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Il contratto di appalto genuino e l’interposizione illecita di manodopera

CAPITOLO V Responsabilità civile e piattaforme della gig economy: quale spazio

5.4 Il contratto di appalto genuino e l’interposizione illecita di manodopera

Si è già accennato, come, nel contratto di appalto l’organizzazione dei mezzi da parte dell’appaltatore possa configurarsi in diverse modalità. Alla versione classica, disciplinata dal Codice civile all’art. 1655, si aggiungono con il tempo due precisazioni.

La prima avviene ad opera della giurisprudenza che, nel tentativo di tracciare la distinzione tra appalto genuino e interposizione illecita di manodopera472, ha chiarito che

per «la sussistenza dell’appalto, in base all'art. 1655 c.c., occorre che l'appaltatore provveda all'organizzazione dei mezzi necessari al conseguimento del risultato economico voluto dal committente (il compimento di un'opera o di un servizio) e cioè procuri e organizzi il capitale, le macchine, le attrezzature e il lavoro occorrenti per il conseguimento del risultato promesso, assumendone la gestione a proprio rischio. A questo fine non occorre che capitali, macchine e attrezzature siano di proprietà dell'appaltatore, purché siano nella sua disponibilità, per cui è perfettamente valido un contratto di appalto, in cui l'appaltatore si impegni al compimento di un’opera o di un servizio, procurandosi detti mezzi da altri (mediante finanziamenti e locazioni di mobili) e provvedendo all'organizzazione di essi con la manodopera necessaria: anche in tal caso, infatti, sussiste la gestione a proprio rischio, e cioè l'alea di non coprire i costi di lavoro (salari) e di capitale (interessi sui finanziamenti e canoni di locazione delle macchine e attrezzature) con il ricavo dell'appalto»473.

Inoltre, in considerazione del fatto che nella società postindustriale riveste sempre maggior importanza il settore dei servizi, soprattutto di quelli informatici, è genuino anche quel contratto di appalto in cui l’appaltatore, fornisce, oltre che il personale necessario per il funzionamento del servizio, anche beni immateriali (software e know how) di notevole valore, assolutamente indispensabili al raggiungimento del risultato economico, indicato dal committente.

Il secondo chiarimento arriva dallo stesso legislatore, secondo il quale il contratto di appalto «si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa»474.

472 Ai sensi dell’ora abrogato art. 1 della L. 23 ottobre 1960, n. 1369 rubricata “Divieto di intermediazione ed

interposizione nelle prestazioni di lavoro e nuova disciplina dell'impiego di mano d'opera negli appalti di opere e di servizi” risultava vietato all'imprenditore affidare in appalto o in subappalto o in qualsiasi altra forma, anche a società cooperative, l'esecuzione di mere prestazioni di lavoro mediante impiego di manodopera assunta e retribuita dall'appaltatore o dall'intermediario, qualunque sia la natura dell'opera o del servizio cui le prestazioni si riferiscono. Inoltre, era considerato appalto di mere prestazioni di lavoro ogni forma di appalto o subappalto, anche per esecuzione di opere o di servizi, ove l'appaltatore impieghi capitali, macchine ed attrezzature fornite dall'appaltante, quand'anche per il loro uso venga corrisposto un compenso all'appaltante.

473 Sez. Un. civ., 19 ottobre 1990, n. 10183.

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Attualmente, quindi, fermo il requisito dell’assunzione del relativo rischio d’impresa, l’appaltatore può compiere un’opera o un servizio a favore del committente, verso corrispettivo in denaro, organizzando: propri mezzi materiali, immateriali e prestazioni lavorative; mezzi materiali di terzi, propri mezzi immateriali e manodopera; mera attività di lavoro come, per esempio, in un appalto del servizio di pulizia, che ha generalmente a oggetto mansioni relativamente semplici, svolte necessariamente nei locali del committente e che spesso comportano l’uso di strumenti e macchinari di proprietà del committente medesimo. Tuttavia, in tale ultimo caso, diventa determinante l’esercizio da parte dell’impresa appaltatrice del potere di organizzazione e di direzione nei confronti dei lavoratori, in assenza del quale potrebbe dubitarsi dell’effettiva organizzazione dei mezzi che l’art. 1655 c.c. impone quale elemento caratterizzante il contratto di appalto475.

