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La Convertibilità e il boom dei consum

Al fine di controllare gli sbalzi di un’inflazione sempre in agguato (e che del resto non smise mai di essere presentata come una minaccia mortale per il paese), il nuovo ministro dell’economia del governo Cavallo fissò nel 1991 la parità 1.1 con il dollaro. Al tempo stesso completò la liberalizzazione delle merci in circolazione, proibì l’emissione di denaro da parte della banca centrale argentina e iniziò a rimpatriare i

224

Fair, “La globalización neoliberal”. P. 8.

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Menem, 26/03/1991, citato in Fair, ivi, p. 7.

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capitali all’estero. Le riserve della banca centrale erano destinate a garantire la stabilità della moneta e divennero intoccabili, separandole dalla sfera del debito. Queste misure implicavano la progressiva uniformazione dei prezzi dei prodotti sul mercato argentino ai livelli statunitensi, nonostante i salari in media oscillassero tra il 25% e il 50% di quelli propri dei paesi sviluppati.227 Si voleva imporre all’economia uno shock tale da frenare l’inflazione ma al prezzo di rendere il costo della vita particolarmente elevato. Almeno all’inizio questo non fu percepito come un problema dagli Argentini perché, di fatto, Cavallo riuscì nell’obiettivo storico di bloccare l’inflazione: questa scese dal 27,7% di marzo a meno dell’1% alla fine del 1991, beneficiando enormemente la vita di tutti i giorni della popolazione. D’altra parte, Cavallo impose misure d’austerità che si riflessero particolarmente nella massiccia riduzione degli impiegati del settore pubblico: 70 mila posti di lavoro furono cancellati durante i primi sei mesi della sua gestione. Tali misure del resto trovarono subito l’assenso dell’amministrazione di Washington.228

A questo punto, Menem era considerato a livello internazionale come un “allievo modello”.

Sopravvalutazione della moneta e un’asimmetrica apertura commerciale stimolarono la domanda di beni importati (principalmente, beni di consumo e prodotti tecnologici) pregiudicando notevolmente le piccole e medie imprese; al contempo, l’importazione dall’estero di beni intermedi e finiti colpì in modo grave anche le grandi industrie nazionali che non erano in grado di competere con quei prodotti soprattutto per l’enorme gap tecnologico esistente. Dato che il tipo di cambio era sopravvalutato e l’emissione di moneta bloccata, l’unica opzione per generare ingresso di divisa per lo Stato rimase quella di cercare finanziamenti esterni. Questo deficit fu risolto, dapprima, attraverso la cessione a gruppi privati stranieri di gran parte delle imprese pubbliche e la flessibilizzazione del commercio e della finanza per incentivare l’ingresso di investimenti esteri, e in un secondo momento –dopo che si esaurirono queste fonti- attraverso l’indebitamente esterno con gli organismi multilaterali.229

Risulta evidente che il regime cambiario del 1991 fu un vero e proprio spartiacque nella storia economica argentina dal momento che questo da solo implicava tutta una serie di politiche strutturali vincolate al suo sostentamento, oltre che una svolta nel rapporto con i creditori stranieri. In questo senso, anche se le riforme furono svariate e introdotte in

227

Silvestri, op. cit. P. 189.

228

Ronchi, op. cit. pp. 162- 163.

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anni diversi, tra quelle esisteva una continuità diretta che permette d’intenderle nel quadro di quello che è stato denominato il “Regime di Convertibilità”. Le premesse di questo, ancora una volta, devono essere intese alla luce della gestione del debito estero argentino. Infatti, la stabilità raggiunta grazie alla Convertibilità e, contemporaneamente, alla ratifica con gli organismi di credito del Piano Brady (1992) aprì le porte a nuovi flussi di credito, fermi dal 1988.

Recuperare i crediti esterni, inoltre, era un imperativo categorico ricorrente nei discorsi dell’establishment nazionale già da qualche anno, come è testimoniato da una pubblicazione del luglio 1989 intitolata “Il finanziamento esterno argentino negli anni

Novanta”. Nel libro (incaricato dal Consiglio Argentino per le Relazioni Internazionali

al fine di orientare il prossimo governo eletto) s’insisteva sull’importanza decisiva di attrarre il credito, la qual cosa era assimilata a una questione di prestigio nazionale. Allo stesso modo, si doveva far di più per instaurare accordi con i creditori privati, considerati indispensabili per il futuro del paese. Secondo il testo, “i principali creditori dell’Argentina sono tra le venti banche più grandi al mondo e (per noi) hanno più potere e influenza di molti paesi sovrani”.230

