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Considerazioni in tema di efficienza della pubblica amministrazione, soluzioni vecchie e nuove

Affinché la pubblica amministrazione risulti strutturata in modo tale da riuscire a garantire la migliore cura e tutela degli interessi e dei diritti dell’intera collettività si è rilevata la necessità di disegnare nuove tipologie organizzative attente nel rispetto “formale” ai principi sanciti nell’art. 97 Cost.

Per consentire al modello datoriale, passato da quello burocratico a quello d’impresa, di funzionare in modo efficiente si rende essenziale delineare un confine mobile che assicuri scelte puntuali e dotate della massima flessibilità delle strutture contrattuali di modo che le stesse possano adeguarsi alle esigenze di tutela dell’interesse collettivo.

Il lavoratore del settore pubblico privatizzato svolge un’attività volta al perseguimento dell’interesse generale (tale affermazione vale a partire dal personale con compiti meramente esecutivi – ad es. l’addetto alle fotocopie - , sino ad arrivare al personale dotato di potere decisionale – quale ad es. il dirigente -), per tale motivo la “privatizzazione” ha fatto sì che venisse posta sin dall’inizio la questione di legittimità costituzionale.

L’efficienza (intesa nel senso di buon andamento) non è lo strumento del privato datore di lavoro, o meglio non è lo stesso parametro entro il quale il datore di lavoro privato, l’imprenditore, esercita la propria attività. L’efficienza perseguita dal datore di lavoro privato non è della stessa natura di quella perseguita dal datore di lavoro pubblico, in quanto per il datore di lavoro privato non esiste un fine pubblico da inseguire e da realizzare tramite lo svolgimento della propria attività imprenditoriale.

Per la pubblica amministrazione rimane, pertanto, necessario determinare se la natura dell’efficienza sia sociale, o politica o economica. L’essere flessibile significa che l’amministrazione riesce a garantire una certa dinamicità contrattuale, la quale può

risultare strettamente connessa alle tipologie contrattuali flessibili, se queste vengano individuate quali strumento rivolto al perseguimento dell’efficienza.

Per il legislatore è necessario riuscire a capire come agisce lo “strumento” flessibilità nella e della gestione del personale rispetto all’organizzazione del lavoro teso all’efficienza e quindi al buon andamento.

A ciò può giovare il principio della netta separazione tra attività di indirizzo politico e attività di gestione finalizzata ad accrescere l’autonomia e i poteri gestionali e conseguente piena responsabilizzazione del dirigente. Si è visto che il tentativo di inserire i canoni del New public management adottando i dettami della performance, alla quale corrisponde una maggiore flessibilità sia in termini di obiettivi sia in termini di autonomia decisionale del manager pubblico, termine con il quale si indica (ora) il dirigente pubblico, presumono una maggiore e rilevante (comunque) presunta” capacità gestionale privatistica del dirigente, il quale deve essere in grado di assumere tutte le determinazione necessarie per l’organizzazione del proprio ufficio.

Anche in questo aspetto si rileva un dato che evidenzia la specialità del rapporto di lavoro nelle pubbliche amministrazioni in quanto sussiste, a differenza di quanto avviene per il datore di lavoro privato, l’impossibilità nel lavoro pubblico di conformare il potere organizzativo del datore di lavoro al particolare contratto collettivo.

Su questo aspetto ha inciso la terza riforma del lavoro pubblico privatizzato, con la quale il legislatore ha preteso di affermare la nuova visione del potere di organizzazione che deve essere più attenta alla gestione delle risorse umane piuttosto che ad un rafforzamento della organizzazione degli uffici, ossia della dimensione strutturale.

Si è visto che il “dirigente” pubblico nell’organizzazione e nella gestione del personale e dei rapporti di lavoro agisce tramite una soggettività giuridica di diritto privato con la capacità del privato datore di lavoro.

Se aumentano i poteri è logico veder aumentare le responsabilità ed i controlli. Nel settore privato l’azienda si dota spontaneamente di strumenti di controlli interni anche per rispondere in modo adeguato al mercato che impone chiarezza e rispetto del

consumatore; nel settore pubblico gli strumenti di controllo sono forniti dalla legge la quale realizza «l’aziendalizzazione delle pubbliche amministrazioni».

