri di imputazione

1.3.1 Natura

La natura oggettiva della norma al centro di questa ricerca è evidente: non c’è prova liberatoria per il preponente né dimostrando assenza di colpa nella scelta del preposto, né provando di aver sempre vigilato con la dovuta diligenza l’attività del dipendente. È altresì irrilevante che la scelta del preposto non sia stata libera.

Confermano questa tesi anche le Sezioni unite della Suprema corte, in una importantissima quanto recente decisione in tema di responsabilità della pubblica amministrazione per il fatto illecito commesso dal dipendente. I giudici definiscono la

78 G. ALPA, Casi e questioni di responsabilità del produttore, in Giur. it., 1978, p. 429 e seguenti. 79 Cass. civ., 22 novembre 2018, n. 30161.

80 Cass. civ., 22 ottobre 2004, n. 20588.

81 È lo stesso Calabresi che nella prefazione all’edizione italiana della sua opera The Costs of Accidents: A Legal

and Economic Analysis dà conto della marginalità con cui la maggior parte della dottrina giuridica italiana

considera l’analisi economico-giuridica dei problemi e, per questo, auspica che, anche grazie alla traduzione del libro, la via già intrapresa da Trimarchi e Rodotà possa essere presto condivisa da altri studiosi.

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norma codicistica nei seguenti termini: «il concetto di padrone o committente, in origine riferito ad economie rudimentali e connotate da rapporti assai stretti di preposizione, è stato via via ampliato in forza di un’interpretazione evolutiva, per essere esteso a molte figure di soggetti che, per conseguire i propri fini, si avvalgono dell’opera di altri a loro legati in forza di vincoli di varia natura (e non necessariamente di dipendenza). Si è, al riguardo, superata l’originaria configurazione della responsabilità in esame come soggettiva o per fatto proprio, quando questo si identificava almeno in una colpa in eligendo o in

vigilando: il testo normativo non concede al responsabile alcuna prova liberatoria, cosicché il

ricorso alla fictio della presunzione assoluta di colpa si risolve nell’introduzione artificiosa nella norma di un presupposto irrilevante; al contrario (benché in dottrina si parli anche di responsabilità diretta o per il fatto proprio del preponente), si è dinanzi ad una responsabilità oggettiva per fatto altrui. Si tratta […] di un’applicazione moderna del principio cuius commoda eius et incommoda, in forza del quale l’avvalimento, da parte di un soggetto, dell’attività di un altro per il perseguimento di propri fini comporta l’attribuzione al primo di quella posta in essere dal secondo nell’ambito dei poteri conferitigli. Ma una tale appropriazione di attività deve comportarne l’imputazione nel suo complesso e, così, sia degli effetti favorevoli che di quelli pregiudizievoli: un simile principio risponde ad esigenze generali dell’ordinamento di riallocazione dei costi delle condotte dannose in capo a colui cui è riconosciuto di avvalersi dell’operato di altri (poco importa se per scelta od utilità, come nel caso delle persone fisiche, o per necessità, come in ogni altro caso, in cui è indispensabile il coinvolgimento di persone fisiche ulteriori e distinte per l’imputazione di effetti giuridici ad entità sovraindividuali)»83.

Pare debba escludersi anche un’eventuale prova del caso fortuito o della forza maggiore84. Perentoria sul punto fu la Corte costituzionale nella sentenza 9 marzo 1967 n.

22, unica e risalente decisione della Corte che abbia avuto ad oggetto l’art. 2049 c.c., ove si afferma: «non può essere dubbio che (in virtù del principio secondo cui i particolari oneri inerenti all’esercizio di determinate attività sono da addossare al soggetto che dall’esercizio di tali attività ricava particolari vantaggi) debba gravare sul datore di lavoro la responsabilità del risarcimento dei danni subiti dal lavoratore in occasione del lavoro prestato alle dipendenze di lui nel caso che i danni provengano (oltreché, com’è ovvio, dall’imperfetto adempimento dell’obbligo di predisporre ogni specie di misura idonea a prevenire gli infortuni) dal caso fortuito o dalla forza maggiore». La Corte prosegue dichiarando che, secondo la regola generale consacrata nell’art. 2049 c.c. «risale ai padroni ed ai committenti la responsabilità per fatto illecito dei domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono addetti, indipendentemente dalla prova di qualsiasi loro colpa, anche solo in

eligendo, o senza alcuna discriminazione derivabile dalla natura delle mansioni esplicate dai

medesimi» e che «la responsabilità per il fatto dei dipendenti si fonda sul principio cuius