Proprio con riferimento all’appalto di servizi endo-aziendali ovvero resi e svolti da personale dell’appaltatore direttamente all’interno degli spazi aziendali del committente, «scorrono, oggi come ieri, davanti agli occhi del giurista le immagini dei pericoli di confusione per il corretto inquadramento della fattispecie posta in essere»476.

Un’affermazione resa in ambito giuslavoristico che tuttavia coglie nel segno la questione. Il problema è nella difficoltà di distinguere tra contratto di appalto genuino e interposizione illecita di manodopera. Nel primo l’appaltatore si impegna a realizzare a proprio rischio un risultato utilizzando la propria organizzazione imprenditoriale e, quindi, i propri dipendenti in piena autonomia. Nel secondo, lo pseudo-appaltatore mette a disposizione dello pseudo- committente i propri lavoratori che giungono così ad essere alle dipendenze di quest’ultimo, vero datore di lavoro che esercita il potere organizzativo e direttivo.

Invero, se in caso di interposizione illecita di manodopera non vi è dubbio che responsabile ai sensi dell’art. 2049 c.c. è il “pseudo-committente”, con riferimento al contratto di appalto genuino di un servizio endo-aziendale l’individuazione del preponente responsabile non appare così scontata. Dopotutto, si pensi proprio ai servizi di vigilanza o di pulizia, anche nell’appalto genuino i lavoratori risultano inseriti nell’organizzazione aziendale del committente, che spesso determina i tempi di lavoro ed esercita quel potere di direzione indispensabile al coordinamento funzionale delle attività che si svolgono nella sua azienda.

Inoltre, anche il riferimento alla gestione a rischio dell’appaltatore potrebbe risultare fuorviante se non correttamente intesa. Il riferimento non è infatti al solo risultato economico dell’attività giacché la gestione "a proprio rischio" da parte dell'appaltatore acquisisce «un valore giuridico preciso nel senso che l'assunzione del rischio nell'esecuzione del rapporto contrattuale è a carico delle parti per quello che ciascuna vi impegna direttamente, quindi nel caso dell'appaltatore egli assume su di sé il rischio della gestione dell'intera attività lavorativa complessivamente valutata»477, ma non dei rischi tipici del luogo

di lavoro del committente o che derivano dalla sovrapposizione, nei locali del committente, di diverse attività e prestatori, in analogia con quanto accade in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

Sul punto, merita di essere evidenziata una recente sentenza che ha stabilito la responsabilità del committente per il danno cagionato da un lavoratore, peraltro autonomo, della ditta a cui era stato appaltato il servizio di vigilanza all’interno di un supermercato478.

ottobre 1960, n. 1369.

475 M. TIRABOSCHI (a cura di), Le esternalizzazioni, cit., p. 287 e seguenti.

476 P. RAUSEI, Appalto genuino e interposizione illecita di manodopera: criteri e indici rivelatori per una corretta certificazione

dei contratti, in Working paper Adapt, n. 18/2006.

477 ID., Appalto genuino e interposizione illecita, cit. 478 Trib. Ivrea, 21 settembre 2019, n. 859.

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Secondo il Tribunale la committente deve essere ritenuta responsabile ai sensi dell’art. 2049 c.c., pur in assenza di un vincolo formale di subordinazione con il prestatore, in quanto «è noto (e pacifico), poi, che il servizio dovesse essere prestato all'interno dell'esercizio commerciale del supermercato porta a ritenere presuntivamente provato ex art. 2727 c.c. che il soggetto incaricato dovesse sottostare alle direttive e istruzioni impartite dalla società nell'espletamento dell'incarico (sia rispetto agli orari di lavoro sia riguardo alle sue concrete modalità operative e necessità contingenti). La mera circostanza di fatto che il prestatore fosse stato formalmente incaricato da un soggetto terzo non è idonea, come si è detto, a smentire il giudizio presuntivo».

