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Il giudizio di responsabilità fra organizzazione e rischio

CAPITOLO V Responsabilità civile e piattaforme della gig economy: quale spazio

5.2 Il giudizio di responsabilità fra organizzazione e rischio

Accertata la sussistenza di un danno giuridicamente rilevante, occorre individuare il soggetto su cui incombe l’obbligazione di risarcirlo e, in particolare, quando l’evento dannoso è commesso da taluno nell’esercizio di incombenze per conto di altri, occorre distinguere le ipotesi in cui solo il danneggiante sarà chiamato a rispondere, dai casi in cui alla responsabilità diretta del preposto sarà aggiunta quella indiretta del preponente.

437 E. MAGI, Responsabilità ex art. 2049 c.c., cit., p. 32.

438 Si veda da ultimo Trib. Larino, 7 luglio 2017 o, più autorevolmente, Cass. civ., 22 giugno 2012, n. 10421 e

Cass. civ., 9 novembre 2005, n. 21685.

439 A. DONINI, Il lavoro digitale su piattaforma, in Labour & Law Issues, 2015, vol. 1, n. 1, p. 54 e seguenti. 440 F. LUNARDON, Le reti d’impresa e le piattaforme digitali della sharing economy, in ADL, 2018, 2, p. 375 e

seguenti. L’Autrice evidenzia come il termine “piattaforma” significhi molte cose. Intanto può essere strumento di organizzazione dei mercati e in tal senso rimane un luogo del sistema economico, senza mai diventare soggetto. Tuttavia, «quando la piattaforma, nel gestire l'incontro tra la domanda e l'offerta del servizio (o del bene) acquista spessore e inizia ad organizzare le condizioni di erogazione di quel servizio, occupandosi anche delle prestazioni lavorative necessarie, allora può parlarsi di eventuale acquisizione di un ruolo "creditoriale" (committente; datore di lavoro)».

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Chiunque, per il perseguimento dei propri fini, per scelta, per utilità o per necessità, può avvalersi dell’attività di un altro soggetto. Si tratta di stabilire quando, a tale appropriazione, debba necessariamente corrispondere l’imputazione in capo al committente, nel suo complesso, tanto degli effetti favorevoli quanto di quelli pregiudizievoli secondo il noto brocardo: cuius commodum.

Il criterio che, meglio di altri, utilmente soccorre per discernere le due ipotesi è quello che fa leva sui concetti di organizzazione e rischio. Se l’evento dannoso dipende dall’esercizio di una determinata attività è socialmente, giuridicamente ed economicamente corretto che del danno risponda il soggetto che quell’attività ha realizzato e che le conseguenze negative non vengano invece subite passivamente da un terzo. Solo in tal modo, oltre ad essere garantito al terzo il risarcimento per il danno subito, il soggetto chiamato a rispondere sarà stimolato ad un comportamento attivo volto a valutare l’accaduto; adottare le misure necessarie per minimizzare il rischio in futuro; oltre a considerare il risarcimento del danno come un costo dell’attività da prevedere e gestire441. È

quindi evidente che il soggetto chiamato a rispondere deve avere la possibilità di effettuare queste considerazioni e, soprattutto, l’interesse e il potere di adottare quelle decisioni che sono funzionali alle esigenze tecniche, organizzative e produttive della sua attività.

Sono considerazioni che valgono a riconoscere l’applicazione dell’art. 2049 c.c. al datore di lavoro per il danno arrecato dai propri lavoratori dipendenti, a prescindere dalla loro posizione nella professione e quindi dall’eventuale potere di direzione e controllo sulle modalità di esecuzione dell’incarico; all’utilizzatore, per il fatto illecito del lavoratore somministrato, per effetto dell’inserimento di quest’ultimo nella struttura imprenditoriale del primo; alla Parrocchia per il danno arrecato dai sacerdoti come pure alle Associazioni per il danno arrecato dai propri volontari nel perseguimento degli scopi propri dell’ente a cui appartengono.

Non a caso, invece, la responsabilità del committente è generalmente esclusa nell’ambito del contratto di appalto. In tale ipotesi, infatti, è l’appaltatore che assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro; è l’appaltatore, dotato di una propria organizzazione e, solitamente, delle competenze specifiche di quel particolare settore, il soggetto meglio in grado di prevedere e affrontare le conseguenze dannose della propria attività.

