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Una nuova tipologia di soggetto sociale

Tornando ora alla dimensione foucaultiana di governamentalità, si dirà che “un concetto non economicista dell’economia prevede che la produzione economica implichi (sempre) la produzione e il controllo della soggettività e delle sue forme di vita”.158

Così, anche per il caso argentino, il neoliberismo dev’essere interpretato anzitutto come un fenomeno securitario di controllo delle condotte dei governati, raggiungibile tramite un processo di privatizzazione della politica e di depoliticizzazione della società. Lo scopo per chi governa è quello di prevedere, calcolare, misurare e stabilire equivalenze tra i comportamenti attuali e quelli futuri per rendere controllabile chi è governato. Questi processi sono stati indotti attraverso l’interiorizzazione negli individui di nuovi assiomi che, a loro volta, hanno prodotto forme di soggettivazione che risultano facilmente controllabili dalle macchine del capitale da cui sono state prodotte. In Argentina, in seguito all’ultima esperienza dittatoriale (1976-1983) e al picco iperinflazionario del 1989, il declino della società peronista fa da sfondo a una fase di frammentazione e d’indebolimento delle identità sociali e politiche tipiche di quella.159 Mentre la fase precedente al 1989 può essere quindi descritta come una fase di perdita delle vecchie identità, il che è indispensabile alla formazione della nuova governamentalità, dal 1989 in avanti se ne costruiscono di nuove.

Come fatto in precedenza per descrivere i tratti distintivi dell’Argentina peronista, per mostrare quelli originali della società neoliberale si osserveranno ora le caratteristiche del rapporto dialogico tra Stato e società. Si mostrerà che pur

particolare l’inflazione. Di fronte a quella prospettiva si stavano generando le condizioni favorevoli per un governo cui si lasciavano ampi margini di azione, nella prospettiva che alla società argentina non potesse capitare niente di peggio di quanto già stesse soffrendo.

158

Lazzarato, La fabbrica dell’uomo indebitato. P. 58.

159

Paula Canelo (2005), “Las identidades políticas en la Argentina de los años Noventa: continuidades y rupturas entre Peronismo y Menemismo”. amnis [online] http://amnis.revues.org. P. 6.

119

mantenendo vive le caratteristiche famigliari del frasario populista (l’unico in cui il popolo argentino si è riconosciuto), Menem provocò una rottura profonda nel modo con cui gli Argentini percepivano tradizionalmente il loro vivere in società. Il cambiamento è riscontrabile non solo nella crisi della classe operaia e dei valori collettivi che erano alla base della pax peronista e della comunidad organizada, ma in generale ha effetto su ogni ambito del sociale. In un contesto contrassegnato dalla colonizzazione da parte del mercato di nuove aree che non gli competevano e dalla de-ideologizzazione della politica, i settori popolari e medi furono spogliati del senso tradizionale di cittadinanza, il che aumentò la loro frammentazione.160 Si proverà quindi a spiegare com’è stato possibile che i nuovi assiomi del mercato fossero indotti nelle condotte dei governati tanto da far risultare quel cambiamento come il frutto delle loro stessa razionalità, producendo così un vero e proprio cambiamento antropologico.

L’Argentina peronista s’era sempre distinta per un acceso protagonismo politico: questo si manifestava nel grande tasso di sindacalizzazione, nella mobilitazione operaia e studentesca degli anni Settanta e, infine, nel risorgere di forme di resistenza durante il periodo conclusivo della dittatura militare. Dalla dittatura in avanti invece, come afferma Joachim Hirsch, “la dimensione del politico si ridusse sempre più alla semplice amministrazione delle cose, a una gestione più o meno efficiente da svolgersi dentro l’ordine esistente: la politica si adeguò a obiettivi inamovibili che erano il risultato di un processo che per il suo carattere globale era diventato onnipervasivo e (apparentemente) incontrollabile”.161

Ebbene, la politica dello Stato si svuotava del suo contenuto innovatore, della sua capacità di trasformare le cose per essere sostituita da tutta una serie di strumenti originali atti a costruire la governamentalità neoliberista. Nondimeno, è importante riflettere sul fatto che, da una parte, de-sindacalizzazione, disoccupazione e privatizzazione dell’ambito pubblico così come, dall’altra, il consumismo sfrenato tipico degli anni Novanta del boom economico non sono solo il risultato di un modello di valorizzazione economica ma piuttosto sono da considerare ambiti specifici della vita della popolazione posti nel quadro di una tecnologia specifica di governo: la biopolitica. Non si tratterebbe perciò della scomparsa della politica, bensì della trasformazione dei suoi metodi di

160

Stratta, Barrera, op. cit. p. 50.

161

Joachim Hirsch (2000), “Adiós a la política”. Vientos del Sur, n˚17, Ciudad de México. Citato in Stratta, Barrera, Ibidem.

120

attuazione e, soprattutto, della sua ricezione sulle masse. Così, lungi dal trovarci di fronte alla scomparsa dello Stato, “la società diventa il bersaglio di un permanente intervento di governo finalizzato non a restringere sul piano pratico le libertà formalmente riconosciute bensì a produrre, moltiplicare e garantire quelle libertà di cui il sistema liberale ha bisogno”.162

In questo senso, la società rappresenta quindi “l’insieme delle condizioni del governo liberale minimo e la superficie di trasferimento dell’attività di governo”.163

Se così è, allora, il neoliberismo dev’essere considerato il contrario di un modello di auto-limitazione del potere statale (così come si definiva il liberalismo classico): si costituirà invece in una “razionalità onnipervasiva” in grado di proiettare fin dentro la società civile le logiche di mercato fino a modificare gli stili di vita degli individui. Come cercherò di mostrare, la “razionalità” di cui si sta parlando non ha le fattezze della “mano invisibile” ma, piuttosto, quello dello Stato neoliberista che si esprime attraverso politiche concrete (privatizzazioni, diffusione del credito al consumo) e tecniche d’enunciazione ben precise.

