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L’abuso di utilizzo di una successione di contratti flessibili nel Comparto Scuola: un’ulteriore posizione di specialità?

2. Fabbisogno di personale e rapporti giuridici volti alla sua soddisfazione Il contratto di lavoro a tempo determinato ed il suo ruolo nell’organizzazione

2.2 L’abuso di utilizzo di una successione di contratti flessibili nel Comparto Scuola: un’ulteriore posizione di specialità?

Utile a questo punto della ricerca rivedere e ricordare che nel settore pubblico vige il principio di anticonversione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato (principio esteso a tutte le tipologie contrattuali flessibili). La norma che richiede che venga attuata la prevenzione affinché non vi sia l’abuso di utilizzo di una successione di contratti a termine è la direttiva comunitaria 1999/70/CE, attuata nell’ordinamento interno con il d.lgs. n. 368 del 2001. Anche la Corte di Giustizia, con la sentenza 23 aprile 2009 C-378/07, ritorna sul divieto di abuso di utilizzo di una successione di contratti a termine.

L’art. 49 d.l. n. 112/2008 innesta nell’art. 36, comma 3, d.lgs. n. 165/2001 la seguente prescrizione: “le pubbliche amministrazioni non possono ricorrere all’utilizzo del medesimo lavoratore con più tipologie contrattuali per periodi di servizio superiori al triennio nell’arco dell’ultimo quinquennio”. La norma sembra ripercorrere la linea già tracciata per il settore privato dall’art. 5, comma 4-bis, d.lgs. n. 368/2001, introdotta dalla legge finanziaria n. 247/2007 che limita a 36 mesi l’estensione complessiva temporale derivante dalla somma di più contratti a termine stipulati tra le stesse parti.

Il legislatore, aveva fissato nel settore pubblico un arco temporale, cinque anni, che non ritroviamo per quello privato. Tale scelta, ora superata dal nuovo dettato normativo330 che elimina di fatto qualsiasi riferimento temporale e permette, in via teorica, l’impiego del lavoratore flessibile per un tempo indeterminato – in palese contrasto con la norma comunitaria -, sembrava da un lato voler affossare la

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Tale posizione viene superata dal successivo legislatore che sostituisce il comma 3, dell’art.

36, D.Lgs. n. 165/2001, eliminando la previsione temporale (triennio nel quinquennio) ed inserendo la comunicazione, finalizzata a combattere gli abusi nell’utilizzo del lavoro flessibile, da inviare ai nuclei di valutazione interni ed alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della funzione pubblica.

flessibilizzazione del settore pubblico mentre dall’altro voleva evitare situazioni di precariato di cui le pubbliche amministrazioni non hanno bisogno.

La sanzione prevista per il settore privato di automatica conversione dei contratti in contratto a tempo determinato non trova applicazione nel pubblico impiego. La principale motivazione va ricercata nella necessità delle pubbliche amministrazioni di individuare con certezza il contingentamento del personale utilizzabile. Inoltre, le dotazioni organiche delle pubbliche amministrazioni devono rappresentare una certezza in termini quantitativi sia di spesa sia numerica, onde evitare sovradimensionamenti ingiustificati del personale e della spesa.

L’approfondimento sul dipendente pubblico “flessibile” non potrà non prescindere dal suo limitato utilizzo che può arrivare a un massimo di tre anni da conteggiare nell’arco temporale di cinque anni, comunque sia la forma contrattuale flessibile utilizzata. Si possono quindi sommare rapporti di lavoro a tempo determinato con quelli di formazione e lavoro, oppure con un contratto di fornitura di lavoro temporaneo passando poi al contratto di somministrazione ma per un periodo complessivo che non può superare i tre anni nel quinquennio.

Per “sanzionabilità” s’intende la possibilità di applicare nei confronti del datore di lavoro, in caso di ricorso ed utilizzo illegittimo dei contratti di lavoro flessibili, la sanzione consistente nella conversione dei contratti flessibili in un contratto a tempo indeterminato.

Al datore di lavoro pubblico non viene applicata tale sanzione di riconversione, ma viene applicata la sola sanzione risarcitoria. Il superamento del limite di 36 mesi nel quinquennio previsto per il contratto lavoro flessibile non dà diritto al lavoratore pubblico assunto con contratto di lavoro flessibile a nessun tipo di diritto di conversione e trasformazione del proprio contratto in un contratto a tempo indeterminato.

Nel caso di violazione di questa disposizione ne consegue il risarcimento al lavoratore, mentre al dirigente viene addebitata la responsabilità con l’applicazione della relativa sanzione.