Il massimo esponente al governo di queste posizioni era il ministro Roberto Dromi, il quale, rivolgendosi in forma riservata alla commissione del Senato incaricata di seguire il processo di privatizzazione di

Aereolíneas Argentinas (la compagnia aerea di bandiera), ebbe a dire: “Ogni documento presenta una clausola non scritta (e se non abbiamo voluto scriverla è solo per decenza nazionale) in cui si incontra il grado di dipendenza del nostro paese, che non ha neanche la dignità sufficiente per vendere tutto ciò che c’è da vendere. Un paese che non sa disporre dei suoi beni, un paese inibito a livello internazionale, un paese che prova vergogna di sé…Ci controllano assolutamente tutto!”231

Ebbene, alla luce di questi elementi, nel primo quinquennio del 1990 si assiste a

un’omogeneizzazione della cupola del potere economico nel paese dovuta a diversi fattori. Privatizzazione delle imprese pubbliche (una clausola già apparsa fin dal Piano Baker del 1985) e deregolamentazione totale del mercato interno diedero impulso all’associazione tra i maggiori gruppi economici locali e il capitale straniero, attraverso

230

Schvarzer, op. Cit. P. 132.

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la formazione di “consorzi” nati allo scopo di gestire il processo di privatizzazione delle imprese pubbliche. In questo modo si modifica la tradizionale dissociazione tra capitale straniero e locale (che era stata una caratteristica argentina fin dai tempi della dittatura militare).232 Così, si delineava chiaramente la presenza di un nuovo gruppo economico dominante fino a che la crisi del 2001 interruppe bruscamente quei processi che, come si credeva, sarebbero durati per molto tempo. Nelle parole del ministro Cavallo: ‹‹La parità cambiaria ha creato una stabilità che si manterrà per almeno

sessant’anni››.233

Tra il 1990 e il 2001 la vendita di centinaia d’imprese pubbliche al settore privato generò per il Tesoro argentino un ricavo approssimativo di 32.819 milioni di dollari capitalizzati sotto forma di titoli pubblici.234 Dal momento che il 67% del capitale in ingresso proveniva da azionisti stranieri (una vera manna per la tenuta del neonato regime di Convertibilità) si può giustamente parlare di un processo di

“extranjerización” dell’economia nazionale. La cessione delle imprese pubbliche ai

privati stranieri fu accompagnata da un discorso governativo che ne faceva un motivo d’orgoglio per l’Argentina: era la svolta necessaria per superare per sempre ineficcienza e corruzione che avevano segnato le stagioni politiche precedenti. Come formulò in maniera molto eloquente il ministro Cavallo al meeting annuale dell’Associazione delle banche della repubblica argentina:

“Le imprese pubbliche erano il luogo privilegiato della corruzione e dell’inefficienza portata alla sua massima espressione; erano il caos totale. Si dice che in Argentina investivamo per quelle ben oltre il 20 o il 30 per cento del nostro Prodotto Interno Lordo. Investivamo male poiché in tal modo il risparmio degli Argentini era investito forzatamente a favore dello Stato, per coprire i suoi deficit, o a favore delle sue imprese indebitate…Invero, stavamo finanziando i piani d’investimento di quelle imprese nell’interesse dei loro sindacati e dei loro fornitori, che ci

232 Basualdo (marzo 2002), “Entre la dolarización y la devaluación: La crisis de la Convertibilidad”, en

‹‹Iconos, Revista de Ciencias Sociales››, Quito: FLACSO sede de Ecuador. n˚13. P. 14.

233

Cavallo, citato in Fernando Solanas, Memorias del saquo (documentario, 2003).

234

Ronchi riporta che: ‹‹Tra il 1990 e il 1991 si diede avvio alla privatizzazione delle riserve petrolifere. Durante il 1992 passarono al capitale privato le imprese siderurgiche, quelle di creazione e distribuzione di elettricità, le imprese di acqua e i servizi di fognatura, l’impresa nazionale di gas, alcuni rami delle ferrovie e la metropolitana di Buenos Aires. Nel 1993 si privatizzò YPF (la principale impresa di estrazione e raffinazione di greggio), vendendo all’impresa spagnola Repsol. Tra il 1994 e il 1995 si privatizzò il sistema postale, la Caja Nacional de Ahorro y Seguros e tutte le imprese manifatturiere. Questi sono solo i nomi più emblematici di una lista di più di 400 imprese pubbliche passate a mano privata››. Ronchi, op. cit. Pp. 164-165.

