• Non ci sono risultati.

Considerazioni finali: il debito come strumento del passaggio alla biopolitica.

Le politiche deflazionistiche e di aggiustamento strutturale sofferte dalle economie latinoamericane per tutti gli anni Ottanta dimostrano che il debito, a livello di relazione tra gli stati, è stato utilizzato come strumento per definire rapporti di potere gerarchici tra quelli secondo logiche del tutto innovative. Internamente alle società, invece, è servito a distribuire reddito dalle classi dei lavoratori alle élite, sempre più coinvolte nei processi finanziari globalizzati. L’economista Joseph Stiglitz, ex direttore del FMI, ebbe a dire che “dal 1980 l’equivalente di oltre cinquanta piani Marshall (più di 4600 miliardi di dollari) è stato inviato dalle popolazioni della periferia del mondo ai loro creditori del centro”. E che “è un mondo strano quello in cui sono i paesi poveri a sovvenzionare i più ricchi”.144

Ma il debito, oltre a essere uno strumento di prelievo manipolato al fine di ristabilire un predominio economico che da fine anni Sessanta stava vacillando, è molto altro. Invero, in questo lavoro si ritiene che la priorità del credito/debito non consista nel trasferire ricchezza a vantaggio dei paesi sviluppati, cioè dove si concentrano le fonti del credito. Come s’è visto, infatti, in seguito alla Decada Perdida (gli anni Ottanta) la regione latinoamericana torna a essere destinataria dei flussi finanziari globali, cui si accompagnò un aumento relativo della ricchezza per buona parte degli anni Novanta. Ciò che importa osservare è che, dagli anni Settanta in avanti, il capitalismo finanziario ha fatto del debito una promessa che si è tenuti a onorare, per poter contrarre ulteriori debiti senza mai interrompere questa fuga in avanti.145 Harvey ha ragione quando definisce questo processo come “trappola debitoria”. Del resto, lungi dall’avere una

143

Cfr. Palermo Vicente, Marcos Novaro (1996), “Política y poder en el gobierno de Menem”. Buenos Aires, Tesis Norma-Flacso.

144

Cfr. J.E. Stiglitz, La globalizzazione e i suoi oppositori. Citato in Harvey, Breve storia del neoliberismo. P. 185.

110

natura disinteressata, tali flussi di credito sono erogati in proporzione all’applicazione delle riforme in ogni paese, mediante un particolare indicatore di rischio (denominato

country risk) con cui i creditori valutano l’affidabilità del debitore e, conseguentemente,

il loro grado di rischio. Il debito non è dunque solo un dispositivo economico ma anche una tecnologia securitaria di governo (in questo caso per gli stati) volta a ridurre l’incertezza dei comportamenti dei governati.146

A livello di relazione tra gli stati, il debito diventa dunque lo strumento perfetto per la diffusione della razionalità neoliberale.

Il paese indebitato è portato a modificare le proprie condotte secondo una razionalità che in definitiva giudicherà propria ma che, in realtà, è stata indotta, introiettata, in maniera graduale dagli anni Settanta attraverso l’applicazione di strumenti politici (si pensi ai grandi cambiamenti che ho descritto) e ideologici (si pensi ai think-tanks e alla propagazione dei precetti neoliberali portata avanti dai gruppi di potere neoliberali dentro e fuori gli stati). Il nuovo modello di governo, così, ha guadagnato terreno nei vari paesi capitalisti. I temi della ‹‹buona governance›› e della ‹‹buona prassi›› sono i nuovi mantra dell’azione governativa. Le organizzazioni internazionali hanno propagato, specie nei paesi sottosviluppati, le nuove norme dell’azione pubblica. Secondo la Banca Mondiale, lo Stato efficiente è uno stato centrale forte che si pone come priorità un’attività regolatrice che garantisca lo stato di diritto e agevoli il mercato e il suo funzionamento. In maniera analoga, dalla metà degli anni Novanta l’Ocse non è stata da meno, moltiplicando, anche in Europa, le raccomandazioni di riforma della regolamentazione e di apertura dei servizi pubblici alla concorrenza, attraverso le attività del suo settore consacrato al management pubblico. 147