È queste premesse, in un quadro peculiare in cui convivono tratti tipici del

neoliberalismo e del neo-populismo, che si possono trovare gli elementi per provare a rispondere ad alcuni quesiti fondamentali sulla natura delle trasformazioni in atto. Anzitutto, com’è stato possibile che le classi popolari argentine, soprattutto nel primo quinquennio degli anni Novanta, abbiano sostenuto entusiasticamente, e senza ricevere forzatura alcuna, il modello neoliberale che portò a sacrificare tutte le conquiste del periodo precedente fino al collasso generale dato dalla crisi del 2001? In secondo luogo, da una prospettiva che parte dal mondo del lavoro, come si spiega che una porzione importante del sindacalismo –i settori del peronismo di base vincolati alla

Confederación General de Trabajo (CGT) e la struttura partitaria del sindacalismo

peronista- sostenesse un progetto politico che si situava agli antipodi del modello benefattore che caratterizzava l’Argentina peronista dal 1946 in avanti? Analogamente, dal punto di vista dell’establishment economico nazionale, quali processi portarono questi nuclei di potere tradizionalmente anti-peronisti a riporre fiducia in un dirigente politico che proveniva dalla militanza peronista? Infine, quindi, come ci si spiega che nel maggio 1995, con un tasso di disoccupazione e di sotto-occupazione inedito nella

162

Foucault, op. Cit. P. 273.

121

storia argentina contemporanea e indici di corruzione allarmanti, Menem fosse rieletto all’incirca da metà dell’elettorato del paese?

In breve, penso che la risposta a queste domande riguardi l’elaborazione di tutta una serie di assiomi che, congiuntamente con la produzione di nuove forme di soggettivazione capitalistiche, sono un ingranaggio fondamentale della macchina neoliberista contemporanea (a livello globale, non solo in Argentina). Come sostiene Lazzarato, “rispetto al fordismo (le cui caratteristiche principali sono condivise dall’Argentina peronista), il neoliberismo si è costruito a partire da un numero di assiomi più limitato: i mercati sono capaci di autoregolarsi; la riduzione della tassazione per le imprese e i ricchi aumenta la produzione; la disoccupazione è volontaria; la privatizzazione è un vantaggio per tutti”.164

Nondimeno, questi nuovi valori assumono un’importanza straordinaria dato che non saranno percepiti come raccomandazioni economiche e politiche imposte con la forza (dalla dittatura per esempio) o da soggetti esterni (come i creditori internazionali), ma piuttosto come imperativi morali su cui si è fondata la nuova soggettività neoliberale e da cui dipende la crescita o il fallimento del paese stesso. In questo senso gli anni Novanta sono per l’Argentina gli anni del “passaggio alla biopolitica”.

Il sociologo argentino Aboy Carlés sostiene che “qualsiasi modello identitario è

tracciato attraverso alcune frontiere politiche che scindono tra una ‹‹demonizzazione del passato›› e la ‹‹costruzione di un futuro avventuroso›› che appare come il contraltare di quel passato che si vuole lasciare alle spalle”.165

Se si adotta questa visione per osservare la società argentina nel 1989 (anno in cui, secondo la mia interpretazione, Menem diede il via al nuovo patto sociale) si può ben notare quanto drammatica fosse la situazione che quella tentava di lasciarsi alle spalle. La dittatura aveva lasciato un’eredità pesantissima. Non mi riferisco solo alla gestione economica di Martínez de Hoz, e al gravare di un debito estero (che comunque pesava come un macigno sul destino delle generazioni a venire). Negli anni successivi alla dittatura prese corpo un “discorso sulla memoria” destinato a condizionare le caratteristiche identitarie della società argentina: dapprima, nel 1983 il ritorno della democrazia sembrava coincidere con un “rinascimento della politica”; poi, con il passare degli anni, i processi legati a

164 Lazzarato (2013), Il governo dell’uomo indebitato. Saggio sulla condizione neoliberista. Roma,

DeriveApprodi. P. 124.

165

Gerardo Aboy Carlés (2001), Las dos fronteras de la democracia argentina. La reformulación de las identidades políticas de Alfonsín a Menem. Rosario, Homo Sapiens. P. 169.

122

quel “discorso sulla memoria” condussero piuttosto a un allontanamento della gente dalla politica. Anche in questo caso, Menem fu colui che ereditò processi già avviati per indirizzarli verso la costruzione della nuova Argentina. Come si mostrerà, anche la questione della “riconciliazione” ebbe un peso in tal senso.

Ora, dunque, tenterò di mostrare con ordine quali sono queste caratteristiche che, da un lato, costituiscono quel ‹‹passato da demonizzare››, dall’altro, sono condizioni necessarie alla costruzione della nuova governamentalità neoliberale impressa dal governo di Menem. Questo perché –come sembra- non si può guardare agli anni Novanta come teatro della “colonizzazione” da parte del mercato di ogni ambito del sociale, senza prima aver spiegato il degrado dei valori (solidarietà, spirito di corpo, universalismo) che avevano guidato a lungo l’Argentina peronista.