• Non ci sono risultati.

Consistenza dell’immobile e ampliamenti fra XVI e XVII secolo

Se è possibile ipotizzare per il palagio dei Baroncelli una originaria tipologia edilizia con torre, poco o nulla si può affermare sui successivi interventi quattro-cinquecenteschi. Molto rimane ancora da chiarire poiché difficile risulta l’identificazione, sia dal punto di vista materico che documentario, delle fasi rinascimentali intervenute a modificare l’aspetto dell’immobile e rimaste nascoste o obliterate dagli interventi sette-ottocenteschi analizzati in dettaglio nei prossimi capitoli.

Le denunce catastali quattro-cinquecentesche possono però fornire alcuni indizi importanti. Se nel 1427 la portata al catasto di Jacopo di Piero Baroncelli descrive «un podere con casa da signore e con due case da lavoratore posto nel popolo di S. Felice a Ema luogo detto Palagio»206, già nel 1481

si specificano meglio due differenti unità poderali, una maggiore corredata di ‘casa da oste’ e una minore con due ‘casette da lavoratore’ (identificabili a mio avviso con il primitivo nucleo della villa e con l’adiacente podere del Palazzo, posto a sud e dotato di un immobile rurale derivante probabilmente dall’accorpamento di due piccole casette)207.

Pochi anni dopo, nel marzo 1488, la proprietà degli eredi Baroncelli passa nelle mani di Agnolo di Pandolfo di ms. Giannozzo Pandolfini (proprio come indicato dal Varchi), il quale ottiene i beni per sentenza giudiziaria in quanto maggior creditore dei Baroncelli, colpiti da ingenti dissesti finanziari208; sarà la denuncia al catasto del 1498 del fratello Battista Pandolfini a confermare la

medesima suddivisione poderale in due unità territoriali rimaste invariate anche nel 1534209.

Il 5 gennaio 1549 Piero di Alamanno Salviati acquista da Filippo di Batista Pandolfini «un podere nel popolo di S. Felice a Ema con un palazzo e sue appartenenze luogo detto a Baroncelli» e «un poderetto accanto al detto podere […] con casa per lavoratore»210; è dunque la prima volta che

troviamo nominato il nucleo edilizio principale con l’appellativo di ‘palazzo’ e vediamo le due casette ridursi ad un’unica ‘casa da lavoratore’.

Dalle parole del Varchi possiamo inoltre dedurre che in quegli anni qualcosa stava cambiando, poiché Piero Salviati stava conducendo lavori di ampliamento all’immobile «con animo e magnificenza reale», spendendovi cioè «una somma incredibile di moneta»211; tali lavori dovettero

avvenire intorno agli anni cinquanta-sessanta del Cinquecento, ovvero dopo l’acquisto dell’immobile dai Pandolfini e prima della confisca attuata dal duca Cosimo per concederlo in donazione alla figlia

206 ASF, Catasto, 68, c. 108r, citato da PANICHI 1989, p. 154 nota 1.

207 «Uno podere con uno poderuzzo posto in Arcetri con chasa grande da oste e duo casette da lavoratori, popolo di S.

Felice a Ema con terre lavorative vignate e ulivate». Si veda: PANICHI 1989, p. 149.

208 ASF, Notarile antecosimiano, 13186, cc. 266r-267v. Si veda anche: PANICHI 1989, p. 154 nota 2.

209 ASF, Decima Repubblicana, 31, c. 374dx. Si veda inoltre: PANICHI 1989, p. 154 nota 3 e l’appendice documentaria. In

particolare il Conto delle Decime Granducali di Filippo Batista di Pandolfo di ms. Giannozzo Pandolfini è presente in: ASF, Decima Granducale, 3647, c. 166dx Dare.

210 CASNP, Serie V - Parte Moderna, Affari diversi e amministrazione generale, 3, c. 478r e anche ASF, Decima Granducale,

2260, c. 21r, Arroto n. 127. Si veda inoltre l’ppendice documentaria di questo volume e PANICHI 1989, pp. 154-156 nota

4 che trascrive parte dell’atto notarile conservato in ASF, Notarile antecosimiano, 15241, cc. 237r-253r.