La riforma dell’amministrazione pubblica partecipa della globalizzazione delle forme dell’arte di governare a dimostrazione del fatto che lo Stato ha avuto un ruolo di prim’ordine nella svolta internazionale al neoliberalismo. Dappertutto, quale che sia la situazione locale, sono auspicati gli stessi modelli, e si utilizza un lessico uniforme (competition, process reengeeering, best practices, performance indicators). La riforma

146

Lazzarato, La fabbrica dell’uomo indebitato. P. 61.

147

Dardot, Laval, op. cit. p. 405. Si legge nel Rapporto della BM del 1997: ‹‹Ci accorgiamo ora che mercati e governi sono complementari: lo Stato è essenziale per realizzare le basi istituzionali necessarie ai mercati. E la credibilità di un governo –la predicibilità delle regole e delle politiche e la costanza con cui sono applicate- può essere altrettanto importante per attirare l’investimento privato che il contenuto di tali regole e politiche››, World Development Report 1997, Overview, http://wdronline.worldbank.org.

111

generale dello Stato secondo i principi del settore privato si presenta come ideologicamente neutra. Essa non mira che all’efficienza, all’ottimizzazione delle risorse utilizzate.148 Così il “debito sovrano” (laddove il termine “sovrano” che riconduce allo Stato sembra puntare il dito sulle “colpe” dei singoli stati in quanto a implementazione di politiche) è in grado di modificare la soggettività stessa della società, poiché tutti gli individui sono chiamati a dirigere le proprie attività future in funzione del pagamento del debito che lo Stato s’è impegnato a onorare. Flessibilizzazione e precarizzazione del lavoro, ad esempio, porteranno le classi operaie degli stati indebitati a rinunciare al contratto fisso, al salario garantito, alla sindacalizzazione, a tutti quelli che erano gli assiomi del welfare fordista. È buona regola, infatti, deregolare il mercato del lavoro, anzitutto, per aumentare la disponibilità fiscale necessaria al pagamento degli interessi. Tale liberalizzazione sarà anche propedeutica all’aumento d’investimenti delle compagnie estere nel mercato nazionale. In quest’ottica, gli anni Novanta saranno per l’Argentina il decennio della

“extranjerización” della sua economia: un processo generalizzato di svendita di beni

pubblici nazionali al miglior offerente presente sul mercato internazionale. Le aziende pubbliche, che erano state al centro dell’alleanza sociale peronista, divennero così “merce di scambio” per rinegoziare il credito.

Il debito è uno strumento della biopolitica poiché, attraverso quello, il creditore è in grado di misurare e valutare le condotte specifiche del debitore e, tramite la promessa di quest’ultimo di rispettare l’impegno preso, di indurre un cambiamento in tali condotte. Ovviamente, questo avverrà in linea con la definizione di una governamentalità neoliberale che è alternativa a quella fordista, ma senza che per questo avvenga una forzatura della libertà del debitore, dato che il debito è contratto liberamente. Come si è già osservato, “il debitore è libero ma le sue azioni, i suoi comportamenti devono svolgersi nei limiti definiti dal debito che ha contratto: si è liberi nella misura in cui si assume lo stile di vita (consumo, lavoro, spese sociali, imposte) compatibile con il rimborso”.149

Del resto poi come può essere letta l’imposizione arbitraria di un tasso d’interesse al 20% se non come il mezzo con cui il creditore spinge il debitore a procrastinare all’infinito il proprio debito? Cioè, il proprio impegno a mantenere una condotta

148

Ivi, pp. 405-406.

112

specifica? Il debito, così, diventa un “impegno esistenziale” che non è solvibile e il suo riscatto non ha mai fine. Questo è quanto sembra suggerirci la logica con cui il debito è stato negoziato per tutti gli anni Ottanta da banche e organismi internazionali e ancor più il fatto che, dagli anni Novanta, le economie latinoamericane sono state incentivate, attraverso lo stanziamento di nuovi ingenti prestiti (a partire dal Plan Brady), a incentrare la propria stabilità sull’ingrossamento del debito estero.