Si tratta tuttavia di una affermazione che richiede due precisazioni. Anzitutto la responsabilità del committente deve essere comunque affermata quando si sia ingerito nei lavori, in misura tale da compromettere l’autonomia dell’appaltatore nella loro organizzazione ed esecuzione. Secondariamente occorre distinguere, seppur accomunati dall’assunzione del rischio d’impresa da parte dell’appaltatore, il contratto di appalto, come disciplinato dal Codice civile e ridisegnato dalle Sezioni Unite442, che presuppone

441 È la stessa Amministrazione finanziaria, con Risoluzione ministeriale n. 9/174 del 27 aprile 1991 a ritenere

che, ancorché nel Testo Unico delle imposte sui redditi non si rinvenga una norma che consideri sopravvenienze passive le indennità da corrispondere a titolo di risarcimento di danni, così come l'art. 55, comma 3, lett. a), considera sopravvenienze attive le indennità conseguite a titolo di risarcimento di danni diversi da quelli considerati alla lett. d) del comma 1 dell'art. 53 e alla lett. b) del comma 1 dell'art. 54, tali somme debbano essere considerate ugualmente deducibili quando sono certe, perché determinate in una sentenza con efficacia esecutiva, e quando sono direttamente connesse all’attività svolta dall’impresa.

442 Sez. Un. civ., 19 ottobre 1990, n. 10183. Nella pronuncia è infatti stabilito che chi affidi in appalto a società

privata la gestione di un centro elettronico, e detta società utilizzi locali, attrezzature, elaboratori e programmi del committente, senza un proprio apporto organizzativo e senza l'assunzione del relativo rischio economico, si verifica violazione del divieto d'interposizione nelle prestazioni lavorative, di cui all'art. 1 della L. 23 ottobre 1960 n. 1369. Le Sezioni Unite hanno escluso che vi fosse, da parte della software house appaltatrice, un

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l’organizzazione da parte dell’appaltatore di beni materiali e immateriali nonché prestazioni di lavoro, dal contratto di appalto disciplinato dall’art. 29 del D.Lgs. 276/2003 nel quale, pur distinto dalla somministrazione di lavoro, l’organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore può risultare dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto443. Si tratta, nella sostanza, di una forma di

esternalizzazione attraverso la quale l’appaltatore, ancorché privo di propri strumenti e attrezzature, organizza, dirige e coordina le attività dei dipendenti per la realizzazione di opere e servizi a favore del committente. In tale ipotesi, peraltro, la difficoltà è proprio nel distinguere fra interposizione illecita di manodopera e appalto genuino.

Una considerazione a parte merita anche il contratto d’opera disciplinato nell’art. 2222 c.c. e che volutamente il legislatore ha collocato nel Libro V dedicato al lavoro444. Si

tratta di una tipologia di locatio operis elementare nella quale il conductor operis presta un lavoro esclusivamente o prevalentemente proprio, e come tale o non riveste la figura dell’imprenditore (prestatore d’opera intellettuale o artistica), oppure riveste la figura del piccolo imprenditore (artigiano). In tale ipotesi un’analisi ancorata all’organizzazione e al rischio, pur possibile, deve essere necessariamente arricchita con la valutazione di ulteriori fattori, proprio al fine di stabilire se vi sia o meno integrazione del prestatore nella struttura aziendale del committente. Fra tali elementi è possibile citare: la possibilità per il committente di dare ordini e istruzioni ovvero controllare l’attività del prestatore; l’esclusività e la continuità del rapporto fra le parti; il luogo ove la prestazione è compiuta; la connessione della prestazione con un’attività organizzata dal committente. Considerazioni analoghe valgono per i contratti di mandato e agenzia.

Alla luce di queste premesse, della consolidata giurisprudenza in tema di responsabilità vicaria e della ricostruzione del lavoro a richiesta tramite piattaforma, come emerso dalle pronunce che hanno riguardato la qualificazione del rapporto tra prestatore e piattaforma, è quindi possibile enunciare le seguenti riflessioni sull’applicabilità dell’art. 2049 c.c. alle piattaforme della gig economy.

5.3 La sussistenza del rapporto di preposizione tra piattaforma digitale