152 guadagnavano ulteriormente vendendo i loro prodotti a un

prezzo che era due, tre, quattro volte superiore a quello che normalmente gli doveva corrispondere[…]Dobbiamo raggiungere un equilibrio che stimoli l’efficienza dell’economia. Per questo la privatizzazione è fondamentale. Oggi, chi investe in Argentina mette a rischio il suo capitale dopo aver valutato attentamente il suo investimento e questo dev’essere considerato un cambio fondamentale”.235

In un discorso di questo tipo lo Stato appariva chiaramente come il luogo dell’interesse settoriale e corporativo; al contrario, dal processo di privatizzazione sprigionava una dimensione innovativa per i singoli, colma di opportunità di crescita per tutti. In modo assai schietto, il ministro Dromi ebbe a dire che: ‹‹Niente di quello che

solitamente era associato allo Stato, rimarrà a conduzione statale››.236

Dopo che si era finalmente conclusa la prima tappa d’emergenza, nel 1992-1993 le privatizzazioni servirono a riequilibrare i bilanci e le autorità si posero obiettivi diversi da quelli squisitamente macroeconomici. Grazie al ristabilimento dell’ordine nei conti pubblici, i capitali esteri presero a essere reinvestiti nel paese per modernizzare le infrastrutture esistenti e per rilanciare il consumo interno. La Convertibilità, a partire dalla sopravvalutazione della moneta e della riduzione del tasso d’interesse che favoriva l’ingresso di capitali esteri fu un artificio economico capace di generare un boom di consumi e d’investimenti che, nel nuovo clima di fiducia generato dalla istituzionalizzazione della parità, assicurò il controllo definitivo degli episodi inflazionari. Nel giugno del 1991 l’inflazione si attestava al 3,1% mentre in agosto era all’1,3%. Era la cifra più bassa registrata dal 1974. Così, il presidente Menem raggiungeva anche il risultato storico della stabilità economica, la qual cosa gli permetteva di creare un confronto tra la situazione del 1989 e quella raggiunta grazie alle riforme che consolidava ancor più la legittimità delle sue scelte.

“Pensate in che condizioni versava il paese nel 1989 e qual è invece la situazione ora. Non avevamo moneta e ora invece ne abbiamo una forte; non c’era stabilità, ora sì; non era possibile cambiare pesos nel resto del mondo perché

235 Cavallo, Mensaje a la Asociación de los Bancos de la República Argentina (ABRA), citato in Fair,

Identidad, discurso y política. Pp. 142-143.

236

Dromi, 1991, citato in N. Yabkowski, “Las transformaciones del sujeto político en la Argentina democrática”. P. 47.

153 nessuno dava fiducia all’Argentina mentre ora la tenuta

della nostra moneta è assicurata da oro e divise della riserva: una cosa impensabile nel 1989 quando abbiamo ereditato la banca centrale”.237

Proprio come a suo tempo con il primo Piano Quinquennale di Perón (1945-1949), le riforme economiche generarono dunque un boom di consumi, creando in più un clima euforico per la scomparsa dell’inflazione, il recupero del credito esterno e la caduta dei prezzi relativi (dovuta al contenimento del tasso inflazionario). Tra i beni di consumo durevoli, la vendita di automobili passò effettivamente dalle 100 mila unità del 1990 alle oltre 400 mila nel 1994. Ancora, la domanda interna di frigoriferi avanzò dalle 200 mila unità del 1990 alle quasi 800 mila del 1993; mentre quella di lavatrici dalle 70 mila alle 700 mila.238 Anche da questa prospettiva quindi Menem faceva di tutto per presentarsi come il continuatore della dottrina peronista “adattata” ai tempi nuovi. Il successo a livello macroeconomico della Convertibilità gli permise di ricorrere a frasi- sentenze tipiche della tradizione populista, come “molto meglio che dire è fare” o “un

risultato è meglio di mille promesse”. Il PIL, cresciuto dello 0,1% nel 1990, salì all’8,9

nel 1991 e ancora nel 1994 era al 7,1%. Per tutti i primi anni dopo le riforme aumentò il livello di produttività e anche la domanda occupazionale, al contempo che iniziavano a scendere gli indici di povertà.239 Infine, tra la spesa pubblica passò da un 52,4% del 1989 a un 61,1% degli anni immediatamente successivi (CEPAL, 2011). Alla luce di quei risultati tangibili si può concludere che alla fine del primo mandato di governo Menem contava su di consenso praticamente assoluto. Alle elezioni del 1995, alle quali si presentava con lo slogan ¡Menem cumple! (Menem mantiene le promesse), fu rieletto con quasi il 50% delle preferenze, mentre il suo diretto rivale (Carlos Alvarez della lista Frepaso) non superava il 29%. Anche a livello internazionale le politiche legate alla Convertibilità furono accolte come un clamoroso successo: l’Argentina dimostrava al mondo che privatizzare era sinonimo di competitività e di maggiore produttività. Non

237

Menem, 24/02/1993, citato in Fair, “El discurso de ruptura social del menemismo”. P. 144.

