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Consiglio europeo e Parlamento italiano:

Nel documento Il Parlamento europeo per la nuova Unione (pagine 95-98)

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Ed è proprio questo attivismo del Consiglio europeo (oramai con Lisbona una vera istituzione dell’Unione) che ha generato negli ordinamenti na-zionali, ma qui vogliamo parlare essenzialmente dell’ordinamento italia-no, un nuovo e più marcato ruolo del Parlamento, delle due Camere.

La previsione normativa secondo la quale “prima dello svolgimento della riunione del Consiglio europeo il Governo illustra alle Camere la posizione che intende assumere” fu inserita, ad apertura del titolo che disciplina le forme in cui il Parlamento partecipa al processo decisionale

96 Vedi il capitolo di G.L. Tosato in questo volume.

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dell’Unione, nella legge n. 11 del 2005, che disciplinava organicamente la partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche europee e che fu approvata immediatamente a valle della firma del Trattato Costituzionale.

La prima applicazione di tale norma vide il confronto parlamentare a monte del Consiglio europeo svolgersi essenzialmente in commissione (generalmente le Commissioni riunite esteri e affari europei di Camera e Senato), il Governo venendo per lo più rappresentato da un sottosegre-tario agli esteri in dibattiti che non si concludevano con l’adozione di atti di indirizzo. Una sola volta (il 6 dicembre del 2005) il confronto avvenne nell’Aula (del solo Senato) e con la presenza del Ministro degli affari esteri (e su impulso del senatore a vita Giorgio Napolitano) prima del Consiglio europeo del 15 e 16 dicembre 2005 nel quale si raggiunse l’accordo sul bilancio dell’Unione per il periodo 2007-2013.

Con la XVI legislatura - e l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona - il confronto salì di grado: iniziò ad essere sempre presente il Ministro (degli esteri sino al 2011 e poi quello degli affari europei a partire dal Governo Monti), delegato a rappresentare il Governo nel Consiglio Affari generali.

Un confronto che generalmente si è svolto tra la riunione del Consiglio affari generali che prepara l’agenda del Consiglio europeo (secondo l’art 16 del Tue) e a immediato ridosso (a volte la mattina stessa) dello svolgi-mento del Consiglio europeo.

Soprattutto a partire dall’esplodere della crisi economica, le riunioni del Consiglio europeo sono divenute sempre più frequenti: dalle due a semestre di un tempo (che si svolgevano sotto la Presidenza del Premier o del Capo di Stato del Paese membro che deteneva la Presidenza Ue), si è giunti a una cadenza quasi mensile, sotto una direzione progressivamen-te più incisiva del Presidenprogressivamen-te stabile. Fino a qual punto sulla frequenza delle riunioni e la qualità politica dei risultati abbia influito la crisi e il fatto che a presiedere il Consiglio europeo fosse stato chiamato Herman Van Rompuy, una personalità con una preparazione notevole, forgiata ge-stendo la complessa situazione delle finanze pubbliche del suo paese, lo si potrà valutare solo in una prospettiva di più lungo periodo.

Alla crisi e ai suoi - gravissimi - effetti sulla situazione economica e finanziaria dell’Italia nel 2011 è strettamente legata la fine del lungo Go-verno di legislatura presieduto da Silvio Berlusconi e la formazione - in un contesto e in condizioni affatto eccezionali - del Governo presieduto da Mario Monti, sostenuto da un’ampia e trasversale maggioranza parla-mentare.

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A Mario Monti si deve la scelta di venire a riferire personalmente in aula (sia a Montecitorio sia a Palazzo Madama) alla vigilia delle riunioni del Consiglio europeo. Dibattiti che si conclusero - ecco l’ulteriore novità - con la votazione di atti di indirizzo dal contenuto pressoché identico in ciascuna Camera.

Così fu sino allo scioglimento delle Camere che, ad esempio si pronun-ciarono votando due risoluzioni di contenuto quasi identico (un vero e proprio atto bicamerale non legislativo, sul modello di quello previsto dall’articolo 78 della Costituzione), alla immediata vigilia del Consiglio europeo (del 30 gennaio 2012) ove si raggiunse l’accordo politico sul Trattato così detto “Fiscal Compact”, formalmente fuori del quadro nor-mativo e istituzionale, ma sostanzialmente concepito al suo interno - come una sorta di cooperazione rafforzata - ed applicato dalle istituzioni dell’Unione.