83 Sez. Un. civ., 16 maggio 2019, n. 13246.

84 Diversamente appariva per B. PAGLIARA, L’obbligazione al risarcimento del danno, cit., p. 278, che escludeva la

natura oggettiva della responsabilità in quanto viene concessa all’obbligato una prova liberatoria, pur confinata ai casi più estremi, quando il fatto è dovuto a caso fortuito, se il fatto dipende da forza maggiore e se l’evento dannoso non è imputabile al domestico o al commesso perché è dovuto a causa estranea, da sola sufficiente a provocarlo. Si riproponeva così una distinzione ottocentesca, propugnata da V.E. ORLANDO,

Saggio di una teorica sul fondamento giuridico della responsabilità civile a proposito della responsabilità dello Stato, in Arch. dir. pubbl., III, Palermo, 1893, p. 362 e seguenti, ove, nel considerare il danno al terzo che appaia conseguenza

diretto o indiretta di un’attività, si riteneva che tale danno dovesse essere risarcito da chi tale attività aveva intrapreso, anche quando l’evento dannoso, isolatamente considerato, possa apparire dipendente da caso fortuito o da forza maggiore, con la necessità di distinguere l’incendio cagionato da un fulmine, da quello causato dallo scoppio, pur accidentale, di una fra le tante caldaie utilizzate all’interno di un’industria, il solo di cui avrebbe dovuto rispondere l’imprenditore che deve sopportare il rischio della propria attività produttiva.

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commoda eius incommoda». Invocare il personale rapporto fiduciario che lega il datore di lavoro

ad alcuni e non altri dipendenti significa per la Corte «introdurre nella figura della responsabilità oggettiva, qual è quella gravante sull’imprenditore, un elemento di culpa in

eligendo che deve rimanere irrilevante».

Più controverso, invece, il tema della qualificazione della responsabilità come diretta piuttosto che indiretta. In particolare, quest’ultima impostazione teorica è criticata da Rodotà, secondo il quale la responsabilità in oggetto va sempre qualificata come diretta non esistendo nel nostro ordinamento una responsabilità di tipo indiretto ed essendo l’obbligo risarcitorio posto direttamente a carico del soggetto che deve assolverlo85.

Anche Ruffolo nega la natura indiretta della responsabilità del committente86.

Secondo tale Autore, che riconduce il rapporto commesso-committente al concetto di utilizzazione strumentale «la responsabilità in questione apparirà come diretta ed imputata sulla base di criteri di collegamento esulanti dalla colpa, avendo ad oggetto i danni conseguenti alla fallibilità dello strumento umano adoperato. […] Il committente non risponde di un atto illecito: egli, più semplicemente, è chiamato a risarcire un danno, che rappresenta il costo statisticamente ineliminabile dell’uso d’uno strumento d’attività»87.

È perentorio sul punto anche Alpa, secondo cui parlare di responsabilità indiretta è concettualmente erroneo e non aderente alla sostanza delle cose giacché «la responsabilità è sempre personale e diretta, anche se è imputata per cause diverse» e con riferimento in particolare all’art. 2049 afferma «la natura di questa responsabilità non è più discussa; si tratta di responsabilità diretta: ciò sia che la si descriva come responsabilità per fatto altrui (in quanto il fatto altrui è la causa del danno che viene imputato direttamente al responsabile) sia che la si descriva come responsabilità ‘‘canalizzata’’, perché in prima persona risponde del danno non chi lo ha causato ma chi se ne accolla il rischio»88.