Isabella212. Una ricerca effettuata presso l’Archivio Salviati di Pisa non ha purtroppo permesso di

individuare libri di fabbrica o materiale utile a chiarire questa fase edilizia, ma non si esclude che una più puntuale verifica possa dare qualche esito futuro.

Le parole utilizzate dal Varchi vanno però interpretate con attenzione, poiché l’uso di termini quali ‘magnificenza reale’ lasciano forse presagire quello che sarà il destino dell’edificio a seguito degli interventi medicei degli anni successivi. Se il 1564 è l’anno di morte di Piero, e quindi il 1565 la data dell’incameramento dei beni Salviati da parte della Camera Fiscale del duca213, Varchi potrebbe

attestare una successiva fase di lavori dovuti alla committenza medicea; questo comunque non sminuisce l’entità dei lavori - probabilmente ingenti, sia dal punto di vista strutturale che decorativo - che furono condotti sull’antico palagio dei Baroncelli dai Salviati. Dalla documentazione archivistica del 1626 risulta infatti che durante i lavori di Giulio Parigi si procedette «a cancellare nomi di Piero Salviati»: le iscrizioni sono dunque evidenti simboli di una elevata qualità edilizia raggiunta dall’immobile già in epoca Salviati214. La conformazione spaziale attestata dalla pianta di Giorgio

Vasari il Giovane (FIG. 7)215 potrebbe esser frutto di questi stessi lavori (Salviati), o piuttosto degli

interventi condotti dai Medici e dagli Orsini. Con la documentazione fino ad ora in nostro possesso, non è stato possibile a oggi sciogliere tale nodo216.

Una rilettura più attenta dei documenti già segnalati nei fondi archivistici dell’Archivio di Stato di Firenze ha comunque permesso di chiarire alcuni elementi riguardanti le modifiche introdotte da Isabella dei Medici nella villa dei Baroncelli. Sebbene sia noto come Isabella fosse intervenuta per arricchire la dotazione statuaria della villa (come ad esempio testimoniato da Raffaello Borghini nel Riposo, relativamente a statue di Vincenzo de Rossi e di Vincenzo Danti)217, non era finora emerso

alcun riferimento agli interventi territoriali da lei promossi per scopi produttivi, venatori e -forse - paesaggistici. Apprendiamo ad esempio che durante le trattative del 1620 per la vendita della villa a Maria Maddalena d’Austria, il duca di Bracciano rammentava:

212 «Questa Villa con due Poderi liberi, e un livellare pervenne in Fisco mediante la ribellione di Alessandro Salviati al

tempo del Gran Duca Cosimo I, il medesimo la donò con tutti i Bestiami alla Isabella sua figliola, moglie di D. Paolo Giordano Orsini duca di Bracciano dall’anno 1565 per durante la di lei vita e di detto suo marito mentre le sopravvivesse, e dette facultà alla medesima di poterne testare a favore de suoi figlioli, e di quelli dell’A.S.S., e non testando, ordinò che detti Beni ritornassero a S.A.S.»: ASF, Miscellanea Medicea, 578, c. 172r. Vedi anche: PARIGINO 1999,

pp. 11-26 e appendice documentaria. Cfr. anche PANICHI 1973, p. 32 e PANICHI 1989, p. 149.

213 ASF, Decima Granducale, 1879, c. 148r, s.n. (per una metà dei beni) e CASNP, Serie V - Parte Moderna, Affari diversi e

amministrazione generale, 3, cc. 502v-503r (per l’altra metà). Si veda anche: PANICHI 1989, p. 156 nota 6. Panichi

sottolinea però che già dal 1562 l’immobile non faceva più parte dei beni Salviati. Una prova documentaria sembrerebbe avvallare tale affermazione. Una supplica della famiglia Portinari databile agli anni novanta del Seicento fa infatti riferimento ad un confine «citato in un contratto del 1563, nel qual tempo l’Ill.mo e Ecc.mo sig. Pavolo Orsini [era] abitante allora in detta villa Imperiale». ASF, Scrittoio delle Regie Possessioni, 3756, ins. 14, c. 41r. Vedi anche appendice

documentaria. Purtroppo, ad oggi, non siamo in grado di stabilire l’attendibilità di tale affermazione, sebbene l’incremento delle proprietà fondiarie da parte di Piero Salviati in quello stesso anno sembrerebbe contraddire quanto affermato. Per l’acquisto del limitrofo podere del Pozzo in data 6 febbraio 1563 vedi: CASNP, Serie V - Parte Moderna,

Affari diversi e amministrazione generale, 3, cc. 495v-496r, N. 441.