238

Schvarzer, op. cit. pp. 185-186.

239

Secondo dati INDEC i casi relativi a nuclei famigliari in condizioni di povertà nel cono urbano di Buenos Aires si ridussero da un 38,2% dell’ottobre 1989 a un 21,9% nel maggio del 1995. Allo stesso tempo, gli indici relativi ai casi d’indigenza nello stesso periodo scesero da un 11,6% a un 3,6%, raggiungendo un 4,3% nel maggio 1995. In quanto ai singoli casi di povertà, gli indici ufficiali del cono urbano di Buenos Aires segnalano, nel periodo indicato, una riduzione dal 47,3% al 22,2% mentre gli indigenti scesero dal 16,5% al 5,1%, raggiungendo un 5,7% nel maggio 1995 (dati consultabili in pagina web ufficiale di INDEC, www.indec.gov.ar).

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solo, la fine dell’interventismo statale e della burocrazia aveva incoraggiato gli investimenti stranieri e, da ultimo, lo spirito imprenditoriale degli Argentini.240

Si può sostenere che Menem già nei suoi primi anni di riforme riuscì a dare una risposta alle molteplici domande che gli provenivano dalla crisi del 1989. Il partito al governo si era confermato come “partito dell’ordine” in grado di diramare il conflitto sociale; inoltre, proprio perché la maggiore causa scatenante del conflitto fino al 1990 era legata ai problemi economici del paese, il nuovo risultato della stabilità economica diede al presidente ulteriore legittimità in quel senso. L’egemonia costruita da Menem intorno al suo governo è confermata nel 1993 dal Pacto de Olivos, un accordo tra il partito giustizialista e quello radicale di Alfonsín che garantiva a Menem la possibilità di modificare la Costituzione allo scopo di essere rieletto alle elezioni del 1995 in un secondo mandato consecutivo della durata di quattro anni (mentre fino a quel momento la carica era di sei anni e non era estendibile). Alfonsín accettava in cambio della rinuncia menemista di indire elezioni plebiscitarie che –con ogni probabilità- si sarebbero tradotte in una dimostrazione di forza schiacciante sul discreditato partito radicale. Se da una parte l’intero arco delle forze politiche era riassunto nella leadership di Menem, dall’altra il mondo sindacale aveva perso ogni connotazione rivendicativa e, per di più, era chiamato a partecipare dei benefici della realtà economica data dalle riforme: molti dirigenti sindacali erano coinvolti nella gestione delle aziende privatizzate e, in generale, offrivano appoggio incondizionato al governo menemista in cambio di favori di vario tipo.241 Del resto, privatizzazione e smantellamento delle industrie provocarono in quegli anni un bassissimo tasso di sindacalizzazione.

240 Nel già citato articolo del Journal of small Business management di Milwaukee del 1997 si faceva

riferimento a “una privatizzazione che –come sostengono gli osservatori della Banca Mondiale- ha migliorato i servizi degli Argentini allo stesso tempo abbassando i prezzi per i consumatori. Questo ha facilitato i viaggi legati al business così come il trasporto di beni, il che ha incentivato non poco le iniziative degli imprenditori…In certi casi, come quelli di Telecom Argentina e Telefonica de Argentina S. A, la partecipazione degli impiegati è aumentata. La logica sottostante è quella per cui una loro maggiore partecipazione non può che far aumentare la loro motivazione, contribuendo così all’aumento di produttività e conseguentemente di competitività. L’intero processo ha generato un miglioramente dei servizi per tutti, inclusi gli imprenditori argentini”. Citato in “A contrast of Argentina and Uruguay: The effects of government policy on enterpreneuship”.