Non mancano, in dottrina e in giurisprudenza, tracce della tradizione recente che individuava in queste fattispecie un’ipotesi di responsabilità indiretta; ovvero ordinamenti in cui – formalmente – si fa ancora questione di scelta del dipendente o di sorveglianza negligente del padrone. Ma si tratta degli ultimi bagliori di una linea interpretativa ormai dismessa dai più e comunque smentita dai modelli accreditati dalla giurisprudenza89.

Per contro è stato posto in luce come il riferimento alla responsabilità diretta sia pericoloso in quanto, da un lato, si rischia di riaffermare il vecchio principio secondo il quale il committente sarebbe responsabile in proprio, direttamente, per una sua colpa in

eligendo o in vigilando, dall’altro, si finisce per avvicinarsi all’altrettanto superata teoria della

rappresentanza, per cui quanto fatto del preposto ricadrebbe direttamente nella sfera giuridica del preponente, con l’impossibilità di spiegare come un commesso, generalmente sfornito di poteri rappresentativi negli atti leciti, debba invece considerarsi munito di tali poteri quanto agli atti illeciti90. Per questi motivi deve più correttamente affermarsi che si

85 RODOTÀ, Il problema della Responsabilità civile, Milano, 1967, p. 81

86 In giurisprudenza si richiama Cass. civ., 22 marzo 2011, n. 6528 per cui «quella che oggi, abbandonando i

termini arcaici utilizzati dal legislatore, viene definita responsabilità institoria trova la sua fonte in un rapporto dal quale nasce l'obbligazione e la giustificazione del trasferimento del costo del danno in capo al preponente; essa è una forma di responsabilità diretta (in quanto fondata sull'uso strumentale della persona altrui) che consente il realizzarsi dell'equilibrio tra l'utilità d'impresa conseguita e l'esposizione di fronte ai terzi per il rischio derivante dal processo necessario per conseguirla ed, in tal senso, prescinde del tutto dalla culpa in vigilando o in eligendo (la dimostrazione della cui assenza non esime dalla responsabilità in questione)».

87 U. RUFFOLO, La responsabilità vicaria, Milano, 1976, p. 113.

88 G. ALPA (a cura di), La responsabilità civile. Parte generale, Torino, 2010, p. 15. 89 ID., La responsabilità, cit., p. 720 e seguenti.

90 La critica è ben evidenziata da M. BALÌ, La responsabilità dei padroni e dei committenti, in Giust. civ., 1989, II, p.

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tratti di responsabilità oggettiva e indiretta, per fatto altrui91.

È stato inoltre evidenziato da Galgano che il riferimento all’espressione tradizionale “responsabilità indiretta”, pur non incontrando il favore unanime della dottrina, debba essere mantenuto «per la sua capacità evocativa di una responsabilità che investe un soggetto diverso da quello che ha cagionato il danno, pur con la precisazione che l’obbligazione risarcitoria è direttamente posta a carico del diverso soggetto chiamato ad adempierla, il quale risponde, a prescindere da ogni sua colpa»92.

Inoltre, se in una fase iniziale si è affermata la natura vicaria della responsabilità del committente93, successivamente si è giunti ad asserire la responsabilità ex art. 2049 c.c. tanto

nelle ipotesi in cui il preposto danneggiante non risponda personalmente94, quanto se difetti

una identificazione precisa dell’autore materiale del fatto illecito, ma sia comunque certo che questo sia da attribuirsi ad un incaricato del preponente95.

Per concludere, il dibattito relativo alla natura dell’art. 2049 c.c. è sintetizzato efficacemente da Salvi, il quale mette in luce l’evoluzione della responsabilità di padroni e dei committenti esponendola nei seguenti termini: «dall’antica idea […] che la fonda sulla

culpa in eligendo o in vigilando si è passati, dapprima, al riconoscimento del carattere oggettivo

di una responsabilità che rimane tuttavia vicaria (in quanto presuppone quella del domestico o commesso). In una fase successiva il profilo della vicarietà è sfumato (ammettendosi l’applicazione della norma anche quando l’autore del danno non risponda personalmente); per affermare poi la tesi della responsabilità diretta (e non più vicaria) dell’impresa per tutti i danni causati dal processo produttivo, anche indipendentemente da un comportamento umano»96.