Come sostiene Deleuze, “il debito si trasforma così in un rapporto tra un debitore che non finirà mai di pagare e un creditore che non finirà mai di consumare gli interessi sul debito”.150

Un rapporto che per il creditore s’incarna nell’interesse (che è in grado di manipolare discrezionalmente) e per il debitore nell’impegno e nel sacrificio. Così, i cambiamenti internazionali che si sono osservati dagli anni Settanta hanno determinato una de-territorializzazione delle forme di soggettivazione del capitalismo contemporaneo oltre il confine degli stati fin dentro a una razionalità globale neoliberale. La trasformazione principale operata dalla nuova governamentalità è che il rapporto sociale non è più incarnato nell’asse capitale/lavoro, ma in quello creditore/debitore. Alla base di questa trasfigurazione rimane chiaramente l’esigenza di definire una gerarchia ma, ora, la nuova rappresentazione serve a tradurre gli interessi del capitale senza limiti di tempo (il debito esistenziale è un debito contratto a vita) e senza limiti di spazio. La fabbrica, infatti, non è più il centro privilegiato del confronto sociale perché quest’ultimo si è trasferito potenzialmente in ogni ambito del vivere in società.151 Le politiche sociali privatizzate dal neoliberalismo implicano una differenziazione che si esprime non più tra “classi” ma tra singoli individui. Per Foucault, il lavoro è cambiato nel senso che bisogna far sì che “il lavoratore sia non un oggetto -l’oggetto di una domanda e di un’offerta in forma di forza-lavoro- ma un soggetto economicamente attivo[…]Il lavoro è un capitale che dipende dall’individuo:

150

Gilles Deleuze (2002), Nietzsche e la filosofia. Torino, Einaudi. Pp. 211-213. Citato e commentato in Lazzarato, Il governo dell’uomo indebitato. P. 63.

151

Stratta e Barrera sostengono: ‹‹se durante il modello d’industrializzazione per sostituzione d’importazioni -dagli anni Trenta a metà degli anni Settanta del secolo scorso- il conflitto s’inscrive essenzialmente nell’ambito della fabbrica, l’aumento significativo della disoccupazione e della sotto- occupazione, la perdita di innumerevoli diritti in ambito lavorativo e sociale, il deteriorarsi delle condizioni di vita dei settori popolari hanno fatto sì che l’asse del conflitto s’espandesse ad altri spazi del sociale. Di qui prende significato uno dei più famosi slogan della CTA: “la nuova fabbrica è il quartiere” (la Central de Trabajadores Argentinos è un sindacato nato negli anni Novanta dalla separazione dalla Confederación General de Trabajo per rivendicare una lotta radicale alle politiche menemiste di neo- liberalizzazione). È a partire dai cambi menzionati che pensiamo che il conflitto si sia ampliato al territorio con più intensità e rilevanza delle epoche precedenti››, in Stratta, Barrera, op. cit. p. 75.

113

dal suo bagaglio di fattori fisici e psicologici che rendono qualcuno capace di guadagnare un certo salario piuttosto che un altro”.152

Così, il lavoratore è responsabilizzato: tende ad apparire come un capitalista in miniatura da cui dipendono reddito e servizi sociali. È in questo modo che l’asse del confronto è uscito dalla fabbrica per maturare una nuova concezione della condizione degli individui. Occupazione, reddito e servizi sociali non possono più essere concessi sotto forma di diritti collettivi ma devono essere conquistati individualmente. D’altra parte, saranno responsabilizzati anche i disoccupati e tutti coloro che non possono permettersi educazione, sanità e una copertura sociale: questa mancanza, infatti, deriva da una loro mancanza di attitudine imprenditoriale, da una loro “colpa”. A livello antropologico, si assiste al passaggio da un patto fondato sui diritti sociali a uno fondato sul debito sociale.

114

Capitolo III

L’Argentina neoliberista