Ciò che si vuole evidenziare è che vi sono una serie di rischi che, anche nel contratto di appalto genuino, derivano proprio dall’inserimento di lavoratori nell’organizzazione aziendale del committente, la cui valutazione e gestione non può essere in capo all’appaltatore. Rischi che sono l’inevitabile conseguenza di modelli di business sempre più complessi e in perenne trasformazione, rispetto ai quali, in tema di tutela del lavoro esternalizzato, il legislatore ha scelto il regime della responsabilità solidale tra appaltante e appaltatore per i crediti retributivi e contributivi. Anche la giurisprudenza ha evidenziato che, attraverso il fenomeno dell’esternalizzazione, si viene a creare «un teatro lavorativo in cui sono presenti e interferiscono lavoratori dipendenti da più imprese, o con lavoratori autonomi, o comunque i cui rischi lavorativi interferiscono con l'opera o con il risultato dell'opera di altri soggetti» rispetto al quale «ciascun datore di lavoro è obbligato, ai sensi dell'art. 2087 c.c., ad informarsi dei rischi derivanti dall'opera o dal risultato dell'opera degli altri attori sul medesimo teatro lavorativo, e dare le conseguenti informazioni e istruzioni ai propri dipendenti»479.

Se da un lato quindi alle imprese sono garantite maggiori possibilità di frammentare l’impresa e di dissociare la titolarità del rapporto di lavoro dalla titolarità dei beni e dei capitali impiegati nel ciclo produttivo, per contro si assiste ad una maggiore corresponsabilizzazione delle stesse quando facciano parte del medesimo ciclo produttivo480.

Una tendenza che riguarda anche la responsabilità vicaria e che è ben evidenziata nella sentenza, in parte già esaminata, riguardante la nota casa automobilistica Lamborghini ritenuta responsabile della morte di un pilota, avvenuta nel corso di una competizione automobilistica481. A parere del Tribunale, infatti, «una manifestazione sportiva richiede,

come è evidente, una più complessa organizzazione e comporterà più articolate responsabilità degli organizzatori, anche avuto riguardo alla necessaria, ed anzi, indispensabile presenza di preposti, la cui attività, tuttavia, resta pur sempre imputabile agli organizzatori, ai sensi dell'art. 2049 c.c., anche quando le mansioni agli stessi delegate riguardano la gestione di fattori di rischio, coessenziali tuttavia all'esercizio della particolare attività sportiva che costituisce oggetto della manifestazione. Su tali aspetti e fattori di rischio, infatti, permane il potere - dovere di controllo dell'organizzatore, che certo, non potrà pretendere di liberarsi, commettendoli a terzi, dalla relativa responsabilità, in termini di sorveglianza e supervisione dell'operato dei preposti, fattori che esemplificativamente sono: a) l'idoneità e la sicurezza del luogo in cui si svolge la manifestazione e degli impianti che vengono utilizzati […]; b) l'idoneità e sicurezza dei mezzi tecnici utilizzati, siano essi forniti o meno dall'organizzatore medesimo, siano essi di proprietà dell'organizzatore o meno. […] Di tali complesse verifiche, nessuna esclusa, l'organizzatore non può mai

479 Cass. civ., 7 gennaio 2009, n. 45.

480 M. NICOLOSI, Il lavoro esternalizzato, cit., p. 189 e seguenti. 481 Trib. Bologna, 17 settembre 2019.

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disinteressarsi; al contrario, egli rimane investito di immanente ed irrinunziabile potere di controllo, ed è, a tutti gli effetti, titolare di posizione di garanzia verso i terzi».

È quindi possibile concludere affermando che, quand’anche emergesse la liceità, peraltro molto dubbia, dell’esternalizzazione ad aziende terze del servizio di reclutamento e gestione amministrativa della folla dei collaboratori da parte della piattaforma, rimarrebbe ferma la responsabilità di quest’ultima, vero centro dell’organizzazione, sia in quanto unico soggetto in grado di valutare e gestire il rischio e quindi interessato ad assicurarsi, sia in quanto soggetto facilmente identificabile e maggiormente solvibile482.