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L’esercizio di controllo della sussidiarietà

Nel documento Il Parlamento europeo per la nuova Unione (pagine 100-103)

Un principio, quello della crescente integrazione europea, che è parte tegrante della tradizione delle Camere italiane. Senza andare troppo in-dietro, basti pensare al contributo dato alla elaborazione del Trattato di

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Lisbona (nei lavori della Convenzione europea) e ribadito attraverso la interpretazione delle nuove norme previste dai protocolli sul ruolo dei Parlamenti nazionali e sui principi di sussidiarietà e proporzionalità.

Il Parlamento italiano, nella costruzione e attuazione degli menti della cooperazione interparlamentare e nell’uso dei nuovi stru-menti attribuiti dal Trattato di Lisbona (a partire dal meccanismo di controllo sul rispetto del principio di sussidiarietà) ha sempre rifuggito una interpretazione “competitiva” del rapporto tra Parlamento nazionale e Pe, muovendosi invece nel senso di una profonda complementarietà.

Una via segnata con chiarezza nella risoluzione del Pe sulle relazioni tra lo stesso e i Parlamenti nazionali nel quadro della costituzione europea (relatore – l’ex Presidente della Camera dei deputati - Giorgio Napolita-no), approvata (nel gennaio 2002) alla vigilia dell’apertura dei lavori della Convenzione europea.

In questa direzione, con la legge 11 del 2005 e ancor più con la legge 234 del 2012, il Parlamento italiano ha da un lato sviluppato e rafforza-to i suoi strumenti di controllo e di indirizzo nei confronti del Governo, e dall’altro ha contribuito a costruire i nuovi meccanismi di Lisbona - a partire dal meccanismo di controllo sul rispetto del principio di sussidia-rietà - come strumenti volti a garantire un “miglior funzionamento dell’U-nione” senza tradursi in mere forme di freno o di ostacolo al processo decisionale.

I rappresentanti del Parlamento italiano in seno alla Convenzione, e nei gruppi di lavoro sul ruolo dei Parlamenti nazionali e sulla sussidia-rietà, evitarono, di concerto con il Pe, l’introduzione della “red card”, ma soprattutto diedero un contributo decisivo a che il cosiddetto meccani-smo di early warning si limitasse alla verifica del rispetto del solo princi-pio di sussidiarietà e non anche di quello di proporzionalità.

Attraverso questa via avrebbe finito per imporsi l’idea di un intervento diretto sui procedimenti decisionali capace di bloccarli o comunque di condizionarli pesantemente.

Lo mostra la vicenda della proposta di regolamento che istituisce la Procura europea, sulla quale 14 Camere di Parlamenti nazionali (non le italiane) hanno inviato un parere motivato facendo così scattare (per la seconda volta da quando il Trattato di Lisbona è entrato in vigore) il meccanismo di controllo della sussidiarietà che obbliga la Commissione a rivedere e rimotivare (se la vuole mantenere) la proposta normativa. La Commissione, nel riesaminare la proposta, l’ha mantenuta rilevando che le argomentazioni addotte non toccano il valore aggiunto dell’iniziativa,

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Luigi gianniti

i cui obiettivi non possono essere conseguiti in maniera sufficiente dagli Stati, ritenendo così rispettato il principio di sussidiarietà. Se la propor-zionalità fosse stato un parametro di cui necessariamente tener conto, un simile esito sarebbe stato più complesso da raggiungere. Infatti gran parte delle più efficaci argomentazioni mosse dai Parlamenti nazionali andavano ad incidere sulla proporzionalità dell’intervento; si pensi a tutti i rilievi relativi al modello organizzativo prescelto per dare vita alla isti-tuenda procura.

Così, anche in questo caso, il meccanismo messo in piedi dal Trattato di Lisbona, che chiama i Parlamenti nazionali ad esprimersi sulle iniziative normative entro brevi termini (otto settimane) dalla loro presentazione, si è rivelato, più che uno strumento diretto di blocco, un mezzo per por-tare all’attenzione del legislatore europeo elementi critici della proposta, secondo prospettive nazionali98.