214 ASF, Scrittoio Regie Possessioni, 3756, ins. 14, c. 18r. 215 GDSU, 4919 A.

216 Dalle considerazioni effettuate a seguito delle ricognizioni e dei rilievi, con il supporto della documentazione

archivistica e iconografica, è plausibile sostenere l’ipotesi di una sorta di ribaltamento o ‘bilanciamento’ del fronte principale, dal versante meridionale a quello settentrionale, con lo scopo di dialogare maggiormente con la città e stare al passo con le importanti iniziative medicee avviate a Palazzo Pitti. Il dato rilevante che emerge dalle indagini dirette sulla fabbrica è quello che riguarda il piano interrato intorno al cortile centrale: i saggi effettuati hanno, infatti, confermato la presenza di un affioramento roccioso sul quale risultano impostate, almeno parzialmente, le apparecchiature murarie del medesimo (Cfr. FOTO PI7.a-b).

217 PANICHI 1989, p. 149 e p. 156 note 10-11. Per la bibliografia su Isabella de’ Medici: WINSPEARE 1961; CELLETTI

«[...] che quando fu benignamente donata la villa di Baroncelli alla sua Casa da’ Serenissimi Granduchi di gloriosa memoria, non erano né il palazzo né la villa di quella bellezza, grandezza et magnificenza che sono hoggi, perché il palazzo fu abbellito et accresciuto dalla signora Isabella Medici sua nonna, come ancora si vede nelle inscrizioni del suo nome in più parti, con ancora fatte di pianta le stalle, et ricinto di mura de i giardini, et la villa ancora abbellita et migliorata di ragnaie, et delli stradoni tutti divelti, et aggrandita de’ poderi del Santuccio, et del Ronco preso dopo a livello dalle Monache di San Giovannino; sì come vi fu speso assai ancora ogn’anno dal sig. don Virginio suo padre mentre che visse, in fontane, in giardini, in comodità alle case de’ lavoratori, di frantoio da olio et d’altro et in piantare et coltivare spese ogn’anno ancora assai in tutti i Poderi»218.

Risulta, infatti, da coevi documenti che la duchessa di Bracciano avesse realizzato strutture di diporto adatte a una residenza extraurbana quali un barco di caccia o delle ragnaie219, nonché la

rettifica di alcune strade:

«volendo la signora Isabella dirizzare la strada che prima passato il prato subito voltava a man sinistra, et passava rasente il muro dell’uccellare, et seguitare quello stradone, et fare quel ricinto di mura dove haveva a essere un barco, si occupò molto terreno di detti poderi et almeno si rovinò una casa, et anche nel contratto con Santi fu riserbata per il palazzo [dei Baroncelli] la ragnaia et viottolo in quella parte di detti poderi che prima arrivavano fino al fossato»220.

Due documenti cartografici realizzati dopo gli interventi dei Parigi e conservati nel fondo delle Piante dello Scrittoio delle Regie Possessioni testimoniano come effettivamente esistesse una bandita di caccia denominata Del Poggio Imperiali istituita tra il 1587 e il 1588 e chiamata inizialmente Bandita Nuova. Nel primo disegno sono rappresentate le bandite granducali nei dintorni di Firenze e nella legenda a margine segnata Tavola è riportata la Bandita dell’Imperiale (FIG. 25)221; nel secondo, di

maggiore dettaglio il toponimo si ripete e nella rappresentazione in alazato del fronte principale della villa con il recinto del grande prato è segnato Poggio Imperiale di Sua Altezza Reale (FIG. 26)222. C’è da

chiedersi se tale privatizzazione sia da mettere in relazione con il “barco” di Isabella, oppure con il successivo intervento di ammodernamento della proprietà voluto da Maria Maddalena d’Austria, sebbene non vi siano documenti certi che lo attestino223.