Sul finale della legislatura, a Camere oramai sciolte, si svolse un dibat-tito parlamentare prima del Consiglio europeo (dell’8 febbraio 2013) ove si giunse all’accordo controverso e dibattuto sul nuovo bilancio dell’Unio-ne; ma in Commissione (le commissioni riunite esteri, bilancio e affari eu-ropei di Camera e Senato) e con la partecipazione di Ministri (degli affari europei e dell’agricoltura), non del Presidente del Consiglio; e senza un voto finale. Ciò fu considerato dal Presidente della seduta (il Presidente della Commissione bilancio della Camera) come un’eccezione, motivata dalla situazione politica e istituzionale legata allo scioglimento delle Ca-mere - a fronte di una “regola” che sarebbe dovuta essere quella di garan-tire comunque la possibilità che questo genere di confronto parlamentare (quello che precede lo svolgimento delle riunioni del Consiglio europeo) si svolgesse in modo tale da permettere una conclusione con l’approva-zione di atti di indirizzo (risoluzioni o mozioni).

Del resto, questa è la novità introdotta dalla nuova legge che disciplina la partecipazione dell’Italia all’Unione europea (Ue), approvata alla fine del 2012 (legge n. 234 del 24 dicembre dello stesso anno), che sostituisce la legge n. 11 del 2005 (la quale a sua volta aveva sostituito la celebre legge “La Pergola” del 1989), dando compiuta attuazione a tutte le nuove previsioni del Trattato di Lisbona che attribuiscono specifici poteri di in-tervento e di freno ai Parlamenti Nazionali.

L’articolo 4, comma 1 della legge, nel regolare in modo generale le for-me di consultazione e l’informazione del Parlafor-mento, con riferifor-mento a quella da rendere prima (e anche dopo) dello svolgimento delle riunioni del Consiglio europeo, prevede espressamente - in ciò e solo in ciò

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vando rispetto alla citata legge 11 del 2005 - che la posizione che il Gover-no tenga conto degli eventuali indirizzi formulati dalle Camere. Nulla di sostanzialmente innovativo: i dibattiti parlamentari aperti da comunica-zioni del Governo in Aula (ed entro certi limiti in commissione) possono sempre concludersi con l’approvazione di atti di indirizzo (risoluzioni).

Ma ciò è iniziato ad avvenire nel corso delle informative sul Consiglio europeo solo di recente (con Monti). La legge del 2012 registra questa evoluzione, la sottolinea e mira a promuovere lo sviluppo delle prassi in questo senso.

Così è stato. Nella XVII legislatura, la prima ad aprirsi essendo già vi-gente il Trattato di Lisbona (e la legge 234), il Governo ha infatti interpre-tato nella maniera più compiuta questa previsione.

Alla vigilia di ogni riunione del Consiglio europeo il Presidente del Consiglio (Enrico Letta, come anche Matteo Renzi) si è presentato alle Camere per riferire, e le sue comunicazioni sono state seguite da dibatti-ti e dall’approvazione di risoluzioni; molto ardibatti-ticolate durante il Governo Letta, secche, ma comunque in esito ad un ampio dibattito con il Governo Renzi97. In un’occasione vi è stata una sovrapposizione temporale, con un passaggio politico istituzionale tutto interno (il dibattito e il voto di fi-ducia dell’11 dicembre del 2013, che ha registrato un cambiamento nei confini della maggioranza parlamentare che sostiene il Governo), che ha indotto a ricomprendere l’indirizzo sul Consiglio europeo (che si sareb-be svolto la settimana seguente) nel più generale giudizio sul Governo sigillato in un voto di fiducia su una risoluzione di maggioranza. L’infor-mativa analitica fu in quell’occasione lasciata a comunicazioni rese alle commissioni competenti di Camera e Senato da parte del Ministro degli affari europei e poi, su aspetti settoriali, dei Ministri degli affari esteri e della difesa.

Nel documento Il Parlamento europeo per la nuova Unione (pagine 95-98)