241

Fair afferma che: ‹‹Durante il governo di Menem il sindacalismo di origine peronista generalmente appoggiò le politiche economiche implementate, in particolare a partire dalla stabilità economica raggiunta nel 1991. Per cercare di comprendere la logica che muoveva quest’importante attore sociale si deve considerare una pluralità di fattori coinvolti. Tra questi, si distaccano la partecipazione azionaria dei sindacati “amici” nel Programa de Propriedad Partecipada (PPP), i “ritiri volontari”, la promessa di moderare le riforme neoliberali e, soprattutto, la partecipazione del sindacalismo nella gestione di imprese privatizzate e in altri investimenti di diversi tipi (hotel, palestre, colonie per le vacanze estive

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Data questa situazione complessiva, dunque, l’intenzione ora è di far intendere le svolte impresse dal governo non solo come elementi per la costruzione di un discorso egemonico da raggiungere attraverso l’inglobamento dei vari settori della società nel discorso unico menemista. Piuttosto, attraverso la Convertibilità lo Stato fu in grado di far soggettivizzare agli individui i valori che il “discorso unico” emanava: per questo mi sembra più opportuno parlare della costruzione di una governamentalità. Vale a dire che, in maniera inedita per la storia politica argentina, il progetto di crescita economica (la “fuga hacia adelante”) fu adottato dalla società civile e naturalizzato nei modi di fare, nella mentalità, negli assiomi che gli individui facevano propri negli anni del boom. Dunque, soprattutto, la Convertibilità generò un meccanismo psicologico che impediva di vedere le conseguenze politiche, economiche e sociali prodotte dal nuovo ordine e rendeva il soggetto pubblico incapace di identificarsi in progetti alternativi. È vero che nel frattempo stavano nascendo soggetti sociali non allineati all’egemonia menemista (come il Movimiento de Trabajadores Argetninos, MTA)242 ma questi rimasero una voce isolata fino a quando nel 1998 le prime avvisaglie della crisi economica non risvegliarono la coscienza critica di sempre più persone. Mentre, da un lato, gli individui erano chiamati a livello discorsivo a diventare soggetti economici del cambiamento in corso (la gestione privata delle imprese era diventata sinonimo di modernizzazione), dall’altro quel processo –come s’è visto- aveva promosso apatia politica e conformismo.243 Questa creò le condizioni per l’accesso a un consumo che si

per gli affiliati del sindacato fino alla partecipazione azionaria delle Administradoras de Fondos de Jubilaciones y Pensiones, AFJP)››, in Fair (julio-diciembre de 2011), “El proceso de construcción y consolidación política, discursiva y cultural de la hegeminía menemista (1989-1995). Propuesta pera un análisis interdisciplinario”, en ‹‹Iberóforum. Revista de Ciencias Sociales de la universidad iberoamericana››, año 6, n˚ 12, Ciudad de México. Pp. 1-51. P. 23. Le AFJP erano compagnie assicurative private che, a partire dalla Reforma Previsional del 1994, acquisirono molte delle vecchie prerogative del sindacato. In molti casi, queste incorporarono sigle sindacali rendendole partecipi delle azioni, a patto che quelle ridefinissero il lavoro rapporto con gli affiliati che non dovevano più chiamarsi “rappresentati” ma “clienti”. Per Palomino: ‹‹Data l’eccezione del sindacalismo docente, che rivendicava la difesa della scuola pubblica come un diritto fondamentale, in generale con le riforme sulla previdenza nacque un nuovo modo d’intendere il rapporto tra rappresentanti e rappresentati che si può definire business union o sindacalismo de negocios››, in Palomino, op. cit. p. 126.

242

Il Movimiento de Trabajadores Argentinos è una corrente sindacale integrata da oltre trenta organizzazioni distaccatasi nel 1994 dalla CGT. Nel 1997 gli si affiancò la Central de Trabajadores Argentinos (CTA), nata per far maturare un sindacalismo “autonomo, indipendente dallo Stato, dai partiti politici e dalle imprese”. Entrambe integrarono una corrente di lotta sindacale intorno alla difesa dei diritti sociali. Queste organizzazione furono al centro della lotta dei piqueteros: un movimento autonomo e radicale di lavoratori disoccupati che dal 1998 inaugurarono la nuova stagione di lotte sociali in Argentina che culminerà nel dicembre 2001.

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Per Fair la Convertibilità generò una retorica, consolidata socialmente, che s’inscrive in un alto grado di convenzionalità e che fa sì che l’individuo assuma -senza alcuna vera presa di coscienza precedente- quelle premesse ideologiche che la rendono possibile. Egli afferma che: ‹‹Così, la Convertibilità,

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estendeva ora ad ampi settori della popolazione generando logiche di consumismo sfrenato. La percezione diffusa era quella di vivere in una “festa” permanente, nella quale il godimento materiale accompagnava l’interiorizzazione di nuove condotte individuali.

Nel libro Cuesta abajo, diversi autori hanno analizzato l’importanza cruciale assunta