Qualora il dirigente, la cui figura all’interno delle pubbliche amministrazioni lo colloca quale datore di lavoro a contratto, abbia violato la norma con dolo o colpa grave deve risarcire la pubblica amministrazione che ha dovuto pagare la somma al dipendente ricorrente. Siamo di fronte ad un sistema sanzionatorio completamente differente tra quanto disciplinato nel lavoro pubblico rispetto a quello privato. Questo è un aspetto che risalta la specialità del settore pubblico, stabilendosi la nullità del contratto in caso di mancato rispetto delle prescrizioni legali, e l’applicazione dell’art. 2126 del codice civile, che disciplina le prestazioni lavorative di fatto, derivando così il predetto diritto al risarcimento del danno derivante dall’esecuzione di un rapporto di lavoro nullo contrastante con le norme vigenti.

I differenti interessi sottesi al lavoro presso la pubblica amministrazione e a quello alle dipendenze di datore di lavoro privato, tuttavia, non consentono di applicare al pubblico impiego una disciplina del contratto a termine identica a quella prevista dal d.lgs. n. 368/2001 per il settore privato. Discrasia fondamentale tra le due discipline relativa al sistema sanzionatorio, che nel trattare in modo più approfondito il contratto a termine, deve rammentarsi che gli artt. 4 e 5 del d.lgs. n.368/2001331 sanzionano con l’automatica conversione del contratto a termine in rapporto a tempo indeterminato la reiterazione abusiva di quest’ultimo da parte del datore di lavoro privato.

La disciplina e la previsione delle forme contrattuali flessibili nel lavoro pubblico rappresentano un passo importante verso il superamento del concetto d’impiegato pubblico tradizionale caratterizzato dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, affermandosi una nuova concezione più vicina al principio sancito dall’art. 97 della Costituzione. La strada intrapresa sembra condurre al tentativo di una certa omologazione tra quanto previsto nella disciplina pubblica e privata, tentativo che sembra, nelle ultime modifiche legislative, battere il passo cercando un ritorno al passato e a quei concetti già ampiamente consolidati di diversità e specialità caratterizzanti il pubblico impiego.

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Ognuno dei commi contenuti nell’art. 5, D.Lgs. n. 368/2001, prevedono una fattispecie determinata al cui verificarsi si configura la sanzione che prevede che il contratto debba considerarsi a tempo indeterminato.

Di tale avviso è la Corte Costituzionale che con la Sentenza del 16 maggio 2008, n. 146, mette in evidenza le differenze sostanziali che giustificano una differente disciplina tra rapporto di lavoro privato con quello con le pubbliche amministrazioni.

Il futuro della questione vedrà una normativa e degli orientamenti giurisprudenziali che discuteranno della legittimità della sanzione della conversione nel pubblico impiego non senza prima offrire una definizione delle procedure di stabilizzazione previste a partire dalla legge finanziaria per il 2006 e rafforzate dalle due successive leggi finanziarie ed infine bloccate dalla legge finanziaria del 2009 che fissa al 30 giugno 2009 il termine ultimo per regolare le posizioni aventi diritto alla stabilizzazione.

Sarà posta, infine, dal legislatore una particolare attenzione alla funzione rivestita in questa materia vista l’introduzione nelle controversie in materia lavoro dell’arbitrato e dalla conciliazione che, posto il fallimento del tentativo obbligatorio di conciliazione abrogato dal Collegato Lavoro332, rappresentano il nuovo aspetto deflattivo del contenzioso in materia di lavoro (anche pubblico privatizzato).

Nella nuova formula il ricorso a forme alternative a quella giudiziale è ora facoltativo. Il dipendente del settore pubblico privatizzato può ricorrere contro la pubblica amministrazione datore di lavoro attraverso la richiesta di un tentativo di conciliazione o di un arbitrato. Le procedure conciliative e arbitrali333 sono, quindi,

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Gli artt. 410, 412, 412-ter e 412-quater del cod. proc. civ. (così come modificati dalla L. 4 novembre 2010, n. 183 – Collegato Lavoro-) e sono applicabili, così come previsto dall’art. 31, comma 9, L.183/2010, alle controversie in materia di rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici privatizzati previste dall’art. 63 del D.Lgs. n. 165/2001. Tale norma ha abrogato gli articoli 65 e 66 del D.Lgs. n. 165/2001.

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Sono stati introdotti quattro modelli per deferire la risoluzione delle controversie derivanti dal rapporto di lavoro:

1- Alle commissioni di conciliazione istituite presso le Direzioni provinciali del lavoro (ex art. 412 c.p.c);

2- Al collegio di conciliazione e arbitrato, definito arbitrato ex lege, previsto dall’art. 412 quater c.p.c;

3- Agli organi previsti da contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative, definito arbitrato ex contractu (art. 412 ter c.p.c.);

facoltative sia per il dipendente sia per il datore di lavoro pubblica amministrazione. Importante ricordare che l’arbitrato è alternativo al ricorso davanti al Giudice del lavoro.

2.3 La stabilizzazione del rapporto di lavoro flessibile quale possibile aspetto

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