Considerato che sono stati “inseriti” nella gestione per l’efficienza del lavoro pubblico strumenti di new governance di tipo informativo (quali i mandatory disclousure), incentivanti, di misurazione della performance , di confronto e scambio (benchmarking e best parctices), di sicuro interesse, è da rilevare che questi suscitino alcuni dubbi circa la loro effettiva implementazione in quanto troppo ancorati agli aspetti economici e poco bilanciati nel rispetto degli altri aspetti di natura sociale e (di opportunità) politica fondamentali per determinare il canone dell’efficienza

Risulta anche poco incisiva la politica “punitiva” che affianca la politica di crescita dell’efficienza attuata con gli strumenti sopra ricordati. Dare più potere al manager pubblico, almeno in questa fase della riforma, e ancorarlo da una parte al potere sanzionatorio di tipo disciplinare e dall’altra al potere di attribuzione della parte (irrisoria in realtà) della retribuzione, appare poca cosa rispetto alla necessaria autonomia gestionale (se si vuole un vero manager). Sicuramente positivo è l’aver puntato sulla trasparenza (forse ad avviso di chi scrive è questa la vera novità o rivoluzione del pubblico impiego) e sull’integrità dei controlli, affidando il compito ad una Commisione (la CiVIT) che dovrà indicarne, al più presto, le linee guida.

L’aver lasciato (non del tutto vista la resistenza dei dipendenti e dirigenti) il modello burocratico per quello, forse, più efficiente d’impresa, deve comunque fare i conti con le risorse umane, ormai divenute “scarse” – numericamente-, poco motivate e che sono vincolate nell’accesso sempre più al rispetto dei vincoli di bilancio di spesa che ne limitano anche la crescita professionale, visto che le voci (del bilancio dello Stato) destinate alla formazione “obbligatoria” per alcune amministrazioni sono state ridotte al “lumicino”, e per altre addirittura risultano eliminate. Infine bisogna considerare che anche le norme (di rango costituzionale) che disciplinano l’accesso ai ruoli della pubblica amministrazione fanno la loro parte, determinando e ribadendo ancora una volta la specialità del rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni che non va dimenticata.

In conclusione si avverte sempre più la necessità che il legislatore rivolga la propria attenzione all’aspetto delle risorse umane e consideri le altre tipologie contrattuali flessibili - in aggiunta a quella standard – come un vero e proprio strumento gestionale finalizzato sia al controllo delle risorse finanziarie, sia al controllo della gestione ottimale delle risorse umane.

CAPITOLO 3

CONTRATTI DI LAVORO FLESSIBILE E RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO ALLE DIPENDENZE DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI

SOMMARIO: 1. Il ruolo precettivo dell’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001 e le manifestazioni della flessibilità nel rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni - 2. Fabbisogno di personale e rapporti giuridici volti alla sua soddisfazione. Il contratto di lavoro a tempo determinato ed il suo ruolo nell’organizzazione degli uffici pubblici– 2.1. Il caso: i contratti di lavoro a termine dei dipendenti “scolastici” – 2.2. L’abuso di utilizzo di una successione di contratti flessibili nel Comparto Scuola: un’ulteriore posizione di specialità? – 2.3. La stabilizzazione del rapporto di lavoro flessibile nelle scuole quale possibile aspetto deflattivo del contenzioso - 3. Eccezionalità della somministrazione di lavoro nelle pubbliche amministrazioni – 4. Lo strumento contrattuale “su misura” per gli enti locali, le scuole e le università: il lavoro accessorio – 5. La controversa giustificazione dell’uso dei contratti di formazione e lavoro e degli altri rapporti formativi – 6. Dalla promozione dell’occupazione tramite il volontariato alla stabilizzazione del rapporto dei lavoratori socialmente utili – 7. Il tentativo di reintroduzione del contratto di lavoro autonomo nelle pubbliche amministrazioni ed il suo ridimensionamento: l’addio alle collaborazioni coordinate e continuative – 8. Un aspetto della flessibilità del “contratto standard” di lavoro subordinato alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni: il tempo parziale - 9. Il contratto collettivo: lo strumento di disciplina per l’utilizzo delle tipologie contrattuali di lavoro flessibile nelle pubbliche amministrazioni e i suoi limiti “interni ed esterni” – 10. Osservazioni conclusive: verso una nuova stagione dei contratti di lavoro flessibile nel settore pubblico privatizzato?

1. Il ruolo precettivo dell’art. 36 del d.lgs. n. 165 del 2001 e le manifestazioni

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