Comunque, con ogni certezza, Isabella (1542-1576) fece realizzare una ragnaia nel podere del Palazzo, i cui lavori iniziarono intorno al marzo-aprile del 1576224 (poco prima della sua prematura

morte), andando ad occupare una porzione di terreno privato confinante a mezzogiorno con il palazzo225. La ragnaia era stata impiantata sfruttando la presenza di un piccolo fosso naturale

nell’avvallamento fra le due colline di Arcetri e Monte Ripaldi ed era utilizzata per scopi ludici e venatori, come dimostra il racconto di Cassiano del Pozzo, ospite dell’Imperiale nel settembre del

218 ASF, Miscellanea Medicea, 360, ins. 3, cc. 88r-v, databile al maggio 1620.

219 ‘Ragnaie’ e ‘uccellari’ erano infatti considerate ‘delizie’ imprescindibili per una villa suburbana: le numerose ville

medicee (fra cui ad esempio Castello e Petraia ma anche lo stesso giardino di Boboli) ne erano infatti provviste. Stessa cosa per le bandite di caccia: rinomati i Barchi delle ville di Cafaggiolo-Trebbio, Poggio a Caiano e Artimino, fra cui i granduchi amavano spostarsi e trascorrere il tempo.

220 ASF, Miscellanea Medicea 360, ins. 3, c. 102v.

221 ASF, Piante dello Scrittoio delle Regie Possessioni, Tomo XII, c. 27v-28r. 222 ASF, Piante dello Scrittoio delle Regie Possessioni, Tomo XII, c. 20r.

223 La biografia di entrambi ricorda infatti come fossero ottime amazzoni. Cfr. per Isabella: CELLETTI 1963; MORI 2011;

WINSPEARE 1961; mentre per Maria Maddalena d’Austria: BETZ 2008;GALASSO CALDERARA 1985.La datazione 1587- 88, posteriore di un quindicennio rispetto alla morte di Isabella, potrebbe attestare l’ufficializzazione di una privatizzazione già in essere comunque pianificata ai tempi della medesima principessa.

224 ASF, Scrittoio Regie Possesioni 3756, ins. 14, c. 46r.

225 Dopo svariati anni i Portinari, proprietari di tali terreni, tentarono ancora di rivalersi sul marito di Isabella, Paolo

1626226. Un’altra ragnaia fu poi aggiunta nel versante opposto dei possedimenti terrieri settentrionali,

lungo le zone di confine con il monastero di San Gaggio, proprio durante i primi interventi sulla fattoria dell’Imperiale, attuati da Maria Maddalena d’Austria (1589-1631) quando ancora non possedeva il dominio esclusivo sull’immobile227; tale ragnaia è dettagliatamente disegnata nella

settecentesca Pianta della ragnaja della real fattoria del Poggio Imperiale (FIG. 41)228.

Uno dei poderi situati proprio nella zona limitrofa a questa seconda ragnaia ha rivelato un’ interessante scoperta documentaria: il podere detto della Tinaia o di Titi (corrispondente all’attuale casa di riposo villa La Veranella) prende il nome dal suo proprietario, Santi di Tito, il rinomato pittore e architetto che tanto spesso venne impiegato dalla famiglia Medici (e dunque anche da Isabella) nella seconda metà del Cinquecento. L’artista aveva infatti acquisito nel 1583 tale podere con ‘casa da lavoratore’ per ‘rifarsi’ dell’ingente credito vantato nei confronti di Isabella e del marito

Paolo Giordano Orsini, duca di Bracciano, per lavori fatti alla villa dei Baroncelli e mai saldati229;

sebbene rimangano ancora da chiarire in cosa consistano tali commissioni, la documentazione archivistica lascia intuire come anche durante il primo periodo mediceo la villa subisse interventi di adeguamento tali da presupporre la presenza di operatori specializzati, citati in una lista di creditori fra i quali compare appunto Santi di Tito230.

La letteratura ha evidenziato come il mecenatismo della colta e raffinata Isabella venisse idealmente recuperato agli inizi del Seicento da Maria Maddalena d’Austria231; futuri

approfondimenti in tal senso andranno sicuramente sviluppati. Se la vicenda legata alla committenza architettonica di Isabella per la villa di Baroncelli rimane ancora nebulosa, piuttosto note risultano invece le fasi di intervento per l’ampliamento seicentesco, realizzato fra il 1622 e il 1624 da Giulio e Alfonso Parigi su commissione della granduchessa reggente Maria Maddalena d’Austria, che acquista la proprietà Orsini dal duca Paolo Giordano II in data 3 agosto 1622, per un prezzo di scudi 25.000232.