Da quando vige il Trattato di Lisbona solo in due occasioni si è rag-giunto un numero di pareri contrari di Parlamenti nazionali tale da far scattare questo obbligo di riesame. Il che ha condotto solo in un caso, il primo (la proposta di regolamento sull’esercizio del diritto di promuove-re azioni collettive nel quadro del mercato unico), al ritiro della proposta da parte della Commissione, un ritiro peraltro motivato da ragioni di me-rito e di opportunità più che di sussidiarietà.

Il numero dei pareri motivati formulati dai Parlamenti nazionali per violazione del principio di sussidiarietà, poi, è marginale (il 10 per cento) rispetto alla mole di pareri formulati invece nell’ambito di quel “dialo-go politico” tra Parlamenti nazionali e Commissione europea, avviato e strutturato da quest’ultima proprio per dare una prospettiva più ampia all’intervento diretto dei Parlamenti nazionali, in coerenza con quanto previsto dall’articolo 12 del Tue, che li chiama ad intervenire “per contri-buire al buon funzionamento dell’Unione”.

I tentativi, condotti da alcuni Parlamenti, volti a coordinare posizio-ni nazionali nell’ambito di questa procedura con l’obiettivo ultimo di ri-durre lo spazio dell’iniziativa - dunque, del potere di normare - da parte dell’Unione, non hanno ad oggi avuto successo. Per parte sua, il Parlamen-to italiano li ha sempre contrastati.

Su un piano politico e istituzionale più generale, il Parlamento italiano

98 Per una valutazione dell’applicazione del meccanismo di allerta precoce cfr. P. Kii-ver, The Early Warning System for the Principle of Subsidiarity. Constitutional theory and empirical reality, Routledge, Oxon, 2012, p. 11; N. Lupo, “I poteri ‘europei’ dei Parlamenti nazionali”, in Il sistema parlamentare euro-nazionale, a cura di A. Manzella e N. Lupo, Giap-pichelli, Torino, 2014, p. 101 ss.

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si è sempre invece trovato a fianco del Pe nel segnalare (in atti di indirizzo votati sia dalla Camera sia dal Senato) i costi della mancata azione dell’U-nione, interpretando pertanto la “sussidiarietà” nel senso di indicare e segnalare i “beni pubblici” che in modo più efficiente potrebbero essere realizzati attraverso un’ azione dell’Ue.

Il Parlamento italiano ha dunque interpretato il meccanismo previsto dai trattati - che comunque, per la sua stessa struttura, è istituzionalmen-te vocato a “frenare” - come uno strumento volto piuttosto a stimolare la consapevolezza dei parlamentari circa l’azione dell’Unione e per condur-re in tempi certi e in modo sistematico l’azione di controllo e indirizzo sul Governo nella fase ascendente di formazione del diritto dell’Ue (un’azio-ne, del tutto trascurata in passato , che si è strutturata presso le Camere italiane divenendo abbastanza sistematica solo a ridosso dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona).

Speculare è invece la posizione di molti Parlamenti dei paesi del nord Europa e emblematicamente ora del Parlamento di un paese fondatore:

l’Olanda, tradizionalmente all’avanguardia nel sostenere il processo di in-tegrazione. Una posizione, quella europeista, sostenuta anche nel corso dei lavori della Convenzione europea da parte dei suoi rappresentanti:

il socialista Frans Timmermans (ora ministro degli esteri) e, seppur con minore vigore, il popolare René Van der Linden. Lo shock del referendum sul Trattato costituzionale (nei numeri e per la portata politica ben più dirompente di quello francese), ha generato un radicale ripensamento della posizione olandese, che si traduce ora nella interpretazione della sussidiarietà, addirittura come uno strumento destinato a “rimpatriare”

competenze. Da qui le proposte cui si è accennato – al di fuori del quadro previsto dai Trattati – , come anche un uso frequente dello strumento del parere motivato da parte delle Camere olandesi.

5. l

a cooPerazIone InterParlamentare

Nel documento Il Parlamento europeo per la nuova Unione (pagine 100-103)