I nuovi affondi documentari hanno permesso di capire come le trattative iniziate già nel 1620 con il duca di Bracciano cercassero di regolarizzare un ‘possesso di fatto’ che la granduchessa godeva sulla villa fin dal 1616-17, come più volte riscontrato nei diari di etichetta di Cesare Tinghi233 e in

altre evidenze documentarie234; appare dunque chiaro che la granduchessa aveva già preso possesso

non solo dell’immobile Orsini, ma dell’intera area compresa fra la villa di Baroncelli e le adiacenti

226 «Da questa s’andò alla ragnaia dove erano tese sei ragne, si scacciorono i beccafichi, mandandoli da una nell’altra, in

tutto se ne pigliò ottanta, o poco più». Il racconto di Cassiano del Pozzo è riportato in: ANSELMI 2004, p. 337.

227 Spese per la Ragnaia nuova nella fattoria di Baroncelli sono attestate nel 1620-21 (ASF, Miscellanea Medicea 360, ins. 3, c.

18r).

228 ASF, Piante dello Scrittoio delle Regie Possesioni, tomo XXXVII, c. 161v. 229 ASF, Miscellanea Medicea 360, ins. 3, cc. 96r-105r e c. 114r.

230 Nella lista, oltre al pittore, compaiono vari manifattori fra cui scultori, legnaioli, renaioli etc. Ivi, cc. 110r-v. 231 ACANFORA 2005, p. 144.

232 Vedi le registrazioni ufficiali nell’archivio del Monte di Pietà (ASF, Monte di Pietà di Firenze 1393, cc. 285r-v.). Vedi

anche appendice documentaria; PANICHI 1989, p. 150 e p. 156 nota 19 e ACANFORA 2005, p. 144 nota 63.

233 PANICHI 1989, p. 156 nota 17.

234 Come precedentemente accennato, nel dicembre 1615 Cosimo II aveva fatto procuratrice Maria Maddalena per la

donazione Botti relativa agli adiacenti beni di Monte Turli. Non è un caso se proprio dall’inizio del 1616 iniziano a comparire fra i documenti contabili della granduchessa i calcoli delle entrate agricole che producevano i poderi del Titi a Monte Turli (ASF, Miscellanea Medicea 360, ins. 3, cc. 110r-111v). Una lettera del 24 giugno 1617 del duca di Bracciano

mette in luce come a quella data già esistesse la volontà della granduchessa di conseguire il dominio esclusivo sulla villa, ma che lui fosse contrario a concedergliela, consentendole però di risiedervi liberamente a suo piacimento (ASF,

Miscellanea Medicea 360, ins. 3, c. 11r). Inoltre è attestata l’esistenza di un inventario dei beni di Maria Maddalena al Poggio

proprietà di Monte Turli (fra cui il podere di Santi di Tito235, la villa del marchese Botti, deceduto nel

1621, e il podere del Barbadoro)236.

Grande interesse suscita infatti la localizzazione extraurbana - sul limite della città - della villa: addossata alle pendici collinari di Monticelli, a cavallo delle mura, è in stretto contatto con Pitti e con gli ampliamenti del giardino di Boboli che proprio in quegli anni erano portati avanti da Giulio Parigi e dal figlio Alfonso237:

«L’esser situata detta villa da quella parte accresce non poco la comodità perché uscendo Sua Altezza di Firenze per Boboli, se ne va a Baroncelli con prestezza er facilità, il che non gli succederebbe se gli tenessi alle ville della Petraia, Castello e da quella parte et la medesima comodità ricevono gli stessi Principi che per la vicinanza e comodità sono riveduti più spesso. Queste comodità hanno fatto accender l’animo dell’Altezza Sua a nuove delizie di strade per andarvi comodamente et di accomodarle in maniera da riceverne maggior godimento»238;

è già dunque dall’8 aprile 1620 che la granduchessa immagina la realizzazione dello stradone che prenderà effettivamente corpo negli anni successivi, di cui il disegno di Giulio Parigi dà testimonianza e ne attesta lo sviluppo(FIG. 8)239.

Le iniziali trattative fra il duca di Bracciano e Maria Maddalena, per il tramite del cardinale Carlo, avevano avanzato l’ipotesi di una permuta del palagio di Baroncelli con la più distante villa di Marignolle240, appartenuta a don Antonio dei Medici e anch’essa dotata di un palazzo «assai comodo

in buonissima aria, fabbricato alla moderna dal sig. Card. Ridolfi et Lorenzo suo fratello, et ancora quivi sono Ragnaie et Uccellari et simili delizie»241, ma tale proposta non fu gradita al venditore che

preferiva invece un pagamento in denaro. Il cardinal Carlo sembra essere un personaggio importate per le scelte artistiche della granduchessa e i pittori fiorentini che parteciparono alla realizzazione del ciclo decorativo della villa del Poggio Imperiale, erano infatti stati impiegati anche da quest’ultimo nella pressoché coeva fabbrica del Casino mediceo di San Marco (1621-23)242. L’intervento di

decorazione murale dell’Imperiale è stato molto approfondito dalla storiografia artistica per la presenza di un significativo numero di artisti impiegati in unico ciclo di affreschi, ma anche - e soprattutto - perché esso fu voluto da Maria Maddalena d’Austria per finalità dichiaratamente propagandistiche, nel tentativo di rafforzare e legittimare il proprio potere politico di tutrice del minorenne granduca Ferdinando II. Il ciclo tratta infatti di esempi di donne illustri, eroine bibliche e sante martiri che possono fungere da modello di potere femminile universalmente riconosciuto e accettato, oltre ovviamente a riferimenti alla casa imperiale d’Austria e a quella medicea243.

Giulio Parigi fu l’architetto che vinse il concorso indetto dalle Reggenti per l’ampliamento del palazzo di Baroncelli, come narrato dal Baldinucci nella vita di Giovanni Coccapani:

«[...] come trattandosi dai Serenissimi Principi di Toscana nello stesso anno 1622 d’aggrandire il palazzo, già de’ Baroncelli, fuori della porta a San Pier Gattolini, che in oggi è la regia villa dell’Imperiale, a lui fu data l’incumbenza di farne un disegno, il quale felicemente condusse, a concorrenza di Gabriello Ughi, di

235 ASF, Miscellanea Medicea 360, fas. 3B (c. 95 e sgg.): «Per i dua poderi comperi dagli Eredi di Santi di Tito». 236Ivi, 580, c. 709v, n. 304 (27 febbraio 1621).

237 Cfr. SMALZI 2010, pp. 69-87.

238 ASF, Miscellanea Medicea 360, ins. 3, c. 3v-4r (cfr. appendice documentaria).

239 ASF, Scrittoio delle Regie Possessioni, 3756, ins. 14, c. 31r. L’argomento è trattato anche in BEVILACQUA 2007a, p. 368. 240 SPINELLI 2008, p. 649 nota 7; HOPPE 2012, p. 36, nota 16.

241 ASF, Miscellanea Medicea 360, ins. 3, c. 4v (cfr. appendice documentaria).

242 Cfr. ACANFORA 1998a, pp. 145-146; ACANFORA 2001, p. 56; ACANFORA 2005, p. 153.

243 ACANFORA 1998a;ACANFORA 2001, pp.45-59;ACANFORA 2005, pp. 143-156; FAINI GUAZZELLI 1968, pp. 25-34;

HOPPE 2008, pp. 681-689; HOPPE 2012;HOPPE 2013, pp. 65-90; HOPPE 2014a,pp.115-133;PANICHI 1973, pp. 32-43;

Francesco Guadagni, di Gherardo Silvani, di Matteo Nigetti, di Cosimo Lotti e di Giulio Parigi: ed il dì 30 d’agosto dello stesso anno alla Serenissima Arciduchessa Maria Maddalena, per cui servizio dovea fabbricarsi, lo presentò con sua pianta, presenti il cardinal Carlo de’ Medici, don Lorenzo de’ Medici, ed il principe d’Urbino. E perché in pianta alquanto si confaceva con quello del Silvani, si unirono tutti e due a farne un modello insieme, che mostravano potersi eseguire con ispesa di ventiduemila scudi; ma, quantunque la spesa di quel del Parigi fusse accennata in somma di trentottomila scudi, fu però eletto questo, e tutti gli altri esclusi, ed allo stesso Parigi fu appoggiata quell’opera»244.